Veritas tra le righe
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Veritas tra le righe
XIV Edizione I Colloqui Fiorentini – Nihil Alienum Umberto Saba “Ode la voce che viene dalle cose e dal profondo” 26 – 28 febbraio 2015, Firenze, Palazzo dei Congressi SECONDO CLASSIFICATO SEZIONE TESINA BIENNIO VERITAS TRA LE RIGHE Studenti: Ludovica Amico, Sara Gerini, Nicolò Matteucci, Valeria Puppo Classe V B Ginnasio Liceo "Martin Luther King" Genova Docente Referente Prof.ssa Giulia Del Giudice Motivazione: Un lavoro dettagliato e attento, ricco di domande spesso più ricche di tante facili risposte, e che, al pari di Saba, ripercorre le liriche del poeta e "prova a trovare nel loro profondo la nostra verità: è chi può dire che non sia la stessa del poeta?" Introduzione È assurdo pensare che proprio noi, contando tutti gli anni che intercorrono tra la nostra generazione e un poeta come Saba, possiamo immedesimarci nella sua persona e nelle sue poesie. Abbiamo infatti scoperto, dialogando tra di noi, che molte delle emozioni che traspaiono dalle sue parole sono le stesse che proviamo noi. Dunque non bisogna vederlo come una poeta distante ed irraggiungibile, ma piuttosto come una persona che ci è vicina in esperienze e sentimenti, tanto da poterci immedesimare in lui e proiettare il suo modo di percepire la vita sullo schermo dei nostri giorni. Rabbia, ricerca d’affetto, fratellanza, paura dell’ oblio, malinconia, solitudine, sono tutti sentimenti che spesso viviamo anche noi sulla nostra pelle, a volte per gli stessi motivi di Saba altre per ragioni completamente diverse. Questo ci fa capire che siamo cambiati come umanità dal punto di vista economico e sociale, ma riusciamo a provare le stesse emozioni che provavano poeti come Saba e questo ci fa sentire nostre le parole di Saba, come se lui riuscisse ad esplicitare ciò che noi stiamo provando nel momento in cui leggiamo quella determinata poesia, come se riuscisse a chiarificare quel determinato stato d’animo per il quale noi non troviamo alcuna spiegazione. Possiamo così condividere i nostri pensieri con un poeta come lui e ciò rende i suoi versi e le sue poesie eterni, come lo saranno le emozioni che ha provato e alle quali ha cercato di trovare una risposta non solo per lui ma anche per i posteri. Come Saba cercava una verità all’interno delle sue stesse righe, scritte tempo prima, così anche noi possiamo provare a trovare nel loro profondo la nostra verità: e chi può dire che non sia la stessa del poeta? Ovviamente non concordiamo in tutto e per tutto con il poeta, ma nonostante questo siamo riusciti a trovare dei punti di contatto con il suo Essere. In molte sue poesie Saba riesce a farci cogliere e a sottolineare l’importanza di piccoli particolari che ormai noi sottovalutiamo e quasi non consideriamo. Leggendo le sue parole abbiamo aperto a poco a poco gli occhi e abbiamo lentamente imparato ad osservare la realtà da un’ altra prospettiva, come suggerito da lui, che riusciva a cogliere una grande bellezza in cose sia umili che piccole. […] Guardo e ascolto; però che in questo è tutta/ la mia forza: guardare e ascoltare. (da Meditazione) […] Mamma, c’è un tedio oggi, una sottile/ malinconia, che dalle cose in ogni/ vita s’insinua, e fa umili i sogni/ dell’uomo che il suo mondo ha il suo cuore. (da Mamma) In questi versi vengono esaltati i sogni come elementi umili che si racchiudono però l’essenza autentica degli uomini. […]Ho salito un’erta, / popolosa in principio, in là deserta.. Un cantuccio in cui solo / siedo; e mi pare che dove esso termina/ termini la città./ Trieste ha una scontrosa grazia. Se piace,/ è come un ragazzaccio aspro e vorace, / con gli occhi azzurri e mani troppo grandi / per regalare un fiore; come un amore/ con gelosia. (da