Mérimée – Lokis
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Mérimée – Lokis
associazione culturale Larici – http://www.larici.it Prosper Mérimée LOKIS Il manoscritto del professor Wittembach Ubicazione della Samogizia (Lituania) 18691 1 P. Mérimée, Lokis. Le manuscrit du professeur Wittembach, in “Revue des Deux Mondes”, 1869. Traduzione dal francese e note contrassegnate da (N.d.T.): © associazione culturale Larici, 2008. 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it I «Teodoro», disse il signor professor Wittembach, «volete darmi quel quaderno legato in pergamena, sul secondo scaffale, sopra lo scrittoio; non quello, il piccolo in ottavo. È lì che ho riunito tutte le note del mio diario del 1866 o, per lo meno, quelle che si riferiscono al conte Szemioth». Il professore mise gli occhiali, e, nel più profondo silenzio, lesse ciò che segue: LOKIS con questo proverbio lituano per epigrafe: Miszka su Lokiu, Abu du tokiu2. Quando uscì a Londra la prima traduzione in lingua lituana delle Sacre Scritture, pubblicai, sulla Gazzetta scientifica e letteraria di Königsberg3, un articolo nel quale, pur rendendo piena giustizia agli sforzi del dotto interprete e alle pie intenzioni della Società Biblica, mi sentii in dovere di segnalare alcuni lievi errori e, inoltre, feci notare che quella versione non sarebbe stata utile che a una parte soltanto delle popolazioni lituane. Infatti, il dialetto usato è difficilmente intelligibile dagli abitanti dei distretti in cui si parla la lingua žemaičiai, volgarmente detta žmud’, ossia nel Palatinato di Samogizia4, lingua che si avvicina al sanscrito forse ancor più dell’alto lituano. Questa osservazione, nonostante le critiche furibonde che mi attirai da parte di un notissimo professore dell’Università di Dorpat 5, interessò gli onorevoli membri del consiglio di amministrazione della Società Biblica, che non esitarono a propormi il lusinghiero incarico di dirigere e sorvegliare la redazione del Vangelo secondo san Matteo in samogizio. Allora ero troppo occupato nei miei studi sulle lingue transuraliche per intraprendere un lavoro più ampio che comprendesse i quattro Vangeli. Rinviai dunque il mio matrimonio con la signorina Gertrude Weber, mi recai a Kowno6 con l’intenzione di raccogliere tutti i monumenti linguistici stampati o manoscritti in lingua samogizia che potessi procurarmi, senza escludere, naturalmente, le poesie popolari, dainos, e i resoconti o le leggende, pasakos, che mi 2 «Due fanno un paio»; letteralmente, Michon (Michail) con Lokis, sono i medesimi. Michaelium cum Lokide, ambo [duo] ipsissimi. (Nota dell’Autore) 3 Pubblicazione inesistente. (N.d.T.) 4 Le parole sono in lituano. La Samogizia è la Žemaitija, che significa “Terra bassa” e, all’epoca del racconto, costituiva un ducato più ampio dell’attuale regione. Vi si parla la lingua žemaičiai o samogizia (o samogiziana), profondamente diversa dal lituano. Žmud’ significa “piccolo samogizio” ed è un termine oggi prevalentemente usato per indicare il pony lituano, impiegato come cavallo da guerra fin dal V secolo ma ora in via di estinzione. Nel testo a seguire Mérimée usa solo žmud’, tradotto con samogizio. (N.d.T.) 5 Dorpat è il nome tedesco della città, ora estone, di Tartu. (N.d.T.) 6 Kaunas è il nome lituano della città detta Kowno in polacco e in russo. È situata nella parte centrale del Paese alla confluenza dei fiumi Nemunas (o Niemen) e Neris. (N.d.T.) 2 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it avrebbero fornito la documentazione per un vocabolario samogizio, lavoro questo che doveva necessariamente precedere quello della traduzione. Mi era stata fornita una lettera per il giovane conte Michail Szemioth, di cui il padre, a quanto mi avevano assicurato, aveva posseduto il famoso Catechismus Samogiticus di padre Lawicki7, così raro che la sua stessa esistenza era stata contestata, in particolare dal professore di Dorpat, al quale ho appena accennato. Nella sua biblioteca si trovava, secondo le informazioni che mi erano stati date, una vecchia raccolta di dainos, come pure una di poesie nell’antica lingua prussiana. Avendo scritto al conte Szemioth per esporgli lo scopo della mia visita, ricevetti l’invito molto cortese di trascorrere nel suo castello di Medintil’tas tutto il tempo richiesto dalle mie ricerche. Egli terminava la lettera dicendomi, nel modo più gentile, che aveva la pretesa di parlare il samogizio quasi altrettanto bene dei suoi contadini e che sarebbe stato lieto di unire i suoi sforzi ai miei per un’impresa che definiva grande e interessante. Come alcuni dei più ricchi latifondisti della Lituania, egli professava la religione evangelica, di cui ho l’onore di essere ministro. Mi si era anticipato che il conte non era estraneo a una certa bizzarria di carattere, ma era molto ospitale, amico delle scienze e delle lettere, e particolarmente benevolo verso coloro che le coltivano. Partii dunque per Medintil’tas. Fui ricevuto sulla scalinata del castello dall’intendente del conte, che mi condusse immediatamente nell’appartamento preparato per ricevermi. – Il signor conte – mi disse – è desolato di non poter cenare stasera con il signor professore. È tormentato dall’emicrania, disturbo al quale è purtroppo un po’ soggetto. Se il signor professore non desidera essere servito in camera sua, cenerà con il signor dottor Fröber, medico della signora contessa. Si cena tra un’ora, senza cambio d’abito. Se il signor professore avesse ordini da dare, ecco il campanello». Si ritirò facendomi un profondo inchino. L’appartamento era spazioso, ben arredato, ornato di specchi e dorature. Da un lato guardava su un giardino o meglio sul parco del castello, dall’altro sulla gran corte d’onore. Nonostante l’avvertimento: «senza cambio d’abito», credetti mio dovere di tirar fuori dal baule l’abito nero. Ero in maniche di camicia, intento a svuotare il mio piccolo bagaglio, quando un rumore di carrozza mi attirò alla finestra che dava sulla corte: stava entrando un bel calesse. Trasportava una signora in nero, un signore e una donna vestita come le contadine lituane, ma così alta e forte, che all’inizio fui tentato di prenderla per un uomo travestito. Costei scese per prima; altre due donne, in apparenza non meno robuste della prima, erano già sulla scalinata. Il signore si chinò verso la signora in nero, e, con mia gran sorpresa, slacciò una larga cinghia di cuoio che la teneva legata al 7 Padre Andrej Lawicki era un gesuita polacco, che seguì il falso Demetrio a Mosca e poi ritornò in Polonia, ma non risulta abbia scritto un catechismo. Il nome, nella forma russa Lavickij, compare nel dramma Boris Godunov di Aleksandr Puškin, pubblicato nel 1831. Mérimée fu uno dei traduttori del poeta russo e vi fa riferimento anche più avanti. (N.d.T.) 3 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it calesse. Osservai che la signora aveva i lunghi capelli bianchi molto in disordine, e che i suoi occhi, completamente spalancati, sembravano senza vita: si sarebbe detto un viso di cera. Dopo averla slegata, il suo compagno le rivolse la parola, con il cappello in mano e con molto rispetto; ma lei non sembrò farvi la minima attenzione. Allora, egli si girò verso le domestiche e fece un breve cenno con la testa. Subito le tre donne afferrarono la signora in nero, e, nonostante i suoi sforzi per tenersi al calesse, la sollevarono come una piuma e la portarono all’interno del castello. Quella scena aveva per testimoni molti domestici della casa che sembravano non vedere altro che una cosa consueta. L’uomo che aveva diretto l’operazione estrasse il proprio orologio e chiese se si andava a cenare presto. – Tra un quarto d’ora, dottore – gli risposero. Non faticai a indovinare che vedevo il dottor Fröber e che la signora in nero era la contessa. Dall’età, conclusi che era la madre del conte Szemioth e le precauzioni prese al suo riguardo davano a intendere che la sua mente fosse alterata. Alcuni istanti dopo, il medico entrò nella mia camera. – Essendo il conte sofferente – mi disse – sono obbligato a presentarmi da solo al professore. Dottor Fröber, ai vostri servigi 8. Lieto di fare la conoscenza di uno scienziato il cui merito è conosciuto da tutti coloro che leggono la Gazzetta scientifica e letteraria di Königsberg. Avreste piacere che si servisse? Risposi alla meglio ai suoi complimenti e gli dissi che, se era tempo di mettersi a tavola, ero pronto. Appena entrammo in sala da pranzo, un maggiordomo ci presentò, secondo l’uso del Nord, un piatto d’argento colmo di liquori e di cibi salati e fortemente aromatizzati atti a stimolare l’appetito. – Mi permetto, professore, – mi disse il dottore, – di raccomandarvi, in qualità di medico, un bicchiere di questa starka, vera acquavite del Cognac, con quaranta anni nel fusto9. È la madre dei liquori. Prendete un’acciuga di Drontheim10, nulla è più adatto ad aprire e preparare l’esofago, organo dei più importanti... E ora, a tavola! Perché non parliamo tedesco? Voi siete di Königsberg, io di Memel, ma ho fatto i miei studi a Jena 11. Così saremo più liberi e i domestici, che sanno soltanto polacco e russo, non ci capiranno. All’inizio mangiammo in silenzio, poi, dopo avere bevuto il primo bicchiere di vino di Madera, chiesi al dottore se il conte fosse spesso 8 La presentazione del dottore, completa di titoli, segue l’usanza tedesca di presentarsi da soli agli sconosciuti. (N.d.T.) 9 La starka (“vecchia”, in polacco) è l’antica vodka, che poteva essere messa in infusione con qualunque cosa (foglie d’albero da frutto, brandy, Porto, vino di Malaga, frutta secca) e maturata in fusti di rovere. (N.d.T.) 10 Drontheim è il nome tedesco della città norvegese di Trondheim. (N.d.T.) 11 Königsberg e Memel sono i nomi tedeschi delle odierne città di Kaliningrad (russa) e Klajpeda (lituana), ambedue porti con sbocco nel Mar Baltico; Jena è in Germania. All’epoca dell’Autore le tre città erano nel regno di Prussia, in cui si parlava tedesco o polacco. (N.d.T.) 4 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it disturbato dall’indisposizione che quel giorno ci privava della sua presenza. – Sì e no, – rispose il medico, – dipende dalle uscite che fa. – Cioè? – Quando va per la strada di Rosienie12, per esempio, ritorna con l’emicrania e di umore nero. – Sono stato a Rosienie ma senza simili incidenti. – Ciò dipende, professore, – rispose ridendo, – dal fatto che non siete innamorato. Sospirai pensando alla signorina Gertrude Weber. – È dunque a Rosienie – chiesi – che abita la fidanzata del conte? – Sì, nei dintorni. Fidanzata?... non ne so nulla. Una vera civetta! Gli farà perdere la testa, com’è successo a sua madre. – In effetti, credo che la contessa sia... malata? – È pazza, mio caro signore, pazza! E il più pazzo di tutti sono io che sono venuto qui! – Speriamo che le vostre buone cure le rendano la salute. Il dottore scosse la testa esaminando attentamente il colore di un bicchiere di vino di Bordeaux che aveva in mano. – Come voi mi vedete, professore, ero maggiore chirurgo nel reggimento di Kaluga13. A Sebastopoli, eravamo dalla mattina alla sera a tagliare braccia e gambe; non parlo poi delle bombe che ci arrivavano come mosche su un cavallo scorticato; ebbene, così malmesso e mal nutrito com’ero allora, non mi annoiavo come qui, dove mangio e bevo il meglio, sono alloggiato come un principe, pagato come un medico di corte... Ma la libertà, mio egregio signore!... Figuratevi che con quella diavolessa non si ha un momento per sé! – È da molto che è affidata alla vostra esperienza? – Da meno di due anni, ma sono almeno ventisette che è pazza, da prima della nascita del conte. Non vi hanno raccontato nulla a Rosienie o a Kowno? Allora ascoltate, perché è un caso sul quale un giorno voglio scrivere un articolo sul Giornale medico di San Pietroburgo. È pazza di paura... – Paura? Com’è possibile? – Per uno spavento che ha avuto. Ella è della famiglia Kejstut... Oh! in questa casa non ci si mescola con i ceti inferiori! Noi discendiamo, noi, da Gedimin...14 Dunque, signor professore, tre giorni... o due giorni dopo il 12 In lituano è Raseiniai, capoluogo del governatorato di Kowno (cfr. nota 6). (N.d.T.) 13 Kaluga è una città della Russia centrale a circa 180 km a sud-ovest di Mosca. Un suo reggimento, come narrato più avanti, partecipò all’assedio di Sebastopoli, durante la guerra in Crimea nel 1854-1855. (N.d.T.) 14 Il passo non è chiaro. Il granduca Gedimin (o Gediminus; 1275?