Diritto sanzionatorio del lavoro

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Diritto sanzionatorio del lavoro
Diritto sanzionatorio
del lavoro
Dott. Avv. PIERLUIGI RAUSEI
Centro Studi Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale
Centro Studi “Marco Biagi” dell'Università di Modena e Reggio Emilia
Comitato Scientifico Fondazione Studi Consulenti del Lavoro
Dispensa n. 6
L’illecito penale in materia di lavoro.
Le sanzioni civili in materia di lavoro
1. Principi generali dell’illecito penale
Il tema oggetto di questo paragrafo si presta poco ad essere sintetizzato in brevi note.
Dovendo, comunque, evitare di snaturare il Corso e la presente dispensa, va anzitutto segnalato che il
moderno diritto penale del fatto, anche in materia di lavoro, è retto da quattro distinti principi
fondamentali:
•
principio di legalità (nullum crimen sine lege);
•
principio di materialità (nullum crimen sine actione);
•
principio di offensività (nullum crimen sine iniuria);
•
principio di colpevolezza (nullum crimen sine culpa).
Intorno a questi quattro “pilastri” del diritto penale del lavoro, pur nell’economia del presente scritto, si
tenterà una ricostruzione sistematica della materia, con riferimento ai profili e ai passaggi più
direttamente operativi.
1.1. Principio di legalità e depenalizzazione
Anzitutto, per quanto concerne la legalità, il primo dei principi considerati attiene ad un profilo di tutela
direttamente tracciato a livello costituzionale (art. 25 Cost.).
In un chiaro sforzo di sintesi fra la legalità, intesa primariamente come certezza del diritto, e la giustizia,
intesa come equità sociale, viene confermata una rigorosa fedeltà al principio “nullum crimen nulla poena
sine praevia lege poenali”.
Ne consegue che deve essere considerato “reato” soltanto ciò che è previsto dalla legge come tale in
conformità alla Costituzione, non solo per quanto riguarda i connotati strutturali e formali della
condotta illecita, ma anche (e forse per certi versi ancora prima) per quanto attiene ai valori-beni
giuridici tutelati, perché meritevoli di tutela.
Il reato in materia di lavoro (contravvenzione o delitto) è il fatto previsto come tale da una legge posta
espressamente a tutela del lavoratore o della lavoratrice, per talune caratteristiche personali o per
peculiari modalità di svolgimento della prestazione lavorativa o per altri rilevanti momenti delle
relazioni introaziendali (vedi, ad esempio, l’attività sindacale), che opera senza alcuna impossibile
retroattività, in forma tassativa, materialmente estrinsecantesi nel mondo esteriore, offensivo di valori
costituzionalmente significativi, causalmente e psicologicamente attribuibile al soggetto datoriale agente,
sanzionato con pena proporzionata, tesa alla rieducazione del condannato, sempre ché la sanzione
penale sia strettamente necessaria per l’inadeguatezza delle sanzioni extra-penali a tutelare i valori
protetti.
Da qui, come si vedrà, l’introduzione generalizzata della “prescrizione obbligatoria” (art. 15 D.Lgs. n.
124/2004), con riguardo alle contravvenzioni in materia di lavoro, consentendo la definizione in via
amministrativa dei reati per i quali l’autore si pone nelle condizioni di “rimediare” alla situazione
antigiuridica ed offensiva che ha posto in essere.
In effetti, il legislatore della riforma dei servizi ispettivi, accogliendo ed esercitando i criteri di delega di
ridefinizione dell’istituto della prescrizione già operativamente applicato dagli ispettori del lavoro (ex
artt. 20 e segg. D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758), ha tenuto ben presente il principio di sussidiarietà che
vincola il legislatore penale nel nostro ordinamento, in base al quale il ricorso al diritto penale è
ammesso solo come extrema ratio, nel senso che la pena è giustificata soltanto se e quando risulta
“necessaria”, in quanto gli altri strumenti di tutela di natura civile o amministrativa non sarebbero
comunque insufficienti, in conformità alle finalità cui tende l’ordinamento.
Il ricorso allo strumento penale, in estrema sintesi, sarebbe ingiustificato, anche in ottica costituzionale,
quando il bene tutelato è parimenti salvaguardato mediante sanzioni di natura extrapenale.
In questa prospettiva, a far data dai primi anni Ottanta del XX secolo, si è mosso il legislatore italiano,
avviando quella che a ragione è definita la “stagione della depenalizzazione” in materia di lavoro,
concentrata intorno ai due cardini della “frammentarietà” e della “meritevolezza di pena”, per cui il
diritto penale interviene, anche nella disciplina privatistica dei rapporti di lavoro, contro specifiche
forme di aggressione dei beni giuridici della persona che lavora e nei soli casi in cui tale aggressione
raggiunge un significativo livello di gravità.
Così, anzitutto, con la legge 24 novembre 1981, n. 689, attuando un ambizioso ed esteso disegno di
depenalizzazione dei reati “minori”, altrimenti detti anche “bagatellari”, il legislatore provvide a
convertire in illeciti amministrativi la più parte delle ipotesi di reato in materia di previdenza e assistenza
obbligatorie in precedenza punite con la sola pena dell’ammenda.
Peraltro, all’interno del sistema depenalizzante della legge n. 689/1981 non erano state comprese le
altre infrazioni previste dalle leggi relative ai rapporti di lavoro, fra le altre anche quelle relative alla
regolare assunzione dei lavoratori.
Tuttavia, il legislatore, procedendo secondo lo schema depenalizzante avviato, dopo l’entrata in vigore
della legge sull’illecito amministrativo, provvide a trasformare in illeciti amministrativi anche altre
violazioni, pure originariamente penalmente sanzionate, in materia di lavoro (si pensi, a titolo di
esempio, alla legge 29 marzo 1985, n. 113 sul collocamento obbligatorio dei centralinisti telefonici non
vedenti e alla legge 28 febbraio 1987, n. 56 sul collocamento ordinario).
Un secondo importante momento di globale depenalizzazione è stato successivamente segnato dal
D.Lgs. n. 758/1994, il quale in attuazione dei principi direttivi e i criteri di delega fissati dalla legge n.
499/1993, provvide a realizzare una incisiva “decriminalizzazione” di una gran parte degli illeciti penali
previgenti nella tutela dei rapporti di lavoro e dei lavoratori (soltanto quale pro memoria, si pensi a: art.
5 D.Lgs.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 303 - conservazione del posto di lavoro per chiamata alle armi;
art. 5 legge 5 gennaio 1953, n. 4 - prospetti di paga; art. 11 DPR 19 marzo 1955, n. 520 - inosservanza
delle disposizioni dell’ispettore del lavoro; art. 8 della legge 14 luglio 1959, n. 741 - minimi di
trattamento economico e normativo dei contratti erga omnes; art. 195 D.P.R. 30giugno 1965, n. 1124 istituzione, tenuta e aggiornamento dei libri matricola e paga; denunce di infortunio all’INAIL e
all’Autorità di PS; comunicazioni di inizio, variazione e cessazione attività all’INAIL.
Per la verità, il D.Lgs. n. 758/1994 (in vigore dal 26 aprile 1995) si collegava, direttamente, alla
immediatamente precedente iniziativa depenalizzante avviata con il D.Lgs. 9 settembre 1994, n. 566 (in
vigore dal 5 ottobre 1994 che aveva parzialmente fatto venire meno la tutela penale nei riguardi del
lavoro dei minori, delle lavoratrici madri e dei lavoranti a domicilio.
Nello spirito della depenalizzazione, e nel rispetto del principio di legalità, le disposizioni che
intervengono a sostituire le pene con sanzioni amministrative pecuniarie trovarono subito applicazione
“estensiva”, anche con riguardo alle violazioni commesse anteriormente all’entrata in vigore delle
norme depenalizzanti, nei casi in cui, ovviamente, il procedimento penale non risultava definito con
sentenza o decreto irrevocabile.
Residuano, allora, attualmente, non molte, ma importanti ipotesi di reato in materia di lavoro (eccezion
fatta per il grande novero degli illeciti penali in materia di sicurezza e igiene sul lavoro, che non
formano oggetto della presente trattazione), alcune anche di recente introduzione o riformulazione, che
verranno dettagliate nelle apposite tabelle allegate.
1.2. Principio di materialità
Altro cardine del diritto penale del lavoro è il principio di materialità (nullum crimen sine actione), per
effetto del quale, affinché si realizzi e sussista un reato, la volontà criminosa del soggetto agente, in
genere il datore di lavoro, deve “materializzarsi” in un comportamento che risulti essere compiutamente
“a rilevanza esterna”.
Può essere considerato “reato” soltanto il comportamento umano che si estrinseca materialmente nel
mondo esteriore e, per effetto di ciò, diventa suscettibile di percezione sensoria: il fatto materiale è la
base prima ed imprescindibile di ogni giudizio di “disvalore” penale, anche con riferimento al rapporto
di lavoro.
L’art. 25, comma 2, della Costituzione, nel fare riferimento al “fatto commesso”, ha inteso fondare il
diritto penale italiano proprio sulla materialità del fatto, che può andare dalla estrinsecazione minima
dell’inizio dell’azione penalmente rilevante, a quella intermedia della realizzazione dell’intera azione,
fino all’estrinsecazione massima della realizzazione dell’evento materiale.
Visto nella sua “materialità” il fatto di reato risulta, allora, composto da una serie di elementi essenziali
imprescindibili che costituiscono il cd. “elemento oggettivo o materiale” del reato e riguarda i diversi
profili esterni del fatto (naturalistici, descrittivi, ma anche, come non di rado accade, normativi).
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Infine, si tenga presente che, nel fatto di reato oggettivamente inteso, sono compresi sia gli elementi
“positivi”, quelli cioè che devono esserci (condotta ed evento, nesso di causalità e antigiuridicità), sia gli
elementi “negativi”, quelli cioè che devono mancare (cause di giustificazione).
Una “materialità” che, comunque, deve essere valutata precipuamente con riguardo alla natura e alla
tipologia della condotta censurata e punita: una condotta che potrà rivestire sia le forme del
comportamento “attivo”, consistente in una azione antidoverosa del datore di lavoro o di chi a suo
nome e per suo conto agisce con piena titolarità, sia quelle del comportamento “omissivo”, vale a dire
del soggetto datoriale che omette di adempiere un obbligo tassativamente dettato dal legislatore nel
caso di specie (forma tradizionale di costruzione della maggior parte degli illeciti penali in materia di
lavoro, che appaiono all’evidenza strutturati come punizione di una condotta antigiuridica, perché
inadempiente rispetto agli obblighi normativi previsti).
1.3. Principi di offensività e di colpevolezza
Accanto al principio di legalità, inteso nel suo corollario della “sussidiarietà”, come sopra si è visto, gli
eventi che hanno caratterizzato la legislazione penale del lavoro si affacciano a pieno titolo sul principio
di offensività (nullum crimen sine iniuria), per effetto del quale ogni singola ipotesi di reato deve
sostanziarsi in una offesa al bene giuridico che si intende tutelare.
D’altra parte, nell’ambito della struttura di qualsiasi reato, la colpevolezza o l’elemento soggettivo, è
quello che riveste un ruolo di assoluta centralità: per la sussistenza della contravvenzione o del delitto
occorre che la commissione del fatto previsto dalla legge come reato, corrispondente alla fattispecie
astratta, penalmente sanzionata, sia accompagnata dall’esistenza di un nesso psichico che unisca il
soggetto agente alla condotta e all’evento lesivo, rendendo questi “psicologicamente attribuibili” alla sua
volontà antidoverosa (anche alla luce dei disposti costituzionali contenuti nell’art. 27 Cost.).
