La valutazione dell`attitudine comunicativa nei soggetti balbuzienti
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La valutazione dell`attitudine comunicativa nei soggetti balbuzienti
La valutazione dell’attitudine comunicativa nei soggetti balbuzienti Simona Bernardini Centro Medico di Foniatria Padova. Via Bergamo 10, 35100 Padova- Italia e-mail: [email protected] Pubblicato in: Acta Phoniatrica Latina. XXX, n. 2-3, 217-230, 2008 RIASSUNTO In accordo con Bloodstein and Ratner (2008) possiamo affermare che la balbuzie è molto di più del semplice atto di balbettare. Definire infatti la balbuzie unicamente come un problema di fluenza equivale ad ignorare l’individuo, i suoi sentimenti e l’importanza che essa ha nella sua vita (Sheenan, 1984). Considerando la balbuzie come una sindrome è necessario tener presente, durante la valutazione, i fattori costituivi di tipo emotivo, cognitivo e comportamentale, che interagiscono tra loro,al fine di rendere il trattamento efficace (Gregory 2003). Nel presente articolo verranno affrontati gli aspetti legati alla percezione che il balbuziente ha di sé come comunicatore. Spesso le persone che balbettano sviluppano un attitudine comunicativa negativa (non si reputano cioè degli abili comunicatori) e pertanto tendono ad attuare rinunce, deleghe ed evitamenti comunicativi. Verranno inoltre presi in esame gli strumenti di assessment, che, attraverso le diverse fasce di età, permettono di valutare l’attitudine comunicativa, della persona che balbetta. Parole chiave: balbuzie, attitudine comunicativa, strumenti di assessment. ABSTRACT According to Bloodstein and Ratner (2008), stuttering can be stated to involve much more than the simple stuttering behaviour, as identifying stuttering with a fluency problem equals to neglect the stutterer’s person, his feelings and the relevance stuttering maintains into his life (Sheenan, 1984). By considering stuttering as a syndrome we keep into account the constitutive factors of affective, cognitive and behavioural type, which interact to improve the treatment’s efficacy (Gregory 2003). In the current paper we will present what the stutterer think of himself as a communicator. Very often, in fact, stutterers perceive themselves as bad communicators and develop negative speech attitudes. As a consequence, they tend to use different kinds of avoiding and escape behaviours. The assessment instruments evaluating communicative attitudes of stutterers will be presented here. Key Words: stuttering, speech communication attitudes, assessment instruments. 1 INTRODUZIONE Consapevoli che una definizione esplicativa (in ambito scientifico) ed esaustiva (in ambito clinico) della balbuzie probabilmente ancora non esiste, in questa sede si citerà quella proposta da Wingate (1964), detta definizione standard, che ha il merito di porre l’accento sulla multidimensionalità del disturbo. Wingate definisce la balbuzie come una sindrome, per cui il termine “balbuzie” significa: “I. Un’alterazione della fluenza dell’espressione verbale, che è caratterizzata da ripetizioni o prolungamenti involontari, udibili o silenti di suoni, sillabe e parole di una sillaba. Queste alterazioni occorrono frequentemente e non possono essere prontamente controllate dal soggetto. ΙΙ. ΙΙ Spesso queste alterazioni sono accompagnate da una vasta gamma di elementi accessori come gesti collegati al parlato, caratteristiche verbali, spostamenti ausiliari del corpo. ΙΙΙ. ΙΙΙ Spesso è associata a uno stato di tensione o eccitazione, a emozioni negative come paura, imbarazzo, ira, o simili. La manifestazione più visibile della balbuzie è rilevabile nei meccanismi periferici del parlato; la causa ultima è attualmente sconosciuta e può