Trieste). Qui addirittura Saba personifica Trieste descrivendola con delle caratteristiche fisiche e anche con una propria personalità, come se fosse un ragazzo a lui noto da tempo. Pensate, quindi, a quanto più di bello ci sfugge a causa della nostra sufficienza e dal nostro essere distratti, dalla nostra superficialità per ogni minima cosa. E chissà cosa potremmo scoprire e quale verità potremmo trovare se ci fermassimo, ogni tanto, ad osservare un tramonto o ammirare ciò che la natura ci offre. In effetti la nostra generazione è fortunata per un certo aspetto, poiché qualsiasi cosa si voglia , la si ottiene oppure l’abbiamo già. A noi, e adesso parliamo in generale, non importa come le cose ci siano arrivate e non ci viene spontaneo domandarci il perché della loro esistenza. A gran parte di noi importa solo il risultato, tutto qui, nulla di più. E molto spesso questo comportamento lo adottiamo anche con le persone o animali e talvolta anche cose: finché ci vengono utili li “usiamo”, dal momento in cui perdono il loro valore non ci viene difficile buttarli via o accantonarli in un angolino buio. Molto significativa è stata per noi L’averla, poiché nei suoi versi si manifesta chiaramente la superbia con la quale ci relazioniamo col prossimo, in questo caso un volatile. Particolarmente toccanti ci paiono i seguenti versi : […] Si ricordò di lei solo quel giorno/ Che, per noia o malvagio animo, volle/ stringerla in pugno. La quasi rapace/ gli fece male e s’involò. Quel giorno,/ per quel male l’amò senza ritorno. E’ come se qui Saba ci stesse dicendo “cogli l’attimo, apprezza quel che hai, trattalo come un dono, come il più prezioso che possiedi perché ,chi lo sa, non è detto che tutto resti.” […]Per nausea delle parole vane,/ dei volti senza luce. (da Foglia morta). Questi ultimi versi rispecchiano invece l’avversione di Saba nell’ omologarsi al resto della gente. Anche in questo ci rispecchiamo parecchio. Paradossalmente la nostra generazione si omologa facilmente a determinati modi di parlare, di vestirsi, a determinati modi vivendi. Eppure quante volte ognuno sente forte dentro di sé l’esigenza di distinguersi dalla massa, di scappare dai cliché che ci mostrano tutti conformisti e “pecoroni”? La paura dell’Oblio Cos’è l’oblio? Oblio è un qualcosa di inevitabile, che arriva per tutti in un diverso momento della propria vita. Come lo possiamo vivere noi e averne paura, anche lo stesso Saba ne aveva paura. Ma egli, come traspare dal Canzoniere, lo ha vissuto per tutta la vita; ci rappresenta la sua come una vita immersa nell’oblio più pauroso e terrificante, dal quale lui continua senza sosta a fuggire, in qualsiasi modo possibile. Da una parte cerca nella poesia non solo la verità, ma anche la soluzione per sfuggire all’Oblio. L’essere esclusi, messi in disparte e dimenticati sono le tappe della vita che Saba non intendeva assolutamente attraversare. Eppure eccoci qui, anni dopo di lui, con in mano numerose poesie nelle quali lui continua a fare riferimento alla sua figura dimenticata ed esclusa dalla società. Da questo punto di vista il poeta assume manie di protagonismo, come se fosse stato soltanto lui a vivere queste esperienze di solitudine e cerca quasi compassione negli altri. Invece siamo ancora qui, dopo generazioni e generazioni, a vivere le sue stesse emozioni e a vedere il nostro riflesso tra i suoi versi. E cosa sono quei volti che Saba evidenzia nelle sue poesie? Molte sue opere parlano inoltre di luoghi, di momenti, di persone. Questo perché Saba, per evitare l’Oblio, cerca di stabilire una relazione tra se stesso e gli altri, anche se si tratta di animali o cose, non solo persone. Lui si sente diverso e ‘speciale’, perché vede le cose in modo differente dagli altri ed è incredibile come, attraverso la