Il comportamento penalmente sanzionato, in sintesi, deve essere da un lato materialmente riprovevole,
dall’altro soggettivamente rimproverabile a chi ha agito illegalmente nelle vesti di datore di lavoro,
offendendo i beni giuridici tutelati dalle norme di lavoro e di legislazione sociale.
Restano escluse così, e pertanto si pongono al di fuori di qualsivoglia rilevanza nel diritto penale del
lavoro, le forme di “responsabilità per fatto altrui” (per cui il soggetto risponde del fatto di altri, senza
che egli abbia contribuito a realizzarlo) e di “responsabilità oggettiva” (per cui il reato è addebitato al
soggetto sulla base del solo nesso causale).
L’unica forma di responsabilità penale dei soggetti che incarnano il datore di lavoro, nella violazione
delle norme penali che tutelano la persona che lavora, è quella “colpevole”, in base alla quale il soggetto
datoriale agente è chiamato a rispondere esclusivamente di uno specifico fatto proprio, che a lui può
essere attribuito psicologicamente, in quanto realizzato con dolo o, almeno, nei reati contravvenzionali,
con colpa.
1.4. Delitti e contravvenzioni
Si è accennato alla distinzione fra “delitti” e “contravvenzioni”.
Per accertare, in concreto, se una singola ipotesi di reato è classificabile come delitto o piuttosto come
contravvenzione occorre seguire il criterio dettato dall’art. 39 del codice penale, il quale stabilisce che “i
reati si distinguono in delitti e contravvenzioni, secondo la diversa specie di pene per essi
rispettivamente stabilite da questo codice”.
Pertanto, in base a quanto dettato dal codice penale e dalle leggi penali speciali in materia di lavoro e di
legislazione sociale, sono delitti i reati che risultano puniti con la pena dell’ergastolo, della reclusione e
della multa, mentre sono contravvenzioni i reati puniti con la pena dell’arresto e dell’ammenda.
Nella materia del lavoro la maggior parte dei reati riveste natura di contravvenzione e per essi viene in
genere oggi prevista la sola pena dell’ammenda.
Vi sono, però, fra le figure di reato di seguito specificamente individuate ed elencate, anche alcune
ipotesi contravvenzionali ritenute dal legislatore di speciale gravità (ad es. intermediazione aggravata)
per le quali è prevista la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda, altre ipotesi di gravità intermedia
(ad es. lavoro dei minori e lavoro dei genitori) per le quali è prevista la sola pena dell’arresto, altre
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ipotesi (ad es. lavoro notturno), infine, per le quali è prevista la pena alternativa dell’arresto o
dell’ammenda.
Le ipotesi in assoluto più gravi, invece, sono anche nella materia lavoristica, classificate come delitti e
come tali punite con la multa e con la reclusione (ad es. omesso versamento delle ritenute).
Dunque, è la natura e la tipologia della sanzione stabilita dal legislatore a distinguere l’illecito penale
dall’illecito amministrativo (punito con sanzione amministrativa, appunto), anzitutto, ma anche, come
detto, a differenziare i delitti dalle contravvenzioni.
Tale ultima, distinzione, peraltro, non ha un’importanza di tipo soltanto teorico, giacché le
contravvenzioni, ad esempio, a differenza dei delitti:
•
non risultano punibili se commesse all’estero (art. 7 c.p.),
•
non ammettono il tentativo (art. 56 c.p.),
•
sono ammesse alle procedure di oblazione (art. 162 c.p.),
•
sono ammesse alle procedure di definizione in via amministrativa (prescrizione ex art. 15 D.Lgs.
n. 124/2004).
La misura dell’ammenda (pena pecuniaria per le contravvenzioni) è fissata dalle singole leggi speciali, in
genere con una “forchetta” edittale in cui sono determinati un minimo e un massimo.
Peraltro, in talune ipotesi di reato di natura contravvenzionale l’ammenda è stabilita come pena
proporzionale progressiva, in correlazione col numero dei soggetti (lavoratori) ai quali si riferisce la
violazione e talora anche con riferimento alla durata dell’illecito (ad es. somministrazione di lavoro
abusiva e illecita utilizzazione).
Quanto alla determinazione in concreto della pena, nei limiti in astratto stabiliti dalla normativa, essa
spetta nel nostro ordinamento all’apprezzamento del giudice competente (salvo i casi di definizione in
via amministrativa, in cui la “pena” divenuta “sanzione amministrativa” è calcolata con parametri certi
direttamente dal funzionario accertatore).
2. L’attività di accertamento dei reati
Con riferimento all’attività di accertamento vera e propria dei reati, vi è da registrare, anzitutto, una
importante novità (a far data dal maggio 2004), giacché tutto il personale ispettivo del Ministero del
lavoro (compresi quindi gli “addetti alla vigilanza” e i nuovi “accertatori del lavoro”) si è visto attribuire,
senza eccezioni, la qualifica di “ufficiale di polizia giudiziaria” dall’art. 6 del D.Lgs. n. 124/2004 (“nei
limiti del servizio cui sono destinati e secondo le attribuzioni conferite dalla normativa vigente”).
In effetti, l’art. 57, comma 3, del cod. proc. pen. stabilisce espressamente che “sono altresì ufficiali e
agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono destinati e secondo le rispettive attribuzioni,
le persone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall’art. 55”.
Secondo la lettera dell’art. 55 cod. proc. pen., pertanto, gli ufficiali di polizia giudiziaria devono “anche
di propria iniziativa” svolgere una serie di attività rivolte alla prevenzione e repressione dei reati:
“prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori,
compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per
l’applicazione della legge penale”.
Inoltre, la polizia giudiziaria è chiamata a svolgere qualsiasi “indagine e attività disposta o delegata
dall’autorità giudiziaria”.
La “doppia veste” del personale ispettivo del Ministero del Lavoro – oggi indossata da tutti coloro che
espletano attività di vigilanza quali funzionari dipendenti delle strutture periferiche ministeriali, senza
eccezioni – non deve indurre nel vecchio equivoco di tornare a considerare l’attività investigativa degli
ispettori del lavoro svolta contemporaneamente sia quale attività di vigilanza amministrativa sia come
attività di indagine coi poteri di polizia giudiziaria (così, in passato, Circolare Ministero del Lavoro n. 91
del 6 luglio 1982).
In verità il principio sancito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 10 del 2 febbraio 1971 soccorre
l’interprete anche con riguardo al ruolo investigativo del personale ispettivo del Ministero del Lavoro.
Sancendo che “non esiste una libertà dell’ispettore di esercitare promiscuamente funzioni di vigilanza
amministrativa e di polizia giudiziaria”, i giudici della Consulta hanno fortemente sottolineato la
necessaria e netta separazione fra i due ambiti di attività, quella tutta amministrativa della vigilanza
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relativa all’accertamento e alla contestazione degli illeciti di natura amministrativa o penaleamministrativa e quella di tipo penale che necessita lo svolgimento di attività di polizia giudiziaria.
La differenza fra le due tipologie di attività esperibili dall’ispettore del lavoro nell’esercizio delle proprie
funzioni istituzionali, infatti, risiede compiutamente nel diverso approccio dell’accertatore nei confronti
del soggetto (datore di lavoro) che subisce l’indagine ispettiva, giacché mentre in caso di “vigilanza
amministrativa” il personale ispettivo ministeriale non incontrerà obblighi o limiti particolari nel
procedere ad esaminare documenti, acquisire informazioni da dipendenti o terzi, sentire il soggetto
sottoposto ad indagini amministrative, al contrario in caso di “vigilanza penale” il personale ispettivo
dovrà procedere assumendo tutte le garanzie previste dalle vigenti norme processuali, così come
stabilite dal codice di procedura penale. Proprio dalle disposizioni contenute nel codice di procedura
penale, peraltro, è possibile ricavare un primo discrimine utile a chiarire quando l’ispettore del lavoro
eserciti funzioni di polizia giudiziaria, con le garanzie e nell’osservanza delle regole della fase
procedimentale che precede il processo penale (indagini preliminari), e quando, invece, eserciti attività
di tipo amministrativo.
In primo luogo il codice lascia intendere che il personale ispettivo che riveste la qualifica di ufficiale di
polizia giudiziaria svolge in concreto l’attività connessa a tale qualifica funzionale allorché ricevuta o
appresa notizia di un reato si trovi a svolgere la relativa indagine.
Secondariamente, ma non meno diffusamente, l’ispettore del lavoro esercita funzioni di polizia
giudiziaria quando il pubblico ministero lo investe direttamente dell’indagine circa una notizia di reato
avuta direttamente per la quale sia necessario espletare i dovuti accertamenti relativi alla fondatezza
della notizia stessa e alla acquisizione delle fonti di prova del reato notiziato.
Poiché il passaggio dall’attività di vigilanza amministrativa a quella di polizia giudiziaria può, dunque,
avvenire in costanza di accertamenti ispettivi, qualora in una normale ispezione del lavoro, di iniziativa
programmata o su richiesta di intervento, il funzionario ispettivo rilevi gli estremi che identificano - se
provati e documentati - la sussistenza di un reato, diventa necessario acquisire una regola
procedimentale assoluta al fine di garantire tanto il soggetto che subisce l’indagine, quanto l’ispettore
che procede.
Regola “aurea” in tal senso è individuabile nell’art. 220 delle disp. att. coord. cod. proc. pen. che
stabilisce espressamente: “quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti
emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa
servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza del codice”.
Presupposto perché l’art. 220 ora citato operi è l’emersione di precisi indizi di reato durante l’attività
ispettiva, e non invece la sussistenza di semplici “sospetti” di un reato o, ancor meno
significativamente, di generiche circostanze non meglio precisate.
D’altro canto è l’art. 63 del cod. proc. pen. che aggancia l’avvio e l’utilizzo di tutte le garanzie difensive
nei confronti dell’indagato al momento nel quale dalle dichiarazioni rese dalla persona non sottoposta
alle indagini “emergono indizi di reità”. Se ne deve dedurre, pertanto, che ogni qualvolta l’attività di
vigilanza degli ispettori del lavoro sfocia nell’accertamento della sussistenza di uno o più illeciti penali,
da quel preciso momento tutti gli atti, che siano utili e necessari ad assicurare le fonti di prova e a
raccogliere ogni elemento finalizzato alla applicazione della legge penale, devono essere compiuti
osservando specificamente le norme del codice di procedura penale, soprattutto, ma non solo, con
riguardo alle garanzie difensive (Cass. Pen., Sez. Un., 28 novembre 2002).
Peraltro, l’espressione “indizi di reato” (art. 220 disp. att.), come quella analoga “indizi di reità” (art. 63
cod. proc. pen.), deve essere riferita non già a “indizi di colpevolezza” (Cass. Pen., 29 agosto 2001, n.
32464) ovvero alla acquisizione di una “prova indiretta” (Cass. Pen., Sez. Un., 20 dicembre 2001, n.
45477), ma piuttosto a quella possibilità, anche in termini di probabilità, che una o più circostanze di
fatto investigate durante l’indagine amministrativa siano rilevanti, perché apprezzabili, sotto un profilo
penale.
Qualora, infatti, il personale ispettivo che conduce l’indagine in materia di lavoro, prosegua i propri
accertamenti secondo le regole ordinarie dell’ispezione amministrativa, tutto quanto acquisito nel corso
dell’attività di vigilanza diverrà inutilizzabile, ai fini del processo penale, perché trattasi di operazioni di
polizia giudiziaria svolte in palese violazione delle disposizioni dettate precisamente a garanzia del
diritto di difesa, costituzionalmente tutelato (art. 24 Cost.).
