1 IL MISTERO GRANDE Carissimi diaconi e
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1 IL MISTERO GRANDE Carissimi diaconi e
IL MISTERO GRANDE Rileggendo Efesini 5,21-33 Incontro interdiocesano dei diaconi e delle loro famiglie (Diocesi di Caltanissetta, Piazza Armerina, Agrigento, Nicosia) Caltanissetta, 15 gennaio 2017 Carissimi diaconi e spose, è motivo di profonda gioia per me incontrarvi e pregare con voi e per voi in questo incontro interdiocesano. Ho pensato di offrivi una riflessione sul ben noto testo della Lettera di San Paolo agli Efesini, e precisamente Ef 5,21-33, anche perché parlo non solo a diaconi, ma a diaconi sposati qui presenti insieme alle loro spose. Mediteremo dunque sul mistero grande della sponsalità di Cristo con la Chiesa, della quale gli sposi cristiani sono sacramentale segno e rivelativa attuazione. Mettiamoci dunque in ascolto profondo della Parola del Signore, rimuoviamo in questo prezioso momento ogni preoccupazione, affanno, dolore… e lasciamoci attirare dallo sguardo di Gesù. Egli ancora una volta desidera condurci nel deserto del silenzio interiore e, poggiando il suo capo sul nostro cuore, ha tanta voglia di parlare cuore a cuore a ciascuno, personalmente e come coppia. Lasciate che Gesù possa sussurrare al vostro cuore la sua gioia e dichiararvi ancora una volta che vi ha amato e ha dato se stesso per voi. 1. Le dinamiche del testo «21 Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. 22 23 Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del 24 suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. 25 E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato 26 se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro 27 dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunchè di simile, ma santa 28 e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il 29 proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa 30 31 Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due 32 formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a 33 Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito». 1 Il testo che abbiamo ascoltato viene in genere chiamato dagli studiosi “codice familiare”. A me piace definirlo “svelamento del mistero della Chiesa-casa”. Questo testo di Paolo è stato spesso frainteso e molto criticato da coloro che lo leggevano solo in chiave sociologica e, dunque, non accettavano il criterio della sottomissione della donna al proprio marito. Alcuni predicatori hanno cercato di difendere Paolo dicendo che il testo riflette la mentalità e i costumi del tempo in cui l’Apostolo ha scritto la Lettera agli Efesini. Questo è anche vero, ma quello che Paolo scrive è Parola di Dio, deve dunque valere per ogni persona e in ogni tempo. In questa lectio proverò a “leggere” con voi le parole dell’Apostolo, per capire cosa il Signore ha voluto e intende oggi dire di Sé e del matrimonio a tutti noi. La chiave di lettura si trova alla fine del testo nel v. 32: «Questo mistero è grande, lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!». Siamo perciò davanti e dentro un grande mistero. E questo mistero è l’unione sponsale di Cristo con la Chiesa. Solo alla luce di questo mistero nuziale trova luce e significato il mistero dell’unione matrimoniale di un uomo e una donna, ma anche il mistero della diakonia dell’amore nella Chiesa. Il capitolo 5, di cui fa parte il nostro testo, comincia con una esortazione: «Fratelli, fatevi imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi» (Ef 5,1). L’Apostolo nel capitolo sviluppa il tema annunciato in questo versetto e conclude scrivendo “come” imitare Dio: «sottomettendovi gli uni agli altri nel timore di Cristo» (Ef 5,21). Tale esortazione così chiude la sezione precedente e si fa tema del testo di questa nostra lectio. La reciproca sottomissione nell’Amore e nella tensione di Cristo viene applicata da Paolo agli sposi cristiani. In questo modo l’Apostolo ci fa capire che la vita cristiana è indivisibile e senza soluzione di continuità: non ci possono essere due campi distinti: chiesa e casa, domenica e giorni feriali, liturgia e vita. E Paolo sviluppa il tema in tre parti: - vv. 22-24: sottomissione a chi e come; capo di chi e come; - vv. 25-30: amore per chi e come; - vv. 31-33: il principio della principialità di Cristo. 