essere complessa o composita” (trad. a c. dello scrivente). Questa definizione ci permette di entrare nel cuore del problema: la balbuzie è costituita in superficie (caratteristiche overt), da comportamenti verbali (disfluenze) che causano reazioni emotive negative nel parlante (rabbia, vergogna, sensi di colpa etc.) e a livello più profondo da cognizioni negative sulla propria verbalità che possono indurre il soggetto a rinunce o deleghe comunicative (caratteristiche covert). La balbuzie non è solo una serie di “stutter event” (episodi di balbuzie) ma è un disturbo dinamico è cioè presente anche quando l’ascoltatore non percepisce disfluenze nell’eloquio dell’interlocutore. Per questo i molti aspetti che caratterizzano la balbuzie devono essere osservati e scomposti in sotto-livelli. (Smith, 1999). Da molto tempo ormai è stato riconosciuto che le interruzioni nell’eloquio sono solo una componente della sindrome balbuzie (Brutten & Shoemaker, 1967; Cooper, 1979; Gregory, 2003, Starkweather, 1987, Williams, 1957; Yarrus, 2007) e vi è un sempre crescente accordo tra i clinici ed i ricercatori nel considerare la balbuzie come un disordine multifattoriale (Conture, 1990; Riley & Ryley, 1979; Smith, 1990; Smith & Kelly, 1997; Starkweather, Gottwald & Halfond,1990; Van Riper, 1982; Wall & Myers, 1995; Zimmerman, 1980; Zimmerman, Smith & Hanley, 1981) per cui la valutazione, la diagnosi e la terapia rivolta alle persone che balbettano (person who stutter, o PWS) deve essere di natura multi-dimensionale. I dati della ricerca hanno dimostrato che l’attitudine comunicativa, le reazioni emotive, gli evitamenti comunicativi e le strategie di coping messe in atto dal PWS, devono essere accuratamente valutate per mettere in luce tutti gli aspetti di questo disturbo (Conture, 2001; Cooper, 1979; Cooper & Cooper, 1985; Guitar, 1998; Logan & Yaruss, 1999; Schwartz, 1999; Vanryckeghem & Brutten,1997; Yaruss & Quesal, 2004; Zebrowski & Kelly, 2002). Un approccio 2 multifattoriale, ed un modello esplicativo dinamico e multi-componenziale sono pertanto necessari per spiegare questo disordine così complesso. A tutt’oggi il ruolo che ognuno di questi differenti fattori (comportamentali, emotivi, cognitivi) ha nella genesi e nel mantenimento del disordine e la loro stretta relazione, continua ad essere fonte di dibattito e motivo di studio (Brutten & Vanryckeghem, 2003; Vanryckeghem, Hylebos, Brutten, & Peleman, 2001). In questo articolo ci rifaremo alla classificazione dell’International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps (ICIDH; WHO, 1980, 1993) per descrivere come le componenti emotive e comportamentali, che portano l’individuo a sviluppare un’attitudine comunicativa negativa, sono state oggetto di studio nel corso degli anni. L’importanza di questa classificazione è da rilevarsi nel fatto che pone l’accento non solo sull’importanza di formulare una diagnosi ma anche su come il disturbo incide, limita la vita della persona che ne è affetta. Diventa così importante descrivere le conseguenze che il disordine può avere nella realizzazione personale e sociale dell’individuo. L’ ICIDH include tre componenti: 1) Menomazione, comprende le cause del disordine, i deficits o disfunzioni (ancora sconosciuti) dei sistemi motorio e sensorio alla base della produzione verbale. Un esempio delle ricerche condotte in quest’area comprende le scansioni PET dell’attività corticale durante la produzione verbale delle persone balbuzienti (Brown et. al., 2005; De Nil, 2004). 