la cucina dei Malatesta

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la cucina dei Malatesta
Andrea Chiappa
Nexus Editrice - Entropia n.5
A tavola con i Malatesta
Excursus storico culinario a cura di
Andrea Chiappa
Premessa storica
All’evoluzione della corte, dagli inizi della signoria malatestiana fino al suo massimo splendore in
epoca rinascimentale, corrisponde un’evoluzione dell’organizzazione della tavola e della cucina. In
cucina lavoravano numerosi addetti e durante il giorno era un continuo andirivieni del personale di
servizio.
Figura dominante era il "sopracuoco" (cuoco principale), stimato e rispettato da tutti gli altri cuochi
e sottocuochi che numerosi si avvicendavano in specifici ruoli. Il cuoco principale oltre a dirigere il
funzionamento dell'intera cucina, era anche il cuoco personale del signore, unico incaricato alla
preparazione delle sue vivande. Era molto attento a controllare che non fossero fatte macchinazioni
ai danni del signore e che in alcun modo potessero verificarsi sofisticazioni dei cibi a lui destinati ed
era il supervisore di tutto ciò che partiva dalla cucina. L'importanza dei cuochi alla corte dei
Malatesta è attestata da alcuni interessanti documenti testamentari, dove figurano oggetto di lasciti.
I privilegi del cuoco principale erano controbilanciati da numerose responsabilità quali: coordinare
l'operato dei cuochi e sottocuochi della famiglia e dei forestieri, controllare il lavoro di tutti gli altri
inservienti, curare gli approvvigionamenti, mantenere contatti con il fattore generale, il dispensiere,
il beccaro, lo speziale, il fornaio.
Il cuoco responsabile della cucina dei forestieri in tempi normali aiutava gli altri cuochi del signore
e della famiglia, ma assumeva il suo ruolo specifico quando giungevano ospiti; anche se spesso
questi ultimi portavano al loro seguito i cuochi personali sia per ragioni di sicurezza (paura degli
avvelenamenti), sia per dimostrare ricchezza.
In questi casi si verificava che numerosi cuochi professionisti lavorassero a contatto, quindi c’era
uno scambio di metodi e segreti riguardo la manipolazione delle vivande e ai procedimenti di
cottura, consentendo la diffusioni di "piatti" che si definiranno caratteristici della cucina italiana
medievale e rinascimentale.
Altre figure importanti nell’organizzazione della cucina erano il dispensiere al quale venivano
consegnati dal "factore generale" i prodotti provenienti dai possedimenti del signore, e dallo
spenditore tutto ciò che veniva acquistato nei vari mercati. Era poi il dispensiere a ridistribuire tali
prodotti secondo il fabbisogno. Rilevante presenza era quella dello speziale: l'esperto nella
confezione delle medicine, nella miscelatura delle spezie, nella preparazione dei "confecti", nella
manipolazione di costruzioni di zucchero, nella distillazione di acque sia per uso medicinale, sia di
quelle profumate e deliziose destinate ai banchetti. La sua attività si svolgeva nella "spetiaria", dove
potevano accedere solo lo speziale e il suo garzone. Era egli stesso che acquistava le materie prime,
per poi rivenderne i prodotti ad un prezzo superiore secondo il tipo di lavorazione usato, e non
aveva altro salario.
Le grandi tavole erano abitualmente ricoperte con larghe tovaglie sempre bianchissime, in occasioni
particolari le tovaglie erano ricamate su tessuti finissimi. Prima che i commensali fossero seduti
sulla mensa non vi era nulla, poi per prima cosa venivano posati dei candelabri, le saliere e quindi si
distribuivano i tovaglioli usati dai commensali per asciugarsi le mani dopo il servizio dell'acqua e
sostituiti tra una portata e l’altra. Nei banchetti ufficiali tra le varie portate venivano sostituite anche
le tovaglie.