-1341), considerato il riunificatore dello Stato lituano e fondatore di Vilnius, e Kejstut erano padre e figlio. Dato che il “noi” non può riferirsi al dottore perché priverebbe di senso la frase precedente, si può supporre che sia riferito al padre del conte Szemioth, con la cui famiglia il dottore si identifica, ma in questo caso gli Szemioth apparterrebbero alla stessa famiglia e non sarebbe necessaria la specificazione dell’Autore. È probabile che Mérimée abbia usato due nomi famosi senza conoscere l’antica parentela. (N.d.T.) 5 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it matrimonio, che fu celebrato in questo castello dove ceniamo (alla vostra salute!)... il conte, padre di quest’ultimo, se ne va a caccia. Le nostre dame lituane sono delle amazzoni, come sapete. La contessa va pure lei a caccia... Resta indietro o supera i cacciatori... non so questo... Bene! improvvisamente il conte vede arrivare a briglie sciolte il piccolo cosacco della contessa, un bambino di dodici o quattordici anni. “Padrone, dice, un orso porta via la padrona!” “Dove?” chiede il conte. “Di là,” risponde il piccolo cosacco. Tutti quanti corrono al luogo indicato: niente contessa! Da una parte, c’è il suo cavallo sgozzato, dall’altra la sua pelliccia a brandelli. Si cerca, si batte il bosco in ogni direzione. Infine un cacciatore grida: “Ecco l’orso!” Infatti, un orso stava attraversando una radura trascinando la contessa, certamente per andare a divorarla con comodo nel folto del bosco, perché quegli animali sono pigri. Come i monaci, amano mangiare tranquilli. Sposato da appena due giorni, il conte fu molto cavalleresco, voleva buttarsi sull’orso col coltello da caccia in pugno, ma, mio caro signore, un orso della Lituania non si lascia infilzare come un cervo. Per fortuna, il portaarchibugio del conte, un brutto ceffo assai strano e quel giorno tanto ubriaco da non distinguere una lepre da un capriolo, fece fuoco col fucile a più di cento passi, senza preoccuparsi di sapere se la palla avrebbe colpito l’animale o la donna... – E uccise l’orso? – Stecchito. Non ci sono che gli ubriaconi per centrare questi colpi. Ci sono anche palle predestinate, professore. Abbiamo qui degli stregoni che ne vendono a giusto prezzo... La contessa era tutta graffiata, priva di conoscenza, naturalmente, e con una gamba rotta. La portano a casa e lei rinviene, ma la ragione se n’era andata. La conducono a San Pietroburgo. Gran consulto, quattro medici decorati di tutti gli ordini. Dicono: “La signora contessa è incinta ed è probabile che il parto determinerà una crisi benefica. Tenetela all’aria aperta, in campagna; datele siero di latte, codeina...” Li pagano cento rubli ciascuno. Nove mesi dopo, la contessa partorisce un ragazzo ben formato; ma la crisi favorevole? ah sì!... La follia si intensifica. Il conte le mostra suo figlio. Cosa che non manca mai il suo effetto... nei romanzi. “Uccidetelo! uccidete la bestia!”15 grida; poco mancò che non gli torcesse il collo. Da allora, alterna pazzia ottusa a mania furiosa e ha una forte propensione al suicidio. Si è obbligati a legarla per farle prendere aria e occorrono tre vigorose domestiche per tenerla. Tuttavia, professore, vogliate notare questo fatto: quando, con lei, ho esaurito il mio latino senza riuscire a farmi obbedire, ho un mezzo per calmarla. La minaccio di tagliarle i capelli. Penso che un tempo li avesse molto belli. La civetteria! Ecco l’ultimo sentimento umano che resiste. Non è divertente? Se potessi trattarla a mio modo, forse la guarirei. – Come? – Prendendola a botte. Ho guarito in questo modo venti contadine in un 15 La frase è interpretabile in due modi: la contessa ricorda confusamente l’aggressione dell’orso oppure, nella sua follia, è consapevole che il bambino è figlio dell’orso. (N.d.T.) 6 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it villaggio in cui si era manifestata questa furiosa pazzia russa, l’urlatrice 16; una donna si mette ad urlare, la sua comare urla e dopo tre giorni tutto il villaggio urla. A forza di batterle, ne sono venuto a capo... Prendete un francolino, sono teneri... Ma il conte non ha mai voluto che provassi. – Come! vorreste che acconsentisse al vostro abominevole trattamento? – Oh! ha così poco conosciuto sua madre, e poi è per il suo bene, ma ditemi, professore, avreste mai creduto che la paura potesse far perdere la ragione? – La situazione della contessa era spaventosa... Trovarsi fra gli artigli di una bestia così feroce! – Ebbene, suo figlio non le somiglia. È meno di un anno che si è trovato esattamente nella stessa situazione, ma, grazie al suo sangue freddo, se n’è tirato fuori a meraviglia. – Dagli artigli di un orso? – Di un’orsa, e la più grande che si sia vista da molto tempo. Il conte ha voluto attaccarla con lo spiedo17 in mano. Bah! D’un tratto, la bestia scarta lo spiedo, afferra il conte e lo getta in terra con la stessa facilità con cui io capovolgerei questa bottiglia. Lui, furbo, fa il morto... L’orsa l’ha odorato e odorato, quindi, anziché sbranarlo, gli ha dato una linguata 18. Lui ha avuto la presenza di spirito di non muoversi e quella ha proseguito il cammino. – L’orsa avrà creduto che fosse morto. Infatti, ho sentito dire che queste bestie non mangiano i cadaveri19. – Serve crederlo ed evitare di provarlo personalmente; ma, a proposito di paura, lasciatemi raccontare una storia di Sebastopoli. Eravamo in cinque o sei attorno a una brocca di birra che ci avevano portato proprio allora dietro l’infermeria del famoso bastione n. 520. La sentinella grida: “Una bomba!” Ci buttiamo tutti pancia a terra; no, non tutti, un certo... ma è inutile dire il suo nome... un giovane ufficiale appena arrivato resta in piedi, tenendo il bicchiere pieno in mano, proprio nel momento in cui esplode la bomba. Essa porta via la testa del mio povero compagno Andrej Speranskij, un coraggioso ragazzo, e rompe la brocca che, fortunatamente, era quasi vuota. Quando ci rialzammo dopo l’esplosione, vedemmo in mezzo al fumo il nostro amico che scolava l’ultimo sorso della sua birra, come se nulla fosse. Lo credemmo un eroe. Il giorno dopo, incontro il capitano Gedeonov, 16 In russo una posseduta si chiama: urlatrice, klikoučka, la cui radice è klik, clamore, urlo. (Nota dell’Autore) – Nel seguito l’Autore mostra la conoscenza, all’epoca, di forme di isteria contagiosa. (N.d.T.) 17 Lo spiedo era un’asta di ferro lunga, sottile e appuntita, usata dal Medioevo, come arma da guerra e per la caccia grossa (N.d.T.) 18 È possibile una doppia interpretazione: l’orsa lecca il conte per assicurarsi che sia morto oppure perché dall’odore ha riconosciuto un maschio della sua specie. (N.d.T.) 19 È un’antica leggenda ripresa anche da Jean La Fontaine (1621-1695) nelle sue Favole: «...l’altro si butta in terra colla faccia, / e fa il morto, non fiata, avendo udito / che l’orso con chi puzza di cadavere / di rado si è mostrato inferocito...» in “L’Orso e i due compari”. (N.d.T.) 20 Cfr. nota 13. Il bastione n. 5 fu tra i primi a essere attaccato dal generale francese Élie Frédéric Forey (1804-1872). (N.d.T.) 7 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it che esce dall’ospedale. Mi dice: “Pranzo con voi oggi e, per celebrare il mio rientro, offro lo champagne”. Ci mettiamo a tavola. C’era il giovane ufficiale della birra, che non si aspettava lo champagne. Sturano una bottiglia vicino a lui... paf! il tappo lo colpisce alla tempia. Lui manda un grido e sta male. Credetemi, il giorno prima il nostro eroe aveva avuto una paura tremenda e, se aveva bevuto la sua birra anziché spostarsi, era perché aveva perduto la testa, non gli restava altro che quel movimento meccanico del quale non aveva coscienza. Infatti, professore, la macchina umana... – Dottore, – disse un domestico entrando in sala, – la Sdanova riferisce che la contessa non vuol mangiare. – Che il diavolo se la porti! – borbottò il medico. – Vado. Quando avrò fatto mangiare la mia diavolessa, professore, potremmo fare, se vi fa piacere, una partitina a préférence o ai durački?21 Gli espressi rammarico per la mia ignoranza e, quando andò dalla malata, mi ritirai in camera e scrissi a Gertrude. II La notte era calda, e avevo lasciato aperta la finestra che dava sul parco. Scritta la lettera e non avendo alcuna voglia di dormire, mi misi a ripassare i verbi irregolari lituani e a ricercare nel sanscrito le ragioni delle loro varie caratteristiche. In mezzo a quel lavoro che mi assorbiva, un albero abbastanza vicino alla mia finestra fu violentemente scosso. Sentii scricchiolare i rami secchi e mi sembrò che qualche animale molto pesante provasse ad arrampicarsi. Ancora tutto impressionato dalle storie di orsi che il dottore mi aveva raccontato, mi alzai, non senza una certa emozione, e ad alcuni piedi dalla finestra, tra il fogliame dell’albero, scorsi una testa d’uomo illuminata in pieno dalla luce della mia lampada. L’apparizione non durò che un istante, ma la singolare luce degli occhi che incontrarono il mio sguardo mi colpì più di quanto sappia descrivere. Involontariamente, mi ritrassi, poi corsi alla finestra e, con tono duro, chiesi all’intruso che cosa volesse. Ma egli stava scendendo in gran fretta e, afferrato un grosso ramo tra le mani, si lasciò pendere, quindi cadere a terra, e subito scomparve. Suonai; entrò un domestico. Gli dissi ciò che era appena successo. – Il signor professore si sarà certamente sbagliato. – Sono sicuro di ciò che dico, – replicai. – Credo che ci sia un ladro nel parco. – Impossibile, signore. – Allora, è qualcuno di casa? Il servo sgranò gli occhi senza rispondermi. Alla fine mi chiese se avessi ordini da dargli. Gli dissi di chiudere la finestra e mi misi a letto. Dormii molto bene, senza sognare né orsi, né ladri. La mattina dopo, stavo vestendomi quando bussarono alla porta. Aprii e mi trovai di fronte un 21 Giochi di carte: il primo difficile, il secondo molto facile. (N.d.T.) 8 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it bel giovane di statura imponente, in veste da camera bukhara22 e con una lunga pipa turca in mano. – Vengo a chiedervi scusa, professore, – disse, – di avere così male accolto un ospite come voi. Sono il conte Szemioth. Mi affrettai a rispondere che dovevo io, al contrario, ringraziarlo umilmente della sua magnifica ospitalità e gli chiesi se si era liberato dell’emicrania. – Quasi, – disse, – fino a una nuova crisi, – aggiunse con un’espressione di tristezza. – Vi è sopportabile il soggiorno? Vogliate ricordare che siete tra i barbari. Non bisogna fare i difficili in Samogizia. Gli assicurai che mi trovavo a meraviglia. Mentre gli parlavo, non potevo impedirmi dall’osservarlo con una curiosità che trovavo io stesso impertinente. Il suo sguardo aveva qualcosa di strano che mi ricordava, mio malgrado, quello dell’uomo che il giorno prima avevo visto arrampicarsi sull’albero... “Ma non è possibile,” mi dicevo, “che il conte Szemioth si arrampichi sugli alberi di notte!” Aveva la fronte alta e ben formata, sebbene un po’ stretta. I suoi lineamenti erano molto regolari; soltanto gli occhi erano troppo vicini e mi sembrò che, da una ghiandola lacrimale all’altra, non ci fosse lo spazio di un occhio, come esige il canone degli scultori greci. Il suo sguardo era penetrante. I nostri occhi si incontrarono più volte nostro malgrado e li distogliemmo entrambi con un certo imbarazzo. Improvvisamente, il conte esclamò scoppiando a ridere: – Mi avete riconosciuto! – Riconosciuto? – Sì, mi avete sorpreso ieri, quando facevo il vero monello. – Oh! conte!... – Ero stato tutto il giorno molto sofferente e chiuso nel mio studio. La sera, sentendomi meglio, sono andato a passeggiare nel giardino. Ho visto la vostra luce e ho ceduto a un’istintiva curiosità... Avrei dovuto dire chi ero e presentarmi, ma la situazione era così ridicola... Mi sono vergognato e sono fuggito... Mi