2. Sotto lo stesso giogo In tutto il brano si intrecciano e si raccontano reciprocamente in un solo grande mistero l’unione sponsale di Cristo con la Chiesa e quella dell’uomo e della donna. È importante sottolineare l’avverbio “come” che Paolo ripete ben sette volte: Ø le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore (v. 22) 2 Ø Ø Ø Ø Ø il marito è capo della moglie come Cristo è capo della Chiesa (v. 23) come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli (v. 24) voi mariti amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa (v. 25) i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo (v. 28) (il marito in riferimento alla propria carne) la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa (v. 29) Ø ciascuno ami la propria moglie come se stesso (v. 33). Se notate bene, solo due “come” sono riferiti alla moglie-Chiesa nell’esercizio di sottomissione, mentre ben cinque “come” sono riferiti al marito: due volte il “come” si confronta con Cristo, le altre volte con il “proprio corpo”, con la “propria carne”, con “se stesso”. Concludendo queste osservazioni possiamo affermare che Paolo, se proprio deve correggere qualcuno, se la prende con i mariti e non con le mogli. Ben cinque ammonizioni-confronti rivolge ai mariti e solo due alle mogli. Paolo ci tiene ad affermare che la vita cristiana, e non solo quella matrimoniale, è fatta di diaconale reciproca sottomissione: «sottomettendovi gli uni agli altri» (Ef 5,21). Il motivo però non è di carattere naturale o sociologico bensì cristologico: tutto parte e trova senso nell’esempio di Cristo e nell’atteggiamento della Chiesa-Sposa, sempre ri-volta e sottomessa al suo Capo-Sposo che l’ha amata e ha dato se stesso per lei. Tant’è che dopo aver parlato della sottomissione delle mogli ai mariti “come” al Signore, chiude questa prima parte affermando: «come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli ai loro mariti» (Ef 5,24). La sottomissione della moglie al marito e l'amore del marito per la propria moglie, come per il proprio corpo, non sono che due facce della diaconale reciproca sottomissione. Un marito che ama gratuitamente e disinteressatamente, cioè senza pretese di diritti acquisiti, è una novità assoluta nel contesto sociale del tempo di Paolo, certamente molto più di una moglie sottomessa! Ma la novità sconvolgente è che la misura della sottomissione della moglie è la Chiesa-Sposa e la misura dell’amore del marito è Cristo-Sposo. L’amore sponsale così viene svelato nella sua radice ultima: la diaconale reciproca sottomissione scaturisce dalla grazia d’amore di Cristo Gesù che fa «santa e immacolata» la Chiesa sua sposa. Volendo esaltare il matrimonio cristiano, Paolo non poteva dire e fare di più: oltre non si può andare; siamo infatti alle soglie del Mistero. La diaconale sottomissione è allora un aspetto e un'esigenza dell'amore. Per chi ama, sottomettersi all'amato non è umiliazione ma via alla felicità. Il «sottomettendovi gli uni agli altri» implica il tener conto della volontà del coniuge, del suo parere e della 3 sua sensibilità; dialogare e non decidere da solo; saper rinunciare per amore anche al proprio punto di vista. Insomma, gli sposi devono sempre ricordare di essere “coniugi”, cioè persone che stanno sotto “lo stesso giogo” liberamente accolto. 3. Amare… da Dio «E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef 5,25). Israele lungo la sua storia viene condotto a constatare la differenza tra l’amore di Dio e la propria risposta: mentre il proprio amore è parziale, infedele ed egoistico, l’amore di Dio è gratuito, fedele e misericordioso. Prima di Cristo niente di visibile nel mondo poteva assomigliare maggiormente all’amore di Dio se non l’amore coniugale nella sua forma ideale: è stata questa la ragione per cui la metafora nuziale è stata assunta dall’AT per indicare l’amore di Dio per l’umanità. Ma con l’incarnazione del Figlio di Dio, svelamento dell’Amore trinitario, ogni uomo e ogni donna sono chiamati ad apprendere l’amore amando da Dio e come Dio: «Voi mariti amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa» (Ef 5,25). Pertanto, con la venuta di Cristo avviene un capovolgimento rispetto all’AT: prima dell’incarnazione l’amore divino era significato attraverso la metafora nuziale, ma con l’incarnazione del Verbo di vita è l’amore coniugale a ispirarsi all’amore di Dio rivelato in Cristo Gesù. «Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef 5,25). Con il NT è l’amore di Cristo verso la Chiesa a diventare il modello dell’amore coniugale. Ma occorre chiedersi: come Cristo ha amato la Chiesa? La risposta ci viene dallo stesso Paolo in Fil 2,5-11, in cui descrive la kenosis del Verbo di Dio per amore