Rapporto annuale 2012 - amnesty :: Rapporto annuale

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Medio Oriente e Africa del Nord
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DUEMILA
Iraq
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MEDIO ORIENTE E AFRICA DEL NORD
A dicembre, la prigioniera politica curda Zeynab Jalalian ha appreso che la sua condanna a morte era
stata commutata.
MISSIONI E RAPPORTI DI AMNESTY INTERNATIONAL
Amnesty International ha discusso con funzionari diplomatici iraniani riguardo al diniego
d’accesso in Iran imposto nei confronti dell’organizzazione, ma ha continuato a non essere autorizzata a entrare nel paese. In rari casi le autorità hanno risposto a comunicazioni provenienti da Amnesty International.
Determined to live in dignity – Iranian trade unionists’ struggle for rights (MDE
13/024/2011)
Iran: Submission to the Human Rights Committee (MDE 13/081/2011)
Addicted to death: Executions for drugs offences in Iran (MDE 13/090/2011)
IRAQ
REPUBBLICA DELL’IRAQ
Capo di stato: Jalal Talabani
Capo del governo: Nuri al-Maliki
Pena di morte: mantenitore
Popolazione: 32,7 milioni
Aspettativa di vita: 69 anni
Mortalità infantile sotto i 5 anni (m/f): 43,5‰
Alfabetizzazione adulti: 78,1%
Le forze di sicurezza governative sono ricorse a un uso eccessivo della forza contro
manifestanti pacifici e altre persone che protestavano, uccidendo alcuni di loro con
colpi d’arma da fuoco. Altri sono stati arrestati e torturati. Migliaia di persone sono
state detenute; molte erano state arrestate in anni precedenti e trattenute senza accusa né processo. Tortura e altri maltrattamenti sono rimasti dilaganti. Centinaia di
persone sono state condannate a morte, molte al termine di processi iniqui, e ci sono
state decine di esecuzioni. Anche le forze statunitensi hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani. Gruppi armati contrari al governo e alla presenza delle truppe
statunitensi hanno continuato a commettere gravi abusi dei diritti umani; hanno compiuto numerosi attacchi suicidi e altri attentati dinamitardi, uccidendo centinaia di
civili.
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RAPPORTO 2012
CONTESTO
Ispirati dalle rivolte popolari in Tunisia ed Egitto, migliaia di iracheni hanno manifestato
a Baghdad, Bassora e in altre città contro la corruzione, la disoccupazione e la mancanza
di servizi essenziali e a favore di maggiori diritti civili e politici. Le manifestazioni più
estese, svoltesi in Iraq il 25 febbraio, sono state disperse con la forza dalle forze di sicurezza.
Il 18 dicembre, gli ultimi soldati statunitensi hanno lasciato l’Iraq, secondo quanto stabilito dall’accordo sullo status dei contingenti firmato dalle autorità statunitensi e irachene nel 2008. Un patto che era stato proposto, in base al quale diverse migliaia di
truppe statunitensi sarebbero rimaste in Iraq come istruttori militari, è saltato per questioni legali collegate all’immunità.
A luglio, l’Iraq è divenuto stato parte alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura.
ABUSI DA PARTE DI GRUPPI ARMATI
Gruppi armati contrari al governo e alla presenza delle truppe statunitensi hanno continuato a commettere gravi abusi dei diritti umani, comprese uccisioni indiscriminate di
civili e rapimenti. Molti di questi attacchi sono stati compiuti da al-Qaeda in Iraq e dai
suoi alleati.
Il 10 febbraio, nove persone sono state uccise e almeno altre 27 sono rimaste ferite nell’esplosione di
un’autobomba vicino a una processione di pellegrini sciiti, che si dirigeva verso i santuari sciiti della città
di Samarra’, nel governatorato di Salahuddin.
Il 15 agosto, almeno 89 persone sono state uccise in tutto il paese in più di 40 attacchi coordinati. L’attacco
più sanguinoso è avvenuto in un mercato affollato di Kut, a sud-est di Baghdad, dove in due esplosioni
sono state uccise almeno 35 persone e più di 60 sono rimaste ferite.