2) Disabilità, ovvero le manifestazioni comportamentali del disturbo da attribuire a eventi percettivi e fisici associati alla disfluenza, che coinvolgono anche sistemi somatici non direttamente partecipanti alla produzione verbale. Un esempio di ricerca in quest’area comprende la tabulazione della frequenza dei momenti di disfluenza nei bambini balbuzienti e in quelli non balbuzienti (Yairi, 1997) 3) Handicap, riguarda gli svantaggi che il disordine reca alla persona. Gli effetti negativi prodotti dalla disabilità sulla capacità individuale di comunicare verbalmente in modo normale e che condizionano lo sviluppo personale, l’esperienza educativa, la scelta professionale e le funzioni sociali. Un esempio di ricerca condotta in quest’area riguarda la somministrazione dell’Inventory of Communication Attitudes (Watson, 1998) per valutare come le persone che balbettano ritengono che la balbuzie influenzi la loro vita in ambito personale e lavorativo. Più in generale potremmo dire che le ricerche che si occupano di sondare e rilevare, tramite specifici strumenti di assessment, l’attitudine comunicativa del soggetto balbuziente si collocano a questo livello. CONSIDERAZIONI TEORICHE SULL’ATITUDINE COMUNICATIVA Nel corso degli anni ricercatori e clinici hanno assunto differenti posizioni rispetto al ruolo che l’attitudine comunicativa gioca nell’insorgenza, nel manifestarsi e nello sviluppo della balbuzie. 3 Primo fra tutti Johnson (Johnson, 1955; Johnson and Associates, 1959) ritenne la balbuzie un comportamento messo in atto dal parlante al fine di evitare le disfluenze che incorrono normalmente nell’eloquio. Più tardi Bloodstein (1995) indicò la balbuzie come un comportamento di lotta anticipatoria (Anticipatory Struggle Theories) che viene messo in atto dal parlante al fine di evitare la balbuzie. Ruolo centrale assumono le credenze negative sulla propria balbuzie che portano il soggetto ad anticipare i fallimenti comunicativi e le difficoltà di eloquio. Così nel momento in cui percepisce l’incorrere delle disfluenze lotta nel tentativo di evitarle. Secondo altri modelli (Starkweather, 1987) lo sviluppo di un’attitudine comunicativa negativa è da mettere in relazione con le aspettative e le richieste elevate fatte dai genitori alla fluenza del bambino. Quando queste eccedono le capacità (cognitive, motorie, linguistiche ed emotive) del bambino di produrre una verbalità fluente si verifica un episodio di balbuzie che viene percepito dal soggetto come una performance comunicativa non adeguata alle richieste. Perkins (1986), tra gli altri, ha sottolineato come un’attitudine comunicativa negativa non causi la balbuzie ma piuttosto sia conseguenza di questa: di una serie ripetuta di interruzioni nell’eloquio e di fallimenti comunicativi. Come sottolineato da Liebert and Liebert (1995) le cause e gli effetti si influenzano reciprocamente tra loro. Da questa assunzione ne deriva che l’attitudine comunicativa negativa, le abilità linguistiche e le anticipazioni cognitive rispetto all’incorrere delle disfluenze sono sia conseguenze che cause della balbuzie (Brutten & Shoemaker, 1967; Vanryckeghem & Brutten, 1997). A tutt’oggi non vi è un’unica ed esaustiva teoria che possa spiegare il ruolo che l’attitudine comunicativa gioca nel manifestarsi della balbuzie. D’altra parte è ormai comunemente accettata l’ipotesi della stretta reciprocità tra attitudine comunicativa e balbuzie. Cooper (1977, 1999) ha più volte sottolineato come un’attitudine comunicativa negativa è un elemento basilare della sindrome balbuzie. LA VALUTAZIONE: STRUMENTI DI ASSESSMENT NEI BALBUZIENTI ADULTI Fin dalla metà circa del 1900 si è assistito ad un proliferare di strumenti di assessment finalizzati alla valutazione dell’attitudine comunicativa specialmente per gli adulti balbuzienti. Non tutti hanno raggiunto però criteri di attendibilità e validità sufficienti per essere applicati in ambito di ricerca e utilizzati