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L’adozione degli atti tipici di polizia giudiziaria, perché tipizzati dalle disposizioni del codice di
procedura, esige, dal momento in cui emergono chiari indizi di reato, il rispetto integrale delle singole
norme di tutela, pena l’irregolarità o la nullità dell’accertamento ispettivo:
in materia di documentazione e verbalizzazione degli atti d’indagine (artt. 134 segg. e art. 357
cod. proc. pen.);
circa l’invito all’indagato a nominare un difensore di fiducia prima di procedere a raccogliere
“sommarie informazioni” (art. 350 cod. proc. pen.);
riguardo alla presenza del difensore dell’indagato che deve essere consentita e in taluni casi
anche con preavvertimento specifico (art. 351 cod. proc. pen.);
per lo svolgimento di accertamenti urgenti su luoghi, cose e persone (art. 352 cod. proc. pen.).
Proprio, e solo, il rispetto delle ora sintetizzate garanzie di difesa della persona sottoposta ad indagini di
natura penale consente, grazie anche all’intervento del difensore, che vengano espressamente
verbalizzate e inserite negli atti di indagine singoli fatti e specifiche circostanze che avranno un ruolo
determinante o comunque incidente nel prosieguo delle diverse fasi processuali, data la sicura efficacia
probatoria che le stesse assumono nella contestualità della verbalizzazione.
2.1. L’informativa all’Autorità Giudiziaria
Nella loro qualità di ufficiali di polizia giudiziaria, gli ispettori del lavoro (vale a dire tutto il personale
ispettivo del Ministero del lavoro), quando accertano la violazione di specifici obblighi o divieti posti
dalle leggi di tutela del lavoro che sono penalmente sanzionate, hanno l’obbligo di riferire
immediatamente al pubblico ministero (PM), ai sensi e per gli effetti dell’art. 347 cod. proc. pen., con
riferimento alle indagini preliminari dagli stessi svolte, al fine di acquisire le fonti di prova del reato
rilevato ed accertato in sede di ispezione sul lavoro.
L’informativa al PM deve essere in forma scritta e deve contenere (art. 347, comma 1, c.p.p.):
•
gli elementi essenziali del fatto di reato,
•
tutti gli elementi comunque raccolti,
•
l’indicazione delle fonti di prova esaminate e acquisite,
•
l’indicazione delle attività di indagine compiute,
•
la documentazione relativa raccolta.
Tutti gli atti che il personale ispettivo ha svolto in questa fase, peraltro, di norma non costituiscono
prova, sebbene la giurisprudenza abbia riconosciuto che il verbale degli ispettori del lavoro, nelle ipotesi
in cui contenga “la descrizione di cose, di tracce o di luoghi, suscettibili di modifica nel tempo per
eventi naturali o per comportamenti umani”, costituisce “documentazione di attività irripetibile perché
descrittiva di una situazione accertata in un determinato momento storico” (così espressamente Cass.
Pen., Sez. III, 29maggio 1992, n. 6547).
Anche nei casi in cui il personale ispettivo deve procedere ad impartire una prescrizione obbligatoria (ai
sensi dell’art. 15 D.Lgs. n. 124/2004 e degli artt. 20 e segg. D.Lgs. n. 758/1994), rimane fermo l’obbligo
di riferire al PM la relativa notizia di reato, ai sensi del citato art. 347 cod. proc. pen., giacché la
prescrizione si caratterizza comunque come atto compiuto nell’esercizio delle funzioni di polizia
giudiziaria (art. 55 cod. proc. pen.), con la specifica funzione di impedire che il reato accertato venga
portato a conseguenze ulteriori.
Sotto altro profilo, si tenga parimenti presente che tutto il personale di vigilanza, che non riveste la
qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, quale “pubblico ufficiale”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 331
cod. proc. pen., è tenuto a denunciare per iscritto, “senza ritardo” al PM o a un ufficiale di polizia
giudiziaria, la notizia di un reato perseguibile d’ufficio che sia stata appresa nell’esercizio o a causa delle
funzioni svolte, “anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito”.
2.2. L’identificazione del “datore di lavoro”
Il personale ispettivo, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria, deve procedere alla corretta
individuazione del soggetto personalmente responsabile delle violazioni delle norme penalmente
sanzionate di cui si rileva la sussistenza nella realtà datoriale ispezionata.
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Il legislatore, invero, disegna le diverse ipotesi precettive in materia di lavoro, ponendo gli obblighi e di
divieti in capo, genericamente, al “datore di lavoro”, senza in alcun modo specificare la concreta
definizione di tale soggetto.
La giurisprudenza soccorre l’operatore, anzitutto, segnalando che sotto la generica etichetta “datore di
lavoro” devono essere distinti i soggetti individuali (titolari o responsabili dell’impresa) dai soggetti
collettivi (società o enti, con o senza personalità giuridica autonoma).
Mentre nessun problema rileva nella mera individuazione del soggetto individualmente responsabile
nelle realtà organizzative meno complesse, più seri si fanno i problemi di ricerca del soggetto cui
attribuire le responsabilità penali dirette e personali nelle società più organizzate e strutturate.
In tali situazioni, infatti, accanto al criterio giuridico di individuazione del “legale rappresentante”, a
seconda dei casi amministratore unico, amministratore delegato o altro, vi è il criterio organizzativogestionale della “delega di funzioni” operante nelle aziende di rilevanti dimensioni, che impiegano un
numero rilevante di dipendenti e che dispongono di ausiliari e collaboratori qualificati (si pensi a:
direttori generali, direttori del personale e simili), nei confronti dei quali il “legale rappresentante”
riversa gli obblighi derivanti dalla legislazione sociale e del lavoro, attribuendo loro la piena operatività e
tutti i poteri gestori afferenti.
La “delega di funzioni” opera, dunque, secondo la giurisprudenza in presenza dei seguenti presupposti
(Cass. Pen., Sez. III, 3 giugno 1981; Cass. Pen., Sez. III, 7 giugno 1983):
•
l’impresa è di notevoli dimensioni;
•
l’attribuzione di funzioni investe persone qualificate e, quindi, idonee e corrisponde alle effettive
esigenze organizzative dell’impresa;
•
all’attribuzione delle funzioni si accompagna l’assegnazione degli specifici poteri d’azione
necessari.
Peraltro, si consideri che anche nelle società semplici e nelle società di fatto, gli obblighi posti a carico
del datore di lavoro possono risultare diversamente configurati in capo ai singoli soci, dei quali andrà
accertata l’attribuibilità colpevole della condotta e del reato, giusto quanto sopra argomentato.
D’altro canto, per quanto attiene all’elemento soggettivo del reato, trattandosi in materia di lavoro,
come detto, quasi esclusivamente di contravvenzioni, si tenga presente che il codice penale richiede per
configurare la commissione di tali tipi di reati soltanto “una azione od omissione cosciente e volontaria,
sia essa dolosa che colposa” (art. 42, comma 4, cod. pen.), il che non sta certamente a significare che
non occorre accertare il tipo di partecipazione psicologica alla realizzazione dell’illecito penale
considerato, ma piuttosto che risulterà sufficiente l’accertamento di un qualsiasi elemento che manifesti
oggettivamente una “volontà cosciente” del soggetto individuato come responsabile dell’azione
penalmente sanzionabile.
Sotto questo profilo, si badi, non rileverà l’ignoranza della legge penale quale scusante (art. 5 cod. pen.),
salvo che l’errore sia comunque tale da rendere non colpevolmente rimproverabile il soggetto agente,
come nel caso di un’azione posta in essere dal datore di lavoro sulla base di un chiarimento o di una
indicazione forniti ufficialmente (con atto a rilevanza esterna) dalla Direzione provinciale del lavoro o
da altra pubblica amministrazione competente.
Nel diritto penale del lavoro attuale le ipotesi di illecito penalmente sanzionate dal legislatore sono
prevalentemente strutturate come reati di tipo contravvenzionale a carattere “permanente” (ad es.
lavoro notturno della lavoratrice madre), vale a dire che la violazione dell’obbligo o del divieto posto dà
luogo ad una situazione di antidoverosità che permane e si protrae nel tempo in funzione del
perpetrarsi della condotta posta in essere dal soggetto responsabile del reato e viene a cessare soltanto
in seguito alla definitiva corretta ottemperanza al precetto violato.
Peraltro, non mancano neppure contravvenzioni a carattere “istantaneo” (ad es. intermediazione
abusiva) o, più ancora, a carattere “istantaneo con effetti permanenti” (ad es. somministrazione di
lavoro abusiva).
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2.3. L’acquisizione di informazioni dall’indagato
Il nostro ordinamento penale stabilisce che gli ispettori del lavoro, quali ufficiali di polizia giudiziaria,
possano procedere ad acquisire informazioni dall’indagato di propria iniziativa oppure su iniziativa dello
stesso indagato o a seguito di delega del pubblico ministero.
Nel primo caso si ha l’acquisizione di “sommarie informazioni” (art. 350 cod. proc. pen.) con
obbligatoria presenza del difensore e previo avvertimento all’indagato circa la facoltà riconosciutagli
dalla legge di non rispondere alle domande che gli verranno rivolte sui fatti oggetto di indagine.
Perché le “sommarie informazioni” siano legittimamente rese ed acquisite il personale ispettivo del
Ministero del Lavoro deve procedere a:
invitare l’indagato a nominare un difensore di fiducia (in mancanza di nomina si deve designare
un difensore d’ufficio);
avvisare con tempestività il difensore dell’intenzione di acquisire “sommarie informazioni”;
iniziare ad acquisire informazioni sono quando il difensore sia effettivamente presente;
avvertire l’indagato della facoltà di non rispondere (informandolo che anche in mancanza di
risposte il procedimento proseguirà);
invitare l’indagato a declinare le proprie generalità e ogni altro elemento identificativo di rilievo;
evitare qualsiasi tecnica o strumento che possano influenzare la reale capacità dell’indagato di
ricordare fatti e circostanze e di valutarne natura ed effetti.
Le “sommarie informazioni”, acquisite secondo le regole qui schematicamente riassunte, devono essere
documentate in un apposito verbale (art. 357 cod. proc. pen.) che deve essere trasmesso al PM (della
Procura della Repubblica presso il Tribunale nella cui giurisdizione è stata accertata la violazione) in
originale entro il terzo giorno dal compimento dell’atto, ma anche conservato in copia presso gli uffici
della Direzione provinciale del lavoro dove operano gli ufficiali di polizia giudiziaria che hanno formato
l’atto (art. 115, comma 2, disp. att. cod. proc. pen.).
Al di fuori di questa dettagliata e stretta procedura, il personale ispettivo potrà assumere indicazioni e
notizie utili per l’immediata prosecuzione delle indagini, anche in assenza del difensore, ma soltanto sul
luogo del reato e nell’immediatezza dei fatti che lo hanno integrato (art. 350, comma 5, cod. proc. pen.).
Se è l’indagato che intende rilasciare “dichiarazioni spontanee”, gli ufficiali di polizia giudiziaria
potranno procedere anche senza l’assistenza del difensore; anche le dichiarazioni rese spontaneamente
dall’indagato devono essere documentate in apposito verbale da trasmettersi al PM entro il terzo giorno
e da conservarsi in copia presso gli uffici della Direzione provinciale del lavoro.