perdonerete per avervi disturbato nel mezzo del vostro lavoro? Tutto ciò veniva detto con un tono che voleva essere scherzoso, ma egli arrossiva ed era visibilmente a disagio. Feci del mio meglio per persuaderlo che non avevo serbato alcuna spiacevole impressione del nostro primo incontro, e, per tagliar corto, gli chiesi se era vero che possedesse il Catechismo samogizio di padre Lawicki. – Può essere, a dirvi la verità non conosco molto bene la biblioteca di mio padre. Egli amava i libri antichi e le rarità. Io non leggo che opere moderne, ma lo cercheremo, professore. Volete dunque farci leggere il Vangelo in samogizio? – Non pensate, conte, che una traduzione delle Scritture nella lingua di 22 Di stoffa proveniente dalla città di Bukhara (odierno Uzbekistan), famosa per i tessuti di seta pura. (N.d.T.) 9 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it questo paese sia assai auspicabile? – Indubbiamente; tuttavia, se mi permettete una piccola osservazione, vi dirò che, fra le persone che non sanno altra lingua che il samogizio, non ce n’è una che sappia leggere. – Può essere, ma chiedo a Vostra Eccellenza23 il permesso di farle notare che la difficoltà maggiore di imparare a leggere è la mancanza di libri. Quando nei paesi samogizi sarà disponibile un testo stampato, vorranno leggerlo e impareranno a leggere... È già successo a molti selvaggi... non che voglia applicare tale appellativo agli abitanti di questo paese... D’altronde, – aggiunsi, – non è una cosa deplorevole che una lingua scompaia senza lasciar traccia? Da una trentina d’anni, il prussiano non è che una lingua morta. L’ultima persona che sapeva il cornico24 è morta l’altro giorno... – Triste! – interruppe il conte – Alexander von Humboldt 25 raccontava a mio padre che aveva conosciuto in America un pappagallo che era l’unico a sapere qualche parola della lingua di una tribù oggi interamente distrutta dal vaiolo. Posso far portare qui il tè? Mentre prendevamo il tè, la conversazione si volse alla lingua samogizia. Il conte criticava il modo in cui i tedeschi avevano trascritto il lituano, e aveva ragione. – Il vostro alfabeto – diceva – non si adatta alla nostra lingua. Voi non avete né la nostra J, né la nostra L, né la nostra Y, né la nostra E. Ho una raccolta di dainos pubblicata l’anno scorso a Königsberg e con molta fatica riesco a decifrare le parole, tanto sono trascritte in modo strano. – Vostra Eccellenza parla certamente dei dainos di Lessner? – Sì. È una poesia proprio piatta, non è vero? – Forse si trova di meglio. Convengo che, così com’è, quella raccolta non ha che un interesse puramente filologico, ma credo che, cercando bene, si riuscirebbe a raccogliere fiori più soavi fra le vostre poesie popolari. – Ahimè! Ne dubito fortemente, nonostante tutto il mio patriottismo. – Qualche settimana fa, mi hanno dato a Wilno26 una ballata veramente bella, di più. storica... La poesia è notevole... Mi permettereste di leggervela? L’ho nel portafoglio. – Molto volentieri. Si sistemò sulla poltrona dopo avermi chiesto il permesso di fumare. – Non comprendo la poesia se non fumando, – disse. – È intitolata I tre figli di Budris. – I tre figli di Budris? – esclamò il conte con un gesto di sorpresa. 23 Sjatelstvo, “Vossignoria Chiarissima”, è il titolo che si dà a un conte. (Nota dell’Autore) – Questa forma compare solo in nota, nel testo originale si mantiene “Vostra Eccellenza”. (N.d.T.) 24 Il cornico è una delle lingue celtiche del gruppo brittonico (assieme a gallese e bretone, ancora oggi parlati) che si estinse alla fine del XVII secolo. (N.d.T.) 25 Friedrich Heinrich Alexander Freiherr von Humboldt (1769-1859) fu un naturalista ed esploratore tedesco, i cui studi furono fondamentali nel settore della biogeografia. (N.d.T.) 26 Nome polacco di Vilnius, oggi capitale della Lituania, ma allora nell’impero russo. (N.d.T.) 10 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it – Sì, Budris. Vostra Eccellenza sa meglio di me che è un personaggio storico27. Il conte mi fissava con quel suo sguardo singolare. Qualcosa di indefinibile, un insieme di timido e selvaggio, che dava un’impressione quasi penosa a chi non vi era abituato. Mi affrettai a leggere per sfuggirlo. I TRE FIGLI DI BUDRIS «Nel cortile del suo castello, il vecchio Budris chiama i suoi tre figli, tre veri lituani come lui. Dice loro: – Figli, fate mangiare i vostri cavalli da guerra, preparate le vostre selle; affilate le vostre sciabole e le vostre chiaverine. Si dice che a Wilno la guerra sia stata dichiarata contro i tre angoli del mondo. Olgerd marcerà contro i Russi; Skirgello contro i nostri vicini Polacchi; Keystut piomberà sui Teutoni28. Siete giovani, forti, audaci, andate a combattere: che gli dèi della Lituania vi proteggano! Quest’anno io non farò campagne, ma voglio darvi un consiglio. Siete tre, tre strade vi si aprono. Che uno di voi accompagni Olgerd in Russia, sulle rive del lago Il’men, sotto le mura di Novgorod. Le pellicce di ermellino e i tessuti broccati vi si trovano in abbondanza. Vi sono più rubli dai mercanti che ghiaccio nel fiume. Che il secondo segua Kejstut nella sua cavalcata. Che faccia a pezzi la marmaglia crocifera! L’ambra, là, è la loro sabbia di mare; i loro drappi, per lucentezza e colori, sono senza uguali e ci sono rubini sui paramenti dei loro preti. Che il terzo passi con Skirgello il fiume Niemen. Dall’altro lato, troverà strumenti economici da lavoro; in compenso, potrà scegliere buone lance e forti scudi, e mi porterà una nuora. Le donne di Polonia, figli, sono le più belle prigioniere. Vivaci come gatte, bianche come panna! sotto le nere sopracciglia, i loro occhi splendono come due stelle. Quando ero giovane, mezzo secolo fa, ho portato dalla Polonia una bella prigioniera che fu mia moglie. Da molto tempo non c’è più, ma non posso guardare da quella parte del focolare senza pensare a lei! Egli dà la sua benedizione ai giovani, che sono già armati e in sella. Partono; arriva l’autunno, quindi l’inverno... Non ritornano. Il vecchio Budris li crede già morti. Arriva una tormenta di neve; un cavaliere si avvicina, coprendo con la sua nera burka29 un prezioso fardello. – È un sacco – dice Budris. – È pieno di rubli di Novgorod?... 27 Budris è effettivamente un cognome originario della Lituana. Si vedrà in seguito il motivo della sorpresa del conte. (N.d.T.) 28 Per Teutoni si intende l’Ordine cavalleresco teutonico, che nei territori conquistati imponeva il cattolicesimo come ai Polacchi. Olgerd (o Algirdas) e Kejstut erano i figli di Gedimin, mentre Skirgello era fratello del futuro Wladyslaw II Jagiello (Ladislao II, noto come Re Jagellone). La vicenda è quindi ambientata tra il 1341 (morte di Gedimin) e il 1382 (uccisione di Kejstut). (N.d.T.) 29 Mantello di feltro. (Nota dell’Autore) – Originariamente, la burka (o il burqa) era l’ampia mantella di loden, impermeabile, indossata nelle regioni caucasiche. (N.d.T.) 11 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it – No, padre. Vi porto una nuora dalla Polonia. In mezzo a una tormenta di neve, un cavaliere si avvicina e la sua burka si gonfia su un qualche carico prezioso. – Che cos’è, figlio? Ambra gialla dalla Germania? – No, padre. Vi porto una nuora dalla Polonia. La neve cade a raffiche; un cavaliere si avvicina nascondendo sotto la sua burka qualche carico prezioso... Ma, prima che ebbe mostrato il suo bottino, Budris ha invitato i suoi amici per le terze nozze». – Bravo! Professore, – esclamò il conte, – pronunciate il samogizio a meraviglia, ma chi vi ha passato questa deliziosa daina?30 – Una signorina che ho avuto l’onore di fare la conoscenza a Wilno, presso la principessa Katarzyna Paç.31 – E voi la chiamate? – Panna Ivinska32. – Iulka!33 – esclamò il conte. – La piccola pazza! Avrei dovuto indovinarlo! Mio caro professore, sapete il samogizio e tutte le lingue erudite, avete letto tutti i libri antichi, ma vi siete lasciati mistificare da una ragazzina che ha letto soltanto romanzi. Vi ha tradotto, in samogizio più o meno corretto, una delle deliziose ballate di Miçkiewicz, che voi non avete letto, perché non è più vecchia di me. Se lo desiderate, ve la mostrerò in polacco, o, se preferite, in un’eccellente traduzione russa, vi darò Puškin34. Riconosco che rimasi del tutto interdetto. Quale gioia per il professore di Dropat se avessi pubblicato come originale la daina dei figli di Budris! Invece di divertirsi del mio imbarazzo, il conte, con squisita cortesia, si affrettò a deviare la conversazione. – Così, – disse, – conoscete Iulka? – Ho avuto l’onore di esserle presentato. – E cosa ne pensate? Siate franco. – È una signorina molto piacevole. – È un bel modo di dire. – È molto graziosa. – No! – Come! non ha i più begli occhi del mondo? – Sì... – Una pelle d’un candore veramente straordinario?... Mi ricorda un 30 Singolare di dainos, termine già citato che significa canto, ballata. (N.d.T.) 31 Nel testo è Katazyna, ma è Katarzyna, ossia Caterina in polacco. I Paç erano una influente famiglia nobile lituana. (N.d.T.) 32 Panna è la forma polacca del lituano pana, signorina. (N.d.T.) 33 Diminutivo di Juliana. (N.d.T.) 34 Adam Miçkiewicz (1798-1855) fu un poeta e scrittore nato e cresciuto nel Granducato di Lituania, di lingua polacca. Contrario all’intervento russo nel regno polacco, fu arrestato dalla polizia russa. Non tornò mai più in patria, vivendo a Odessa, Mosca e San Pietroburgo e stringendo legami con numerosi scrittori russi, tra cui Aleksander Puškin. La ballata Budris e i suoi figli fu scritta nel 1829 e tradotta da Puškin nel 1833. (N.d.T.) 12 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it ghazel persiano35, dove un amante celebra la finezza della pelle della sua amata. Dice: «Quando ella beve del vino rosso, lo si vede passare lungo la sua gola». La panna Ivinska mi ha fatto pensare a questi versi persiani. – Forse Iulka rammenta questo fenomeno, ma non so affatto se abbia del sangue nelle vene... Non ha cuore... È bianca come la neve e fredda come quella!... Si alzò e passeggiò un po’ per la camera senza parlare e, come mi sembrò, per nascondere la propria emozione; quindi, fermandosi improvvisamente: – Mi scusi, – disse, – noi parlavamo, credo, di poesie popolari... – Infatti, conte. – Dopo tutto bisogna ammettere che ha tradotto Miçkiewicz molto piacevolmente... «Vivaci come gatte,... bianche come panna... i suoi occhi brillano come due stelle...» È il suo ritratto. Non trovate? – Completamente, conte. – E quanto a questa birichinata... certo molto inopportuna... la povera fanciulla si annoia presso la vecchia zia... Conduce una vita di convento. – A Wilno, frequentava il bel mondo. L’ho vista a un ballo dato per gli ufficiali del reggimento di... – Ah sì, i giovani ufficiali, ecco la società che le si confà! Ridere con uno, malignare con un altro, fare la civetta con tutti... Volete vedere la biblioteca di mio padre, professore? Lo seguii per un’ampia galleria dove stavano molto libri ben rilegati, ma raramente aperti, come si poteva giudicare alla polvere che ne copriva il taglio. Quanta fu la mia gioia quando scoprii che uno dei primi volumi che estrassi da un armadio era il Catechismus Samogiticus! Non potei impedirmi di gettare un grido di piacere. Ci deve essere una sorta d’attrazione misteriosa che esercita la sua influenza a nostra insaputa... Il conte prese il libro, e, dopo averlo sfogliato negligentemente, scrisse sul risguardo: Al professor Wittembach, offerto da Michail Szemioth. Non riesco a esprimere il mio slancio riconoscente, e mi ripromisi mentalmente che, dopo la mia morte, quel libro prezioso avrebbe ornare la biblioteca dell’università dove mi ero laureato. – Vogliate considerare questa biblioteca come il vostro studio, – mi disse il conte, – non sarete mai disturbato. III L’indomani, dopo colazione, il conte mi propose di fare una passeggiata. Si trattava di visitare un kapas (è così che i Lituani chiamano i tumuli ai quali i Russi danno il nome di kurgan)36 molto famoso nel paese, perché un tempo 35 Il ghazel (o ghazal, o ghazl) è, nella letteratura araba, una poesia da cinque a dodici strofe di due versi, di contenuto religioso, sentimentale