scrittura, riesca a far andare anche noi oltre le apparenze; riesca a guardare la verità, a creare un’essenza e a non lasciarsi intimidire e condizionare dalle apparenze. Ed è proprio questo suo atteggiamento a renderlo un uomo diverso, più lento ad integrarsi in un determinato ambiente e di conseguenza escluso e discriminato al punto da sentirsi talvolta anche sbagliato: il fatto di non avere il padre (o almeno, non conoscerlo) e non sapere quindi da una parte da dove si viene, lo fa sentire incompleto e quindi non ancora pronto ad affrontare le persone e ad instaurare una relazione con loro, proprio perché neanche lui conosce se stesso. Quando finalmente, raggiunti i vent’anni di età, conobbe il padre “ariano”, capì le sue origine e comprese di essere anche il risultato di due ‘razze’. Questa scoperta gli fece credere ancora più di prima di essere diverso, ma di avere anche ereditato qualcosa di buono dal padre […]Allora ho visto che egli era un bambino,\ e che il dono ch’ io ho da lui l’ho avuto.\Aveva in volto il mio sguardo azzurrino,\un sorriso, in miseria, dolce e astuto.\ Andò sempre pel mondo pellegrino. Si rivede nella figura del padre, anche se non riesce, come lui, a relazionarsi con gli altri. In Mio padre è stato per me l’assassino, Saba è come se fosse grato al padre per il dono che ha ereditato, cioè il dono di essere rimasto bambino, di guardare la realtà con gli occhi di un bambino. Tenta disperatamente di avvicinarsi alla realtà, che per lui altro non è che la vita che gli altri svolgono attorno a lui, così solo e spaventato dalla vita. Lui è troppo diverso, quando la vita reale e normale gli si accosta lui rimane ferito e inizia a scappare e cerca un rifugio tranquillo e solitario. E questo rifugio lo trova nel suo “ cantuccio” di Trieste, dove si affaccia alla vita, ma non scende in piazza. Dall’alto lui la osserva (la vita) e ascolta, dato che gli passa davanti come un treno che vorrebbe prendere ma sul quale alla fine non sale mai. E allora scrive di come se stesso cerchi un contatto e paragoni i suo affetti a cose autentiche nella vita reale, come gli animali. Per il poeta, gli animali sono esseri senza peccato, umili e puri Come Dio li aveva creati ,dice. Saba cerca di fare proprio questo nelle sue poesie, creare un collegamento con le persone e la vita reale scrivendo, pensando di arrivare così all’essenza, al senso ultimo delle cose ed al loro profondo significato. È per lui quindi quasi una necessità creare un qualsiasi tipo di rapporto con il mondo esterno perché, per non cadere vittima dell’oblio non bisogna essere dimenticati, ma è fondamentale essere ricordati. E di sicuro a lui non importava essere ricordato da un numero limitato di persone, o comunque non avrebbe potuto immaginare di poter essere ricordato e lodato da noi, lontani da lui e dalla sua generazione. E’ quindi una grandissima vittoria per Saba quella di essere ancora amato oggi non solo da persone adulte ma anche da ragazzi che riescono a rispecchiarsi in lui. E forse siamo proprio noi ad avere ancora più paura di lui dell’Oblio, che ha sempre spaventato tutta l’umanità. […]Strinse il cuore un rimpianto/ di te; ti chiesi dell’oblio perdono. (da A Lina) Chi non vuole essere conosciuto e ricordato? Possiamo trovare delle analogie con Giacomo Leopardi, catalogato come uomo solo e infelice. Di certo non è un caso che Saba, non solo come poeta ma anche come persona, si rispecchi in quest’altro grandissimo poeta, che sicuramente ha influenzato la sua poesia e che lo ha quasi aiutato a destreggiarsi in determinati temi. Troviamo infatti spesso versi di Saba presenti anche in Leopardi o comunque particolari che ci richiamano alla memoria versi del poeta romantico. Fortunatamente Saba non si concentra per tutta la sua carriera