Vizio di forma - Persinsala.it

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Recensioni cinema e film | Persinsala.it
Andrea Ussia
23 febbraio 2015
Paul Thomas Anderson torna dietro la macchina da presa e
realizza un altro film di un certo spessore. Tratto dal romanzo
omonimo di Tim Pynchon, Vizio di forma è una matassa di fili
narrativi privi di soluzione, un lungo viaggio nella controcultura
anni settanta, che somma personaggi grotteschi, percorsi
narrativi, intuizioni da “fattone”, parabole disilluse e fantasmi che
popolano l’anima di una nazione.
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L’investigatore Larry “Doc” Sportello viene avvicinato da una sua exfidanzata (Shasta), che gli chiede aiuto perché sospetta che il suo amante
(il costruttore Mickey Wolfmann) sia in pericolo. Infatti la moglie ha
l’intenzione di internarlo e portargli via l’intero patrimonio. Doc decide di
aiutarla, ma non sarà l’unico caso a cui dovrà lavorare.
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La filmografia di Anderson è pregna di personaggi decadenti, disillusi e
grotteschi ed è necessario considerarla nella sua totalità per scoprire un
percorso preciso e mai banale. Perché se ne Il petroliere ci si è trovati di
fronte alla nascita di una nazione (il capitalismo e lo sfruttamento
intensivo di esseri umani come pozzi petroliferi) e in The Master allo
spaesamento del singolo e alla necessità di rimuovere traumi
appoggiandosi a qualcosa di sconosciuto (come a esempio il culto di
Scientology), in Vizio di forma c’è la delineazione decadente di una
controcultura fallita, nella quale i trip di Larry “Doc” Sportello mettono in
scena un microcosmo sospeso, popolato da fantasmi e una realtà appena
sussurrata.
Brillante nell’uso della macchina da presa (si sprecano i piani sequenza, gli
zoom e le soggettive a spalla), caratterizzato dalla fotografia dalle tinte
vivaci e sfavillanti di Robert Elswit e accompagnato dall’ipnotica colonna
sonora del fido Johnny Greenwood, Vizio di forma mette in scena
corruzione e intrecci narrativi nonsense, che tengono incollato allo
schermo un pubblico , che viene diviso pazientemente tra chi ha la
presunzione di sbrogliare la matassa e chi invece si fa cullare dal trip di
Doc Sportello. Infatti Vizio di forma possiede quel potere magnetico
proprio delle pellicole surreali che paiono più interessate a esibire uno
stato d’animo piuttosto che sciorinare una vicenda lineare. Inoltre
tinteggiato di black humour (fratelli Coen docet) e di una coralità
interpretativa figlia del cinema di Altman (il cantore dell’America in
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disfacimento), l’ultimo prodotto di Anderson è in perenne sospensione tra
il sogno e la realtà, tra l’immaginazione lisergica e i crudi dati di fatto.
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Malinconico e amaramente ironico, Vizio di forma è l’ennesimo prodotto
che si presta a variegate letture e che contiene al suo interno temi e
sottotesti che palpitano in profondità, compaiono, sopravvivono e muoiono
proprio come le decine di personaggi che appaiono nell’apparentemente
sconclusionata sceneggiatura di Anderson. E al centro di tutto ciò c’è
“Doc” Sportello, investigatore perennemente in stato semi-cosciente (a
causa del numero elevato di canne che consuma), lurido e stropicciato,
che si aggira in un microcosmo grottesco, nel quale domina il disordine
mentale e un caos ordinato.
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Anderson mette nuovamente in scena una vicenda nella quale lo stato
d’animo prevale e tutto contagia, che ammalia lo spettatore e che ne
denota notevoli capacità sceniche e narrative. Difatti mentre la narrazione
si sbroglia senza soluzione di continuità, ciò che realizza il regista è di
mettere in scena una realtà annebbiata, che sottolinea un pericolo
costante, ma mai realmente percepibile. Perché i fin dei conti Vizio di
forma è un noir fatto e finito (con le sue punte di nonsense), che ostenta
una realtà vivida anche se poco comprensibile. Anderson cerca
l’immedesimazione ed è per questo motivo che insegue il suo protagonista
per permettere al pubblico di vivere una reale esperienza di straniamento
e di trovarsi persi in un paranoico turbinio di esperienze. Tuttavia
questo Vizio di forma non rappresenta il meglio della sua filmografia.
Difatti i lunghissimi 148 minuti corrono il rischio di intrappolare lo
spettatore in una noia claustrofobica e malinconica. Colpa di Anderson o
del groviglio narrativo di Pynchon?
Titolo originale: Ineherent Vice
Regia: Paul Thomas Anderson
Sceneggiatura: Paul Thomas Anderson
Attori principali: Joaquin Phoenix, Katherine Waterson, Eric
Roberts, Josh Brolin, Benicio Del Toro, Reese Whiterspoon, Jena
Malone, Owen Wilson, Martin Donovan, Sasha Pieterse, Martin Short,
Joanna Newsom, Maya Rudolph, Wilson Bethel
Fotografia: Robert Elswit
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Montaggio: Leslie Jones
Musica: Johnny Greenwood
Prodotto da Ghoulardi Film Company, IAC Films
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Genere: Commedia
Durata: 148′
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