o guerresco. (N.d.T.) 36 C’è differenza: il kurgan era il tumulo dove venivano seppelliti gli aristocratici sciti; il 13 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it i poeti e gli stregoni, che erano un tutt’uno, vi si riunivano in alcune occasioni solenni. – Ho – mi dice – un cavallo molto mansueto da offrirvi; mi rincresce di non potervi condurre in carrozza, ma, in verità, la strada che seguiremo non è carrozzabile. Avrei preferito rimanere in biblioteca a prendere appunti, ma non credetti di dover esprimere un desiderio diverso da quello del mio generoso ospite e accettai. I cavalli ci aspettavano ai piedi della scalinata; nella corte, un valletto teneva un cane al guinzaglio. Il conte si fermò un momento e girandosi verso di me: – Professore, voi conoscete i cani? – Molto poco, Vostra Eccellenza. – Lo starosta di Zorany37, dove ho un tenuta, mi manda questo spaniel dicendone meraviglia. Permettete che lo veda? Chiamò il valletto, che gli portò il cane. Era un bellissimo animale. Già familiarizzato con quell’uomo, il cane saltellava allegramente e sembrava pieno di fuoco, ma, a pochi passi dal conte, mise la coda fra le zampe, si tirò indietro e sembrò colpito da un improvviso terrore. Il conte lo accarezzò e ciò lo fece guaire in maniera lamentosa, e, dopo averlo osservato per un po’ con occhio esperto, disse: – Credo che sarà buono. Abbiatene cura. Quindi balzò in sella. – Professore, – mi disse il conte appena fummo nel viale del castello, – avete appena visto la paura di quel cane. Ho voluto che ne foste testimone voi stesso... Nella vostra veste di scienziato dovete spiegare gli enigmi... Perché gli animali hanno paura di me? – In verità, conte, mi fate l’onore di scambiarmi con Edipo38. Io non sono che un povero professore di linguistica comparata. Si potrebbe... – Notate, – interruppe, – che non batto mai i cavalli, né i cani. Mi farei scrupolo di dare una frustata a un povero animale che fa una sciocchezza senza saperlo. Eppure, voi non potete credere l’avversione che ispiro ai cavalli e ai cani. Per abituarli a me, mi occorre il doppio del tempo e della fatica che ci metterebbe un altro. Ecco, il cavallo che montate, mi ci sono dedicato molto a lungo per ridurlo com’è; ora, è mansueto come una pecora. – Credo, conte, che gli animali siano fisionomisti e si accorgano subito kapas (o kaupas) era un’altura artificiale, il cui nome è derivato dallo slavo kupa, indicante un mucchio di paglia o sottobosco usato per i falò. È evidente che la semplificazione dell’Autore è stata voluta per non appesantire il testo. (N.d.T.) 37 Starosta è, in polacco, il governatore di un distretto. Zorany è il nome polacco del villaggio samogizio di Zarenai. (N.d.T.) 38 Edipo risolse i due indovinelli che la Sfinge (un mostro con testa di donna, corpo di leone, coda di serpente e ali di rapace) poneva a chi entrava a Tebe: «Qual è l’essere che cammina ora a due gambe, ora a tre, ora a quattro e che, contrariamente alla legge generale, più gambe ha e più mostra la propria debolezza?» (l’uomo) e «Esistono due sorelle, delle quali l’una genera l’altra, e delle quali la seconda, a sua volta, è generata dalla prima?» (il giorno e la notte – la parola “giorno” è femminile in greco). (N.d.T.) 14 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it se una persona che vedono per la prima volta abbia o meno simpatia per loro. Sospetto che voi non amiate gli animali che per i servizi che vi rendono; al contrario, certe persone hanno una preferenza naturale per alcuni animali ed essi se ne accorgono all’istante. Io, per esempio, dall’infanzia ho una predilezione istintiva per i gatti. E di rado essi fuggono quando mi avvicino per accarezzarli; mai un gatto mi ha graffiato. – Ciò è possibilissimo, – disse il conte. – In effetti, non possiedo quello che si dice il gusto per gli animali... Non valgono più degli uomini... Vi sto conducendo, professore, in una foresta in cui tuttora prospera il regno degli animali, la matecznik, la grande “matrice”, la grande fabbrica degli esseri viventi. Sì, secondo le nostre tradizioni nazionali, nessuno ne ha sondato mai le profondità, nessuno ha potuto raggiungere il centro di quei boschi e di quelle paludi, eccetto, naturalmente, i poeti e gli stregoni, che arrivano ovunque... Là gli animali vivono in repubblica... o sotto un altro governo costituzionale, non saprei dire quale dei due. I leoni, gli orsi, le alci, gli zubr, essi sono i nostri uri39, tutti vivono bene insieme. Il mammut, che si è là conservato, gode di gran considerazione. È, credo, maresciallo della Dieta40. Hanno una polizia molto severa, e, quando trovano qualche bestia viziosa, la giudicano e la esiliano. Questa cade, così, dalla padella alla brace. È costretta ad avventurarsi nel paese degli uomini. Poche ne scampano. – Leggenda molto curiosa, – esclamai, – ma, conte, parlate dell’uro, quel nobile animale che Cesare ha descritto nei suoi Commentari41 e che i re merovingi cacciavano nella foresta di Compiègne, esiste realmente ancora in Lituania, come ho sentito dire pure io? – Indubbiamente. Mio padre stesso ha ucciso uno zubr, con il permesso del governo, naturalmente. Ne avete potuto vedere la testa nel salone. Io non ne ho mai visti, credo che gli zubr siano molto rari. In compenso, qui abbiamo lupi e orsi in abbondanza. È per un eventuale incontro con uno di loro che ho portato questo strumento (mostrava un čechol42 che aveva nella tracolla), e il mio groom43 porta all’arcione un fucile a due colpi. Iniziavamo a inoltrarci nella foresta. Presto scomparve il sentiero molto 39 Gli zubr, in polacco, sono i bisonti o i bufali, mentre gli uri (o aurochs), oggi estinti, sono sempre bovini, ma con diverse caratteristiche morfologiche. (N.d.T.) 40 Presupponendo un governo tra gli animali, il conte ne immagina i ruoli all’interno della Dieta, l’antico organo legislativo. (N.d.T.) 41 «...la terza è la specie dei cosiddetti uri. Sono leggermente più piccoli degli elefanti, assomigliano ai tori per aspetto, colore e forma. Sono molto forti, estremamente veloci, non risparmiano né uomini, né animali che abbiano scorto. I Germani si danno molto da fare per catturarli per mezzo di fosse, e poi li uccidono: i giovani si temprano e si esercitano in queste fatiche e genere di cacce. Chi ha ucciso diversi uri, ne espone le corna pubblicamente, a testimonianza della sua impresa, ricevendo grandi elogi. Non si riesce ad abituare gli uri alla presenza degli uomini, né ad addomesticarli, neppure se catturati da piccoli. Le corna, per ampiezza, forma e aspetto, sono molto diverse da quelle dei nostri buoi. Sono un pezzo molto ricercato, le guarniscono d’argento negli orli e le usano come coppe nei banchetti più sontuosi» (Giulio Cesare, Commentarii de bello Gallico, VI, 28). (N.d.T.) 42 In russo, čechol indica genericamente un fodero, qui è quello di un fucile. (N.d.T.) 43 Fattorino, valletto (N.d.T.) 15 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it stretto che seguivamo. Ogni momento eravamo costretti ad aggirare alberi enormi, i cui rami bassi ci sbarravano il passaggio. Alcuni, caduti ormai per la vecchiaia, ci si presentavano come un bastione sormontato da una fila invalicabile di cavalli di Frisia44. Altrove, incontrammo profonde paludi coperte di nenuferi e lenticchie d’acqua. Più oltre, vedevamo radure la cui erba splendeva come smeraldi; ma guai a chi vi si avventurasse, perché quella vegetazione ricca e ingannevole nasconde, di solito, delle voragini di melma dove cavallo e cavaliere sprofonderebbero per sempre... Le difficoltà del cammino avevano interrotto la nostra conversazione. Mettevo tutta la mia attenzione a seguire il conte, e ammiravo l’imperturbabile sagacia con cui egli si orientava senza bussola e trovava sempre la direzione ideale che occorreva seguire per arrivare al kapas. Era evidente che cacciava da molto tempo in quelle foreste selvagge. Scorgemmo infine il tumulo al centro di un’ampia radura. Era molto elevato, circondato da un fosso ancora ben riconoscibile nonostante le sterpaglie e i crolli. Sembrava che l’avessero già ispezionato. In cima, osservai i resti di una costruzione di pietra, in parte bruciati. Una quantità considerevole di ceneri mista a carbone e, qua e là, cocci di grezze terraglie attestavano che si era acceso un fuoco alla sommità del tumulo per un tempo considerevole. Se si prestasse fede alle tradizioni volgari, sembra che un tempo, sui kapas, si celebrassero sacrifici umani, ma non c’è una religione scomparsa alla quale non si siano attribuiti quei riti abominevoli e dubito che si possa giustificare una simile credenza tra gli antichi Lituani con testimonianze storiche. Ridiscendemmo il tumulo, il conte e io, per ritornare ai cavalli, che avevamo lasciato dall’altro lato del fosso, quando vedemmo avvicinarsi una vecchia che si appoggiava a un bastone e teneva un canestro in mano. – Miei buoni signori, – disse raggiungendoci, – vogliate farmi la carità per amore del buon Dio. Datemi di che comprare un bicchiere di acquavite per riscaldare il mio povero corpo. Il conte le gettò una moneta d’argento e le chiese che cosa facesse nel bosco, così lontano da ogni luogo abitato. Per tutta risposta, lei gli mostrò il cesto, che era pieno di funghi. Benché le mie conoscenze in botanica fossero molto limitate, mi sembrò che parecchi di quei funghi appartenessero a specie velenose. – Buona donna, – le dissi, – non contate, spero, di mangiarli? – Mio buon signore, – rispose la vecchia con un sorriso triste, – la povera gente mangia tutto ciò che il buon Dio le dà. – Voi non conoscete il nostro stomaco lituano, – riprese il conte, – è foderato di latta. I nostri contadini mangiano tutti i funghi che trovano non avendo di meglio. – Impeditele almeno di assaggiare l’agaricus necator, che vedo nel suo cesto, – esclamai. 44 Il cavallo di Frisia è uno strumento bellico, costituito da piccoli cavalletti a forma di croce, generalmente uniti fra loro con assi ed reticolati di filo spinato. (N.d.T.) 16 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it E stesi la mano per prendere un fungo tra i più velenosi45; ma la vecchia ritirò velocemente il canestro. – Bada, – disse con un voce spaventata, – sono custoditi... Perkuns! Perkuns! Perkuns, per dirla in breve, è il nome samogizio della divinità che i Russi chiamano Perun; è lo Jupiter tonans degli Slavi46. Se fui sorpreso di sentire la vecchia invocare un dio pagano, lo fui ben di più nel vedere i funghi sollevarsi. Ne uscì la testa nera di un serpente, che si alzò di un piede almeno fuori del canestro. Feci un salto indietro e il conte sputò al di sopra della sua spalla, secondo l’usanza superstiziosa degli Slavi, che credono di allontanare i malefici in questo modo, sull’esempio degli antichi Romani. La vecchia pose il canestro a terra, si accovacciò di lato; quindi, con la mano tesa verso il serpente, pronunciò alcune parole inintelligibili che avevano l’aria di un incantesimo. Il serpente rimase immobile per un minuto; quindi, si arrotolò attorno allo scarno braccio della vecchia, scomparve nella manica del suo pastrano in pelle di montone, che, con una brutta camicia, componeva, credo, tutto il costume di quella Circe lituana. La vecchia ci guardava con un sorriso di trionfo, come un prestigiatore che ha appena eseguito un numero difficile. C’era nel suo aspetto quel miscuglio di finezza e di stupidità che non è raro tra i sedicenti stregoni, per la maggior parte vittime e malandrini allo stesso tempo. – Ecco, – mi disse il conte in tedesco, – un campione di colore locale: una strega che incanta un serpente, ai piedi di un kapas, in presenza di un sapiente professore e di un ignorante gentiluomo lituano. Sarebbe un delizioso soggetto per una tavola di genere del vostro compatriota Knaus...47 Avete voglia di farvi predire la buona sorte? Avete qui una bella occasione. Gli risposi che mi sarei guardato bene dall’incoraggiare simili pratiche. – Preferirei – aggiunsi, – chiederle se conosce qualche particolare su quella tradizione curiosa di cui voi mi avete parlato. Buona donna, – dissi alla vecchia, – non hai sentito parlare di un angolo di questa foresta dove gli animali