Il 29 agosto, almeno 29 persone sono state uccise e molte altre sono rimaste ferite, in un attacco suicida
nella moschea di Um al-Qura, la principale moschea sunnita di Baghdad. Tra i morti c’era il parlamentare
Khalid al-Fahdawi.
DETENZIONE SENZA PROCESSO
Migliaia di persone sono rimaste detenute senza accusa né processo. A luglio, il presidente del Consiglio giudiziario supremo (Supreme Judicial Council – Sjc) ha affermato
che c’erano circa 12.000 detenuti non ancora processati, calcolando solo quelli trattenuti
in strutture controllate dal ministero della Giustizia. Si ritiene che molti altri si trovassero
in carceri gestite dai ministeri della Difesa e dell’Interno. Molti detenuti non hanno avuto
accesso agli avvocati o alla loro famiglia.
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MEDIO ORIENTE E AFRICA DEL NORD
A luglio, le autorità statunitensi hanno trasferito due fratellastri dell’ex presidente Saddam Hussein e il suo ex ministro della Difesa, tutti in attesa di esecuzione, sotto la custodia delle autorità irachene, assieme a quasi 200 detenuti, accusati di essere membri
di gruppi armati. Erano gli ultimi prigionieri e detenuti sotto controllo militare statunitense in Iraq. Sono tutti rimasti nel carcere di al-Karkh (ex Camp Cropper), vicino all’aeroporto internazionale di Baghdad.
TORTURA E ALTRI MALTRATTAMENTI
Tortura e altri maltrattamenti sono rimasti diffusi nelle carceri e nei centri di detenzione,
in particolare quelli controllati dai ministeri dell’Interno e della Difesa. Tra i metodi comunemente usati c’era la sospensione per gli arti per periodi prolungati, percosse con
cavi e tubi di gomma, scosse elettriche, frattura delle costole, semiasfissia con sacchetti
di plastica e stupro o minaccia di stupro. La tortura veniva impiegata per estorcere ai
detenuti informazioni e “confessioni”, che potevano essere poi utilizzate come prove a
loro carico nelle aule dei tribunali.
Abdel Jabbar Shaloub Hammadi, che aveva contribuito a organizzare proteste antigovernative, è stato arrestato il 24 febbraio in una strada di Baghdad da 30 poliziotti armati. È stato percosso, bendato e portato
in un edificio della polizia, nel distretto al-Baladiyat di Baghdad. Durante i primi cinque giorni lì, ha dichiarato che era stato tenuto sospeso per i polsi con le gambe e le braccia legate insieme e che era stato
colpito con getti d’acqua gelata. È stato rilasciato senza accusa l’8 marzo.
USO ECCESSIVO DELLA FORZA
Le forze di sicurezza sono ricorse a un uso eccessivo della forza, in risposta alle proteste
antigovernative a Baghdad e in altre città, in particolare a febbraio e marzo, utilizzando
munizioni, granate stordenti e altre armi per disperdere manifestanti non violenti. Almeno
20 persone sono rimaste uccise nelle proteste iniziate a febbraio.
Il 25 febbraio, Mu’ataz Muwafaq Waissi era tra le cinque persone morte sotto i colpi sparati dalle forze di
sicurezza durante una manifestazione pacifica a Mosul. Si ritiene che sia stato ucciso da un cecchino. Secondo i testimoni, le forze di sicurezza hanno impiegato granate stordenti e hanno inizialmente sparato in
aria, ma poi hanno sparato munizioni sui manifestanti.
Sempre il 25 febbraio, durante le proteste a Bassora, Salim Farooq è stato ucciso e decine di altri manifestanti sono stati feriti nel corso di scontri con le forze di sicurezza, davanti all’edificio che ospita il consiglio provinciale.