Da ultimo, se il personale ispettivo ministeriale procede per delega del PM ad un “interrogatorio
dell’indagato”, dopo che il PM abbia provveduto ad emettere l’invito a presentarsi (art. 375 cod. proc.
pen.), gli ufficiali di polizia giudiziaria interrogano la persona sottoposta ad indagini:
formulando in modo chiaro, preciso e dettagliato le circostanze di fatto che gli vengono
addebitate e contestate;
riferendo le fonti di prova acquisite, ove opportuno e se ciò non reca pregiudizio alle indagini;
contestando gli elementi di prova che sono stati rilevati contro l’indagato;
invitando l’indagato ad esporre ogni elemento che valuti utile alla propria difesa;
ponendo direttamente domande volte a chiarire singoli particolari o a verificare la credibilità
dell’interrogato.
Anche l’interrogatorio è documentato in un apposito verbale trasmesso tempestivamente al PM.
2.4. Annotazioni e verbali
Tutta l’attività che il personale ispettivo del lavoro è chiamato a svolgere in veste di ufficiale di polizia
giudiziaria deve risultare documentata in forma scritta (a parte la riproduzione audiovisiva che si
aggiunge solo se assolutamente indispensabile).
Ogni attività documentale deve essere svolta nel corso del compimento degli atti che si vanno a
documentare, la documentazione può avvenire immediatamente dopo gli atti compiuti solo se vi sono
circostanze irreparabili che impediscono la documentazione contestuale (di tali circostanze deve essere
data specifica indicazione: art. 373, comma 4, cod. proc. pen.).
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La forma più semplice è data dalle “annotazioni” che consistono in appunti scritti, che vengono redatti
senza formalità e sono chiamati a documentare atti ed operazioni strumentali e comunque non
tipizzate, utili alla prosecuzione o all’avvio delle indagini ispettive.
A norma dell’art. 115 disp. att. coord. cod. proc. pen. le annotazioni devono contenere:
- l’esatta indicazione dell’ufficiale di polizia giudiziaria che le ha redatte e che ha compiuto l’attività con
le stesse documentata;
- le generalità complete delle persone che hanno preso parte alle operazioni;
- l’indicazione del giorno, dell’ora e del luogo in cui gli atti di indagine annotati sono stati svolti;
- l’enunciazione sintetica di quanto emerso e rilevato a seguito degli atti di indagine che si annotano.
La seconda forma di documentazione è data dai “verbali” che già si sono richiamati.
Il verbale è redatto in forma integrale o riassuntiva, con stenotipia, con altri mezzi meccanici o con
scrittura manuale (se il verbale è redatto in forma riassuntiva è obbligatoria anche la registrazione
audio).
Il verbale deve contenere (art. 136 cod. proc. pen.):
l’indicazione del luogo, dell’anno, del mese, del giorno e dell’ora in cui è aperto e in cui viene
chiuso;
le generalità delle persone presenti e intervenute;
le cause (se note) della mancata presenza delle persone che sarebbero dovute intervenire;
la descrizione quanto più possibile dettagliata di ciò che il verbalizzante ha fatto o constatato e
di ciò che è avvenuto in sua presenza;
la trascrizione esatta dei contenuti delle dichiarazioni rese e ricevute;
l’indicazione della natura delle dichiarazioni rese, se spontaneamente o su domanda diretta (che
va parimenti verbalizzata prima della risposta);
l’eventuale indicazione circa la verbalizzazione sotto dettatura da parte del dichiarante;
l’eventuale indicazione circa l’avvalersi da parte del dichiarante dell’autorizzazione a consultare
note o appunti scritti.
Il verbale, previa rilettura integrale, deve essere sottoscritto alla fine di ciascun foglio dal verbalizzante e
dalle persone intervenute (se, per qualsiasi motivo, gli intervenuti non vogliono o non possono firmare,
deve farsi esplicita menzione di ciò nel verbale, indicandone il motivo).
Gli ispettori del lavoro, che in veste di ufficiali di polizia giudiziaria hanno ricevuto o hanno proceduto
a verbalizzare o ad annotare dichiarazioni da parte di testimoni o persone informate sui fatti, non
possono essere chiamati a deporre su tali dichiarazioni (Cass. Pen., Sez. Un., 24 settembre 2003).
2.5. La prescrizione obbligatoria
Come anticipato sopra, taluni reati contravvenzionali, a determinate condizioni, possono essere estinti
in via amministrativa.
A tal proposito, è stato ridisciplinato dall’art. 15 del D.Lgs. n. 124/2004 l’istituto della “prescrizione
obbligatoria” così come in precedenza introdotto dagli artt. 20 e seguenti del D.Lgs. n. 758/1994.
La “prescrizione” è un provvedimento emesso dall’ispettore del lavoro nell’esercizio delle funzioni di
polizia giudiziaria, conseguente all’accertamento di violazioni che costituiscono reato di tipo
contravvenzionale (fino al 27 maggio 2004 soltanto se punito con la pena alternativa dell’arresto o
dell’ammenda, da quella data anche se punito con la sola pena dell’ammenda, come si dirà subito sotto).
Si tratta di un provvedimento scritto con il quale il funzionario accertatore impartisce le direttive per
rimuovere o modificare le situazioni irregolari riscontrate: il contenuto della prescrizione è indicato
espressamente dalla fattispecie normativa violata ovvero anche dalle misure in concreto prescritte
dall’ispettore.
Per effetto della disposizione contenuta nell’art. 23 del D.Lgs. n. 758/1994 il procedimento penale per
l’accertamento e la punizione della contravvenzione rilevata, è sospeso dal momento dell’iscrizione della
notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 del codice di procedura penale e fino al momento in cui il
pubblico ministero riceve comunicazione, da parte dell’organo di vigilanza, circa l’adempimento o
meno della prescrizione.
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Peraltro, la sospensione del procedimento penale non preclude l’eventuale richiesta di archiviazione, né
impedisce l’assunzione delle prove secondo la procedura d’urgenza dell’incidente probatorio, così pure
gli altri atti urgenti di indagine preliminare e il sequestro preventivo.
D’altra parte, se entro sessanta giorni dalla comunicazione della notizia di reato il pubblico ministero
incaricato non riceve alcuna comunicazione dall’organo di vigilanza, ovvero viene informato dallo
stesso della impossibilità di procedere ad impartire una prescrizione, il procedimento penale riprende
comunque il suo corso ordinario, salvo che, sempre nel predetto termine, il funzionario ispettivo non
dia apposita notizia al PM del fatto di aver impartito una prescrizione, in tal caso, ovviamente, il
procedimento rimane sospeso fino alla comunicazione finale di adempimento o di inadempimento alla
prescrizione, come detto.
L’esercizio dell’azione penale rimane, dunque, sospeso fintantoché il trasgressore non ha adempiuto alla
prescrizione e, conseguentemente, non ha corrisposto l’eventuale sanzione pecuniaria: nella
prescrizione, infatti, devono essere indicati i tempi, le modalità di esecuzione delle modifiche e
l’importo della sanzione amministrativa pecuniaria per la regolarizzazione.
La prescrizione “originaria”, quella di cui al D.Lgs. n. 758/1994, consegue ad una visita ispettiva nel
contesto della quale sia stata constatata e accertata l’inosservanza di norme a tutela della sicurezza e
igiene del lavoro ovvero delle altre sanzioni penali espressamente evidenziate dal legislatore.
Il funzionario incaricato e competente a svolgere l’attività di vigilanza in materia, nel pieno esercizio
delle attribuite funzioni di polizia giudiziaria, provvede ad impartire al soggetto personalmente
responsabile del reato contravvenzionale una prescrizione specifica e determinata, stabilendo un
termine preciso per la regolarizzazione.
Il termine de quo va determinato in base ai criteri-guida che il D.Lgs. n. 758/1994 (art. 20)
opportunamente provvede a dettare, al fine di evitare che il personale ispettivo si trovi a gestire margini
di discrezionalità inopinatamente ampli, in materia penale (tempo tecnicamente necessario; termine non
legato a considerazioni di carattere economico-finanziario; non superiore ai sei mesi; prorogabile una
sola volta su richiesta motivata).
La prescrizione va notificata al soggetto, persona fisica, che in rappresentanza dell’impresa-datore di
lavoro ha posto in essere la condotta che ha integrato gli estremi del reato accertato e constatato (una
copia va notificata anche alla ditta nella quale opera il contravventore).
Sebbene l’esercizio dell’azione penale rimanga sospeso il funzionario ispettivo, che ha redatto e
notificato la prescrizione, è obbligato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 347 del codice di procedura
penale, a riferire la notizia di reato, relativa alla contravvenzione rilevata, al pubblico ministero nella
Procura della Repubblica presso il Tribunale competente per territorio (quello del luogo dove è stato
commesso il reato).
Ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs. n. 758/1994, poi, l’ispettore prescrivente deve verificare (entro 60 giorni
dalla scadenza del termine stabilito) se la violazione rilevata è stata effettivamente eliminata, seguendo le
indicazioni e le modalità espressamente dettate nella prescrizione.
Se la prescrizione risulta essere stata adempiuta, l’organo di vigilanza ammette il contravventore al
pagamento, entro 30 giorni, di una sanzione amministrativa pari ad un quarto del massimo
dell’ammenda fissata dalla legge per la contravvenzione commessa.
La norma stabilisce poi che nei 120 giorni che seguono la scadenza del termine fissato nella
prescrizione, l’ispettore deve provvedere a comunicare all’autorità giudiziaria l’adempimento della
prescrizione e l’eventuale tempestivo pagamento della sanzione amministrativa irrogata.
Se il datore di lavoro, ovvero il contravventore persona fisica che lo rappresenta, non ha adempiuto alla
prescrizione, l’ispettore provvede a darne comunicazione al pubblico ministero e al contravventore
stesso entro 90 giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione.
Dopo l’avvento dell’art. 15 del D.Lgs. n. 124/2004 la procedura di prescrizione, qui succintamente
descritta, è obbligatoria per tutte le ipotesi di reato contravvenzionale punite con la pena dell’ammenda
o quella alternativa dell’arresto o dell’ammenda.
Tanto ciò è vero che quando il pubblico ministero viene ad avere notizia direttamente (di propria
iniziativa oppure da privati o da altri pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio) provvede, ai
sensi e per gli effetti dell’art. 22 del D.Lgs. n. 758/1994, a darne immediata comunicazione all’organo di
vigilanza, affinché questi proceda ai sensi degli artt. 20 e seguenti, vale a dire per le necessarie
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determinazioni relative all’impartire o meno la prescrizione, al fine di “eliminare” la contravvenzione: il
funzionario ispettivo incaricato, in tali ipotesi, informa il PM entro sessanta giorni dalla ricezione della
notizia di reato.
Quando il soggetto cui è stata notificata la prescrizione adempie alla stessa, realizzandone perfettamente
i contenuti nel termine stabilito, e provvede al pagamento della sanzione amministrativa, la
contravvenzione si estingue e il PM procede con una richiesta di archiviazione.
Qualora, tuttavia, la regolarizzazione e, quindi, l’eliminazione degli effetti della contravvenzione,
avvenga in un tempo diverso, perché superiore, rispetto a quello fissato nel provvedimento di
prescrizione, ovvero nel caso in cui il contravventore reputi di dover adempiere secondo modalità
diverse da quelle stabilite dall’ispettore, l’autorità giudiziaria (ai sensi dell’art. 24, comma 3 del D.Lgs. n.
758/1994) valuta la condotta del reo che risulti in ogni caso congrua per far venire meno le
conseguenze (in termini di danno o di pericolo) del reato, ai fini dell’eventuale applicazione
dell’oblazione di cui all’art. 162 bis del codice penale.
La prescrizione obbligatoria ha trovato, fin dalla sua entrata in vigore, una favorevole accoglienza, tanto
che la prassi amministrativa e giudiziaria ha saputo adeguarsi ad aperture in senso estensivo, per
un’applicazione sempre più generalizzata dell’istituto.