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Venivano portati quindi i cucchiai. i coltelli e dal XIV secolo anche le forchette. La minestra,
generalmente condotta in tavola in una grande zuppiera, si serviva sempre in piatti singoli, mentre
per la pietanza, solo i commensali di grado superiore disponevano di un piatto personale. Tutti gli
altri sia per la carne sia per l'insalata usavano un piatto in due, il "piacteletto" o "pignatella", una
specie di ciotola che si teneva sulle ginocchia. I grandi piatti di portata erano sistemati al centro
della tavola, per consentire ad ognuno di attingervi la pietanza con le mani. Per condurre in tavola le
carni si posavano direttamente su grandi taglieri per essere tagliate dallo scalco o dal trinciante al
cospetto dei commensali.
Il vino era servito in vetro cristallino, tuttavia specie nell'uso comune, si utilizzavano anche boccali
di maiolica L'acqua era abitualmente tenuta in boccali di ceramica che la mantenevano fresca o in
caraffe di vetro o d’argento. Quando i banchetti contavano un numero elevato di ospiti, per
facilitare il servizio, vino e acqua erano tenuti in abbondante quantità in prossimità della sala
principale, contenuti in grandi anfore per essere sollecitamente travasati al bisogno e far si che mai
sulla mensa potesse esserci carenza di bevande e soprattutto di vino.
I cibi più comunemente usati sulla mensa malatestiana erano quelli prodotti nei territori circostanti e
quindi facilmente disponibili. Per il consumo della corte, i prodotti della campagna giungevano
quotidianamente abbondanti in città. Rimini, quale centro portuale, era un importante nodo di
traffici commerciali con scambio di prodotti alimentari e artigianali con merci di vario tipo
compresi quei generi "esotici" tra cui le spezie usate largamente nella cucina medievale e
rinascimentale.
Tra gli alimenti maggiormente consumati vi erano i cereali: frumento, segale, orzo, miglio, spelta
(farro), meligia, panico, avena, riso e altri, utilizzati per fare il pane, le paste e le zuppe. Il pane
migliore era quello di frumento, talvolta "tagliato" con altri cereali a causa della scarsità. Il pane era
spesso aromatizzato con sesamo, finocchio, olio, semi di papavero, anice, rosmarino, artemisia; sia
per una ricerca di sapori e profumi, sia per la convinzione di proprietà quasi magiche e terapeutiche
a loro attribuite.
Per fare altre paste, come lasagne, tagliatelle e maltagliati, si usava preferibilmente farina di
frumento e si consumavano in brodo per maggior digeribilità. Il brodo, molto usato nella cucina
medievale, era realizzato con carne (polli, capponi, fagiani, starne, piccioni), o con pesce di vario
tipo, con l'immancabile aggiunta di erbe e spezie.
Prevalentemente si consumava carne: polli, pollastre, galline, capponi, anatre, oche, piccioni,
conigli, capretti, agnelli, carne di maiale, di manzo, di vitello, provenienti dalle fattorie, insieme ad
una grande quantità di cacciagione e selvaggina. La carne arrostita semplicemente, non richiedeva
preparazioni particolari, a parte la lardellatura e il condimento con spezie. La cacciagione, dopo una
frollatura di alcuni giorni, prima di essere posta allo spiedo, veniva bollita per eliminare, almeno in
parte, odori troppo forti e per rendere le carni più tenere. A cottura ultimata, la carne destinata al
pranzo e alla cena di tutti i giorni era posta sul tagliere pronta per essere condotta in tavola senza
troppe elaborazioni, ma quando era destinata a un banchetto importante la sistemazione era delicata
e laboriosa. Il cerimoniale di corte esigeva, per esempio, trofei di uccelli rivestiti delle loro piume,
accompagnati da profumate fumigazioni per completare l’effetto scenografico. In un caso e
nell’altro la carne arrosto era sempre accompagnata da salse speziate, a base appunto di spezie,
erbe, agresto, aceto, fegatelli e altro, legate con tuorli d'uovo lessati o mollica di pane.