sul “pessimismo”, a differenza del poeta da lui tanto amato, ma dimostra comunque la sua infelicità in numerose composizioni. Saba per certi aspetti potrebbe sembrare un uomo profondamente insicuro, in continua lotta con se stesso, che cerca imperterrito di trovare il suo posto nel mondo e nella letteratura italiana. Potrebbe sembrare che cerchi di ispirarsi a poeti che lo hanno preceduto per cercare di avere successo, però così facendo non riusciva mai a stare al passo dei poeti a lui contemporanei e per questo rimaneva sempre indietro. Questa è diventata una delle sue più famose caratteristiche. Riesce ad esprimere sentimenti ed emozioni in modo non ordinario, riuscendo a mettere in luce certi aspetti o comportamenti che determinate emozioni comportano e che essenzialmente noi non riusciremmo a giustificare, ma sotto la sua ‘guida’ riusciamo a capire le sue intenzioni e ciò che voleva o avrebbe voluto trasmetterci, rivelando elaborate ed imprevedibili percezioni. […]Malinconia amorosa/del nostro cuore,/ come una cura secreta o un fervore/solitario […]Malinconia amorosa/nel giovane che siede/dietro un banco, che vede/chine sulle sue stoffe le più belle/ donne della sua città (da La malinconia amorosa). L’omologazione Saba ripudiava l’ omologazione, poiché aveva capito di essere una persona speciale e non voleva che i suoi talenti e le sue particolarità andassero perdute nel contatto col mondo, ma d’altra parte Saba si sentiva solo e quindi cercava una correlazione tra se stesso e il resto del mondo, e temeva di rimanere solo, e si sentiva abbandonato, per questo si paragona ad aspetti della vita normale, ma senza smettere di nuotare nella sua corsia. E qualche volta forse si sentiva davvero solo e allora malediceva il suo essere diverso, che lo escludeva dal mondo e gli rendeva il cammino della vita così ostico. Ma poi, quando si fermava e osservava il mondo con occhi diversi e più sensibili e si rendeva conto delle cose più profonde, a cui gli altri non riuscivano ad arrivare, allora si rendeva conto di che dono fossero queste doti e quali cose meravigliose gli permettessero di vedere. E allora scrive di cosa rappresentano per lui gli aspetti che vedono le altre persone. Ed è così che nascono le sue poesie, che altro non sono che un’analisi, una narrazione del semplice, per rendere ciò che lui vede dietro ogni cosa e cercare di farlo capire pure a noi. Saba ci lascia questo messaggio: la verità e le cose più belle spesso non sono in evidenza, ma andranno cercate con pazienza e osservando il mondo sinceramente e coi propri occhi soltanto, guardando se stessi senza lasciarsi condizionare e stupendosi degli infiniti aspetti della vita, visibili solo a chi la guarda dal di fuori dal mare della folla, osservandola da infiniti punti di vista, mai da uno solo. […] Solo a volte mi mescolo alle altere/ genti del mondo. E anch’io quei loro affanni /provo: […] Onde poi ritornando all’ oziosa/ pace dei sogni miei lunghi e fatali. (da Così passo i miei giorni). Saba preferisce di gran lunga trovar pace oziando e facendo sogni, sogni lunghi e fatali , chissà perché utilizza proprio quest’aggettivo, forse perché son talmente coinvolgenti da trascinarlo fuori dalla vita reale. Malinconia Nato a Trieste, Saba ha sempre visto in questa città il suo nido, e forse è proprio perché considera Trieste il suo nido che spesso scrisse poesie su uccelli o comunque volatili, dedicando loro un’intera raccolta di poesie. Ma perché affidarsi a persone quando ci sono i luoghi a farci da punto di riferimento? Per lui Trieste era il punto fisso della sua vita: era sicuro che in qualunque momento ci fosse tornato, avrebbe trovato sempre tutto uguale. Il suo “cantuccio” era sempre lì, con la stessa collina da salire che da popolosa diventava