In questo senso già il Ministero del lavoro, con Circolare n. 25/1996 del 27 febbraio 1996, nel definire
l’ambito di applicazione della prescrizione obbligatoria, così come istituita dal D.Lgs. n. 758/1994,
laddove precisava che essa poteva applicarsi anche alle ipotesi di contravvenzione per le quali norme di
precetto a struttura cd. “elastica” non dettano regole precise con riguardo alla condotta positiva che
deve essere osservata.
In seguito la Corte costituzionale con sentenza n. 19 del 12 febbraio 1998 ha confermato la legittimità
costituzionale del D.Lgs. n. 758/1994: la non applicabilità della prescrizione ai casi in cui l’autore del
reato prima dell’accertamento ispettivo ha comunque posto in essere la condotta legalmente richiesta,
pur dopo la realizzazione della contravvenzione, darebbe luogo ad una situazione paradossale per la
quale chi sua sponte, resosi conto della violazione commessa, vi pone riparo, senza uno specifico
intervento di alcuna autorità pubblica, rimane assoggettato all’ordinario procedimento penale,
contrariamente a chi si adegua e provvede a regolarizzare soltanto a seguito dell’intervento accertativo e
ispettivo, che viene dal legislatore ammesso a prescrizione, con il pagamento di una somma, a titolo di
sanzione amministrativa, notevolmente inferiore rispetto a quanto ipotizzabile.
I giudici della Consulta, dunque, proprio con riguardo all’art. 3 Cost. e al principio di ragionevolezza,
hanno argomentato la possibilità per l’organo di vigilanza di impartire “ora per allora” la prescrizione
prevista e normata dall’art. 20 del D.Lgs. n. 758/1994, così pure di procedere a verificare l’avvenuta
conseguente eliminazione degli effetti dannosi o pericolosi della contravvenzione e, infine, ammettere il
soggetto colpevolmente autore del reato al pagamento della somma stabilita per la sua estinzione in
sede amministrativa.
In questo quadro interviene l’art. 15, comma 1, del D.Lgs. n. 124/2004, introducendo un’ipotesi
“allargata” di prescrizione per tutti i reati contravvenzionali in materia di lavoro e di legislazione sociale
che siano puniti con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda ovvero con la sola pena
dell’ammenda.
Confermando la struttura e il procedimento della definizione in via amministrativa delle
contravvenzioni a mezzo di prescrizione, tanto da richiamare espressamente gli artt. 20 e 21 del D.Lgs.
n. 758/1994, il legislatore della riforma dei servizi ispettivi ha inteso coraggiosamente spingersi più oltre
per quanto concerne l’ambito di applicazione dell’istituto, anzitutto ricomprendovi tutte le ipotesi di
contravvenzione punite con la sola ammenda.
Non solo, perché il comma 3 dell’art. 15 del D.Lgs. n. 124/2004, estende espressamente la prescrizione
in materia di lavoro e legislazione sociale anche:
(a)
alle ipotesi di reato, pur sempre di natura contravvenzionale, a condotta esaurita, vale a dire nei
reati istantanei, con o senza effetti permanenti;
(b)
alle fattispecie in cui il reo ha già provveduto, spontaneamente e autonomamente, prima
dell’intervento dell’organo di vigilanza, all’adempimento tardivo degli obblighi penalmente sanzionati.
Il contesto normativo vigente dal 27 maggio 2004 presenta due distinte ipotesi di prescrizione, fra loro
assolutamente autonome e non sovrapponibili:
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•
quella del D.Lgs. n. 758/1994, che trova applicazione per le contravvenzioni “in materia di
sicurezza e di igiene del lavoro”, punite con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda;
•
quella del D.Lgs. n. 124/2004, che trova applicazione per le contravvenzioni “in materia di
lavoro e legislazione sociale”, contenute nelle leggi “la cui applicazione è affidata alla vigilanza della
direzione provinciale del lavoro”, punite indifferentemente con la sola ammenda oppure
alternativamente con arresto o ammenda.
Trattandosi di atto di polizia giudiziaria e non di provvedimento amministrativo, come chiarito da Cass.
Pen., Sez. I, 2 marzo 2000, n. 1037, la prescrizione obbligatoria potrà essere oggetto di valutazione
giurisdizionale esclusivamente dinanzi al tribunale ordinario penale, non essendo consentita una
impugnazione in sede di giustizia amministrativa.
2.6. L’oblazione
Col termine “oblazione” s’intende il pagamento spontaneo di una somma di denaro da parte
dell’imputato di una contravvenzione punita con ammenda (art. 162 cod. pen.) o con pena alternativa
dell’arresto o dell’ammenda (art. 162 bis cod. pen., introdotto dall’art. 126 legge n. 689/1981), da cui
scaturisce l’estinzione del reato.
L’oblazione “semplice”, normata dall’art. 162 è consentita per le contravvenzioni punite dalla legge con
la sola pena pecuniaria dell’ammenda,
Colui che ha commesso una contravvenzione di tal specie “è ammesso”, senza alcun vaglio
discrezionale da parte dell’Autorità giudiziaria (per questa ragione viene anche detta oblazione
“automatica”), a pagare una somma corrispondente alla terza parte del massimo della pena stabilita,
prima dell’inizio del dibattimento, oppure, nei giudizi per decreto (artt. 459 e segg. cod. proc. pen.),
prima del decreto di condanna.
Il pagamento effettuato estingue il reato.
Come si evince, pertanto, il contravventore vanta, nei confronti dell’ipotesi base di oblazione, un vero
diritto soggettivo all’accoglimento della domanda, che non può essere respinta, nei casi in cui sussistono
tutti i requisiti legali specificamente richiesti.
Al contrario, l’oblazione “speciale”, che trova la propria disciplina nell’art. 162 bis cod. pen. attiene alle
ipotesi di reato contravvenzionale punite con pene alternative (oltre alle contravvenzioni in materia di
prevenzione infortuni e igiene del lavoro, anche ove punite con la sola ammenda, giusta la previsione
dell’art. 127 della legge n. 689/1981).
In questa seconda fattispecie, il soggetto che risulta colpevole di una contravvenzione ammessa ad
oblazione “speciale”, unitamente alla domanda, deve depositare la somma di denaro che corrisponde
alla metà del massimo e deve accollarsi le spese di giustizia, mentre non può avanzare neppure l’istanza
oblativa in caso di recidiva (art. 99, comma 3, cod. pen.), di abitualità (art. 104 cod. pen.) e di
professionalità nel reato (art. 105 cod. pen.).
L’oblazione speciale non può essere ammessa neppure quando sono ritenute sussistenti, dal Giudice,
conseguenze dannose o pericolose del reato, che potevano e dovevano essere eliminate dal
contravventore.
Allo stesso modo l’autorità giudiziaria può sempre e comunque respingere, con apposita ordinanza, la
domanda di oblazione, in relazione ad una valutazione discrezionale circa la “gravità” della condotta e
del fatto dalla stessa determinato: proprio per questo spazio decisionale riconosciuto al Giudice,
l’oblazione speciale è anche detta “condizionata”.
2.7. La prescrizione del reato
Senza alcuna confusione fra i termini e gli istituti, nel diritto penale del lavoro si parla di “prescrizione”
(da non confondere con la “prescrizione obbligatoria”, atto di polizia giudiziaria tipico degli ispettori
del lavoro, sopra esaminato) anche con riferimento alle immediate ripercussioni sul reato del trascorrere
del tempo, dal momento in cui quello è stato commesso.
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In effetti, il tempo condiziona fortemente l’esercizio della potestà punitiva, in ragione del progressivo
affievolirsi dell’interesse sostanziale dello Stato ad accertare e punire i reati dopo che sia decorso un
certo numero di anni.
Da qui la previsione di una causa estintiva dei reati, la “prescrizione”, appunto, che opera quale
presupposto di estinzione della possibilità di punire il reato a seguito del mancato esercizio della
potestas puniendi per un ben determinato lasso di tempo.
Così, ai sensi dell’art. 157 cod. pen., con le modifiche introdotte dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251 (cd.
“legge ex Cirielli”), il legislatore stabilisce che la prescrizione estingue il reato decorso il tempo
corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore
a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la
sola pena pecuniaria.
Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato
consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento
per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di
specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto
dell'aumento massimo di pena previsto per l’aggravante.
Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e la pena
pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva.
Quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, si applica
il termine di tre anni.
La prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall’imputato.
Il giorno dal quale inizia a decorrere il tempo della prescrizione varia, quindi, come segue (art. 158 cod.
pen.):
nel reato consumato, dal giorno della consumazione,
nel reato permanente, dal giorno in cui cessa la permanenza,
nel reato continuato, dal giorno in cui cessa la continuazione.
3. I reati in materia di orario di lavoro
La corretta individuazione del lavoro notturno e dei lavoratori notturni appare inevitabilmente legata al
rispetto delle disposizioni legislative che vietano il lavoro notturno ad alcune categorie di prestatori di
lavoro o che ne disciplinano in maniera speciale e peculiare lo svolgimento e l’ammissibilità.
L’art. 1, comma 2, lett. e), definisce il lavoratore notturno come “qualsiasi lavoratore che durante il
periodo notturno svolga almeno 3 ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale”
ed anche come “qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo
orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro”, precisando, infine, che “in
difetto di disciplina collettiva” deve ritenersi lavoratore notturno “qualsiasi lavoratore che svolga lavoro
notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno; il suddetto limite è riproporzionato in caso
di lavoro a tempo parziale”.
Secondo la richiamata Circolare n. 8/2005 quest’ultimo criterio di definizione del lavoratore notturno
“non va a sovrapporsi con il primo”, in ragione del fatto che considera lo svolgimento della prestazione
lavorativa che viene esercitata solo parzialmente durante il periodo notturno, senza tenere in alcun
conto dell’essere l’attività lavorativa in notturno ricompresa o meno nell’orario normale di lavoro.
Nello stesso senso, quasi a voler dare definitiva cesura alla questione, si è mossa la Direzione Generale
per l’Attività Ispettiva nella risposta ad interpello n. 388 del 12 aprile 2005, ribadendo come “tali
requisiti devono essere considerati come alternativi, vale a dire che è sufficiente che solo uno dei due sia
presente perché il lavoratore debba essere assoggettato alla particolare disciplina prevista per il
lavoratori notturni”.
Pertanto, deve essere considerato “notturno”:
– il lavoratore che durante siffatto periodo lavora ordinariamente per almeno tre ore della propria
giornata di lavoro, ma anche, “in alternativa”,
– chi, durante il periodo notturno, svolge anche soltanto una minima parte del proprio orario di lavoro,
secondo le disposizioni contenute nei contratti collettivi e, nel silenzio della contrattazione di
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riferimento, svolge attività di lavoro notturno per almeno ottanta giornate lavorative nel corso dell’anno
considerato.
Ne deriva che adoperando l’uno o l’altro criterio definitorio il datore di lavoro individua i lavoratori che
all’interno della sua organizzazione devono essere assoggettati alle tutele di cui agli articoli 10 e seguenti
del D.Lgs. n. 66/2003, così come modificati dal D.Lgs. n. 213/2004 (visite preventive e periodiche,
rifiuto di prestare lavoro notturno, limiti di orario).