Quest’abbondante uso di carne veniva sospeso in tempo di Quaresima e nei numerosi giorni di
vigilia che si susseguivano nel corso dell'anno, si mangiava di magro, il venerdì, il sabato e qualche
volta il mercoledì. Al posto della carne, comparivano sulla mensa, oltre alla minestra, uova,
"cascio" (formaggio), legumi (ceci, lenticchie, fave, lupini), una gran varietà di verdure e
naturalmente il pesce. Di uova si faceva abbondante uso anche in altri periodi; cucinate in vari modi
e utilizzate nella realizzazione di numerosi composti: uova ripiene, uova cotte sotto la cenere, uova
sfrittellate e soprattutto frittate con ogni tipo di verdure ed erbe selvatiche. Non esisteva invece una
grande varietà di formaggi, freschi o stagionati, essi provenivano per lo più dalle fattorie circostanti
ed erano fatti con latte di pecora. Innumerevoli erano le verdure, le erbe coltivate e selvatiche,
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mangiate cotte o crude in insalata, ed erano parte integrante del sistema alimentare. Si usavano
come antipasto, accompagnate ad altri alimenti, mischiate in impasti, amalgamate in salse e in
preparazioni composite. Si trattava delle varietà che tuttora compaiono sulle nostre tavole: lattuga,
scarola, cicoria, rucola, acetosa, acetosella, bietole, spinaci, borraggine, pimpinella, ortica,
prezzemolo, maggiorana, basilico, dragoncello, alle quali si aggiungevano germogli o foglie di altre
specie vegetali come le vitalbe e gli strigoli le rape, le cipolle, l'aglio, lo scalogno e altri bulbi.
Anche la frutta era ampiamente consumata, e non soltanto come completamento del pasto, ma
anche all'inizio, come antipasto. Alcuni frutti, per esempio, erano usati solo prima del pranzo
(ciliege e fichi), alcuni solo la sera prima di cena (meloni e uva), altri erano invece usati dopo i pasti
(pere, mele, mandorle, nocelle e pesche), sempre però preceduti da formaggio.
Il pesce era l'altro fondamentale alimento della mensa malatestiana: disponibile nelle varietà ittiche
dell'Adriatico, si mangiavano branzini, dentici, orate, rombi, pagelli, sogliole, merluzzi, triglie,
seppie, frutti di mare, gamberi, ma soprattutto erano ricercate le anguille, fatte pervenire dalle valli
di Comacchio, e gli storioni, catturati nelle acque del Po e in genere nelle zone del ferrarese.
Le spezie erano abbondantemente usate in molte preparazioni gastronomiche, si trattava di: pepe,
cannella, noce moscata, chiodi di garofano, coriandolo, zafferano, semi di senape, zenzero, più o
meno presenti in ogni tipo di vivanda, sia salata, sia agrodolce, sia dolce, che conferivano
caratteristici aromi e sapori ad una cucina che amava gusti e profumi intensi.
Per cucinare, per friggere e in genere per condire, venivano adoperati lo strutto, il lardo e l'olio
d'oliva di produzione locale; più raramente era utilizzato il burro. Altro tipico condimento era
l'agresta o agresto, liquido dal sapore agro, ottenuto da una spremitura di uva acerba, si usava nella
preparazione di salse e pietanze, a volte accompagnato a miele, a zucchero o sapa, secondo un uso
di sapori agrodolci apprezzati a quel tempo un po' ovunque. La sapa era mosto cotto ridotto alla
metà o alla terza parte veniva usata come condimento oppure, con l'aggiunta di semi di senape,
serviva a fare la mostarda.
I dolci più semplici erano a base di mandorle, pinoli, nocciole, noci e uva passa, frutti con i quali si
preparavano marzapani, pinochiati, tortelli, offelle e cassoncini dolci; si facevano inoltre cotognate
e marmellate con mele e frutta di altro tipo. Come dolcificante si usava molto miele e già dalla fine
del XIII secolo anche molto zucchero; zucchero di canna proveniente dal Medio Oriente e in
seguito coltivata anche in Sicilia. Lo zucchero presente un po' dappertutto nelle varie pietanze, si
offriva come materia duttile nella pasticceria; con esso si formavano sorprendenti costruzioni: frutti,
figure, elementi simbolici, soggetti mitologici e allegorici legati in qualche maniera a personaggi
illustri presenti ai banchetti, monumenti, castelli e composizioni plastiche, accompagnati da
fumigazioni profumate, venivano studiati per suscitare la meraviglia e l'ammirazione dei convitati.