vivono in comunità, ignorando il regno dell’uomo? La vecchia fece un cenno affermativo con la testa e con il suo sorriso metà ebete e metà beffardo: 45 L’agaricus necator – identificato con il lactarius torminosus (lapacendro malefico), che cresce nei boschi di betulle – è velenoso e provoca forti disturbi intestinali, ma non è letale. Secondo il Dizionario delle scienze naturali nel quale si tratta metodicamente dei differenti esseri della natura... di Frédéric Cuvier (Firenze 1830), l’agaricus necator «può produrre i più funesti effetti, ai quali si suole comunemente riparare coll’olio preso per lavativo o per bevanda» (p. 255). (N.d.T.) 46 Come lo Zeus (Giove) tonante dei Greci e dei Romani e il dio Perun degli Slavi, anche Perkūnas, in lituano, o Perkūns, in prussiano, era il dio del tuono, della pioggia, delle montagne, delle querce e del cielo. Nel testo originale è scritto Pirkuns. (N.d.T.) 47 Ludwig Knaus (1829-1910) era un pittore tedesco della scuola di Düsseldorf, specializzato nella rappresentazione di scene ed eventi tratti dalla vita quotidiana (detta pittura di genere) Dal 1852 al 1860 fu a Parigi dove diventò una celebrità. Si trasferì poi a Berlino dove insegnò fino al 1883 all’Accademia. (N.d.T.) 17 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it – Ne vengo, – rispose. – Gli animali hanno perso il loro re: Nobile, il leone, è morto; gli animali eleggeranno un altro re. Vai tu, forse diventerai re. – Ma cosa dici, madre? – esclamò il conte scoppiando a ridere. – Sai di cosa parli? Non sai dunque che il signore è... (come diavolo si dice professore in samogizio?) il signore è un gran sapiente, un saggio, un vaidelot48. La vecchia lo guardò attentamente. – Sbaglio, – disse, – sei tu che devi andare laggiù. Tu sarai il loro re, non lui; tu sei grande, sei forte, hai artigli e denti...49 – Cosa dite degli epigrammi che ci lancia? – mi disse il conte. – Sai la strada, mia piccola madre? – le chiese. Ella gli indicò con la mano una zona della foresta. – Di là? – riprese il conte, – e la palude come fai ad attraversarla? Dovete sapere, signor professore, che dove indica c’è una palude impraticabile, un lago di melma liquida ricoperto di erba verde. L’anno scorso, un cervo da me ferito si buttò in quella palude. L’ho visto affondare lentamente, lentamente... In capo a due minuti, non vidi altro che le sue corna; è subito scomparso tutto, e due dei miei cani con lui. – Io, però, non sono pesante, – disse la vecchia ridacchiando. – Credo che tu attraverseresti la palude senza fatica, su un manico di scopa. Un lampo di collera brillò negli occhi della vecchia. – Mio buon signore, – disse riprendendo il tono strascicato e nasale dei mendicanti, – non avresti una pipa di tabacco50 da regalare a una povera donna? Faresti meglio, – aggiunse abbassando la voce, – a cercare il passaggio della palude, anziché andare a Dovgelli51. – Dovgelli! – esclamò il conte arrossendo. – Cosa vuoi dire? Non potei non notare che questa parola produceva su di lui uno strano effetto. Era visibilmente imbarazzato. Abbassò la testa, e, per nascondere il proprio turbamento, si affannò ad aprire la borsa di tabacco appesa all’impugnatura del suo coltello da caccia. – No, non andare a Dovgelli, – riprese la vecchia. – La colombella bianca non è roba per te. Non è vero, Perkuns? In quel momento, la testa del serpente sbucò dal colletto del vecchio pastrano e si allungò fino all’orecchio della padrona. Il rettile, certamente addestrato a quel compito, muoveva le mandibole come se parlasse. 48 Nel novero di vocaboli che rendono l’idea della scienza del professore e del rispetto a lui dovuto, il conte inserisce vaidelot, che era un antico sacerdote-cantore lituano, il quale raccontava in versi al popolo le vicende degli avi durante particolari solennità. (N.d.T.) 49 Secondo i racconti polacchi, dopo il leone, diventerà re della foresta un uro, un bisonte o un orso, quindi la vecchia vede nel conte un possibile erede al trono. (N.d.T.) 50 Pipa era una antica misura di capacità per i liquidi oppure un naso grosso. Qui sta a significare un’abbondante presa di tabacco da fiutare o masticare. (N.d.T.). 51 L’Autore scrive “Dowghielly” riproducendo, come nelle altre parole straniere citate, la fonetica in francese (cfr. traduzioni in russo dell’opera). (N.d.T.) 18 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it – Dice che ho ragione, – aggiunse la vecchia. Il conte le mise in mano una manciata di tabacco. – Tu mi conosci? – le chiese. – No, mio buon signore. – Sono il padrone di Medintil’tas. Vieni a trovarmi uno di questi giorni. Ti darò tabacco e acquavite. La vecchia gli baciò la mano, e si allontanò a grandi passi. In un attimo la perdemmo di vista. Il conte rimase pensieroso, annodando e slegando i cordoni della borsa, senza accorgersi di quel che facesse. – Professore, – mi disse dopo un silenzio piuttosto lungo, – voi vi prenderete gioco di me. Quella vecchia balorda mi conosce meglio di quanto non faccia intendere, e la strada che mi ha appena mostrato... Dopo tutto, non c’è nulla di così straordinario in tutto ciò. In paese sono conosciuto come il lupo bianco52. Quella balorda mi avrà visto più di una volta sulla strada del castello di Dovgelli... Laggiù abita una signorina da marito: ha concluso che ne fossi innamorato... Inoltre, qualche bel ragazzo le avrà unto la gamba53 perché mi annunciasse una sinistra avventura... Tutto ciò salta agli occhi; tuttavia... mio malgrado, le sue parole mi toccano. Ne sono quasi spaventato... Ridete e avete ragione... La verità è che avevo progettato di andare a chiedere di cenare al castello di Dovgelli, ed ora esito... Sono un gran pazzo! Vediamo, professore, decidete voi stesso. Andiamo? – Mi guarderò bene dall’esprimere un parere, – gli risposi ridendo. – In materia di matrimonio, non do mai consigli. Avevamo raggiunto i nostri cavalli. Il conte saltò rapido in sella e, lasciando cadere le redini, esclamò: – Il cavallo sceglierà per noi! Il cavallo non esitò: infilò immediatamente un piccolo sentiero che, dopo molti giri, uscì su una strada ferrata, e quella strada conduceva a Dovgelli. Una mezz’ora dopo, eravamo alla scalinata del castello. Al rumore che fecero i nostri cavalli, una graziosa testa bionda apparve a una finestra tra due tende. Riconobbi la perfida traduttrice di Miçkiewicz. – Siate i benvenuti! – disse. – Non potevate arrivare più a proposito, conte Szemioth. Mi è arrivato ora un abito da Parigi. Non mi riconoscerete, tanto sarò bella. Le tende si richiusero. Salendo la scalinata, il conte diceva tra i denti: – Certo non è per me che si agghinda con quell’abito... Mi presentò alla signora Dovgello, la zia della panna Ivinska, che mi ricevette affabilmente e parlò dei miei ultimi articoli nella Gazzetta scientifica e letteraria di Königsberg. – Il professore, – disse il conte, – è venuto a lagnarsi con voi della signorina Juliana54, che gli ha giocato un tiro molto crudele. 52 Nelle regioni settentrionali europee e asiatiche vive il Canis lupus albus, detto lupo bianco o grigio, tra i più grandi esistenti. (N.d.T.) 53 «Ungere la gamba» è un modo di dire simile a «Bocca unta non può dir di no». (N.d.T.) 54 Julienne nel testo. (N.d.T.) 19 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it – È una bambina, professore. Bisogna perdonarla. Spesso mi fa disperare con le sue pazzie. A sedici anni io avevo più giudizio di quanto lei ne abbia a venti, ma in fondo è una brava ragazza e ha tutte le più valide qualità. È una bravissima musicista, dipinge divinamente i fiori, parla anche bene il francese, il tedesco, l’italiano... Ricama... – E compone versi in samogizio! – aggiunse il conte ridendo. – Non ne è capace! – esclamò la signora Dovgello, alla quale occorse spiegare la birichinata della nipote. La signora Dovgello era colta e conosceva le antichità del suo paese. La sua conversazione mi piacque tantissimo. Leggeva a fondo le nostre riviste tedesche e aveva valide nozioni di linguistica. Confesso che non mi accorsi del tempo che la signorina Ivinska impiegò a vestirsi, ma sembrò troppo lungo al conte Szemioth, che si alzava, si risedeva, guardava dalla finestra e tamburellava le dita sui vetri come un uomo senza pazienza. Infine, tre quarti d’ora dopo, apparve, seguita dalla governante francese, la signorina Juliana, portando con grazia e fierezza un abito per la cui descrizione sarebbero necessarie conoscenze ben superiori alle mie. – Non sono bella? – chiese al conte girandosi lentamente su se stessa perché potesse vederla da ogni lato. Ella non guardava né il conte, né me, guardava il suo vestito. – Come, Iulka, – disse la signora Dovgello, – non dai il buongiorno al professore che è qui per lagnarsi di te? – Ah! professore! – esclamò con una piccola e graziosa smorfia, – che cosa ho dunque fatto? Mi metterete in castigo? – Ci metteremmo in castigo noi stessi, signorina, – le risposi, – se ci privassimo della vostra presenza. Sono lungi dal lagnarmi; al contrario, mi rallegro di aver appreso, grazie a voi, che la musa lituana è rinata più brillante che mai. Ella abbassò la testa e, mettendo le mani davanti al viso, premurandosi di non scompigliare i capelli: – Perdonatemi, non lo farò più! – disse con il tono di un bambino che vuole la marmellata. – Non vi perdonerò, cara Pani55, – le risposi, – che quando avrete compiuto una certa promessa che avete voluto farmi a Wilno, dalla principessa Katarzyna Paç. – Quale promessa? – disse, sollevando la testa ridendo. – L’avete già dimenticato? Mi avete promesso che, se ci fossimo incontrati in Samogizia, mi avreste mostrato una certa danza del paese della quale tessevate meraviglia. – Oh! la rusalka! Ne sarò onorata, e qui c’è proprio l’uomo che mi occorre. Corse a un tavolo su cui erano dei quaderni di musica, ne sfogliò uno precipitosamente, lo mise sul leggio di un pianoforte, e, indirizzandosi alla governante: 55 Pani, in polacco, significa “signora”. È evidente il tono scherzoso del professore. (N.d.T.) 20 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it – Tenete, anima cara, allegro presto56. E suonò lei stessa, senza sedersi, il ritornello per indicare il movimento. – Venite qui, conte Michail; voi siete troppo lituano per non ballare bene la rusalka... ma dovete ballare come un contadino, chiaro? La signora Dovgello fece qualche rimostranza, ma invano. Il conte e io insistevamo. Egli aveva le sue ragioni, poiché il suo ruolo, in quel ballo, era tra i più piacevoli, come si vide presto. La governante, dopo alcune prove, disse che credeva di potere suonare quella specie di valzer, per quanto le fosse sconosciuto, e la signorina Ivinska, sistemando alcune sedie e un tavolo che avrebbero potuto ostacolarla, prese il suo cavaliere per il bavero e lo portò in mezzo al salone. – Sappiate, professore, che sono una rusalka, per servirvi. Fece un gran riverenza. – Una rusalka è una ninfa delle acque. Ce n’è una in tutti quegli stagni pieni d’acqua nera che abbelliscono le nostre foreste. Non vi avvicinate! La rusalka esce, ancora più graziosa di me, se è possibile; vi porta nel fondo dove, in base a ogni apparenza, vi divora... – Una vera sirena! – esclamai57. – Lui, – continuò la signorina Ivinska indicando il conte Szemioth, – è un giovane pescatore, molto stupido, che si espone alle mie grinfie e io, per far durare il piacere, lo ammalierò ballando un po’ attorno a lui... Ah! ma, per fare meglio, mi occorrerebbe un sarafan58. Che guaio!... Vorrete scusare quest’abito, che non ha il carattere, né il colore locale... Oh! e ho le scarpe! impossibile ballare la rusalka con le scarpe!... e con i tacchi poi! Sollevò il vestito e, scuotendo con molta grazia un grazioso piedino, a rischio di mostrare un po’ la gamba, scaraventò la scarpa in fondo al salone. L’altra seguì la prima ed ella restò sul parquet con le calze di seta. – Tutto è pronto, – disse alla governante. E la danza cominciò. La rusalka gira e rigira attorno al suo cavaliere. Tende le braccia per afferrarlo, passa sotto di lui e gli sfugge. Ciò è molto piacevole e la musica ha movimento e originalità. La figura si conclude quando il cavaliere crede di poter afferrare la rusalka per