dietwald e gli altri

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dietwald e gli altri
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D IE T W A L D
E GLI ALTRI
epilogo del libro di racconti
"Dietwald e gli altri"
di ©Raffaele Corte
Il libro "Dietwald e gli altri" è in vendita online sul sito "ilmiolibro.it":
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Dietwald e gli altri
[Epilogo]
Era passato del tempo da allora. Parecchio tempo.
Questa volta la giornata era tersa, splendente, una di quelle mattine
nelle quali si fanno forza i segni dell'autunno in montagna, con tutti i rossi
e le variazioni del giallo e del verde che tolgono il respiro (come la salita).
Mi ero svegliato poco prima dell'alba deciso a tornare, questa volta
perfettamente cosciente delle mie azioni.
La chiesa era ancora là, nel punto più alto, al culmine estremo
degli ultimi mesi trascorsi, costruita - come avevo imparato - con l’intento
di offrire un luogo in cui tirare il fiato, ma anche con quello di nutrire le
anime, specie quelle scure, svuotate, annichilite. Come era stata la mia.
Feci scorrere a fatica il chiavistello rugginoso, spinsi il pesante
portone, che dopo tanto tempo urlò ruotando sui cardini arrugginiti ancora
più forte di quanto mi ricordassi.
La piccola chiesa odorava ancora di muffa e medioevo e all'interno la
situazione non era certo migliorata.
Ma adesso c'era il sole a disegnare tutto in maniera diversa.
I raggi di luce penetravano obliqui dalle finestre, attraversavano la
polvere sospesa disegnando caleidoscopi di sensazioni che si riflettevano
dal pavimento di pietra fin sopra il soffitto, oltre le travi termitiche.
Ero avvolto da una luce ovattata, ed anche le vecchie suppellettili
sembravano - a modo loro - vivere di una nuova vita. Mi sentivo riempire
da quella serenità, avevo una voglia incontenibile di parlare, di esprimere il
sentimento che mi attraversava il corpo in ogni sua parte e che si
mischiava con la stanchezza della salita. Un sentimento al quale ancora
oggi non so dare nome e che nessuno avrebbe potuto comprendere. Tranne
"loro".
Ripensai a quel pulcino bagnato e incazzato che lì dentro aveva
trovato riparo. Cominciai a ridere all'idea della sua lotta contro i fiammiferi
svedesi. Ebbi quasi nostalgia del buio di allora, della paura, delle
bruciature alle mani.
Non per follia, ma per una lucida consapevolezza di quanto quelle
sensazioni - fisiche o spirituali, non importa - mi avessero aiutato a
riconoscere l'Idea. Anche se catalizzate da "lui".
Avvolto di luce come in un'illustrazione da libro di religione,
attraversai la navata raggiungendo l'altare. Era come lo ricordavo: nudo
come l'essenza delle cose e ruvido come la montagna.
Ci girai intorno.
Dietro, placido, sereno e con la veste per niente sgualcita, Dietwald
continuava a riposare, gli occhi chiusi di chi non ha più bisogno di
guardarsi le spalle e tenere d'occhio il mondo.
Il mio graffito - malgrado la polvere - era ancora ben visibile. Dietwald
aveva finalmente il suo nome e lo avrebbe avuto chissà per quanto ancora.
Mi sentii scioccamente fiero, anche se sapevo che quella scritta e la
restituzione del vescovo alla memoria del mondo non valevano neanche una
briciola di quanto io gli dovessi.
E di quanto gli dovessero "loro".
Poggiai la mano sulla sua spalla - come avevo già fatto, come avrei
fatto con un vecchio amico - e tornai fra i banchi. Saggiai la resistenza di
un paio di essi con un piede, e una volta certo di poter essere sorretto, mi
sedetti.
Rimasi a guardare per un po' la croce scolpita sull'altare, non per
una sorta di mistico rapimento, ma perché il segno faceva da naturale
punto di caduta dello sguardo.
Poi - non so - forse caddi in una specie di trance o fui catapultato in
un'altra dimensione o magari sul pianeta più lontano di una galassia
sconosciuta. Non so.
Forse - molto più semplicemente - mi addormentai. Ma è una scusa, una
via di scampo all'accusa di essere pazzo, perché - vero o falso che possa
sembrare - sono convinto di essere rimasto sveglio. Una piccola vescica sul
piede mi infastidiva, e queste non sono cose che si sentono nei sogni e sono
cose troppo insignificanti da sentirsi negli incubi.
Ad un tratto, sentii una specie di sussurro, dolce come un alito di vento,
ma spaventoso per il suo improvviso invadere la mia solitudine e quel
silenzio.
«È lui!»
Mi voltai di scatto, il cuore in subbuglio, vecchie sensazioni già
provate, proprio lì dentro.
Un raggio di sole mi colpì negli occhi, proveniente da una delle finestre.