PENA DI MORTE
Sono state condannate a morte centinaia di persone; a luglio, il presidente dell’Sjc ha
affermato che nella prima metà dell’anno i tribunali avevano comminato 291 condanne
a morte. A settembre, un portavoce dell’Sjc ha rivelato che, tra gennaio 2009 e settembre
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2011, erano state 735 le sentenze di morte rinviate alla presidenza irachena per la ratifica finale, 81 delle quali erano state poi confermate. Secondo il ministero della Giustizia, durante l’anno erano stati messi a morte 65 uomini e tre donne.
La maggior parte delle condanne alla pena capitale riguardava persone ritenute colpevoli
di appartenenza o coinvolgimento in attacchi di gruppi armati, di rapimento o di altri
crimini violenti. I processi non hanno affatto rispettato gli standard internazionali di
equità processuale. Gli imputati hanno solitamente dichiarato che le “confessioni” ammesse agli atti come prove a loro carico erano state ottenute sotto tortura, mentre erano
detenuti in incommunicado e durante gli interrogatori, e di non aver potuto scegliere i
loro avvocati difensori. In molti casi, queste “confessioni” sono state trasmesse alla televisione, in alcune occasioni prima dei processi, compromettendo il diritto a essere considerati innocenti fino a prova contraria. Raramente il governo ha rivelato informazioni
riguardanti le esecuzioni, specialmente i nomi di coloro che erano stati messi a morte e
il numero preciso.
Il 16 giugno, il tribunale penale centrale iracheno ha condannato a morte 15 uomini, dopo che pochi giorni
prima erano state trasmesse alla televisione le “confessioni” di molti di loro. Secondo le notizie ricevute,
i 15, ritenuti membri di gruppi armati, erano stati giudicati colpevoli dell’omicidio di decine di persone a
una festa di matrimonio e dello stupro di donne e ragazze, compresa la sposa, in un villaggio vicino ad alTaji, a nord di Baghdad, nel giugno 2006. Il 24 novembre, il ministero della Giustizia ha annunciato che
12 persone coinvolte nel caso erano state messe a morte quello stesso giorno. A fine anno, degli altri tre
condannati non si avevano notizie.
Fonti hanno riferito che il 16 novembre, 10 uomini, tra cui un tunisino e un cittadino egiziano, i quali erano
stati ritenuti colpevoli di “terrorismo” e di omicidio, sono stati messi a morte nel carcere di al-Kadhimiya,
a Baghdad.
PROCESSI DI EX ESPONENTI DEL PARTITO BA’ATH E DI UFFICIALI DELL’ESERCITO
La Corte suprema penale irachena (Supreme Iraqi Criminal Tribunal – Sict) ha continuato
a processare alti esponenti del partito Ba’ath e ufficiali dell’esercito legati al governo di
Saddam Hussein, accusati di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e altri reati. La
Sict, la cui indipendenza e imparzialità sono state compromesse da interferenze politiche, ha comminato diverse condanne a morte. A settembre, il presidente della Sict ha
riferito in parlamento che la corte non era più operativa, in quanto aveva affrontato tutti
i casi penali che aveva in programma di esaminare.
Il 21 aprile, Hadi Hassuni, ‘Abd Hassan al-Majid e Farouq Hijazi, tutti ex alti funzionari dell’intelligence,
sono stati condannati a morte per l’omicidio di Taleb al-Suhail, un leader dell’opposizione, avvenuto nel
1994 in Libano. La camera d’appello della corte ha confermato le sentenze ma a fine anno queste erano
ancora in attesa di essere ratificate dalla presidenza.
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Il 6 giugno, ‘Aziz Saleh al-Numan, un ex funzionario del partito Ba’ath, è stato condannato a morte, dopo
essere stato ritenuto colpevole di crimini contro l’umanità, in relazione alla repressione nel 1991 della sollevazione sciita nell’Iraq meridionale.