deserta, e sempre solo, lui si sedeva a guardare Trieste e la vita che si svolgeva nella sue vie e nelle sue piazze. E che malinconia e insicurezza provava ogni volta che doveva allontanarsi dal suo nido, come un uccello che deve lasciare i suoi piccoli da soli. Al di fuori di Trieste era vulnerabile e ancora più sensibile del normale. Capita anche a noi di non voler abbandonare le nostre abitudini per paura di perdere qualcosa nel luogo che lasciamo. Spesso il poeta scrive della sua Trieste, così umile come lui e così ricca di vita. Ma la malinconia non la prova soltanto in questo ambito, ma anche nel momento in cui perde la presenza della nutrice, Peppa, presenza che è stata fondamentale nella vita del poeta e anche per le sue poesie. L’assenza dell’affetto che questa donna provava nei confronti del poeta in età infantile, causò nel suo animo un vuoto incolmabile che egli per tutta la vita cercò in qualunque persona incontrasse. […]Solo e pensoso dalla spiaggia i lenti/ passi rivolgo alla casa lontana (da Nella sera della domenica di Pasqua). In questi versi Saba prova malinconia per il suo nido, la sua città natale Trieste. Ancora una volta si ritrova petrarchescamente solo e pensoso a passeggiare lungo la riva del mare e a rivolgere il suo pensiero alla città lontana. […] una malinconia/ che fu in breve dolore./Restai solo con esso./Maledissi la sorte./Desiderai la morte. (da Dormiveglia). Ancora ritorna il tema della malinconia che si trasforma in dolore. E si tratta di un dolore talmente forte che il poeta arrivò persino a desiderare la morte. E’ evidente il senso di disagio che prova in questi versi. Approfondendo meglio le letture delle poesie del Canzoniere abbiamo notato che per Saba Trieste è un po’ come Genova per noi, la città in cui siamo nati, nella quale siamo cresciuti che ormai , anche se non quanto dovremmo, conosciamo; è un punto di riferimento, anche se non la “trattiamo” col dovuto rispetto è pure sempre la nostra “casa”. Proviamo una certa amarezza nel dire che per noi a Genova il mare è l’unica nota d’allegria, come scrive Saba in Tre vie: […]Tra case come ospizi antiche uguali,\ ha una nota, una sola, d’allegrezza:\il mare infondo alle sue laterali. Negli ultimi tempi la nostra città, soprattutto dopo le alluvioni, ci appare parecchio trascurata e girando per i caruggi, tipici di Genova, si ha sempre paura di venir derubati o ancor peggio violentati, i ragazzi non hanno più alcun rispetto per ciò che li circonda e rovinano ogni cosa magari scrivendo frasi poco adeguate sui muri , talvolta rovinando opere di secoli fa. Per le strade del centro storico ci sono bambini ,ma anche adulti ai quali viene automatico utilizzare la strada come bidone della spazzatura. Dal punto di vista affettivo ci rispecchiamo parecchio nell’amore di Saba per la sua città, come scrive in Trieste: […] La mia città che in ogni parte è viva,\ha il suo cantuccio a me fatto, alla mia vita\pensosa e schiva. Noi ci sentiamo in armonia con Genova, ci sentiamo assolutamente parte di questa antica Repubblica marinara e lo abbiamo dimostrato anche in seguito alle numerose alluvioni scendendo nelle strade a spalare fango per giorni al fine di far rialzare la nostra bella città. Ci piace pensare a Genova come una persona e descriverla con aggettivi propri di una persona, anche Saba ha adottato questo giochetto, con la sola differenza che ha paragonato Trieste ad un ragazzaccio aspro e vorace,\con occhi azzurri e mani troppo grandi\per regalare un fiore; Un altro particolare che colpisce e che fa ricordare Genova a distanza di anni sono gli odori, l’olezzo del cibo che si espande per i vicoli, mettendo quasi sempre di buon umore. Anche Saba in Tre vie descrive una sensazione olfattiva che ha provato quando ha attraversato