Reso parzialmente cieco, riuscii appena a vedere delle sagome disegnarsi
contro il profilo della porta aperta e la porta stessa, poi, chiudersi con un
rumore secco che rimbalzò rimbombando nella chiesa. Mi sentii
all'improvviso prigioniero, saltai in piedi e indietreggiai verso l'altare, due
passi che bastarono a togliermi la luce dagli occhi e riacquistare la vista.
Sei persone. Erano entrate sei persone. Tre donne - o meglio, due
donne e una ragazza - e tre uomini - o meglio, due uomini ed un vecchio -.
Fu il vecchio a rispondere alla prima voce.
«Non dire sciocchezze, non può essere lui. Ho girato il mondo in
lungo e in largo e conosco la gente. Non ho mai visto scrittori così. Non ha
"le physique du rôle". Lo scrittore ha fascino, una certa prestanza, una
presenza rassicurante e l'aria riflessiva. Quest'uomo è… come dire?...
"comune", ecco! Non ha nemmeno la pipa!»
« Questa della pipa te la stai inventando e sono certa che è lui!»
aggiunse la ragazza, che a guardarla bene mi sembrò essere incinta. «Non
c'è bisogno di tanta esperienza per capirlo, se ne accorgerebbe anche un
bambino!» e si carezzò istintivamente la pancia.
Ero rimasto impietrito. La loro improvvisa apparizione mi aveva
ridotto come in uno stato catatonico. Non riuscivo a parlare, né a
muovermi. L'unico pensiero che mi lampeggiò nel cervello era che, in quel
momento, mi sembrava di essere un animale dello zoo, prigioniero, con
davanti alcune persone che parlavano di me, incuranti della mia presenza e
del fatto che non riuscissi a reagire o a comunicare.
«Volete smetterla?» intervenne uno dei due uomini, un giovane
grande e grosso. «È lui e basta!»
Il suo aspetto e la sua determinazione sarebbero bastati a chiunque per
porre fine alla faccenda, ma in quello strano ed eterogeneo gruppetto,
evidentemente, certe regole del buon senso non dovevano essere
conosciute, quindi si fece avanti una delle due donne.
«E perché mai ne sei così convinto? Dalle tue parti sono certa che
non passino così tanti scrittori!»
«Lo so perché sono intelligente come uno stregone!»
Tutti scoppiarono a ridere, mentre a quelle parole mi sentii sciogliere
i muscoli e il cuore riprese un battito regolare.
«Ugo!» mi scivolò dalla gola.
I sei tornarono seri in un improvviso silenzio. Mi guardarono con aria
sbigottita, come se avessero sentito un elefante chiedere "mi dai una
nocciolina?" Poi si guardarono tra loro e mi vennero incontro.
Fui nuovamente preso dal panico e cominciai ad indietreggiare fino a
quando la fredda consistenza dell'altare non mi bloccò. Istintivamente
scivolai con la schiena contro la pietra fino a trovarmi a terra. Se non
ricordo male, altrettanto istintivamente, mi coprii la testa con le mani,
come se dovessi difendermi da un'aggressione.
Rimasi in quella posizione per un po', ma non successe niente e ad
un certo punto decisi di abbassare la guardia.
Mossi le mani e alzai lentamente lo sguardo. Erano intorno a me, a
pochi centimetri. Mi guardavano fisso, ma nei loro occhi non vedevo astio
né la volontà di assalirmi.
Vedevo solo degli interrogativi, e al tempo stesso una certa loro corporeità
incompiuta.
A seconda delle loro posizioni e di quelle dei raggi solari, riuscivo a vedere
attraverso di loro. Dentro di loro.
Mi ricordai di quando avevo pensato - e sostenuto più volte - che Dietwald
fosse un fantasma, senza che mi fosse mai apparso davanti.
Ora, nella stessa chiesa, avevo di fronte questi sei personaggi diafani
e visibilmente ectoplasmatici, eppure non riuscivo neanche lontanamente a
pensare che fossero dei fantasmi (in pieno giorno poi!).
Fu una delle due donne a rompere il silenzio.
«Come fai a sapere che quel bestione si chiama Ugo?»
«Ehi, vacci piano! Ricordati che io…» intervenne Ugo.
«Sì, sì, va bene, sei uno stregone e bla, bla, bla…» e poi di nuovo a me
«Allora, rispondi: come lo sai?»
«Io credo… penso… ti chiami Sakakawea, per caso?»
«Come fai a sapere anche questo?»
«Credo… credo di avervi… liberati.»
«Liberati? E come? E da dove? Ci hai presi per allodole in gabbia?»
«Questo vale più di mille risposte: tu sei Sakakawea!... E tu…» indicai
il secondo giovane uomo «…devi essere Giobbe!»
«Caro Ugo,» rispose Giobbe «qui i casi sono due: o hai trovato un
collega stregone… oppure questo è veramente lo scrittore!»
«Non può esserci un altro stregone! Quindi, questo è lo scrittore! Del
resto, lo avevo detto subito, perché…»
«SONO INTELLIGENTISSIMO!» risposero in coro tutti gli altri,
scoppiando di nuovo in una grande risata che risuonò nella chiesa come in
una cassa armonica.