ATTACCHI A OPERATORI DEI MEZZI D’INFORMAZIONE
Una nuova legislazione approvata ad agosto, apparentemente finalizzata a tutelare i diritti
dei giornalisti, è stata criticata come inadeguata da organizzazioni dei mezzi d’informazione e dai giornalisti, i quali hanno continuato a essere vittime di minacce e attacchi di
matrice politica da parte delle forze di sicurezza, in quella che è sembrata essere una
repressione studiata nei confronti dei mezzi d’informazione. Coloro che lavoravano per
conto di organi di stampa indipendenti o d’opposizione sono stati particolarmente presi
di mira. Diversi giornalisti sono stati arrestati e torturati.
Il noto giornalista radiofonico Hadi al-Mahdi è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco nel suo appartamento
di Baghdad l’8 settembre, poco prima di prendere parte a una manifestazione di protesta. I suoi amici
hanno affermato che aveva ricevuto minacce nelle settimane precedenti al suo omicidio. Ancora prima,
lui e altri tre giornalisti erano stati detenuti dai militari, dopo che avevano partecipato alla protesta del
25 febbraio; erano stati trattenuti nottetempo e interrogati mentre venivano torturati, anche con percosse,
scosse elettriche e minacce di stupro.
VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI DA PARTE DELLE FORZE STATUNITENSI
Le forze statunitensi sono state coinvolte in alcuni episodi in cui civili sono stati uccisi
in circostanze sospette.
Il 7 marzo, un contingente congiunto statunitense-iracheno è arrivato in elicottero nel villaggio di Allazika,
nella provincia di Kirkuk, e ha fatto irruzione nell’abitazione del fisico Ayad Ibrahim Mohammad ‘Azzawi
al-Jibbouri. Le truppe hanno portato via sia lui sia suo fratello Khalil, un insegnante. L’8 marzo, i familiari
di Ayad al-Jibbouri sono stati contattati dall’obitorio di Tikrit ed è stato detto loro di presentarsi per ritirare
il suo cadavere, trasportato lì dalle forze statunitensi il giorno prima. Khalil al-Jibbouri è stato condotto
dalle truppe statunitensi nel loro campo militare a Tikrit. A fine anno ancora non si sapeva se era stato
consegnato alla custodia irachena o rilasciato.
Il 30 luglio, lo sceicco Hamid Hassan, un leader tribale, e due suoi familiari sono stati uccisi nel villaggio
di Rufayat, a nord di Baghdad, dopo che la loro casa era stata attaccata durante un’operazione congiunta
di sicurezza statunitense-irachena. Secondo le notizie ricevute, almeno altri sei suoi parenti, di cui quattro
donne, sono rimasti feriti.
CAMP ASHRAF
Le forze di sicurezza irachene hanno continuato a controllare e a impiegare metodi violenti contro i residenti di Camp Ashraf, circa 60 km a nord di Baghdad. Rinominato
Camp new Iraq, ospitava ancora circa 3250 esuli iraniani, membri e sostenitori dell’OrRapporto annuale 2012 - Amnesty International
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ganizzazione mojahedin del popolo iraniano, che si oppone al governo iraniano. L’8 aprile,
truppe irachene hanno preso d’assalto il campo con un uso eccessivo della forza, comprese munizioni, contro i residenti che cercavano di opporre resistenza. Circa 36 abitanti
del campo, di cui 28 uomini e otto donne, sono stati uccisi e più di 300 sono rimasti feriti. Successivamente, ai feriti e ad altre persone che erano gravemente malate è stato
impedito di lasciare il campo, o sono stati ostacolati nel farlo, per ricevere cure mediche
specialistiche.
Alti funzionari del governo iracheno hanno insistito che il campo sarebbe stato chiuso
entro la fine dell’anno, spingendo l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, a
invocare una proroga per consentirle di intervistare i residenti che cercavano di registrarsi
come rifugiati. A fine anno, il governo iracheno ha acconsentito a posticipare la scadenza
ad aprile 2012, a patto che i residenti fossero trasferiti a Camp Liberty, vicino all’aeroporto internazionale di Baghdad.