nella clinica. A fine informativo si procede con una veloce rassegna degli strumenti di assessment dell’attitudine comunicativa. I primi dati provengono dalle indagini condotte da Brown and Hull (1942), che somministrarono la Knower Speech Attitude Scale e la Knower Speech Experience Inventory, (scale non create appositamente per valutare l’attitudine comunicativa dei PWS) ad adulti balbuzienti. I PWS erano meno fiduciosi nelle proprie abilità linguistiche se comparati con le persone che non balbettavano (person who non stutter, o PWNS) e tendevano ad interagire meno nelle situazioni sociali. Ammons and Johnson (1944) crearono la Iowa Scale of Attitude Toward Stuttering prima scala di tipo Likert di autovalutazione per soggetti balbuzienti. Per 4 molti anni questo strumento venne utilizzato in ambito clinico e di ricerca. Successivamente Shumak (1955) riportò i dati normativi della Shumak’s Speech Situation Rating Sheet for Stuttering, una scala originariamente creata da Johnson (1943), esclusivamente per uso clinico. Lanyon (1967) realizzò la Stuttering Severity Scale un inventario self-report di 64 items rappresentativi delle diverse componenti del disordine (aspetti comportamentali, cognitivi, emotivi). Nello stesso anno, Woolf (1967) creò il Perception of Stuttering Inventory un questionario composto da 60 items che aveva la finalità di valutare il livello di consapevolezza del soggetto balbuziente della messa in atto di alcuni comportamenti di sforzo, anticipazione ed evitamento comunicativo. St. Louis and Atkins (1988) somministrarono il questionario ad un vasto numero di studenti di college americani, senza problemi di balbuzie, al fine di raccogliere dati normativi per i PWNS da confrontare con quelli dei PWS. Due anni più tardi, Erickson (1969) creò una scala di autovalutazione per valutare, nello specifico, l’attitudine comunicativa dei PWS. La scala si dimostrò in grado di differenziare i PWS dai PWNS. .Andrews and Cutler (1974) fecero una revisione della S-Scale (la chiamarono S-24) e ridussero a 24 gli originali 39 items al fine di rendere lo strumento più valido ed attendibile. Il soggetto deve indicare, cerchiando Vero o Falso, il grado di accordo con le 24 affermazioni. Questa scala è stata inserita nella batteria di valutazione multidimensionale Behavior Assessment Battery (Brutten & Vanryckeghem 2003) di cui parleremo più avanti nel corso di questo articolo. Alcuni anni dopo Silverman (1980) creò il Stuttering Problem Profile un questionario che si proponeva d’identificare gli obiettivi che il soggetto balbuziente voleva raggiungere alla fine della terapia. Per far ciò si avvalse di 88 affermazioni di 108 PWS ai quali era stato chiesto di verbalizzare come si era modificata la propria fluenza e le proprie convinzioni sulla balbuzie durante la terapia. Questo strumento non ha valori normativi di riferimento ma è molto utile, in ambito clinico, per individuare le aspettative del paziente e definire gli obiettivi del trattamento. Ornstein e Manning (1985) crearono una scala (Self Efficacy Scale for Adult Stutterers, SESAS) per valutare l’autoefficacia raggiunta e quella attesa dai PWS in 50 differenti situazioni comunicative. Watson (1988) mise a punto l’Inventory of Communications of Attitudes for Adult Stutterers che oltre a valutare gli aspetti cognitivi, emotivi e comportamentali ha il merito di porre l’accento su come i PWS ritengono che la balbuzie influisca nella propria vita lavorativa e privata. Più recentemente Riley et al. (2004) hanno presentato il Subjective Stuttering Screening of Stuttering (SSS), che prende in considerazione l’autovalutazione fatta dal soggetto del livello di gravità della balbuzie di cui è affetto, il locus of control (o “stile attributivo, cfr.Rotter, 1966) e gli evitamenti comunicativi che mette in atto. Uno dei recenti strumenti degni di nota è il Wright-Ayer Stuttering Self Rating Profile (WASSP) (Wright & Ayre, 2000) che si propone di descrivere il disordine nella sua interezza. Il WASSP è costituito da 24 items che vanno a sondare la percezione che ha il soggetto della propria balbuzie, l’attitudine comunicativa, gli evitamenti e le esperienze negative vissute a causa della balbuzie. Questo strumento si basa sul modello di salute proposto 5 dall’International Classification of Functioning, Disability, and Health (ICF; WHO, 2001). Dall’esigenza di descrivere le molte sfaccettature della sindrome balbuzie viste dalla prospettiva dell’individuo che balbetta nasce l’Overall Assessment of the Speaker’s Experience of Stuttering (OASES) (Yarrus & Quesal, 2006) che come il WASSP si rifà all’ICF. L’OASES è uno strumento di assessment breve ma al contempo completo, valuta infatti non solamente i comportamenti manifesti legati all’incorrere delle disfluenze, ma anche l’impatto che questa patologia ha nella vita delle persone balbuzienti. Veloce da somministrare (circa 20 minuti) si divide in quattro sezioni che comprendono: I. la conoscenza che il soggetto ha del disturbo e del suo manifestarsi nel proprio eloquio; II. le reazioni alla balbuzie (emotive e comportamentali) III. l’impatto che questa ha nella comunicazione quotidiana; IV. come la balbuzie influenza la qualità della vita. L’OASES fornisce al clinico utili informazioni per progettare l’intervento terapeutico, misurare i progressi durante il percorso riabilitativo e valutarne l’outcome. Attualmente Yaruss and Quesal stanno lavorando alla stesura definitiva dell’Assessment of the Child’s Experience of Stuttering (ACES) che rappresenta il corrispettivo dell’OASES per i bambini in età scolare. Concludiamo questa rassegna dedicando ampio spazio ad una batteria comportamentale Behavior Assessment Battery (BAB) (Brutten & Vanryckeghem, 2003a, 2003b, 2006, 2007) che sempre maggior successo riscontra in ambito clinico e di ricerca. Il BAB è costituito da test di autovalutazione, è ben documentato, multidimensionale e fondato su prove empiriche (Brutten & Vanryckeghem 2003a, 2003b). I test sono stati standardizzati sia per gli adulti sia per i bambini affetti da balbuzie e permettono di valutare le molteplici sfaccettature di questo disordine. I questionari di cui è costituito il BAB mettono in luce le risposte emotive, cognitive e comportamentali del soggetto balbuziente, fornendo al clinico un valido aiuto nell’assessment e nel processo di decision making terapeutico. Passiamo adesso in rassegna i questionari di cui è composta la batteria. Speech Situation Checklist (SSC-ER). Ne esistono due versioni: una per i bambini (composta da 55 items) una per gli adulti (composta da 51 items). Al paziente è chiesto di segnare in una scala di tipo Likert a 5 punti il livello di reazioni emotive negative (come: paura, tensione, ansia, preoccupazione, turbamento o altre sensazioni spiacevoli) che prevede di avere in determinate situazioni di elequio. Speech Situation Cheklist Speech Disruption (SSC-SD). Anche di questa checklist ne esistono due versioni: una per i bambini (composta da 55 items) e una per gli adulti (composta da 51 items). Al paziente è chiesto di segnare in una scala di tipo Likert a 5 punti quanto frequentemente gli capita di balbettare in specifiche situazioni comunicative.Tre studi condotti sulla Speech Situation Checklist, versione Speech Disruption e Emotional Reaction, (Brutten & Jansen, 1981; Trotter, 1982,1983) rilevano che i punteggi ottenuti dai soggetti balbuzienti (sia adulti che bambini) sono significativamente