Sorrisi anch'io. Poi mi accorsi della stupida posizione in cui mi
trovavo, col culo a terra e questi personaggi tutti attorno che mi scrutavano
dall'alto.
«Sono contento di vedervi così affiatati…» dissi alzandomi in piedi e
accennando a scrollarmi la polvere dai pantaloni.
Si avvicinò Rossella.
«Lascia, ci penso io!» e incominciò a sculacciarmi, rifilandomi dei
colpi per niente ectoplasmatici e piuttosto virili, per essere inferti da una
ragazzina (così esile per di più).
«Dai, lascia stare, non è niente. Sono solo pantaloni per la montagna,
e poi tu nel tuo stato…»
Era soprattutto un modo per evitare quella gragnola di colpi, ma la
"mia" Rossella, sempre impetuosa e adolescente, non comprese questa
sottigliezza e rispose a modo suo.
«Cazzo, aspetto un bambino, non sono mica malata, o impedita!» e
colpì più forte.
Quando Rossella trovò pace (il mio sedere aveva ormai perso ogni
sensibilità), cercai di riprendere il discorso.
«…per la verità, sono contento di vedervi, e basta. Però vi avevo
immaginati un po' diversi.»
«L'importante è che tu non sia rimasto deluso» parlò per la prima
volta Lucia.
«Nessuna delusione, solo la strana sensazione di scoprire il volto di
un'idea, come quando si ascoltano le voci per radio tentando di dar loro un
aspetto fisico e poi, scoperta la realtà, ci si trova spiazzati. Tu puoi capire
meglio di ogni altro.»
«Certo, io so bene quali ampi spazi possano estendersi tra
l'immaginario e l'immagine…»
«C'è una sola cosa che - non fraintendetemi, lo dico in senso buono mi "impressiona". Perché posso attraversarvi il corpo con lo sguardo?
Perché questa evanescenza?»
Il più adatto a rispondere non poteva essere che il saggio Diogene.
«Tu ci hai liberati, è vero. Ma non lo hai fatto completamente. Hai
scritto di noi, ma non tutto di noi. Ci sono mille aspetti della nostra
esistenza nei quali non sei entrato. Su di noi resta una zona d'ombra che se vorrai e potrai - riuscirai a schiarire col tempo.
Siamo qui per questo: per ricordartelo!»
«E nel frattempo, spero che tu riesca a liberare altri personaggi,
anche solo parzialmente!»
Dietro di me una voce, l'unica già conosciuta, quella che aspettavo,
quella che ero andato a cercare, quella che la meraviglia delle sei
apparizioni aveva momentaneamente rimosso dai pensieri.
Mi sentii quasi in colpa.
«Dietwald!» esclamai voltandomi verso di lui, finalmente presente,
visibile, diafano come gli altri, ma inconfondibile per via del monumento
mortuario sul sarcofago.
In effetti, come lui stesso ebbe a dire, lo scultore aveva fatto un buon
lavoro.
Lo abbracciai. Malgrado il suo aspetto, era corporeo e tangibile. Mi
diede alcuni leggeri colpi sulla schiena, poi mi allontanò con dolcezza.
«C'è ancora tempo per la commozione. Prima c'è ancora un lungo
cammino da percorrere. Ora ci hai incontrati e questo deve spingerti ancora
oltre. Se lo vuoi.
Dici di non essere deluso da noi e non ho motivo per non crederlo,
anzi ne sono felice. Ma questo è un problema secondario, perché - se anche
lo fossi - non potresti farci proprio niente.
Noi siamo quello che siamo, non possiamo essere diversi.
Ricorda: tu ci hai liberati, ma non ci hai creati.
Perché c'eravamo già, eravamo dentro di te, da prima di te.»
Sorrise dissolvendosi, e vidi anche gli altri fare lo stesso,
serenamente. Non feci niente, non dissi altro. Non ce n'era bisogno.
Raccolsi la mia roba, feci urlare nuovamente il portone sui suoi
cardini arrugginiti e presi la via del ritorno: non avevo ancora finito di
liberare le creature.
E neanche me stesso…
* * *
Scarica* gli altri capitoli di "Dietwald e gli altri":
1. Dietwald (prologo)
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2. Diogene
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3. Rossella
http://www.linguaggi.eu/testi_files/dega/download_rossella.htm
4. Giobbe
http://www.linguaggi.eu/testi_files/dega/download_giobbe.htm
5. Sakakawea
http://www.linguaggi.eu/testi_files/dega/download_sakakawea.htm
6. Ugo
http://www.linguaggi.eu/testi_files/dega/download_ugo.htm
7. Lucia
http://www.linguaggi.eu/testi_files/dega/download_lucia.htm
8. Dietwald e gli altri
(epilogo)
http://www.linguaggi.eu/testi_files/dega/download_epilogo.htm
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