In buona sostanza viene ribadito il carattere non concorrenziale delle definizioni di “lavoratore
notturno” contenute nel D.Lgs. n. 66/2003, in uno con l’originario tenore della direttiva comunitaria
(art. 2, n. 4, Dir. n. 93/104/Ce – Dir. 2003/88/Ce), da qui la corretta individuazione di due tipologie di
lavoratori notturni:
• nel primo caso si tratta di lavoratori che svolgono costantemente, in modo abituale e continuativo,
almeno tre ore di lavoro durante il periodo notturno (cd. lavoratori notturni “orizzontali”: ad es., il
personale delle imprese di vigilanza);
• nel secondo caso i lavoratori sono considerati notturni per il fatto di svolgere prestazioni di lavoro
notturno concentrate soltanto in determinati periodi dell’anno, salve diverse previsioni contrattuali
collettive con riferimento ad una parte dell’orario lavorativo (cd. lavoratori notturni “verticali”: ad es., i
turnisti delle imprese a ciclo continuo).
3.1. Divieto di lavoro notturno per le lavoratrici madri
L’art. 18 bis, comma 1, contrariamente a tutte le altre disposizioni contenute nella medesima norma,
non si limita a stabilire la sanzione per la violazione di un precetto altrove individuato nell’ambito dello
stesso D.Lgs. n. 66/2003, ma contiene già al suo interno unitariamente precetto e sanzione.
La norma delinea una fattispecie di reato contravvenzionale, con riferimento alle previsioni di cui all’art.
11, comma 2, del D.Lgs. n. 66/2003, che fa da naturale sostrato normativo all’art. 18-bis, comma 1,
segnalandosi per l’essere strutturata in modo da non consentire l’indispensabile distinguo fra contesti di
violazione e di antidoverosità ben distinti fra loro.
La norma di tutela fissa anche un divieto assoluto, vietando al datore di lavoro di adibire al lavoro
notturno dalle ore 24 alle ore 6 le donne in stato di gravidanza, dall’accertamento della stessa fino al
compimento di un anno di età del bambino. Il divieto è tassativo, viene intenzionalmente riferito a
qualsiasi tipo di prestazione lavorativa anche meramente episodica o accidentale, e si ispira ad un’ottica
di tutela e di salvaguardia dello star bene psico-fisico della gestante e del nascituro-neonato, che muove
però, per esplicita previsione di legge, dal momento in cui viene accertata (dal personale medicosanitario) lo stato di gravidanza della donna, a differenza di quanto è invece previsto in materia di
divieto di licenziamento dal D.Lgs. n. 151/2001, laddove la condotta datoriale illecita è vietata fin dalla
esistenza obiettiva dello stato di gravidanza: ne consegue, all’evidenza, un onere in capo alla lavoratrice
interessata di far accertare il proprio stato di gravidanza e di darne comunicazione, anche informale, al
datore di lavoro assoggettato da quell’istante al divieto in parola.
La contravvenzione consiste nella violazione del divieto di adibire le donne a prestazioni di lavoro
notturno (dalle 24 alle 6), dal momento dell’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento
di un anno di età del bambino, ed è punita con la pena alternativa dell’arresto da due a quattro mesi o
dell’ammenda da euro 516,00 a euro 2582,00.
L’elemento oggettivo del reato si riscontra nella condotta del datore di lavoro che ha comunque (“in
ogni caso”) adibito al lavoro la lavoratrice nelle fasce orarie predette, con riferimento allo status
soggettivo della stessa (gravidanza e puerperio) e al periodo temporale considerato (dall’accertamento
della gravidanza al compimento del primo anno di vita del figlio). Peraltro, sotto questo profilo si può
segnalare che la fattispecie, proprio nel suo elemento oggettivo, può trovare un aspetto di criticità con
riguardo alla possibile incertezza in merito al momento che va assunto a riferimento quale inizio del
periodo tutelato, vale a dire l’accertamento dello stato di gravidanza. Tuttavia il principio di legalità e i
conseguenti criteri di tassatività e di determinatezza della norma penale impongono di leggere l’ipotesi
di reato in argomento nel senso della evidente necessità di una esplicita comunicazione (con idonea
certificazione medica) da parte della lavoratrice interessata volta ad informare il datore di lavoro del
proprio status. In effetti, la norma finirebbe per essere difficilmente applicabile, in quanto arbitraria, già
15
sotto un profilo oggettivo, ma vieppiù, come subito diremo, sotto quello soggettivo, se non si
considerasse la coincidenza del momento dell’accertamento con la “conoscibilità” o rectius con la
“conoscenza” del fatto da parte del soggetto agente (datore di lavoro).
In ragione dell’apparato punitivo ora descritto, il reato de quo è da ritenersi senza dubbio assoggettabile
alla procedura estintiva in via amministrativa stabilita dall’art. 15 del D.Lgs. n. 124/2004 (prescrizione
obbligatoria), con esplicito riferimento anche alla cosiddetta “prescrizione ora per allora” che permette di
estendere l’applicazione dell’istituto alle ipotesi di reato già compiute in cui la reintegrazione dell’ordine
giuridico tutelato e violato permane soltanto fittiziamente.
Peraltro vale la pena segnalare che in tal caso la prescrizione obbligatoria comporterà che qualora
l’ispettore trovi ancora adibita al lavoro notturno la lavoratrice procederà a prescrivere l’immediata
cessazione dell’attività lavorativa svolta in regime di divieto.
Sotto un profilo sostanziale, invece, la Circolare n. 8/2005 del Ministero del lavoro ha evidenziato che
per essere integrato l’elemento psicologico del reato, affinché la condotta posta in essere sia
concretamente imputabile al datore di lavoro, in termini di colpevolezza e, quindi, di rimproverabilità, il
divieto deve essere violato alla luce della “piena consapevolezza”, riguardo allo status della lavoratrice:
tale consapevolezza, peraltro, secondo i chiarimenti ministeriali presuppone una specifica
comunicazione della lavoratrice interessata o, in alternativa, la dimostrabile “conoscenza aliunde da parte
del datore di lavoro”, comunque appresa (ad es., notorietà del fatto in ambienti familiari o di lavoro).
Per quanto concerne l’elemento soggettivo del reato, trattandosi di contravvenzione, il datore di lavoro
risponderà a titolo di dolo, ma anche, più semplicemente, a titolo di colpa, vale a dire che l’adibizione al
lavoro della lavoratrice in stato di gravidanza o di puerperio, nel periodo di tutela, sarà punibile se e
quando il datore di lavoro, con l’ordinaria diligenza e prudenza (id quod plerumque accidit), risulti in
grado di conoscere lo status personale della lavoratrice stessa. Ne consegue che non può addebitarsi,
dunque, alcuna forma di responsabilità penale, la quale a ragione dell’art. 27 Cost. e degli artt. 5, 42 e 43
cod. pen. deve essere rigorosamente “personale” (nel senso che deve derivare da un evento o da una
condotta soggettivamente “rimproverabile”, in termini di colpevolezza, al suo autore) , al datore di
lavoro cui non sia stato comunicato lo stato di gravidanza o di puerperio o che, in ogni caso, non fosse
nelle condizioni oggettivamente tali da venirne, in concreto, a conoscenza.
3.2. Divieto di lavoro notturno per i lavoratori “dissenzienti”
Sotto similare profilo di tutela, inoltre, l’articolo 11, comma 2, prevede che “non possono essere
obbligati a prestare lavoro notturno”:
a) la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore ai 3 anni o, alternativamente a questa, il lavoratore
padre convivente con lei (si tenga presente che la previsione deve intendersi estesa anche ai genitori non
naturali, con figli in adozione o in affido, in conformità ad una lettura costituzionalmente orientata della
disposizione, Corte cost. 26 marzo 2003, n. 104);
b) la lavoratrice o il lavoratore che risulta essere unico affidatario di un figlio convivente di età inferiore
ai 12 anni;
c) la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge n.
104/1992.
La norma sanzionatoria dettata dall’art. 18 bis, comma 1, secondo periodo, viene ad integrare
ulteriormente il precetto stabilendo che i lavoratori “dissenzienti” rispetto allo svolgimento di
prestazioni di lavoro notturno debbano esercitare formalmente il proprio “diritto di astensione”.
L’obbligo di esternare il dissenso espresso si concretizza, pertanto, nella previsione della necessità della
forma scritta e del tempo minimo per effettuare la comunicazione, che deve pervenire al datore di
lavoro almeno 24 ore prima dell’inizio previsto della prestazione lavorativa in regime di lavoro notturno
richiesta al lavoratore o alla lavoratrice.
D’altro canto, la previsione della formalizzazione del dissenso si situa esclusivamente all’interno della
norma sanzionatoria (art. 18 bis) e non invece nella disposizione precettiva (art. 11), il che consente di
concludere per la illiceità sostanziale (sanzionabile in sede civilistica a titolo di risarcimento danni) del
comportamento del datore di lavoro che faccia svolgere lavoro notturno alle categorie di lavoratori e di
lavoratrici considerate a fronte di un dissenso comunque manifestato, mentre è da ritenersi penalmente
16
illecita soltanto l’adibizione al lavoro notturno del dissenziente che abbia manifestato il proprio
dissenso nelle forme previste.
La pena è ancora quella, alternativa, dell’arresto da due a quattro mesi o dell’ammenda da euro 516,00 a
euro 2582,00 assoggettata a prescrizione obbligatoria (art. 15, D.Lgs. n. 124/2004: qualora l’ispettore
trovi ancora adibito al lavoro notturno il lavoratore o la lavoratrice dissenziente procederà a prescrivere
l’immediata cessazione dell’attività lavorativa svolta in regime di divieto, se invece il lavoro notturno
vietato è già cessato procederà ad una prescrizione “ora per allora”.
Il datore di lavoro risulta punibile per aver violato il divieto di adibire a prestazioni di lavoro notturno le
categorie di lavoratori e di lavoratrici indicate, qualora i dipendenti abbiano formalizzato uno specifico
dissenso (“in forma scritta”), comunicandolo al datore di lavoro “entro 24 ore anteriori al previsto
inizio della prestazione”. Si tratta, come è stato efficacemente spiegato dalla Circolare n. 8/2005, di “un
vero e proprio diritto potestativo”, attribuito a queste particolari tipologie soggettive di lavoratori, ai
quali viene in concreto riconosciuto uno speciale “diritto di resistenza” rispetto all’eventualità di un
impiego delle energie lavorative nella fascia (tutelata) di orario notturno.
3.3. Controlli preventivi e periodici sui lavoratori notturni
Una particolare forma di limitazione soggettiva al lavoro notturno è quella normata dall’art. 14, comma
1, del D.Lgs. n. 66/2003 (nel testo modificato dall’art. 1, comma 1, lett. e), del D.Lgs. n. 213/2004), il
quale, in materia di tutela della salute, stabilisce che il datore di lavoro è tenuto, a sue cure e spese, a
sottoporre a controlli preventivi e periodici, almeno ogni due anni, i lavoratori notturni (individuati con
uno dei criteri alternativi sopra illustrati), per il tramite delle competenti strutture sanitarie pubbliche
oppure del medico competente, al fine di accertarne la idoneità al lavoro notturno.
Anche con riferimento alle “visite”, rectius ai “controlli” medici, la Circolare n. 8/2005 del Ministero del
Lavoro interviene puntualmente, pur limitandosi a precisare che la punibilità del datore di lavoro è
legata all’accertamento della effettiva omissione del controllo medico preventivo e/o biennale.
D’altro canto, per quanto riguarda i controlli periodici si deve prescindere, ai fini sanzionatori, da ogni
eventuale previsione di maggior tutela da parte della contrattazione collettiva, che può garantire ai
lavoratori notturni “una migliore sorveglianza sanitaria”, senza però che la violazione del minore
periodo (inferiore al biennio legale) possa essere assoggettata a pena, in ragione della tassatività e della
determinatezza che caratterizzano il principio di legalità nel settore penale. La punibilità, in definitiva, è
connessa al mancato rispetto del solo limite biennale.
