Voilà, rapidi infilarsi una domenica sera dentro al

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Voilà, rapidi infilarsi una domenica sera dentro al
Recensioni cinema e film | Persinsala.it
Gianni
Barchiesi
9 marzo 2011
Voilà, rapidi infilarsi una domenica sera dentro al Cinema dei
Piccoli in Roma, a Villa Borghese, uno dei cinema più piccoli del
mondo, se non proprio il più piccolo. L’occasione è la rassegna
I capolavori del cinema mondiale organizzata da Cineteca
Nazionale – Centro Sperimentale di Cinematografia.
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Spostando la tenda per l’ingresso nella sala, proprio mentre le luci calano
e lo schermo viene illuminato dal primo fascio di luce del proiettore, si fa
in tempo a vedere che la piccola saletta è gremita.
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Anteprima rarissima per cinofili selezionati? No, proiezione di Greed
(Rapacità, in italiano), un film del 1924 di Erich von Stroheim ispirato dal
romanzo McTeague di Frank Norris. Pilastro della storia del cinema
reperibile in ogni dove. Ovviamente, vista la data, si tratta di un film muto
ed oltretutto muto nel vero senso del termine, poiché l’unico rumore, in
una sala assorta in un religioso e sacrale silenzio, è quello della pellicola
che gira nel proiettore.
Perché tante persone? Oltretutto un pubblico misto, tutte le età ed ambo i
sessi. Un film di quasi 90 anni fa che, riproiettato, fa più paganti di quanti
ne ha probabilmente fatti, ieri sera stessa, un film “d’oggi”. Forse la
spiegazione è che il prezzo del biglietto al dei Piccoli, che si sta occupando
della programmazione della Cineteca Nazionale, era di molto inferiore alla
media delle sale: ma comunque non giustifica in toto l’avvenimento. La
spiegazione più semplice è che, al di fuori di quello che sembrano dire le
indagini di mercato e il dio del box-office, in verità il pubblico riconosce,
preferisce e premia la qualità, quando la trova o meglio, quando le viene
offerta.
Greed è uno dei film in assoluto meglio girati in tutta la Storia del Cinema:
teso, incalzante, con l’ideale livello di tensione, intelligentemente
stemperata o innalzata, con i giusti criteri e i giusti tempi. Tutta la trama
sarebbe deducibile, e lo sarebbe anche senza le semplici didascalie
interposte alla narrazione: questo perché siamo davanti ad un’opera
cinematografica nel senso più puro del termine, che parla per immagini in
prima istanza (tendenza che molto cinema contemporaneo sembra aver
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ormai dimenticato, salvo perdersi in logorroici e faticosi risultati).
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Von Stroheim girò un film particolarmente raffinato, la cui versione
originale durava circa 8 ore – anche se sembrerebbe ormai andata perduta
-, dunque formalmente riconducibile al cinema da sala, ma già allora
impensabile per quella destinazione. Nonostante i tagli che riducono il film
alla durata di due ore circa, l’opera rimane vibrante e vitale e non c’è mai
un calo dell’attenzione spettatoriale, rapita ora dalle espressioni e dalla
fisicità di Gowland (McTeague) e della Pitts (Trina), ora dalle scelte di regia
(celebri alcune profondità di campo ed alcuni primissimi piani davvero
stranianti), ora dalle scelte di montaggio. Chi pensa che, per il semplice
fatto che non vi sia alcun suono, né di dialogo né di caratterizzazione
musicale, il film possa perdere in valore o in completezza, dovrebbe
vederlo e ricredersi: grazie a questa pietra miliare del cinema si può capire
come il silenzio sia anch’esso una dimensione narrativa e come in realtà
possa sublimare l’opera tutta. Perché, ci teniamo a ripeterlo, il cinema
potrà anche essere diventato sonoro e potrà anche riporre nel sonoro
stesso molte delle sue potenzialità ancora inespresse, ma nasce e rimarrà,
comunque, un mezzo essenzialmente visivo. A riguardo ci viene spontaneo
ricordare come addirittura quello che è probabilmente il più grande
sceneggiatore, ma soprattutto dialoghista vivente, David Mamet, parli
costantemente della necessità di tenere a mente il cinema muto come
ideale di film e dell’importanza di scrivere una sceneggiatura che parli per
azioni e non subisca l’influsso della letteratura.
Questo elogio pressoché totale (ed inevitabile) del film di von Stroheim
non vuole essere, per contrasto, una netta condanna del cinema
contemporaneo che comunque, tra vari conati figli del mercato, ogni tanto
produce – per forza di cose – qualcosa di veramente buono. Essa vuole,
invece, affermare un’idea, ossia che la qualità (che viene dalla passione di
chi lavora) paga sempre e in potenza più di quanto non faccia la quantità o
la bella forma in sé e per sé.
Resta la speranza che qualche produttore nostrano si svegli ed investa là
dove si lavora veramente, e la smettesse di decantare presunte rinascite
del cinema italico, che sono invece solo figlie di promozioni esagerate. In
loro, appare esserci la strisciante convinzione, così facendo, di essere più
furbi del pubblico pagante. Tuttavia, se le cose stessero davvero in questa
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maniera, ieri sera il cinema dei Piccoli sarebbe stato deserto.
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Voto: 9
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E invece…
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Titolo originale: Greed
Regista: Erich von Stroheim
Sceneggiatura: Erich von Stroheim (dal romanzo “McTeague” di Frank
Norris)
Attori principali: Gibson Gowland, Zasu Pitts, Jean Hersholt
Genere: drammatico
Durata: 130’
Costumi: Erich von Stroheim
Fotografia: William Daniels
Montaggio: Jason Farnham, Erich von Stroheim Glenn Morgan
(ricostruzione)
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