darle un bacio; ella fa un salto colpendolo sulla spalla ed egli cade ai suoi piedi come morto... Ma il conte improvvisò un’alternativa, che fu di stringere la birichina tra le braccia e abbracciarla ben bene. La signorina Ivinska dette un piccolo grido, arrossì molto e andò a gettarsi su un divano con aria imbronciata, lagnandosi perché l’aveva stretta come l’orso che era. Vidi che il raffronto non piacque al conte, poiché 56 In italiano nel testo. (N.d.T.) 57 Figura femminile di incantevole bellezza e perfidamente vendicativa, la rusalka (plurale: rusalki) era, nel folclore della Russia centro-meridionale, lo spirito dei bambini non ancora nati o, più spesso, delle donne morte prematuramente o per suicidio a causa di un amore infelice. Nel Nord Europa, le figure equivalenti – ondine e sirene – erano spiriti dei luoghi, ma senza l’anima immortale, come ne La Sirenetta di Hans Christian Andersen, fiaba pubblicata nel 1837. (N.d.T.) 58 Il sarafan era il tradizionale vestito scamiciato delle donne russe. (N.d.T.) 21 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it gli ricordava una disgrazia di famiglia; il suo volto si rabbuiò. Quanto a me, ringraziai vivamente la signorina Ivinska ed elogiai la sua danza, che mi sembrò avere un carattere molto antico, ricordando le danze sacre dei Greci. Fui interrotto da un domestico che annunciava il generale e la principessa Vel’jaminov. La signorina Ivinska fece un salto dal divano alle scarpe, vi inserì in fretta i piedini e corse davanti alla principessa, alla quale fece, una dopo l’altra, due profonde riverenze. Osservai che in ciascuna sollevava abilmente la zona della scarpa. Il generale portava due suoi ufficiali59 e, come noi, veniva a chiedere l’offerta di un bicchiere. Penso che, in qualunque altro paese, una padrona di casa sarebbe stata un poco imbarazzata di ricevere contemporaneamente sei ospiti inattesi e di buon appetito, ma tale è l’abbondanza e l’ospitalità nelle case lituane che la cena non fu ritardata, penso, non più di mezz’ora. Solamente, c’erano troppi pasticci caldi e freddi. IV La cena fu molto allegra. Il generale ci dette informazioni molto interessanti sulle lingue che si parlano nel Caucaso, alcune delle quali sono ariane e altre turaniche, benché tra le varie popolazioni ci sia notevole similitudine di usi e costumi. Anch’io fui obbligato a parlare dei miei viaggi, perché, essendosi il conte Szemioth congratulato con me per il modo con cui montavo a cavallo ed avendo detto che non aveva mai incontrato un ministro di culto né un professore capace di superare così bene una tratta come quella che avevamo appena concluso, io gli dovetti spiegare che, incaricato dalla Società Biblica di un lavoro sulla lingua dei Charruas60, avevo passato tre anni e mezzo nella repubblica dell’Uruguay, quasi sempre a cavallo e vivendo nelle pampa con gli Indios. È così che fui invitato a raccontare che mi smarrii tre giorni in quelle sconfinate pianure, senza viveri né acqua, costretto a fare come i gauchos61 che mi accompagnavano, cioè a tagliare una vena del mio cavallo e a bere il suo sangue. Tutte le signore gettarono un grido di orrore. Il generale osservò che i Calmucchi62 si comportavano allo stesso modo in simili avversità. Il conte mi chiese come avevo trovato quella bevanda. – Dal punto di vista morale, – risposi, – mi ripugnava moltissimo, ma, da quello fisico, mi trovai bene ed è a quello che devo l’onore di cenare qui 59 Gli aides-de-champ (così nel testo originale) erano gli ufficiali che fungevano da segretari personali di un superiore. (N.d.T.) 60 I Charrúas erano una tribù indigena che viveva in Uruguay lungo il Rio de la Plata. Furono decimati dagli Spagnoli nel XVI secolo e sterminati nell’aprile-agosto 1831 da Fructuoso Rivera (cfr. nota 63) e da suo nipote Bernabé. (N.d.T.) 61 Mandriani dell’America Latina. (N.d.T.) 62 I Calmucchi erano una tribù nomade che controllò, nel XVII secolo, l’Europa orientale e l’Asia centrale dopo i Tatari. In seguito, i Calmucchi che abitavano a ovest dei fiumi Volga e Ural si assoggettarono ai Russi, stanziandosi nella regione caucasica. (N.d.T.) 22 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it oggi. Molti Europei, voglio dire i bianchi, che hanno a lungo vissuto con gli Indios, si abituano e vi prendono anche gusto. Il mio ottimo amico, don Fructuoso Rivera, presidente della Repubblica63, tralascia di rado l’occasione di soddisfarlo. Mi ricordo che un giorno, mentre si recava al congresso in alta uniforme, passò dinanzi ad un rancho64 dove si stava salassando un puledro. Egli si fermò, scese da cavallo per chiedere un chupón, una succhiata, dopodiché pronunciò uno dei suoi discorsi più eloquenti. – È un mostro orribile quel vostro presidente! – esclamò la signorina Ivinska. – Perdonatemi, cara Pani, – le dissi, – è un uomo molto distinto, di spirito superiore. Parla a meraviglia molte lingue indiane che sono difficilissime, soprattutto il charrua, per le innumerevoli forme che assume il verbo, a seconda del caso diretto o indiretto e anche delle relazioni sociali che esistono tra le persone che lo parlano. Stavo fornendo alcune precisazioni assai curiose sul meccanismo del verbo charrua, ma il conte mi interruppe per chiedermi in che punto si doveva salassare i cavalli quando si voleva bere il loro sangue. – Per l’amor di Dio, mio caro professore, – esclamò la signorina Ivinska con un’aria di terrore comico, – non glielo dite! È uomo capace di uccidere tutta la sua scuderia e di mangiare noi quando non avrà più cavalli! Dopo questa battuta, le signore lasciarono la tavola ridendo, per andare a preparare il tè e il caffè, mentre noi fumavamo. Dopo un quarto d’ora, dal salone mandarono a chiamare il generale. Volevamo seguirlo tutti, ma ci dissero che le signore volevano un solo uomo alla volta. Presto, sentimmo nel salone grandi scrosci di risate e battimani. – Iulka ne fa qualcuna delle sue, – disse il conte. Vennero a chiamare lui; nuove risate, nuovi applausi. Poi fu il mio turno. Quando entrai nel salone, tutti i presenti ostentavano una gravità che non prometteva nulla di buono. Mi aspettavo qualche scherzo. – Professore, – mi disse il generale con il suo tono più ufficiale, – queste signore sostengono che abbiamo fatto troppo onore allo champagne, e non vogliono ammetterci da loro se non dopo una prova. Si tratta di andare a occhi bendati dal centro del salone fino a quel muro, e di toccarlo con un dito. Vedete che la cosa è semplice, basta camminare diritto. Siete nello stato di seguire una linea retta? – Lo penso, generale. Immediatamente, la signorina Ivinska mi pose un fazzoletto sugli occhi e lo strinse dietro con tutta la sua forza. – Siete in mezzo al salone, – disse, – stendete la mano... Bene! Scommetto che non toccherete il muro. 63 José Fructuoso Rivera (1784-1854) fu il primo presidente costituzionale dell’Uruguay dal 6 novembre 1830 al 24 ottobre 1834. Come detto nella nota 60, nel 1831 fece sterminare i Charrúas (tranne sette che riuscirono a fuggire). Di conseguenza, Mérimée, accennando all’amicizia del professore con Rivera e alle sue ricerche, colloca Lokis nei primi tre mesi del 1831 e non nel 1866 come scritto all’inizio dell’opera. (N.d.T.) 64 Tenuta agricola o fattoria, in spagnolo. (N.d.T.) 23 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it – Avanti, march! – ordinò il generale. Non c’erano che cinque o sei passi da fare. Avanzai molto lentamente, persuaso di incontrare qualche fune o uno sgabello messo a tradimento sul percorso per farmi inciampare. Sentivo delle risa soffocate che aumentarono il mio imbarazzo. Infine, mi credevo prossimo alla parete quando il mio dito, che tendevo in avanti, entrò improvvisamente in qualcosa di freddo e di viscoso. Feci una smorfia e un salto indietro, che fece sbottare tutti i presenti. Strappai la benda e scorsi vicino a me la signorina Ivinska che teneva un vaso di miele dove avevo infilato il dito credendo di toccare il muro. La mia consolazione fu di vedere i due ufficiali passare per la stessa prova e non mostrare migliori capacità di me. Durante il resto della sera, la signorina Ivinska non cessò di dar sfogo al suo umore scherzoso. Sempre beffarda, sempre vivace, prendeva ora l’uno ora l’altro per oggetto dei suoi scherzi. Osservai, tuttavia, che si rivolgeva per lo più al conte, che, devo dirlo, non si offendeva mai e, anzi, sembrava prendere piacere alle sue moine. Al contrario, quando ella s’attaccava a uno degli ufficiali, lui corrugava il sopracciglio e vedevo il suo occhio brillare di quel fuoco scuro che in realtà aveva qualcosa di spaventoso. «Vivace come una gatta e bianca come la crema». Mi sembrava che scrivendo questo verso Miçkiewicz intendesse fare il ritratto della panna Ivinska. V Ci si ritirò abbastanza tardi. In molte grandi case lituane, si vedono un’argenteria magnifica, bei mobili, tappeti persiani preziosi, ma non ci sono, come nella nostra cara Germania, buoni letti da offrire a un ospite stanco. Ricco o povero, gentiluomo o contadino, uno slavo sa dormire molto bene su una panca. Il castello di Dovgelli non fa affatto eccezione alla regola generale. Nella camera in cui ci condussero, il conte e io, non c’erano che due divani ricoperti di marocchino. La cosa non mi spaventava affatto, perché, nei miei viaggi, avevo spesso dormito sulla nuda terra, e sorrisi delle esclamazioni del conte sulla mancanza di civiltà dei suoi compatrioti. Un domestico venne a toglierci gli stivali e ci diede vesti da camera e pantofole. Il conte, dopo essersi tolti i vestiti, passeggiò per un po’ in silenzio, poi fermandosi di fronte al divano su cui mi ero già disteso: – Cosa ne pensate, – mi disse, – di Iulka? – La trovo incantevole. – Sì, ma così civetta!... Credete che abbia realmente una simpatia per quel piccolo capitano biondo? – L’ufficiale?... Come potrei saperlo? – È un borioso!... dunque, deve piacere alle donne. – Nego la conclusione, conte. Volete che vi dica la verità? La signorina Ivinska ha molta più simpatia per il conte Szemioth che per tutti gli ufficiali dell’esercito. Arrossì senza rispondermi, ma mi sembrò che le mie parole gli avessero 24 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it fatto vivo piacere. Passeggiò ancora un po’ senza parlare, poi guardando l’orologio: – In fede mia, – disse, – faremmo meglio a dormire, è tardi. Prese il suo fucile e il coltello da caccia, che erano stati portati nella nostra camera, e li mise in un armadio da cui tolse la chiave. – Volete tenerla? – mi disse consegnandomela con mia gran sorpresa, – potrei dimenticarla. Indubbiamente, avete più memoria di me. – Il migliore mezzo per non dimenticare le vostre armi, – gli suggerii, – sarebbe di metterle su quel tavolo, vicino al vostro divano. – No... Vedete, a essere sincero, non amo avere armi vicino quando dormo... E la ragione è questa. Quando ero tra gli ussari di Grodno, una volta dormii nella stessa camera con un compagno, le mie pistole erano su una sedia accanto a me. La notte, mi sono svegliato a causa di una detonazione. Avevo una pistola in mano, avevo fatto fuoco e la pallottola era passata a due dita dalla testa del mio compagno... Non mi sono mai ricordato il sogno che avevo fatto. Questo aneddoto mi turbò un po’. Ero convinto che non avrei ricevuto alcuna pallottola in testa, ma, se consideravo l’alta statura del mio compagno, le sue spalle erculee e le braccia nerborute coperte di nera peluria, non potevo fare a meno di riconoscere che era perfettamente in grado di strangolarmi con le sue stesse mani se avesse fatto un brutto sogno. Tuttavia, mi guardai dal mostrargli la minima preoccupazione, mi limitai a poggiare una candela su una sedia accanto al mio divano e mi apprestai a leggere il Catechismo di Lawicki che avevo portato. Il conte mi augurò la buonanotte, si distese sul divano, si rivoltò cinque o sei volte; infine, sembrò assopirsi raggomitolato come l’amante di Orazio che, rinchiuso in una cassa, tocca la testa con le ginocchia: ...Turpi clausus in arca, Contractum genibus tangas caput...65 Ogni tanto sospirava con forza, o faceva sentire una specie di rantolo nervoso che attribuivo alla strana posizione che aveva