La pena prevista per il reato contravvenzionale de quo (terza e ultima fattispecie di reato prevista dal
D.Lgs. n. 66/2003) è quella dell’arresto da tre a sei mesi o dell’ammenda da euro 1.549,00 a euro
4.131,00 (art. 18 bis, comma 2, D.Lgs. n. 66/2003). Sembra opportuno segnalare che con riguardo al
quantum della pena e alla scelta della stessa (pena alternativa detentiva o pecuniaria) il legislatore del
D.Lgs. n. 213/2004 ha inteso richiamare il previgente regime sanzionatorio, pure di natura penalistica,
di cui all’art. 12, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 532/1999 che a sua volta faceva esplicito riferimento
all’art. 89, comma 2, lett. a), del D.Lgs. n. 626/1994.
Per la struttura del reato (trattandosi di una contravvenzione di natura omissiva a carattere permanente)
e per le caratteristiche della pena (alternativa), risulta applicabile la procedura estintiva mediante
prescrizione obbligatoria, ai sensi dell’art. 15 del D.Lgs. n. 124/2004, una prescrizione che si
configurerà come assegnazione di “un termine ragionevole” nei limiti del quale il datore di lavoro
contravventore è obbligato “ad effettuare la sorveglianza sanitaria omessa” nei termini di legge, mentre
qualora l’ispettore accerti che i controlli sanitari sono stati effettuati seppure in ritardo procederà ad una
prescrizione “ora per allora”.
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LAVORO NOTTURNO
Fonte
normativa
Illecito
Art. 11, co. 2,
secondo periodo, D.
Lgs. n. 66/2003
Art. 11, co. 2,
terzo periodo,lett.
a), b) e c), D. Lgs.
n. 66/2003
Art. 14, co. 1 D.
Lgs. n. 66/2003
Art. 14, co. 1 D.
Lgs. n. 66/2003
Fonte
sanzionatoria
LAVORO NOTTURNO
DELLE DONNE.
Art. 18 bis, co. 1
D.Lgs. n. 66/2003,
Per aver violato il divieto di come introdotto
adibire le donne al lavoro, dall’Art. 1, co. 1,
lett. f), del D.Lgs. n.
dalle ore 24 alle ore 6, nel
213/2004
periodo compreso tra
l’accertamento dello stato
di gravidanza fino al
compimento di un anno di
età del bambino.
LAVORO NOTTURNO DEI Art. 18 bis, co. 1
DISSENZIENTI.
D.Lgs. n. 66/2003,
Per aver violato il divieto di come introdotto
adibire al lavoro notturno, dall’Art. 1, co. 1,
nonostante il loro espresso lett. f), del D.Lgs. n.
dissenso, le categorie di
213/2004
lavoratori individuate dalla
norma.
VISITE MEDICHE
PREVENTIVE.
Art. 18 bis, co. 2
D.Lgs. n. 66/2003,
come introdotto
dall’Art. 1, co. 1,
lett. f), del D.Lgs. n.
213/2004
VISITE MEDICHE
PERIODICHE.
Art. 18 bis, co. 2
D.Lgs. n. 66/2003,
come introdotto
dall’Art. 1, co. 1,
lett. f), del D.Lgs. n.
213/2004
Per non aver sottoposto i
lavoratori notturni ad
accertamenti medici
preventivi, volti a
constatare l’assenza di
controindicazioni al lavoro
notturno.
Per non aver sottoposto i
lavoratori notturni ad
accertamenti medici
periodici ogni due anni,
volti a constatare l’assenza
di controindicazioni al
lavoro notturno.
Sanzione
Modi di
estinzione
agevolata
Arresto da 2 a 4 mesi o
Ottemperando
ammenda da Euro 516 a Euro alla prescrizione
2.582.
obbligatoria (art.
15 D.Lgs. n. n.
124/2004)
sanzione
amministrativa
pari a euro
645,50
Arresto da 2 a 4 mesi o
Ottemperando
ammenda da Euro 516 a Euro alla prescrizione
2.582.
obbligatoria (art.
15 D.Lgs. n. n.
124/2004)
sanzione
amministrativa
pari a euro
645,50
Arresto da 3 a 6 mesi o
Ottemperando
ammenda da euro 1549 a euro alla prescrizione
4131.
obbligatoria (art.
15 D.Lgs. n. n.
124/2004)
sanzione
amministrativa
pari a euro
1032,75
Arresto da 3 a 6 mesi o
Ottemperando
ammenda da euro 1549 a euro alla prescrizione
4131.
obbligatoria (art.
15 D.Lgs. n. n.
124/2004)
sanzione
amministrativa
pari a euro
1032,75
4. I reati in materia di lavoro dei minori
4.1. Lavoro illecito dei bambini
Prescrizione obbligatoria (art. 15, D.Lgs. n. 124/2004): non è applicabile
Oblazione (art. 162-bis c.p.): non può essere ammessa
Note: sono “bambini” i minori che non hanno compiuto i 15 anni di età o che sono ancora soggetti
all’obbligo scolastico.
LAVORO ILLECITO DEI BAMBINI
Illecito
Art. 4 c. 1 L. 977/67 sost.
dall’art. 6 D. Lgs. 345/99
Sanzione
Art. 26 co. 1 e 6 L. 977/67 sost. dall’art. 14 D.
Lgs. 345/99
18
Per aver adibito al lavoro i
bambini fuori dei casi
previsti.
Arresto fino a 6 mesi.
Aggravante
Arresto da 3 a 6 mesi per chi è rivestito di
autorità o incaricato della vigilanza sopra il
minore.
4.2. Lavorazioni e processi lavorativi vietati agli adolescenti
Prescrizione obbligatoria (art. 15, D.Lgs. n. 124/2004): non è applicabile
Oblazione (art. 162-bis c.p.): non può essere ammessa
Note: sono “adolescenti” i minori di età compresa tra 15 e 18 anni, non più soggetti all'obbligo
scolastico; agli adolescenti è vietato svolgere le lavorazioni contenute nell’Allegato I della legge n.
977/1967, aggiunto dal D. Lgs. n. 345/1999, come modificato dal D. Lgs. n. 262/2000.
LAVORAZIONI E PROCESSI LAVORATIVI VIETATI AGLI
ADOLESCENTI
Illecito
Sanzione
Art. 6 c. 1 L. 977/67 sost.
dall’art. 7 D. Lgs. 345/99
Per aver adibito gli
adolescenti alle mansioni,
ai processi e ai lavori di cui
all’Allegato I.
Art. 26 co. 1 e 6 L. 977/67 sost. dall’art. 14 D.
Lgs. 345/99
Arresto fino a 6 mesi.
Aggravante
Arresto da 3 a 6 mesi per chi è rivestito di
autorità o incaricato della vigilanza sopra il
minore.
4.3. Inidoneità fisica al lavoro
Prescrizione obbligatoria (art. 15, D.Lgs. n. 124/2004): non è applicabile
Oblazione (art. 162-bis c.p.): non può essere ammessa
Note: i minori che risultano non idonei a un determinato lavoro, all’esito della visita medica
obbligatoriamente prescritta, non possono essere ulteriormente adibiti allo stesso.
INIDONEITÀ FISICA AL LAVORO
Illecito
Art. 8 c. 7 L. 977/67 sost. dall’art. 9
D. Lgs. 345/99
Per aver adibito ad un determinato
lavoro i minori che, a seguito di
visita medica, sono risultati non
idonei al lavoro al quale sono stati
adibiti.
Sanzione
Art. 26 c. 1 L. 977/67 sost. dall’art. 14
D. Lgs. 345/99
Arresto fino a 6 mesi.
4.4. Illecita ammissione al lavoro
Prescrizione obbligatoria (art. 15, D.Lgs. n. 124/2004): è applicabile, l’ispettore procederà a
prescrivere l’immediato ripristino della legalità ordinando l’immediata cessazione dell’attività lavorativa
19
fatta svolgere in violazione della legge, qualora accerti che il reato è stato compiutamente realizzato ed è
cessato (perché il minore non è più in forza) adotterà la cd. “prescrizione ora per allora”; sanzione pari
a 1291 euro
Oblazione (art. 162-bis c.p.): può essere ammessa, sanzione pari a 2582 euro
Note: l’età minima di ammissione al lavoro viene fissata al momento in cui il minore ha concluso il
periodo di istruzione obbligatoria e comunque non può essere inferiore a 15 anni.
20
ILLECITA AMMISSIONE AL LAVORO
Illecito
Sanzione
Art. 3 L. 977/67 sost.
dall’art. 5 D. Lgs. 345/99
Per aver ammesso al lavoro
minori che non hanno
concluso il periodo di
istruzione obbligatoria e
comunque inferiori ai 15
anni di età.
Art. 26 co. 2 e 6 L. 977/67 sost. dall’art. 14 D.
Lgs. 345/99
Arresto non superiore a 6 mesi o ammenda
fino a euro 5164.
Aggravante
Arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da euro
2582 a euro 5164 per chi è rivestito di
autorità o incaricato della vigilanza sopra il
minore.
4.5. Lavoro illecito degli adolescenti per didattica o formazione
Prescrizione obbligatoria (art. 15, D.Lgs. n. 124/2004): è applicabile, l’ispettore procederà a
prescrivere l’immediato ripristino della legalità, a seconda dei casi, ordinando l’immediata cessazione
dell’attività lavorativa fatta svolgere in violazione della legge, qualora accerti che il reato è stato
compiutamente realizzato ed è cessato (perché il datore di lavoro ha ripristinato autonomamente e
spontaneamente la legalità, facendo cessare l’attività lavorativa oppure perché il minore non è più in
forza) adotterà la cd. “prescrizione ora per allora”; sanzione pari a 1291 euro
Oblazione (art. 162-bis c.p.): può essere ammessa, sanzione pari a 2582 euro
Note: gli adolescenti possono essere adibiti alle predette lavorazioni per indispensabili motivi didattici
o di formazione professionale, soltanto per il tempo strettamente necessario alla formazione svolta in
aula o in laboratorio o in ambienti di lavoro di diretta pertinenza del datore di lavoro e purché siano
svolti sotto la sorveglianza di soggetti formatori competenti anche in materia di prevenzione e di
protezione e nel rispetto di tutte le condizioni di sicurezza e di salute. Tale deroga si applica anche
all’apprendistato purché vi sia la sorveglianza del tutor e del servizio di prevenzione aziendale. Fatta
eccezione per gli istituti di istruzione e di formazione professionale, l’attività in deroga deve essere
preventivamente autorizzata dalla DPL, previo parere della ASL competente circa il rispetto delle
norme di igiene e sicurezza.
LAVORO ILLECITO DEGLI ADOLESCENTI
PER DIDATTICA O FORMAZIONE
Illecito
Sanzione
Art. 6 c. 2 L. 977/67 sost. dall’art. 7 D. Lgs.
345/99
Per non aver adibito, per motivi didattici o
di formazione, per il tempo necessario e a
seguito di autorizzazione della Direzione
provinciale del lavoro, gli adolescenti alle
mansioni, ai processi e ai lavori di cui
all’Allegato I con la sorveglianza di
formatori competenti (anche in materia di
prevenzione e protezione) e nel rispetto
delle condizioni di sicurezza e di salute.
4.6. Omessa informazione sulla sicurezza ai genitori
21
Art. 26 c. 2 L. 977/67 sost.
dall’art. 14 D. Lgs. 345/99
Arresto non superiore a 6
mesi o ammenda fino a euro
5164.