REGIONE DEL KURDISTAN IRACHENO
La popolazione ha tenuto manifestazioni anche nella regione del Kurdistan iracheno,
specialmente nella città di Sulaimaniya, per protestare contro la corruzione e chiedere
riforme politiche.
Sono state emanate diverse nuove legislazioni. Una nuova legge sulle Ngo semplifica
le procedure di registrazione legale, consente alle Ngo di ricevere fondi sia da fonti locali che estere, riconosce che le Ngo hanno un ruolo di monitoraggio sulle istituzioni
governative e sull’accesso all’informazione e le autorizza ad aprire filiali e a lavorare
in rete. Una nuova legge per combattere la violenza contro le donne vieta una vasta
gamma di atti di violenza all’interno della famiglia, impone la protezione dell’identità
delle vittime e istituisce un tribunale specializzato per processare casi di violenza sulle
donne.
USO ECCESSIVO DELLA FORZA
Le forze di sicurezza hanno fatto ricorso eccessivo alla forza, sparando anche munizioni,
per reprimere le proteste a Sulaimaniya e Kalar, provocando almeno sei morti.
Rezhwan ‘Ali, un ragazzo di 15 anni, è stato colpito da spari alla testa ed è morto sul colpo, il 17 febbraio,
quando migliaia di persone hanno manifestato in piazza Sara, a Sulaimaniya. Almeno 50 persone sono rimaste ferite.
Il 19 febbraio, Surkew Zahid, di 16 anni, e Sherzad Taha, di 28, sono rimasti gravemente feriti quando le
forze di sicurezza hanno aperto il fuoco su una protesta di massa a Sulaimaniya. Entrambi sono deceduti
in ospedale il giorno successivo. Almeno altre 14 persone sono rimaste ferite.
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TORTURA E ALTRI MALTRATTAMENTI
Alcuni attivisti filodemocratici, tra cui membri di partiti politici d’opposizione, sono stati
detenuti e torturati o altrimenti maltrattati.
Sharwan Azad Faqi ‘Abdullah, arrestato a Erbil durante le proteste del 25 febbraio, è stato detenuto per
quattro giorni e torturato. È stato ripetutamente preso a pugni per costringerlo a firmare una “confessione”.
Quando delegati di Amnesty International l’hanno incontrato a Erbil l’11 marzo, mostrava ancora segni
visibili di ferite apparentemente causate dalla tortura.
Agli inizi di dicembre, decine di membri dell’Unione islamica del Kurdistan, un partito islamista autorizzato,
sono stati arrestati a Dohuk e Zakho dalle forze di sicurezza curde. Molti sono stati rilasciati nell’arco di
qualche giorno, ma almeno 14 sono rimasti trattenuti per diverse settimane. Secondo le notizie ricevute,
alcuni sono stati torturati. Gli arresti sono avvenuti immediatamente dopo che manifestanti islamisti avevano attaccato negozi che vendevano alcolici e altre attività commerciali.
ATTACCHI A OPERATORI DEI MEZZI D’INFORMAZIONE
Diversi giornalisti, in particolare coloro che lavoravano per conto di organi di stampa indipendenti, sono stati vittime di minacce, vessazioni o aggressioni, a quanto pare da
parte di funzionari della sicurezza.
Il 29 agosto, Asos Hardi, direttore del quotidiano indipendente Awene, è stato percosso da un aggressore
armato, mentre usciva dal suo ufficio di Sulaimaniya.
Il 7 settembre, Ahmed Mira, direttore del periodico indipendente Levin, è stato trattenuto da membri di un
corpo speciale a Sulaimaniya per tre ore, periodo durante il quale è stato preso a calci e colpito con il
calcio di un fucile. È stato liberato per ordine di un giudice.
MISSIONI E RAPPORTI DI AMNESTY INTERNATIONAL
Delegati di Amnesty International hanno visitato la regione del Kurdistan iracheno a
marzo per condurre ricerche e per incontrare le autorità di governo.
Days of rage: Protests and repression in Iraq (MDE 14/013/2011)
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