Via del Lazzaretto Vecchio […] Odorata di droghe e di catrame. In conclusione ancora una volta Saba, col suo incondizionato, gratuito amore per Trieste, ci ha donato un importantissimo insegnamento e cioè quello di apprezzare anche la nostra città, nelle cui strade, nei cui profumi, nella cui gente affondano le nostre radici. La rabbia Saba non era compreso dalla maggior parte dei suoi coetanei, questa è una delle cause che si aggiunge alle tante altre che lo fecero cadere in depressione. In effetti non essere pienamente compresi è un qualcosa di estremamente difficile da spiegare a parole, è come parlare una lingua diversa da quella della gente che ti circonda, dà un senso di impotenza e anche di immensa solitudine. A noi giovani capita spesso di non essere compresi dal padre o dalla madre e questo ci scatena dentro una grandissima rabbia che sfoghiamo magari parlando con gli amici, oppure mangiando in modo non consono o ancora ascoltando musica… Saba esprimeva il suo disagio ed il suo dolore nel non riuscir ad integrarsi o comunque a farsi accettare dagli altri poeti. Non aver nessuno con cui scambiare le nostre opinioni, i nostri pareri, i nostri gusti le nostre passioni è estremamente sconfortante, noi , come del resto Saba, abbiamo bisogno di una figura che ci assecondi in tutto e per tutto, una luce sempre accesa in una stanza completamente buia. Saba vedeva questa luce in Lina. Nella poesia A mia moglie la paragona ad una rondine, con movenze eleganti e leggere, ma contrasta un aspetto fondamentale delle rondini, quello di emigrare, infatti Lina, per fortuna, non ha quest’arte. Insomma, lo sconforto che provava Saba potrebbe essere simile, per certi aspetti, a quello che proviamo noi dinanzi ad un rifiuto da parte di un gruppo di ragazzi che non concedono la loro amicizia magari per stupidi pregiudizi o perché non condividono il nostro modo di pensare. L’amore […] sol nel mio cuore c’è il sole e la piova.\ d’un lungo inverno so far primavera; dove la via nel sole è una dorata striscia, a me stesso do la buona sera. (da La solitudine). A causa del rapporto infelice e indifferente con la madre, Saba ha spesso trovato la figura materna di cui era alla ricerca nella sua balia: Peppa Sabaz, che lui spesso connota come angelo custode. La balia infatti è stata l’unica donna, prima di sua moglie Lina, a trasmettere affetto al poeta. Il vero cognome dell’artista, quello ereditato dal padre, sarebbe stato Poli, ma Saba ha preferito cambiare cognome almeno in arte, scegliendone uno che per morfologia assomigliasse a quello della sua balia; il motivo di questa scelta non fu solo affettivo, infatti “saba” in ebraico significa “pane” e questa parola ci riporta al suo lato umile, che spesso fa trapelare dalle sue poesie. Quindi il poeta da piccolo trovava conforto solo nella sua balia che riusciva a farlo sentire importante e mai solo, come spesso gli succedeva di sentirsi durante la giornata e successivamente in tutta la sua vita. La madre di Saba infatti era una donna fredda e ancora ferita dal marito. Ovviamente, essendo giovane, alla madre del poeta veniva difficile accudire un bambino che per altro aveva allontanato da lei il compagno, che era subito uscito dalla situazione famigliare a aveva scaricato tutto il peso sulla povera donna. La madre quindi si vide costretta a trovare qualcuno che si occupasse, almeno per un po’, del proprio bambino. Trovò così Peppa Sabaz, che non avrebbe mai immaginato potesse avere un ruolo così importante nella vita del figlio. La balia era dunque un punto di riferimento e una via per evadere dalla realtà ed essere felice. Questa parte di felicità ed amore che il poeta, in età infantile riservava alla nutrice, oscurava totalmente l’affetto per la madre che anch’essa non riusciva a