2014 GOLA – ARTE E SCIENZA DEL GUSTO Nutrirsi non è facile
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2014 GOLA – ARTE E SCIENZA DEL GUSTO Nutrirsi non è facile
2014 G OLA – A R TE E S C I E N ZA D EL G U S T O Nutrirsi non è facile. Dobbiamo scegliere alimenti che contengano tutti i nutrienti di cui abbiamo bisogno nelle giuste proporzioni, capire quanto ne dobbiamo mangiare, evitare i cibi che ci possono far male: per esempio, la maggior parte delle piante. Gli animali hanno lo stesso problema ma tutti tranne noi, e in misura minore altri onnivori come ratti e macachi – si limitano a mangiare poche cose o addirittura una sola. Ma la scelta di che cosa mettere in tavola ogni giorno non può dipendere dalla conoscenza sia della composizione di tutti i potenziali alimenti – dalla larva di insetto alla balena – sia delle necessità nutrizionali del nostro corpo. La brillante soluzione trovata dall’evoluzione è stata “nascondere” una sofisticatissima valutazione nutrizionale – basata su giudizi istintivi e di origine culturale – dietro a un piacere che ci spinge a scegliere. In un “mi piace, non mi piace” si cela un fenomeno complesso, che fisiologi, psicologi e neuroscienziati stanno cercando di svelare. All’inizio ci sono i segnali che provengono dagli organi di senso, che partecipano a quello che noi chiamiamo complessivamente “gusto”. La vista aiuta a identificare un alimento, ma viene aiutata dall’olfatto, che distingue decine di migliaia di molecole, mentre il gusto identifica non più di sei sapori fondamentali. Il tatto valuta la consistenza, dalla cremosità dei grassi al pungente del peperoncino, al fresco del mentolo. Perfino l’udito ha un ruolo. Nel cervello, tutte le informazioni vengono integrate e giungono alla nostra coscienza sotto forma di un’unica sensazione, che genera un unico giudizio: il famoso “mi piace” o “non mi piace”. Sulla base dei nostri istinti più basici noi tendiamo a preferire i sapori dolci e grassi, tipici di alimenti ricchi di energia, e a evitare quelli amari o aspri che possono indicare la presenza di tossine o batteri patogeni. Tuttavia sappiamo che tanti alimenti amari – dalla rucola al caffè – non sono nocivi, e che un dolcificante può essere dolce ma povero di energia. I segnali del gusto sono imperfetti, e per valutare il valore nutrizionale di un alimento serve molto altro: bisogna provarlo, o basarsi sull’esperienza di altri che l’hanno già fatto. Molti meccanismi di formazione delle nostre preferenze a tavola passano dunque per l’apprendimento: l’esempio dei genitori, le tradizioni della cultura in cui viviamo, le esperienze alimentari in cui ci imbattiamo, i messaggi della pubblicità. In altre parole, condividiamo l’esperimento del cibo su scala sociale. Oggi, su scala planetaria. Per questo la formazione delle nostre preferenze è stratificata: siamo quasi uguali nelle preferenze istintive (buono il dolce, cattivo l’amaro) e spesso simili all’interno di una cultura (buona la pasta, cattivi gli insetti), ma l’esperienza di ciascuno è diversa (buono il mio sugo preferito, cattivo il pesto). Ecco perché per certi aspetti siamo tutti uguali, per altri tutti diversi. Ma quel meraviglioso adattamento che è il piacere della tavola rischia di diventare un problema. In Italia, il 31% degli adulti pesa più del dovuto. Occorre trovare strade per coniugare alimentazione sana e piacere. Per questo è così importante conoscere i meccanismi del gusto. Questo vuol dire educare le giovani generazioni, e affinare il nostro gusto per il cibo imparando ad apprezzarlo meglio. Siamo l’unica specie in cui una preferenza alimentare può avere un’origine cognitiva. Per questo la bocca è una finestra aperta sul nostro cervello, sulla natura umana in generale, e sulle sue potenzialità. Così, tra exibit sul cibo e opere d’arte che ne mostrano gli aspetti emozionali, culturali, rituali, il percorso della mostra ci aiuta a capire, insieme al meccanismo del gusto, anche altre cose su noi stessi. Comprese molte che con il gusto non hanno nulla a che fare.