più alti di quelli ottenuti dai non balbuzienti. La Speech Situation Checklist 6 fornisce al clinico una buona panoramica degli aspetti emotivi e comportamentali che caratterizzano il vissuto del soggetto balbuziente in quel preciso momento. Behavior Checklist (BCL) è un questionario di 50 items per i bambini e di 95 per gli adulti. Permette di rilevare i comportamenti, le risposte specifiche, che il paziente mette in atto nel tentativo di evitare l’incorrere delle disfluenze o per cercare di interromperle. Rileva inoltre gli evitamenti comunicativi. Ai bambini è chiesto di segnare con una crocetta quei comportamenti che mette volontariamente in atto per aiutarsi a parlare meglio. Nella versione per gli adulti, al soggetto è chiesto inoltre di segnare (in una scala di tipo Likert a 5 punti) quanto frequentemente usa quei particolari aiuti. Per quanto concerne la versione italiana della BCL (Bernardini, Zmarich, & Cocco, 2006) per ottenere i valori normativi di riferimento il questionario è stato somministrato a 58 bambini balbuzienti (children who stutter, o CWS) e 79 bambini non balbuzienti (children who no stutter, o CWNS) di età compresa tra i 7 e i 14 anni. I risultati confermano quanto messo in evidenza nei precedenti studi: (Brutten and Vanryckeghem, 2003; Herder & Vanryckeghem, 2004): i CWS usano un numero statisticamente maggiore di risposte comportamentali di coping, di evitamenti e deleghe comunicative rispetto ai pari CWNS. Alla BCL i CWS ottengono infatti un punteggio medio statisticamente superiore a quello dei CWNS come mostrato in figura 1 Fig.1. distribuzione dei punteggi dei CWS e dei CWNS (tratta da: Bernardini, Zmarich, & Cocco, 2006) La valutazione dell’attitudine comunicativa viene effettuata con la somministrazione del S-24 per gli adulti (questionario precedentemente descritto in questo articolo) e del Communication Attitude Test (CAT) per i bambini in età scolare. Ne seguirà a breve una dettagliata descrizione. LA VALUTAZIONE: STRUMENTI DI ASSESSMENT IN ETA’ EVOLUTIVA A differenza dell’ingente mole di lavori che caratterizzano lo studio e la messa a punto in ambito clinico di strumenti di assessment negli adulti balbuzienti, per quanto riguarda i bambini si è dovuto aspettare la fine degli anni ’70 perché venissero creati i primi inventari sull’attitudine comunicativa. Probabilmente questo “ritardo” fu dovuto alla preoccupazione che ponendo direttamente al bambino domande relative alla propria attitudine comunicativa queste potessero focalizzare l’attenzione dello stesso bambino sulla propria verbalità causando un peggioramento della disfluenza (Johnson, 1961; 7 Johnson, Brown, Curtis, Edney & Keaster, 1967). Grims (1978) e Guitar and Grims (1979) furono i primi a costruire una scala (A-19) per misurare l’attitudine comunicativa dei CWS. La scala è costituita da 19 items, riguardanti il modo di parlare, ai quali il bambino deve rispondere ponendo una crocetta su “Vero”, se l’affermazione rispecchia il proprio modo di comportarsi e i propri pensieri riguardo alla balbuzie, su “Falso”, se non li rispecchia. L’A-19 non evidenziò differenze significative tra i CWS e i CWNS (bambini che non balbettano). Si deve a Brutten (1984) la realizzazione del Comunication Attitude Test (CAT) uno strumento (attualmente inserito nel BAB) che permise di confutare l’idea che i CWS non avessero una attitudine comunicativa più negativa rispetto ai CWNS coetanei. Il CAT è un questionario self-report somministrabile ai bambini di età compresa tra i 6 ed i 14 anni, è composto da 35 items ai quali il bambino deve rispondere cerchiando “Vero” o “Falso” in relazione a quanto l’affermazione rispecchia ciò che pensa riguardo al proprio modo di parlare. Il CAT è