dell’umanità. «Non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio». Il termine “tesoro geloso” in greco è harpagmos, che di per sé significa “rapina, preda, bottino”. Il Figlio-Dio allora fa un ragionamento, opera un discernimento, arriva ad una valutazione: è uguale a Dio perché è Dio e tuttavia decide di non considerare un suo “bottino” tale uguaglianza con Dio, divenendo così l’anti-Adamo. La storia di Gesù è esattamente all’opposto di quella di Adamo: se l’uomo aveva provato ad innalzarsi fino a Dio per «diventare come Dio», Gesù-Dio si svuota di questa sua divina dimensione per abbassarsi fino all’uomo in una assunzione di solidale responsabilità. Il ragionamento in Dio non porta Gesù a tenere avidamente 4 per sé il bottino della sua divina dimensione, bensì a valutare la sua incredibile decisione in termini di condivisione oblativa nella solidarietà più radicale. «Spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini» (Fil 2,7). Il verbo “spogliare” in greco è kenoo, mentre “assumere” è lambano e il sostantivo “servo” è doulos. Il verbo kenoo significa “svuotare, annientare” come un pozzo svuotato d’acqua, una casa spogliata di tutto l’arredamento, una città annientata e senza abitanti, un deserto… Questo verbo richiama l’inizio della creazione: «Ora la terra era disadorna e deserta» (Gen 1,2). Mentre però in Genesi si constata il vuoto e il nulla della terra, l’inno canta il “farsi nulla”, la decisione di “svuotarsi” completamente di sé da parte del Figlio-Dio fino a rendersi “deserto”, doulos cioè schiavo. Il doulos è uno che non si appartiene perché è di qualcun altro. E questa “appartenenza” alla dimensione e alla condizione umana, Gesù non l’ha assunta bensì l’ha volutamente presa e afferrata (lambano). Non è dunque la condizione umana ad essere entrata in Dio per assunzione, ma è Dio ad essere entrato da schiavo, e dunque da espropriato e svuotato di sé, nel mondo degli uomini. E così Gesù, rinunciando al geloso “bottino” (harpagmos), cioè ai “privilegi” della sua dimensione divina, sposa per “svuotamento di sé” la dimensione umana… «divenendo simile agli uomini»: «Egli non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli… allo scopo di espiare i peccati del popolo» (Eb 2,16-17). Un testo dei primi tempi della Chiesa dice: «Poiché la sua bontà fece piccola la sua grandezza, egli divenne come io sono» (Od. Sal 7,3s). Porsi più in basso dell’uomo fino a farsi schiavo a Gesù non basta, perché «umiliò se stesso (etapèinosen eauton)» (Fil 2,8). Il verbo greco tapeinoo significa “essere situato in basso”: socialmente in basso, cioè povero, privo di potere e di posizione sociale, insignificante, schiavo, non libero… Il verbo indica l’estremo opposto del potente, ricco, orgoglioso, dominatore. In generale nel mondo greco la condizione di inferiorità, espressa con il termine tapeinos, è una vergogna da evitare. Ma proprio questa vergogna è sposata da Dio, è vissuta da Maria che nel suo magnificat canta: «Ha guardato l’umiliazione (tapeinosis) della sua schiava (doulè)… ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umiliati (tapeinous)» (Lc 1,48.52). Gesù, lo schiavo svuotato di sé per amore, invita tutti a seguirlo nella sua via di umiliazione: «Imparate da me, perché sono mite e dal cuore umiliato (tapeinos)» (Mt 11,29). L’umiliazione (tapeinosis) è uno stile di vita, un modo d’essere nei confronti di Dio e degli uomini, più che una condizione sociale o morale. L’antica tentazione: «Diventerete come Dio» è da sempre nell’uomo. Egli cerca di salire: avere di più, 5 contare di più, sapere di più, godere di più, vivere di più. Essere il primo e ricevere onori è il suo grande sogno. In un mondo in cui il vecchio Adamo rinasce in ogni uomo, Gesù viene come l’uomo nuovo. Va nel senso opposto… umiliandosi fino alla vergogna della schiavitù. Scende in basso il Solo che sta in alto! Ma non è tutto. Alla dimensione di schiavitù e di umiliazione, Gesù aggiunge quella dell’obbedienza: «facendosi obbediente» (Fil 2,8). Ecco allora come Gesù ama: il suo è un amore di donazione gratuita, con cui assumendo la natura umana ha rinunciato non già alla natura divina, ma alla gloria che aveva presso il Padre prima che il mondo fosse (Gv 17,5). E non solo si abbassò fino a prendere la nostra natura, ma la donò in sacrificio per l’espiazione dei nostri peccati: «apparso in forma umana umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,8). Questo mette in evidenza un altro aspetto essenziale dell’amore di Cristo, che Paolo esprime in Rm 