Il vino bevuto comunemente era per lo più vino nostrano, prodotto con l'uva delle vigne che
numerose costellavano le zone pianeggianti e collinari della Romagna e delle Marche e il litorale
Adriatico quasi fino al promontorio di Ancona. Tra le varietà conosciute vi erano:
L'Albana, anticamente chiamato Greco di Ancona o semplicemente Greco era il vino romagnolo più
rinomato e bevuto.
Il Trebbiano prodotto sia in Romagna che nelle Marche.
Il Moscatello, vino amabile.
Il Malvasia dolce, un po' liquoroso.
La Cagnina vino rosso.
E’ probabile che fosse diffuso un tipo di vino rosso, oggi detto Rosso CONERO.
Non si esclude la presenza di altre qualità di vini provenienti dalle località di produzione più
rinomate d’Italia, basti citare il vino GRECO molto in voga in epoca medievale e rinascimentale.
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Le ricette
Miglio con brodo de carne
Coci il miglio con brodo di carne, et fallo bene bollire adagio menando bene, et riguardandolo dal
fume, et vole essere giallo di zafrano. Et in prima vole essere ben netto et lavato con acqua calda
come il riso.
Per haver ogni carne bella allesso
Chi vole haver bella carne allesso la deve dividere in pezi come gli piace, et porla a mollo in aqua
fresca per spatio de una hora, poi lavarla bene con aqua calda, et poi iterum con aqua fresca, et
ponerla al foco in un caldaro dove non stia a stretto aziò che rimanghi più bianca. Poi gli devi
ponere e! sale secondo che è necessario, et schiumarla bene sopratutto; et se il sale non fosse netto,
ponilo in una pocha d'acqua calda, che in breve spatio serrà dileguato, et converso in salimora, la
quale come sia rasectata se potrà poner nel caldaro pianamente, aziò che non ve andassi la terra, che
serrà sul fondo; et se la carne fusse vecchia ci dura, specialmente cappone et gallina, cavala
parechie volte da l'aqua bollente, et rintredala ne l'aqua fresca, et in questo modo serrà più bella e,
più presto cotta.
Salsa verde
Piglia petrosillo et sarpillo, et un pocha de bieda, con qualche altra bona herbicina, con un pocho di
pepe, et zenzevero, et sale. Et pista inseme molto bene ogni cosa distemperando con bono aceto
forte, et passarailo per la stamegnia. Et se voi che senta dell’aglio vi poterai mettere a pistare
inseme con le sopra ditte cose un pocho di fronde de aglietti. Et questo secundo il gusto a chi piace.
A fare dieci piatti di Maccaroni romaneschi
Piglia libbre cinque di farina bianca e la mollena d’un pane boffetto, mogliato in acqua rosata, e
uova tre, e once tre di zuccaro. E fa una pasta, e dapoi falla in spoglie più tosto grosse che minute e
involgile intorno ad un bastone. E poi cava fuori detto bastone e taglia la pasta larga un dito, e seran
come budelli; i quali nei dì da carne porrai a cuocere in buono brodo grasso, che boglia quando li
getterai a cuocere. E poi li imbandirai, ponendogli buono formaggio duro grattato e zuccaro e
cannella, di sotto e di sopra e per mezzo. E i giorni che non sono da carne, li potrai cuocere
nell’acqua che boglia con butiro, o veramente nel latte, non lasciando mai il conveniente sale.