dimostrare al figlio; tuttavia la madre, avendo già perso l’amore del marito era terrorizzata all’idea di perdere anche quello del figlio. Per quanto dai versi di Saba la madre possa sembrare fredda, distaccata e che quasi odi il figlio, come ogni madre lei ama il proprio bambino, anche se nel profondo lo potrebbe reputare la causa di tutte le sue disgrazie, ma un figlio è la cosa più bella che la vita possa donare a chiunque, e non si può disprezzare la bellezza. Il rapporto che Saba aveva con sua madre era molto distaccato, ma nonostante questo in alcune poesie, come ad esempio nel sonetto numero 4 di Autobiografia, il poeta ci trasmette un amore, che anche se limitato e eclissato da quello per la balia, è comunque presente e vivo in Saba. Tutte queste emozioni e sentimenti nei confronti della balia e della madre, ovviamente Saba le scriverà da adulto. Da bambino invece probabilmente non riusciva a capire il comportamento della madre. E come ogni bambino, anche Saba vedeva la figura di ‘mamma’ in colei che gli dimostrava affetto, nel suo caso la balia. Il distacco della madre, per quanto possa essere giustificato, comporterà duplici conseguenze perché la madre non doveva ricoprire soltanto il proprio ruolo, ma anche quello di padre, e non avendo dimostrato al figlio neppure il suo, ha evitato di mostrargli anche quello paterno, che vennero per fortuna rattoppati, anche se in misere parti, sempre dalla fedele balia. La madre, tuttavia, divenne quasi gelosa dell’affetto che il figlio dimostrava verso la balia, che gli dava l’amore che lei stessa avrebbe dovuto offrirgli. Così divise completamente il povero bambino dalla balia, che lui amava fino a connotarla come un angelo custode. […]Quando nacqui mia madre ne piangeva,/sola, la notte nel deserto letto. […] […] All’angelo custode era lasciata/ sgombra, la notte, metà del guanciale. […] Ma l’angelo custode volò via,/e tacque in cuore quell’intima voce. (da Sonetti n. 2,4,5 ) […] Tu lo guardi. Hai pietà/ forse di tutti quei candidi fiori/ che la bora gli toglie; e sono frutta,/sono dolci conserve/per l’inverno quei fiori che tra l’erbe/cadono. E se ne duole la tua vasta/maternità. (da L’arboscello). Per tutto il suo viaggio alla ricerca della sua verità Saba ha riversato il proprio amore su diverse donne, come la balia e la madre, ma la persona più importante e che Saba ha amato di più in tutta la sua vita è Lina, unica moglie che Saba ha avuto. Questa infatti ha rappresentato per lui non solo l’amore e la vita coniugale, ma anche l’amore materno e di conseguenza quello paterno, che da bambino gli è mancato e in parte sottratto. L’amore che Saba provava per Lina era un amore incondizionato e ciò lo si può dedurre dalla poesia A mia moglie che riscontrò ai tempi molta disapprovazione da parte dei critici e anche dalla stessa Lina, per gli insoliti paragoni tra gli animali e la donna, ma che ora è considerata una delle poesie più significative del poeta; in questa poesia infatti Saba paragona la moglie ad animali fedeli, laboriosi e con istinti materni, proprio come l’amore che per tutta la vita egli ha cercato. Al contrario del padre verso la madre di Saba, la moglie resta accanto al marito costantemente senza mai abbandonarlo, offrendo al poeta un punto di riferimento fermo, anche quando Saba, in seguito a diverse crisi depressive, aveva attraversato un percorso psicanalitico. Lina offriva al marito un nido, e si potrebbe pensare che la frequente presenza di volatili nelle sue composizioni riporti a un costante bisogno di descrivere nelle sue opere la sicurezza che la moglie sapeva trasmettergli. Un amore insolito invece si presenta in Saba in una certa fase della sua vita, anche se non si può affermare con certezza. Si può infatti notare da alcune sue composizione