5,7-8: «Dio dimostra il suo amore verso di noi perché mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi». Si tratta di un amore incondizionato, cioè di un amore che non dipende dalla risposta della persona amata. In questo amore incondizionato c’è la rinuncia alla reciprocità, che pure è un’esigenza naturale dell’atto di amore. In Cristo Gesù l’amore gratuito e incondizionato diventa amore sacrificato: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi» (Gal 3,13). A queste tre caratteristiche dell’amore se ne aggiunge una quarta: l’amore di Cristo per noi è un amore misericordioso: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Ecco dunque le caratteristiche dell’amore con cui Cristo ha amato la Chiesa sua Sposa: un amore gratuito, incondizionato, sacrificato, misericordioso. L’amore di Cristo è amore sponsale perché Cristo dona tutto se stesso alla Chiesa come sua sposa, legandosi ad essa in modo fedele, indissolubile e fecondo. Ma è, nello stesso tempo, amore verginale perché è un amore di donazione senza quella reciprocità, che è la nota essenziale dell’amore coniugale. Cristo dona se stesso alla Chiesa fino alla morte di Croce mentre non è riamato, ma è lasciato solo e tradito. Come afferma Han Urs von Balthasar: «Dall’apparire del Figlio nel mondo non c’è nessun’altra forma di amore, per noi, all’infuori della forma in cui egli ci ha amato… Questo è dunque il canone per ogni amore cristiano, anche per l’amore e la fedeltà matrimoniale». Un uomo e una donna sono in grado di amarsi perché Dio li ha generati con questa capacità. Egli ha messo nel loro cuore e in tutto il loro essere questa sublime potenza. Nel momento in cui questo amore trova espressione nel dono incondizionato e 6 gratuito di sé all'altro/a diventa "sacramento", espressione stessa dell'amore di Dio per quella creatura. Di conseguenza ogni gesto, ogni parola, ogni espressione d'amore sincero teso al bene del coniuge è manifestazione di Dio-Amore. È necessario però riuscire a cogliersi amati per poter essere amanti. È importante cioè fare esperienza dell'amore di Dio nella tua vita per essere in grado, a tua volta, di fare dono di te all'altro/a nell'amore. San Giovanni Crisostomo esprime delle conseguenze molto belle dal confronto tra il matrimonio di un uomo e una donna e quello tra Cristo e la Chiesa. Rivolgendosi ai mariti dice: «Vuoi che la tua sposa ti ubbidisca come la Chiesa a Cristo? Abbi cura anche tu di lei, come Cristo della Chiesa... Come il Cristo - non con minacce né con sevizie né incutendo timore né in alcun modo simile, bensì con la sua grande sollecitudine - portò ai suoi piedi colei che gli volgeva le spalle... così comportati anche tu verso tua moglie... Uno, con il timore, potrebbe legare a sé un domestico, ma la consorte della propria vita, la madre dei propri figli, colei in cui si ha tutta la propria felicità, non la si deve legare a sé con il timore e le minacce, bensì con l'amore e l'intimo affetto». 4. Chiesa della ferialità Fare del legame sponsale Cristo-Chiesa la sorgente e il modello del legame sponsale di un uomo e una donna cristiani, significa affidare al sacramento del matrimonio una altissima e sorgiva vocazione e una altissima fondamentale missione. Nella famiglia cristiana la Chiesa diviene “Chiesa della ferialità”, Chiesa del quotidiano scorrere della vita. Pur nella fragilità del cammino a due e nella fatica del rapporto genitorifigli, la famiglia è il luogo dove l’Amore si mostra possibile nella ferialità, nel tessuto paziente della quotidianità a cui non è affatto facile rimanere fedeli, nelle relazioni quotidiane che possono alternativamente divenire oscure, grigie, banali o anche ricche di senso e di possibilità di vita. Nella famiglia cristiana vive la Chiesa, che celebra il quotidiano con tutte le sue pieghe di luci e di ombre; la Chiesa per la quale Dio si fa presente dentro le case degli uomini; la Chiesa che rivela le orme di Dio sui passi che salgono e scendono le scale dei condomini. Famiglia e Comunità ecclesiale devono essere la Chiesa dell'amore possibile e sempre da costruire, dell'amore che cresce e matura nella fatica di reciproca ricerca, accoglienza, perdono. Nell'amore in divenire degli sposi è presente il dinamismo di una Chiesa in cammino, che ogni giorno nutre la storia degli uomini di attesa, di ricerca di senso, di speranza, senza impazienze né sentimenti di sconfitta. Come si legge in Isaia: «Quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi» (Is 40,31). 