stato ampiamente utilizzato in ambito internazionale a scopi di ricerca per valutare l’attitudine comunicativa dei bambini balbuzienti in età scolare (Bernardini, Zmarich, & Cocco, 2004; Brutten,1984; Brutten & Vanryckeghem, 2003; De Nil & Brutten, 1990; Green, 1998; Jaksic Jelcic & Brestovci, 2000; Nagasawa & Kawai, 1998; Vanryckeghem, 1995; Vanryckeghem & Brutten, 1997, 2001; Vanryckeghem & Mukati, 2003). I dati di ricerca rilevano che il CAT è uno strumento che ha dimostrato di possedere coerenza interna (Brutten & Dunham, 1989; Brutten & Vanryckeghem, 2003) affidabilità degli item con il punteggio totale (Brutten & Dunham, 1989; Brutten & Vanryckeghem, 2003; De Nil & Brutten, 1991) affidabilità test- retest (Vanryckeghem & Brutten, 1992a, b); inotre lo strumento ha dimostrato di possedere una buona validità di criterio e di contenuto (Brutten & Vanryckeghem, 2003; DeKort, 1997) e di essere in grado di valutare gli esiti positivi del trattamento in relazione all’attitudine comunicativa dei CWS (Johannisson & Wennerfeldt, 2000). Gli studi cross-culturali hanno confermato che il CAT è in grado di differenziare i CWS dai CWNS. Nello specifico l’attitudine comunicativa dei CWS è risultata essere più negativa dei pari CWNS (Bernardini et al., 2004; Brutten & Vanryckeghem, 2003; De Nil & Brutten, 1990,1991; Jaksic Jelcic & Brestovci, 2000; Vanryckeghem & Brutten, 1992a, 1996, 1997). Per quanto concerne la versione italiana del CAT (Bernardini, Zmarich, & Cocco, 2004) per ottenere i valori normativi di riferimento il questionario è stato somministrato a 149 CWS e 148 CWNS di età compresa tra i 6 e i 14 anni. I risultati confermano quanto messo in evidenza nei precedenti studi: l’attitudine comunicativa dei bambini balbuzienti è, a partire dai 6 anni di età, significativamente più negativa dei pari normofluenti. I CWS infatti ottengono un punteggio significativamente superiore a quello dei pari CWNS come rappresentato in figura 2 8 Distribution of CAT Scores for Stuttering and Nonstuttering Children 60 40 Percentage CWS CWNS 20 0 0 5 10 15 20 25 30 35 CAT Scores Fig.2. distribuzione dei punteggi dei CWS e dei CWNS (tratta da: Bernardini,Vanryckeghem, Brutten, Zmarich, Cocco, 2008: “Communication Attitude of Italian Gradeschoolers who Do and Do Not Stutter”. Articolo inviato per la pubblicazione all’International Journal of Communication Disorders) E’ inoltre disponibile una forma parallela al CAT, il CAT-B, che è stato creato a scopo di ricerca e di terapia per ottenere misure ripetute nel tempo dell’attitudine comunicativa dei bambini. Le due versioni del CAT hanno un significativo livello di correlazione (.86; cfr. Vanryckeghem, 1998). Negli anni ’90 si assistette ad un’“inversione di rotta” riguardo alla possibilità di valutare l’attitudine comunicativa nei bambini. I risultati di studi scientifici su larga scala (Ambrose & Yairi, 1994; Ezrati, Platzky, & Yairi, 2001) misero in luce che già all’età di tre anni i bambini mostravano di avere consapevolezza delle proprie difficoltà di eloquio. Questo diede nuovo impeto alla creazione di validi strumenti assessment che valutassero l’attitudine comunicativa dei bambini balbuzienti prescolari. Attualmente l’unico questionario in grado di effettuare questa valutazione è il KiddyCAT: Communication Attitude Test for Preschoolers and Kindergartners. (Vanryckeghem, & Brutten, 2002; Vanryckeghem & Brutten, 2007). Il questionario è indicato per bambini di un’età compresa tra i 3 ed i 6 anni. Il KiddyCAT è costituito da 18 items, viene somministrato oralmente dall’esaminatore al bambino che è invitato a rispondere con un sì od un no alle affermazioni che riguardano il proprio modo di parlare. I primi risultati relativi all’applicabilità