assunto per dormire. Passò forse un’ora. Mi assopii anch’io. Chiusi il libro e mi sistemai alla meglio sul mio giaciglio, quando uno strano risolino del mio vicino mi fece trasalire. Guardai il conte. Aveva gli occhi chiusi, tutto il suo corpo fremeva e dalle sue labbra semiaperte uscivano alcune parole appena articolate: – Freschissima!... bianchissima!... Il professore non sa quel che dice... Il cavallo non vale nulla... Che ghiotto boccone!... Quindi si mise a mordere selvaggiamente il cuscino su cui posava la testa e, allo stesso tempo, emise una specie di ruggito così forte che si svegliò. Quanto a me, rimasi immobile sul divano fingendo di dormire. Ma lo guardavo. Egli si sedette, si sfregò gli occhi, sospirò tristemente e rimase circa un’ora senza cambiare posizione, assorto come sembrava nelle sue 65 «rannicchiato nell’arca sudicia / che le ginocchia ti toccano il capo», in Orazio, Satire, Libro II, VII. (N.d.T.) 25 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it riflessioni. Ero molto a disagio e in cuor mio mi ripromisi di non dormire mai più accanto al conte. Alla lunga, tuttavia, la stanchezza trionfò sulla preoccupazione e, quando arrivò mattina e vennero in camera a svegliarci, dormivamo entrambi profondamente. VI Dopo colazione, rientrammo a Medintil’tas. Avendo trovato il dottor Fröber da solo, gli dissi che credevo il conte malato, che aveva sogni spaventosi, che era forse sonnambulo e che poteva essere pericoloso in quello stato. – Mi sono accorto di tutto questo, – mi disse il medico. – Con quella sua struttura atletica, è nervoso come una bella donna. Forse ha preso da sua madre... Lei è stata maledettamente inquieta questa mattina... Non credo molto alle storie di paura e di voglie delle donne incinte, ma quello che è certo è che la contessa è maniaca, e la mania si trasmette con il sangue... – Ma il conte, – ripresi, – è perfettamente ragionevole, ha la mente a posto, è colto, molto più di quanto avessi creduto, lo riconosco, ama la lettura... – D’accordo, d’accordo, mio caro signore, ma è spesso bizzarro. A volte si rinchiude per parecchi giorni, spesso vaga la notte, legge dei libri incredibili... sulla metafisica tedesca... la fisiologia, che so! Ancora ieri gli è arrivato un pacco da Lipsia. Devo parlare schietto? un Ercole ha bisogno di una Ebe66. Qui ci sono contadine molto graziose... Il sabato sera, dopo il bagno, le si scambierebbero per principesse... Non ce n’è una sola che non sarebbe fiera di distrarre sua signoria. Alla sua età, io, il diavolo mi porti!... No, lui non ha amanti, non si sposa e sbaglia. Gli servirebbe un diversivo. Il grossolano materialismo del medico mi urtò nel profondo, perciò chiusi bruscamente la conversazione dicendogli che mi auguravo che il conte Szemioth trovasse una sposa degna di lui. Non è senza sorpresa, lo confesso, che dal medico avevo appreso il gusto del conte per gli studi filosofici. Che quell’ufficiale degli ussari, quell’appassionato cacciatore leggesse opere di metafisica tedesca e di fisiologia sconvolgeva le mie idee. Tuttavia, il dottore aveva detto il vero e, quel giorno stesso, ne ebbi la prova. – Come spiegate, professore, – mi disse improvvisamente il conte verso la fine del pranzo, – come spiegate la dualità o duplicità della nostra natura?... E, poiché s’accorse che non lo capivo perfettamente, riprese: – Non vi siete mai trovato in cima a una torre o sull’orlo di un precipizio, avendo allo stesso tempo la tentazione di lanciarvi nel vuoto e una sensazione di terrore assolutamente opposta?... – Si può spiegare con ragioni fisiche, – cominciò il dottore; – in primo 66 Dea della giovinezza, figlia di Zeus e di Era, Ebe sposò Eracle (Ercole per i Romani) quando questi, dopo le mitiche dodici fatiche, assurse all’Olimpo degli immortali. (N.d.T.) 26 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it luogo, la stanchezza che si prova dopo una marcia ascendente determina un afflusso di sangue al cervello, che... – Lasciamo da parte il sangue, dottore, – esclamò il conte con impazienza, – e prendiamo un altro esempio. Avete un’arma da fuoco caricata. Il vostro migliore amico è lì. Vi assale l’idea di piantargli una pallottola in testa. Voi avete il massimo orrore per l’assassinio e tuttavia ne avete la tentazione. Credo, signori, che se tutti i pensieri che ci vengono in mente nello spazio di un’ora... credo che se tutti i vostri pensieri, professore, che io ritengo un sapiente, fossero scritti, essi riempirebbero forse un volume in folio, in base al quale non ci sarebbe avvocato che non riuscirebbe a ottenere la vostra interdizione, né un giudice che non vi metterebbe in prigione o in manicomio. – Quel giudice, conte, non mi condannerebbe certamente per avere cercato questa mattina, per più di un’ora, la legge misteriosa secondo cui i verbi slavi prendono il senso del futuro nel combinarsi con una preposizione, ma, se per caso avessi avuto qualche altro pensiero, quale prova otterreste contro di me? Io non sono padrone dei miei pensieri più di quanto lo sia degli accidenti esterni che me li suggeriscono. Di ciò che un pensiero suscita in me, non deriva necessariamente un tentativo di realizzazione e nemmeno una decisione. Non ho mai avuto l’idea di uccidere qualcuno, ma, se mi venisse il pensiero di un omicidio, non ho la ragione per allontanarlo? – Parlate della ragione con molto agio, ma è sempre là, come dite, pronta a dirigerci? Affinché la ragione parli e si faccia obbedire, occorre la riflessione, cioè tempo e sangue freddo. Si hanno sempre l’uno e l’altro? In un combattimento, mi vedo arrivare addosso una palla di cannone che rimbalza, io mi scanso e scopro il mio amico, per il quale avrei dato la mia vita se avessi avuto il tempo di riflettere... Provai a ricordargli i nostri doveri di uomini e di cristiani e che è per noi necessario imitare il guerriero della Scrittura, sempre pronto al combattimento; inoltre gli feci notare che, lottando incessantemente contro le nostre passioni, acquisiamo nuova forza per indebolirle e dominarle. Non riuscii, temo, che a ridurlo al silenzio, non sembrava convinto. Rimasi ancora una decina di giorni al castello. Feci un’altra visita a Dovgelli, ma non vi pernottammo. Come la prima volta, la signorina Ivinska si mostrò birichina e viziata. Ella esercitava sul conte una sorta di fascinazione e non dubitai più che egli ne fosse profondamente innamorato. Tuttavia, egli ne conosceva perfettamente i difetti e non si faceva illusioni. La sapeva civetta, frivola, indifferente verso tutto ciò che non fosse divertimento. Spesso mi accorgevo che intimamente soffriva di saperla così poco ragionevole, ma bastava una qualche sua moina e lui dimenticava tutto, il suo volto si illuminava e irradiava gioia. La vigilia della mia partenza volle portarmi un’ultima volta a Dovgelli, forse perché rimanessi a conversare con la zia mentre lui andava a passeggiare in giardino con la nipote, ma avevo molto da fare e mi scusai, nonostante la sua insistenza. Ritornò per cena, benché ci avesse detto di non aspettarlo. Si mise a tavola e non riuscì a mangiare. Per tutto il pasto, fu cupo e di pessimo umore. Di 27 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it tanto in tanto, aggrottava le sopracciglia e i suoi occhi prendevano un’espressione sinistra. Quando il dottore uscì per recarsi dalla contessa, il conte mi seguì in camera, e mi disse tutto quello che aveva nel cuore. – Sono molto pentito, – esclamò, – di avervi lasciato per andare da quella piccola pazza, che si burla di me e non ama che facce nuove, ma fortunatamente tutto è finito tra noi, ne sono profondamente disgustato, non la rivedrò più... Passeggiò su e giù per un po’, come sua abitudine, quindi riprese: – Avete creduto forse che ne fossi innamorato? È ciò che pensa quell’imbecille del dottore. No, non l’ho mai amata. Il suo volto ridente mi divertiva. Mi piaceva guardare la sua pelle bianca... Ecco tutto ciò che c’è di buono in lei... la pelle soprattutto. Niente cervello. Io non ho mai visto in lei che una deliziosa bambola, bella da guardare quando ci si annoia e non si ha un libro nuovo... Certamente si può dire che è una bellezza... La sua pelle è meravigliosa!... Professore, il sangue che corre sotto quella pelle deve essere migliore di quello di un cavallo... non pensate? E scoppiò in una risata, ma questo riso faceva male a sentirlo. Il giorno dopo presi congedo da lui per continuare le mie ricerche nel nord del Palatinato. VII Trascorsero circa due mesi e posso dire che non c’è villaggio in Samogizia dove non mi sia fermato e non abbia raccolto qualche documento. Che mi sia permesso di cogliere l’occasione per ringraziare gli abitanti di questa provincia e, in particolare, gli ecclesiastici, per l’aiuto davvero premuroso che hanno accordato alle mie ricerche e gli eccellenti contributi che hanno arricchito il mio dizionario. Dopo un soggiorno di una settimana a Šiaulē67, mi proponevo di imbarcarmi a Klajpeda (porto che noi chiamiamo Memel68) per tornare a casa, quando ricevetti dal conte Szemioth la seguente lettera, portatami da uno dei suoi cacciatori: «Professore, permettetemi di scrivervi in tedesco. Farei ancora più solecismi se vi scrivessi in samogizio e voi perdereste ogni considerazione per me. Non so quanta ne abbiate e la notizia che sto per comunicarvi non l’aumenterà. Senza altri preamboli, mi sposo e voi indovinate bene con chi. Giove ride dei falsi giuramenti degli amanti69. Così fa Perkuns, il nostro Giove samogizio. È dunque la signorina Juliana Ivinska che sposo l’8 del mese prossimo. Sareste il più amabile degli uomini se voleste partecipare alla cerimonia. Tutti i contadini di Medintil’tas e dintorni verranno al mio castello 67 Šiaulē è il nome samogizio della città lituana di Šiauliai, al confine con la Lettonia. (N.d.T.) 68 Si ricorderà che a Memel (cfr. nota 11) era nato il dottor Fröber. (N.d.T.) 69 Publio Ovidio Nasone, L’arte di amare, I, 633. (N.d.T.) 28 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it a mangiare alcuni buoi e innumerevoli maiali e, quando saranno ubriachi, balleranno su quel prato a destra del viale che conoscete. Vedrete usi e costumi degni della vostra attenzione. Mi fareste un immenso piacere e anche a Juliana. Aggiungerò che un vostro rifiuto ci getterebbe nel più triste imbarazzo. Sapete che appartengo alla comunione evangelica, come la mia fidanzata, ma il nostro ministro, che abita a una trentina di miglia, è chiuso in casa per la gotta, e ho osato sperare che vorreste officiare al suo posto. Credetemi, mio caro professore, il vostro devotissimo Michail Szemioth» In calce alla lettera, sottoforma di post scriptum, una gentile mano femminile aveva aggiunto in samogizio: «Io, musa della Lituania, scrivo in samogizio. Michail è un impertinente a dubitare del vostro consenso. Non ci sono che io, infatti, tanto pazza da volere un ragazzo come lui. Vedrete, signor professore, l’8 del mese prossimo, una sposa alquanto chic. Questa non è una parola in samogizio, è in francese. Non abbiate però distrazioni durante la cerimonia!» Né la lettera, né il post scriptum mi piacquero. Trovai che i fidanzati mostrassero una leggerezza imperdonabile per un’occasione così solenne. Tuttavia, come rifiutare? Confesserò anche che lo spettacolo annunciato mi induceva in tentazione. Secondo le apparenze, nel gran numero di nobili che si sarebbero riuniti al castello di Medintil’tas, non avrei faticato a trovare persone colte che mi avrebbero fornito utili indicazioni. Il mio glossario samogizio era molto ricco, ma il senso di alcune parole apprese dalla voce di grezzi contadini rimanevano ancora per me avvolti in una parziale oscurità. L’insieme di queste considerazioni ebbe sufficiente forza per spingermi ad accettare la richiesta del conte e gli risposi che la mattina dell’8 sarei stato a Medintil’tas. Quanto ebbi a pentirmene! VIII Entrando nel viale del castello, scorsi un gran numero di signore e di signori in abiti da mattina, riuniti sulla scalinata o che passeggiavano nei vialetti del parco. La corte era piena di contadini vestiti a festa. Il castello era decorato di festa: ovunque fiori, ghirlande, bandiere e