Per far Soffritto di carne
Taglia la carne in pezzi piccholi, et poneli in una pignatta a frigere con bono lardo voltando spesse
volte col cocchiaro. Et quando la carne è quasi cotta getta fore la maiore parte del grasso de la
pignatta. Et dapoi togli de bono agresto, doi rosci d'ova, un pocho de bono brodo et de bone spetie,
et meschola queste cose inseme con tanto zafrano che siano gialle er ponile in la dici a pignatta
inseme co la carne et lasciai bollire anchora un pocho tanto che tutte queste cose ti parano cotte.
Dapoi togli un pocho de petrosillo battuto menuto et ponilo insieme col ditto soffritto in un piattello
er mandalo ad tavola. Et questo tale soffritto vole essere dolce o agro secundo il gusto comuno o del
patrone.
Funghi fritti
Netta li fonghi molto bene, et falli bollire in acqua con doi o tre capi d’aglio, et con mollicha di
pane. Et questo si fa perché da natura sono venenosi. Dapoi cavagli fora et lassa ben colare quella
acqua in modo che restino sciutti, et dapoi frigili in bono olio, o in lardo. Et quando son cotti
mettevi sopra de le spetie.
Ova piene
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Fa’ bollire l’ova fresche in l’acqua sane, che siano ben dure, et cotte monderale politamente et
tagliate per mità cavarane fora tutti i soi rosci, guardando di non rompere il biancho, et di quelli
rosci ne pistarai una parte con un poca d’uva passa, un poco di bon caso vecchio et uno del frescho;
item di petrosillo, maiorana et menta tagliate menute, agiognendovi uno o doi bianchi d’ova, o più,
secundo la quantità che voli fare, con le specie dolci o forti, como ti piace. Et questa tale
compositione, mescolato ogni cosa inseme, farai gialla con il zafrano, et impierane quelli bianchi
d’ova sopra ditte, frigendole in olio molto ad ascio; et per farli di sopra il suo sapore conveniente,
prendirai alchuni di quelli rosci d’ova che sonno rimasti con una pocha d’uva passa. Et pistati
insieme molto bene, li destemperarai con un poco de agresto et un poco di sapa, cioè vin cotto; gli
passarai per la stamegna giognendovi un poco di zenzevero, un poco di garofoli, et di canella assai,
facendo bollire un pochetto questo tal sapore. Et quando le ditte ova voli mandare ad tavola buttagli
di sopra questo sapore.
Cefalo con salsa bianca
Questo pesce deve cocere allesso, et il sapore è bianco: piglia dell’amandole secondo la quantità che
tu voi, che siano ben mondate, et ben piste. Et perchè non facciano olio como ho ditto più volte,
pistando vi mecti un pocha d’acqua fresca. Et pigliarai un pocha de mollicha di pane biancho stata
prima a moglio nell’agresto, et pistarala con le ditte amandole, agiungendovi del zenzevero biancho,
cioè mondato a sufficientia. Et questa tal compositione distemperarala et passarala con bono
agresto, overo con sucho di pomeranci o di limoni, facendolo dolce con il zuccharo et bruscho con
agresto, et pomeranci più et mancho secundo il gusto del tuo Signore o altri. Et tal sapore si vol dare
con ogni allesso a tempo di carne, o di Quadragesima.
Per cocer ogni pesce: Salmone
Il salmone è gentilissimo pesce et il suo naturale è d’allessarlo, et ancora serebe bono ad ogni altro
modo che lo cocissi.
Cavoli alla romana
Rompi li cavoli con le mani secundo l’usanza, et mittigli in l’acqua quando bolle. Et quando
seranno circha mezo cotti butta via tutta quella acqua et habi di bon lardo battuto in bona et
competente quantità, et mettilo ne li ditti cavoli così sciutti, voltandoli ben col cocchiaro. Poi
pigliarai di bono brodo grasso, et in quello li metterai al focho a bollire per piccholo spatio di
tempo.
Ricotta dolce con anici e zuccharo
Piglia della ricotta freschissima e mescola bene con dello zuccharo e dei semi d’anice, poi servila in
forma di rosetta spolverandola di zuccharo.
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