7 Così racconta un saggio: «Un discepolo domandò al maestro: parlaci dell’amore. Rispose il maestro: quando l’amore vi chiama seguitelo anche se le vie dell’amore sono scoscese, dure, faticose e quando l’amore vi parla credete in lui. L’amore non possiede ne vuol essere posseduto, perché l’amore basta all’amore. Quando amate non dite: ho Dio nel cuore; dite piuttosto: io sono nel cuore di Dio. E quando vi amate la comunione sia davanti a voi, comunione tra uomo e donna, comunione tra gli amanti con tutti gli altri, comunione con Dio. È sull’amore che sarete giudicati alla fine dei tempi, su nient’altro che l’amore. E Dio ha come nome l’Amore perché Dio è amore». 5. Il principio nella principialità di Cristo «Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito» (Ef 5,31-32). Questa affermazione di Paolo rappresenta una teologia della storia in chiave nuziale. Riferendosi a Genesi 2,24 («per questo l'uomo lascerà...») l'autore scorge nella nuzialità uomo-donna la prefigurazione della nuzialità Cristo-Chiesa: questo mistero per lungo tempo sconosciuto, ora è rivelato. La novità che Paolo annuncia consiste nell'affermare che l'alleanza di Cristo con la Chiesa rappresenta lo svelamento definitivo del significato della prima coppia umana e l'inaugurazione del mistero nuziale definitivo della storia. Chiesa-casa e coppia credente non devono cessare di interrogarsi su questo mistero e di porsi alla ricerca del senso ricchissimo di questa Parola, per la quale sono chiamate a riproporre il matrimonio cristiano non come categoria sociologica, non sotto l’aspetto giuridico o sentimentale, ma come parola di Dio, come il continuo sponsale dirsi e darsi di Cristo-Sposo alla Chiesa-umanità sua Sposa. Il mistero particolare del matrimonio cristiano fra un uomo e una donna consiste principalmente nel rivelare Dio amando da Dio, nell'incarnare ogni giorno l'amore e la tenerezza nella reciprocità del dono, dell'accoglienza e della solidarietà, della misericordia e del perdono. Ecco una descrizione della felicità coniugale fatta dal grande scrittore Dostoevskij in “Memorie del sottosuolo”: «Se una volta c'è stato l'amore, se per amore ci si è sposati, perché dovrebbe passare l'amore? È forse impossibile alimentarlo? Il primo amore coniugale passa, è vero, ma poi viene un amore ancora migliore. Allora ci si unisce nell'animo, tutti gli affari si decidono in comune; non si hanno segreti l'uno per l'altro. E quando vengono i figli, ogni momento, anche il più difficile, sembra una felicità... Come potrebbero allora il padre e la madre non unirsi ancora più 8 strettamente? Dicono che avere bambini sia gravoso. Chi lo dice? È una felicità celeste… un piccino tutto roseo, che ti succhia il petto… quale sarà il marito che prenderà in odio la moglie, a vederla così col proprio bambino?». «Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!» (Ef 5,31). Il mistero grande è svelato nell’amore di Dio Padre che fa dono del Figlio suo all'umanità che tradisce, rinnega e si ribella a Lui. È il dono "incomprensibile" (secondo le nostre fragili vedute) di Colui che ama coloro che lo rifiutano e gli chiudono la porta in faccia. Entrare nel mistero grande significa aprire la porta della propria casa a Dio-Amore. E aprire la propria nuziale casa a Dio Amore significa fare dell'Amore la propria casa, "abitando" in Dio e cogliendosi "abitati" da Dio-Amore. Amare da Dio incarnando nella vita coniugale e familiare l’amore nuziale di Cristo (incondizionato, gratuito, sacrificato e misericordioso) significa assumere l’altro/a come il proprio corpo e la propria carne; significa dire ogni giorno con segni e gesti concreti al proprio coniuge: Io voglio amarti come Dio ama te e me. Amarti come Dio ti ama è amare di puro dono, che tutto dà e nulla attende; è amare il coniuge per se stesso e non per quello che può dare. Amarti come Dio ti ama significa dire all’altra: «È per te che io ti amo!». Amarti come Dio ti ama significa imitare Dio fino a «volgere sé contro se stessi» (Deus Caritas est, n. 12), fino all’esplosione della Pasqua attraversando la via della Croce. Perché «se perseverando nell'amore si cade fino al punto in cui l'anima non può più trattenere il grido: "Mio Dio, perché mi hai abbandonato?", se si rimane in quel punto senza cessare di amare, si finisce col toccare qualcosa che non è più la sventura, che non è la gioia, ma è l'essenza centrale, essenziale, pura, non sensibile, comune alla gioia e alla sofferenza, cioè l'amore stesso di Dio» (Simone Weil). + Mario Russotto Vescovo di Caltanissetta 9