festoni. L’intendente mi condusse nella camera al piano terreno che mi era stata preparata, chiedendomi scusa di non potermi offrire la più bella, ma c’era tanta gente al castello che era stato impossibile conservarmi l’appartamento che avevo occupato nel mio primo soggiorno e che era stato destinato alla moglie della maresciallo della nobiltà70; d’altronde, la mia nuova camera era molto 70 Con la riforma dei governatorati (1775) voluta da Caterina II la Grande, la nobiltà godette, sia a livello di governatorato che di distretto, di propri organi, come il maresciallo della nobiltà e l’assemblea aristocratica del governatorato, che presiedevano il settore della salute e sicurezza pubblica. (N.d.T.) 29 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it dignitosa, con vista sul parco e sotto all’appartamento del conte. Mi vestii in fretta per la cerimonia e rimisi il mantello, ma né il conte, né la sua fidanzata comparivano. Il conte era andato a cercarla a Dovgelli. Da tempo, avrebbero dovuto essere arrivati, ma la toeletta di una sposa non è un affare da poco. Intanto, il dottore informava gli ospiti che il pranzo sarebbe stato servito dopo la funzione religiosa e, quindi, gli appetiti troppo impazienti avrebbero fatto bene a trovar soddisfazione a un buffet fornito di dolci e di qualunque tipo di liquore. In questa occasione, osservai quanto l’attesa stimoli la maldicenza: due madri di graziose signorine invitate alla festa non risparmiavano battute contro la sposa. Era passato mezzogiorno quando una scarica di fucili a salve segnalò il suo arrivo e, subito dopo, una carrozza di gala entrò nel viale, trascinata da quattro splendidi cavalli. Dalla schiuma che copriva il petto, era facile capire che il ritardo non era dovuto a loro. Nella carrozza non c’erano che la sposa, la signora Dovgello e il conte. Egli scese e porse la mano alla signora Dovgello. La signorina Ivinska, con un movimento pieno di grazia e di civetteria infantile, fece finta di nascondersi sotto lo scialle per sfuggire agli sguardi curiosi che la circondavano da ogni lato. Nondimeno si alzò in piedi nella carrozza e andò a prendere la mano del conte, allorquando i cavalli alla stanga, forse spaventati dalla pioggia di fiori lanciati dai contadini alla sposa e forse perché provavano quello strano terrore che il conte Szemioth incuteva agli animali, si scrollarono e una ruota urtò la colonnina ai piedi della scalinata, e per un attimo si temette che stesse per succedere un incidente. La signorina Ivinska si lasciò sfuggire un gridolino... Fummo ben presto rassicurati. Il conte, prendendola fra le braccia, la portò fino in cima alla scalinata così facilmente che pareva reggesse una colomba. Applaudimmo tutti alla sua prontezza e alla sua cavalleresca galanteria. I contadini gridarono degli evviva formidabili; la sposa, tutta rossa, rideva e tremava allo stesso tempo. Il conte, per nulla impaziente di sbarazzarsi del suo piacevole carico, sembrava trionfare mostrandola alla folla che lo circondava... All’improvviso, una donna di alta statura, pallida, magra, con gli abiti in disordine, i capelli scompigliati e i lineamenti contratti dal terrore, apparve in cima alla scalinata, senza che nessuno potesse sapere da dove venisse. – All’orso! – gridava con una voce stridula, – all’orso! i fucili!... Porta via una donna! uccidetelo! fuoco! fuoco! Era la contessa. L’arrivo della sposa aveva richiamato tutti sulla scalinata, nella corte o alle finestre del castello. Anche le donne che sorvegliavano la povera pazza avevano dimenticato la loro consegna, così era fuggita e, senza essere vista, era arrivata fra noi. Fu una scena molto penosa. La si allontanò, nonostante le sue grida e la resistenza. Molti invitati non conoscevano la sua malattia. Si dovette dar loro spiegazioni. Si sussurrò a lungo a bassa voce. Tutti i visi erano rattristati. «Cattivo presagio» dicevano le persone superstiziose, e queste sono in gran numero in Lituania. Intanto, la signorina Ivinska chiese cinque minuti per vestirsi e mettere 30 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it il velo da sposa, operazione che durò una buona ora. Era più di quanto sarebbe stato necessario perché gli invitati che ignoravano la malattia della contessa fossero ben bene informati sulla causa e nei dettagli. Infine, la sposa riapparve, magnificamente agghindata e coperta di diamanti. Sua zia la presentò agli ospiti e quando fu il momento di passare in cappella, con mia gran sorpresa, in presenza di tutta la società, la signora Dovgello assestò uno schiaffo sulla guancia della nipote, abbastanza forte da richiamare coloro che s’erano distratti. Lo schiaffo fu ricevuto con la massima rassegnazione e nessuno sembrò stupirsene; si mosse solo un uomo vestito di nero che scrisse qualcosa su un foglio di carta portato con sé, quindi alcuni dei presenti lo firmarono con indifferenza. Non fu che alla fine della cerimonia che ebbi la soluzione dell’enigma. Se l’avessi indovinato, non avrei mancato di oppormi, con tutta la forza del mio sacro ministero, a quell’odiosa usanza, che ha lo scopo di predisporre una causa di divorzio, simulando che il matrimonio ha avuto luogo solo in seguito a una violenza materiale esercitata contro una delle parti contraenti. Dopo la funzione religiosa, credetti mio dovere rivolgere alcune parole alla giovane coppia, cercando di mettere dinanzi ai loro occhi la gravità e la santità dell’impegno che li aveva appena uniti e, siccome avevo ancora nel cuore il frivolo post scriptum della signorina Ivinska, le ricordai che ora era entrata in una nuova vita, non più contrassegnata da divertimenti e piacevolezze giovanili, ma colma di seri doveri e gravi prove. Mi sembrò che questa parte della mia allocuzione avesse molto effetto sulla sposa, come sulle persone che comprendevano il tedesco. Salve di armi da fuoco e grida di gioia accolsero il corteo che usciva dalla cappella, quindi si passò in sala da pranzo. Il cibo era magnifico, gli appetiti molto acuti e all’inizio non si sentì che il rumore dei coltelli e delle forchette; poi, grazie ai vini della Champagne e dell’Ungheria, si iniziò a conversare, a ridere e anche a gridare. Si brindò con entusiasmo alla salute della sposa. Appena tutti si sedettero, un vecchio pan71 dai baffi bianchi si alzò e, con voce tonante, disse: – Vedo con dolore, che si perdono le nostre antiche abitudini. Mai i nostri padri avrebbero fatto questo brindisi in bicchieri di cristallo. Si deve bere nella scarpa della sposa e anche nel suo stivaletto, perché, ai miei tempi, le signore portavano stivaletti di marocchino rosso. Amici, mostriamoci ancora dei veri lituani. E tu, signora, degnati di darmi la scarpa. La sposa gli rispose arrossendo, con un risolino soffocato: – Venga a prenderla, signore... ma io non berrò nel tuo stivale. Il pan non se lo fece dire due volte, si mise galantemente in ginocchio, tolse una scarpina di raso bianco dal tacco rosso, la riempì di champagne e bevve così rapidamente e abilmente da non rovesciarne che solo metà sui suoi vestiti. La scarpina passò di mano in mano e tutti gli uomini vi bevvero, ma non senza fatica. Il vecchio gentiluomo reclamò la scarpa come una 71 Pan: signore. (N.d.T.) 31 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it reliquia preziosa e la signora Dovgello fece arrivare una cameriera per riordinare la toeletta di sua nipote. Questo brindisi fu seguito da molti altri e presto i convitati diventarono così rumorosi che non mi sembrò più decoroso rimanere con loro. Mi alzai da tavola senza che nessuno se ne accorgesse e andai a prendere una boccata d’aria fuori del castello, ma anche là trovai uno spettacolo poco edificante. I domestici e i contadini, che avevano avuto birra e acquavite in quantità, erano già quasi tutti ubriachi. C’erano state discussioni e teste rotte. Qua e là, sul prato, degli ubriaconi si rotolavano privi di sentimento e l’aspetto generale della festa assomigliava molto a un campo di battaglia. Sarei stato curioso di vedere da vicino le danze popolari, ma la maggior parte era condotta da zingare insolenti e non ritenni opportuno arrischiarmi in quella gazzarra. Rientrai dunque nella mia camera, lessi un po’, quindi mi spogliai e mi addormentai presto. Quando mi svegliai, l’orologio del castello suonava le tre. La notte era chiara, benché la luna fosse un po’ velata da una leggera foschia. Provai a riprendere sonno, ma non ci riuscii. Secondo le mie abitudini in simili circostanze, volli prendere un libro e studiare, ma non trovai i fiammiferi sottomano. Mi alzai e girai a tentoni nella camera, quando un corpo scuro, molto grosso, passò davanti alla mia finestra e cadde con un rumore sordo nel giardino. La mia prima impressione fu che fosse un uomo e pensai a un ospite ubriaco caduto da una finestra. Aprii la mia e guardai: non vidi nulla. Accesi infine una candela, mi rimisi a letto e ripassai il mio glossario fino al momento in cui mi si portò il tè. Verso le undici, mi recai nel salone, dove trovai molti occhi sbattuti e molti visi sfatti; seppi così che avevano lasciato la tavola molto tardi. Né il conte, né la giovane contessa erano ancora comparsi. Alle undici e mezzo, dopo molti scherzi di pessimo gusto, si cominciò a mormorare, prima sottovoce, poi a voce alta. Il dottor Fröber si prese la briga di mandare un valletto del conte a bussare alla porta del suo padrone. Dopo un quarto d’ora, l’uomo tornò, e, un po’ eccitato, riferì al dottor Fröber che aveva bussato più di una dozzina di volte senza ottenere risposta. Ci consultammo, la signora Dovgello, il dottore e io. La preoccupazione del valletto mi aveva contagiato. Salimmo tutti e tre assieme a lui. Davanti alla porta trovammo la cameriera della giovane contessa tutta spaventata, che affermava che fosse successa qualche disgrazia perché la finestra della signora era spalancata. Mi ricordai con orrore quel corpo pesante caduto dinanzi alla mia finestra. Bussammo forte. Nessuna risposta. Alla fine, il valletto portò una sbarra di ferro e sfondammo la porta... No! mi manca il coraggio di descrivere lo spettacolo che si offrì ai nostri occhi. La giovane contessa era distesa sul letto morta stecchita, il volto terribilmente lacerato, la gola squarciata, inondata di sangue. Il conte era scomparso e nessuno ne ha avuto più sue notizie. Il medico esaminò l’orribile ferita della giovane donna. – Non è una lama d’acciaio, – esclamò, – che ha prodotto questa ferita... È un morso! 32 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Il professor Wittembach richiuse il libro, e guardò il fuoco con aria pensosa. – La storia è finita? – chiese Adelaide. – Finita, – rispose il medico con voce lugubre. – Ma, – ella riprese, – perché l’avete intitolata Lokis? Nessuno dei personaggi si chiama così. – Non è un nome d’uomo, – disse il professore. – Vediamo, Teodoro, sapete che cosa vuol dire Lokis? – Non ne ho idea. – Se aveste approfondito bene la legge di trasformazione dal sanscrito al lituano, avreste riconosciuto in lokis il sanscrito arksha o rksha72. Si chiama lokis, in lituano, l’animale che i Greci chiamano άρκτος, i Latini ursus e i Tedeschi bär. E ora potete comprendere la mia epigrafe: Miszka su Lokiu, Abu du tokiu. Voi sapete che, nel Roman de Renard73, l’orso si chiama Brun. Gli Slavi lo chiamano Michail, Miszka in lituano, e questo soprannome sostituisce quasi sempre il nome generico, lokis. È così che i Francesi hanno dimenticato, a proposito della volpe, il nome neolatino di goupil o gorpil, sostituendovi quello di renard. Vi farò altri esempi... Ma Adelaide osservò che era tardi e si separarono. 72 Nella tradizione indù, rksha (o arksha) significa “orso”, ma anche “stella”, infatti con sapta rksha (sette stelle) si indicava la costellazione delle Pleiadi o, in tempi diversi, quella dell’Orsa Maggiore. (N.d.T.) 73 Il Roman de Renard (Romanzo di Renard) è un’epopea animale, in cui il tema unificatore dei ventisette poemi, di cui è composto, è costituito dalla lotta della volpe Renard e del lupo Ysengrin. Protagonisti sono gli animali, ciascuno dei quali rappresenta un tipo inconfondibile, con caratteristiche, vizi e difetti umani. (N.d.T.) 33 1