del questionario (Vanryckeghem & Brutten, Hernande 2005) mettono in luce come già dall’età di 3 anni i CWS mostrano un’attitudine comunicativa più negativa rispetto ai pari CWNS. CONLUSIONI In generale potremmo dire che le ricerche condotte dagli autori, e da studi successivi che utilizzarono gli strumenti fin qui citati, indicano che i balbuzienti (sia adulti che bambini) hanno un’attitudine comunicativa più negativa rispetto ai soggetti non balbuzienti. (Cox, Seider & Kidd, 1984; De Nill & Brutten, 1991; Guitar, 1976; Guitar & Bass, 1978; Quesal & Shank, 1978; 9 Silverman, 1980). Questi risultati hanno portato molti clinici a ritenere la valutazione e la successiva modificazione dell’attitudine comunicativa come parte integrante del trattamento e indice predittivo dell’outcome. Già nel 1988 Watson sottolineò come un’attitudine comunicativa positiva può favorire i cambiamenti nell’eloquio e un cambiamento dell’attitudine comunicativa, da negativa a positiva, tende a facilitare il mantenimento della fluenza. Cognizioni e sentimenti negativi riguardo alla propria balbuzie non solo aumentano la disabilità dell’individuo connessa alla balbuzie ma ostacolano il processo di guarigione (Murphy, 1999; Yaruss, 2004 ). Inoltre i terapisti, nella loro pratica clinica, hanno rilevato come l’attitudine comunicativa dei PWS gioca un ruolo importante nel raggiungimento e nel mantenimento della fluenza verbale (Guitar, 1976, 2006; Peters & Guitar, 1991). A questo proposito la ricerca ha dimostrato come i PWS che manifestano un’attitudine comunicativa negativa hanno una maggiore probabilità di avere episodi recidivanti (Andrews and Cutler, 1974) mentre i PWS che si reputano abili comunicatori tendono a mantenere nel tempo i risultati raggiunti in terapia (Guitar, 1976, 2006; Guitar & Bass, 1978). L’importanza di migliorare l’attitudine comunicativa durante la terapia è stata sottolineata da Ryan (1974, 1979), Cooper (1979), Perkins (1979), Boberg (1981) e da molti altri ancora e confermata da una recente indagine condotta con adulti balbuzienti (McClure & Yaruss, 2003) appartenenti alla National Stuttering Association. I risultati mostrano che il 50 % dei partecipanti valutarono la terapia, che comprende un lavoro sui cambiamenti attitudinali, come portatrice di un esito molto positivo se comparato con le sole tecniche per modificare la balbuzie (30% di successo) o quelle per modellare la fluenza (19 % di successo). Parafrasando Manning (2001), possiamo convenire che se il paziente è in grado di modificare la disfluenza o controllare l’incorrere degli episodi di balbuzie, non significa che vi sia stato un reale cambiamento negli aspetti più critici della sindrome balbuzie. Gli aspetti comportamentali sono la parte più evidente del problema e il clinico inesperto si sofferma solo su questi ricercando la fluenza. Per ottenere un buon successo terapeutico è necessario che a un comportamento verbale fluente venga associato un cambiamento cognitivo del paziente (Curlee, 1981). La “guarigione” dalla balbuzie include quindi non solo cambiamenti comportamentali ma in ugual misura cambiamenti emotivi e cognitivi. 10 BIBLIOGRAFIA Ambrose, N., & Yairi, E.: “The development of awareness of stuttering in preschool children”. Journal of Fluency Disorders, 19, 229–245, 1994. Ammons, R., & Johnson, W.: “Studies in the psychology of stuttering: XVIII. The construction and application of a test of attitude toward stuttering.” Journal of Speech Disorders, 9, 39–49, 1944. Andrews, G., & Cutler, J.: “Stuttering therapy: The relation between changes in symptom level and attitudes”. Journal of Speech and Hearing Disorders, 39, 312–319, 1974. 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