che Saba durante la sua vita ha sviluppato anche degli speciali sentimenti verso alcuni uomini. Si pensa che “Ernesto” ,romanzo incompiuto di Saba, sia su questo argomento autobiografico. Ernesto aveva molti punti in comune con Saba e soprattutto riguardo la sua situazione familiare e in questo romanzo, nel quale sicuramente il protagonista è lo scrittore stesso, il ragazzo è omosessuale. Su questo argomento ci sono molti punti interrogativi, poiché non c’è nessuna prova oltre a questo romanzo e quasi sicuramente si sarà trattato soltanto di una fase breve e passeggera attraversata dal poeta, ma dimostra che Saba cercasse affetto ovunque e in qualunque persona. La ricerca della verità Tutta la vita di Saba ruota intorno ad un unico scopo: trovare la verità che si trova dentro di noi. In ogni sua poesia Saba ci nasconde dei significati della vita di cui lui stesso ha bisogno e che va a rivedere di continuo nel corso della sua vita. Riesce a esprimere concetti ricercati dietro parole e strofe e “riduce la vita in quarti d’ora essenziali” ,come ha scritto Debenedetti. Ci invoglia con le sue poesie a scavare dentro di noi e a trovare dentro di noi la verità che anche lui ha trovato cercando dentro di sé. Può sembrare difficile trovare la nostra verità e le risposte che ci servono, perché tendiamo a dimenticare noi stessi cercando di imitare gli altri, cosa che probabilmente anche Saba ha fatto, proprio perché anche lui, come noi, voleva essere accettato dal mondo esterno e ha finito per perdere se stesso. Così, arrivò alla verità interiore rileggendo e riscrivendo i propri testi che aveva scritto in età molto più giovane e quasi acerba. Tuttavia, Saba continuerà a ritenere che le poesie migliori e autentiche sono quelle che scrisse in età giovanile. Questo perché è da giovani che si dice la verità e non si sta nella pelle dalla voglia di affrontare la vita, ed è proprio nell’età compresa tra i 17 e 19 anni che si concentra il nucleo della verità su noi stessi. È affascinante il modo in cui si può condividere alla perfezione l’opinione di questo poeta, nel quale ci possiamo ritrovare perfettamente come in un puzzle. Spesso guardiamo indietro e pensiamo al perché abbiamo fatto determinate scelte e non altre, e ritroviamo così noi stessi, nella nostra semplicità e umiltà che purtroppo tendiamo a perdere nel corso del tempo. Saba nel momento in cui deve fare una scelta, sembra che ritorni indietro per ricercare nelle sue stesse parole, una specie di consiglio o oracolo da consultare, affinché possa affrontare il futuro con sicurezza. Questo viaggio che Saba percorre alla ricerca della verità è continuamente ostacolato da fasi depressive e frequenti crisi nervose, che tolgono al poeta la capacità e la possibilità di lavorare. Questo perché Saba era molto sensibile alle critiche, spesso negative. Saba infatti, all’inizio della sua carriera, non venne capito e spesso escluso dal ‘circolo’ di poeti di Firenze o comunque dai suoi contemporanei, come Eugenio Montale, che lo ritenevano un incapace e immaturo poeta, anche perché non apparteneva a nessuna corrente letteraria. Proprio per queste crisi nervose alle quali, nonostante le cure, non si riusciva a trovare un rimedio, Saba non riusciva più a dare una collocazione al suo destino. Questo lo possiamo vivere anche noi, senza crisi nervose, tutte le volte in cui ci ritroviamo dispersi, senza più una meta, come se fossimo in mezzo alla nebbia e non vedessimo più nulla. Finiamo quindi per ritornare nel nostro passato e ritrovare la verità che abbiamo perso proprio nel noi stesso che ci ricordiamo e che grazia a Saba abbiamo imparato a riconoscere. […]Umberto, ma perché senza un diletto/ Tu consumi la vita, e par nasconda/un dolore o un mistero ogni tuo detto? (da Glauco).