Prescrizione obbligatoria (art. 15, D.Lgs. n. 124/2004): è applicabile, l’ispettore procederà a
prescrivere l’immediato ripristino della legalità ordinando l’immediata effettuazione dell’adempimento
omesso, qualora, invece, accerti che il reato è stato compiutamente realizzato ed è cessato (perché il
datore di lavoro ha ripristinato autonomamente e spontaneamente la legalità, adempiendo agli obblighi
di legge) adotterà la cd. “prescrizione ora per allora”; sanzione pari a 1291 euro
Oblazione (art. 162-bis c.p.): può essere ammessa, sanzione pari a 2582 euro
Note: è punita la condotta omissiva del datore di lavoro che omette di informare i titolari della potestà
genitoriale circa gli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro relativi a: rischi per la sicurezza e la salute
connessi all'attività dell'impresa in generale; misure e attività di protezione e prevenzione adottate; rischi
specifici cui è esposto in relazione all'attività svolta, normative di sicurezza e disposizioni aziendali in
materia; pericoli connessi all'uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base delle schede dei dati
di sicurezza previste dalla normativa vigente e dalle norme di buona tecnica; procedure che riguardano
il pronto soccorso, la lotta antincendio, l'evacuazione dei lavoratori; nominativi del responsabile del
servizio di prevenzione e protezione e del medico competente; nominativi dei lavoratori incaricati di
applicare le misure in materia di pronto soccorso e di pericolo grave ed imminente.
OMESSA INFORMAZIONE SULLA SICUREZZA AI GENITORI
Illecito
Art. 7 c. 2 L. 977/67 sost.
dall’art. 8 D. Lgs. 345/99
Per non aver provveduto
ad informare i titolari della
potestà genitoriale nei
riguardi dei minori
impiegati al lavoro, ai sensi
dell’art. 21 D. Lgs. 19
settembre 1994, n. 626.
Sanzione
Art. 26 c. 2 L. 977/67 sost. dall’art. 14 D. Lgs.
345/99
Arresto non superiore a 6 mesi o ammenda
fino a euro 5164.
4.7. Omissioni in materia di visite preventive e periodiche e di certificazione delle visite
Prescrizione obbligatoria (art. 15, D.Lgs. n. 124/2004): è applicabile, l’ispettore procederà a
prescrivere l’immediato ripristino della legalità ordinando l’immediata effettuazione dell’adempimento
omesso , qualora, invece, accerti che il reato è stato compiutamente realizzato ed è cessato (perché il
datore di lavoro ha ripristinato autonomamente e spontaneamente la legalità, adempiendo agli obblighi
di legge) adotterà la cd. “prescrizione ora per allora”, rimane problematica, peraltro, l’adozione della
prescrizione nel caso dell’omessa visita medica di un minore non più al lavoro: qui, in effetti, il datore di
lavoro non ha adempiuto all’obbligo di legge e non potrà adempiere neppure ottemperando alla
prescrizione; sanzione pari a 1291 euro
Oblazione (art. 162-bis c.p.): può essere ammessa, sanzione pari a 2582 euro
Note: bambini e adolescenti prima di essere ammessi al lavoro, devono essere sottoposti a visita
medica preventiva, a cura e spese del datore di lavoro presso un medico del servizio sanitario nazionale,
per verificarne l’idoneità all’attività lavorativa a cui saranno adibiti; gli esiti delle visite devono essere
comprovati da apposito certificato medico e il giudizio del medico deve essere comunicato per iscritto
al datore di lavoro, la lavoratore e a chi esercita la patria potestà. L’idoneità dei minori al lavoro cui
sono adibiti, inoltre, deve essere comunque accertata anche mediante visite mediche periodiche, che
vanno obbligatoriamente effettuate almeno una volta all’anno.
OMISSIONI IN MATERIA DI VISITE PREVENTIVE E
PERIODICHE
E DI CERTIFICAZIONE DELLE VISITE
22
Illecito
Sanzione
Art. 8 c. 1 L. 977/67 sost. dall’art. 9
D. Lgs. 345/99
VISITA PREVENTIVA.
Per aver ammesso al lavoro i
bambini, nei casi previsti, e gli
adolescenti, senza il prescritto
riconoscimento preventivo di
idoneità all’attività lavorativa
mediante visita medica.
Art. 26 c. 2 L. 977/67 sost. dall’art.
14 D. Lgs. 345/99
Arresto non superiore a 6 mesi o
ammenda fino a euro 5164.
Art. 8 c. 2 L. 977/67 sost. dall’art. 9
D. Lgs. 345/99
VISITE PERIODICHE.
Per non aver accertato l’idoneità dei
minori all’attività lavorativa cui sono
addetti mediante visite periodiche da
effettuare ad intervalli non superiori
ad un anno.
Art. 26 c. 2 L. 977/67 sost. dall’art.
14 D. Lgs. 345/99
Arresto non superiore a 6 mesi o
ammenda fino a euro 5164.
Art. 8 c. 4 L. 977/67 sost. dall’art. 9
D. Lgs. 345/99
CERTIFICAZIONE DELLE VISITE.
Per non aver comprovato l’esito
delle visite mediche mediante
apposita certificazione
Art. 26 c. 2 L. 977/67 sost. dall’art.
14 D. Lgs. 345/99
Arresto non superiore a 6 mesi o
ammenda fino a euro 5164.
4.8. Adibizione al lavoro notturno
Prescrizione obbligatoria (art. 15, D.Lgs. n. 124/2004): è applicabile, l’ispettore procederà a
prescrivere l’immediato ripristino della legalità, ordinando l’immediata cessazione dell’attività lavorativa
fatta svolgere in violazione della legge, qualora, invece, l’ispettore accerti che il reato è stato
compiutamente realizzato ed è cessato (perché il datore di lavoro ha ripristinato autonomamente e
spontaneamente la legalità, facendo cessare l’attività lavorativa oppure perché il minore non è più in
forza) adotterà la cd. “prescrizione ora per allora”; sanzione pari a 1291 euro
Oblazione (art. 162-bis c.p.): può essere ammessa, sanzione pari a 2582 euro
Note: i minori non possono essere adibiti al lavoro notturno (periodo di 12 ore consecutive in cui è
compreso l'intervallo tra le ore 22 e le ore 6), ad eccezione dei seguenti casi (artt. 15-17 legge n.
977/1967): bambini addetti alle attività loro consentite (culturali, dello spettacolo, pubblicitarie,
sportive, purché entro il limite delle ore 24 e con diritto a riposo compensativo di almeno 14 ore
consecutive; adolescenti con 16 anni compiuti in via eccezionale e per il tempo strettamente necessario
nel caso di forza maggiore che ostacola l'azienda, non possa essere effettuato da adulti e sia compensato
con equivalente riposo entro tre settimane. Il datore di lavoro deve comunicare alla Direzione
Provinciale del Lavoro i nominativi dei lavoratori e le condizioni di forza maggiore.
ADIBIZIONE AL LAVORO NOTTURNO
Illecito
Art. 15 c. 1 L. 977/67 sost.
dall’art. 10 D. Lgs. 345/99
Per aver adibito i minori al
lavoro notturno.
Sanzione
Art. 26 c. 2 L. 977/67 sost. dall’art. 14 D.
Lgs. 345/99
Arresto non superiore a 6 mesi o
ammenda fino a euro 5164.
23
4.9. Riposo minimo per lavoro notturno
Prescrizione obbligatoria (art. 15, D.Lgs. n. 124/2004): è applicabile, l’ispettore procederà a
prescrivere l’immediato ripristino della legalità, ordinando l’immediata cessazione dell’attività lavorativa
fatta svolgere in violazione della legge, qualora, invece, accerti che il reato è stato già compiutamente
realizzato ed è cessato (perché il minore non è più in forza) adotterà la cd. “prescrizione ora per allora”;
sanzione pari a 1291 euro
Oblazione (art. 162-bis c.p.): può essere ammessa, sanzione pari a 2582 euro
Note: nei casi in cui la Direzione provinciale del lavoro abbia autorizzato, previo assenso scritto dei
titolari della potestà genitoriale, l’impiego dei minori in attività lavorative di carattere culturale, artistico,
sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo, che non pregiudicano la sicurezza, l'integrità
psico-fisica e lo sviluppo del minore, la frequenza scolastica o la partecipazione a programmi di
orientamento o di formazione professionale, se il lavoro si è protratto oltre le ore 24, il datore di lavoro
è punito qualora non conceda al minore un periodo di riposo minimo di 14 ore consecutive.
24
RIPOSO MINIMO PER LAVORO NOTTURNO
Illecito
Sanzione
Art. 17 c. 1 L. 977/67 sost.
dall’art. 11 D. Lgs. 345/99
RIPOSO PER NOTTURNO.
Per aver protratto, nelle attività
di cui all’art. 4, co. 2, la
prestazione lavorativa del
minore oltre le ore 24, senza
concedergli un periodo di riposo
di almeno 14 ore consecutive.
Art. 26 c. 2 L. 977/67 sost. dall’art. 14 D.
Lgs. 345/99
Arresto non superiore a 6 mesi o
ammenda fino a euro 5164.
4.10. Lavoro straordinario dei bambini e degli adolescenti
Prescrizione obbligatoria (art. 15, D.Lgs. n. 124/2004): è applicabile, l’ispettore procederà a
prescrivere l’immediato ripristino della legalità, ordinando l’immediata cessazione dell’attività lavorativa
fatta svolgere in violazione della legge, qualora, invece, accerti che il reato è stato compiutamente
realizzato ed è cessato (perché il datore di lavoro ha ripristinato autonomamente e spontaneamente la
legalità, facendo cessare l’attività lavorativa o perché il minore non è più in forza) adotterà la cd.
“prescrizione ora per allora”; sanzione pari a 1291 euro
Oblazione (art. 162-bis c.p.): può essere ammessa, sanzione pari a 2582 euro
Note: la durata massima della prestazione lavorativa per i bambini e gli adolescenti è fissata in misura
giornaliera e settimanale ed è insuperabile, il datore di lavoro che non rispetti i limiti è penalmente
sanzionato.
LAVORO STRAORDINARIO DEI BAMBINI E DEGLI
ADOLESCENTI
Illecito
Sanzione
Art. 18 L. 977/67 mod. dall’art. 2 D.
Lgs. 345/99
LAVORO STRAORDINARIO DEI
BAMBINI.
Per aver fatto superare, ai bambini
liberi da obblighi scolastici, le 7 ore
giornaliere e le 35 ore settimanali di
lavoro.
Art. 26 c. 2 L. 977/67 sost. dall’art.
14 D. Lgs. 345/99
Arresto non superiore a 6 mesi o
ammenda fino a euro 5164.
Art. 18 L. 977/67 mod. dall’art. 2 D.
Lgs. 345/99
LAVORO STRAORDINARIO DEGLI
ADOLESCENTI.
Per aver fatto superare, agli
adolescenti, le 8 ore giornaliere e le
40 ore settimanali di lavoro.
Art. 26 c. 2 L. 977/67 sost. dall’art.
14 D. Lgs. 345/99
Arresto non superiore a 6 mesi o
ammenda fino a euro 5164.
4.11. Riposi intermedi prescritti dalla Direzione Provinciale del Lavoro
Prescrizione obbligatoria (art. 15, D.Lgs. n. 124/2004): è applicabile, l’ispettore procederà a
prescrivere l’immediato ripristino della legalità, ordinando l’immediata cessazione dell’attività lavorativa
fatta svolgere in violazione della legge, qualora, invece, accerti che il reato è stato compiutamente
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realizzato ed è cessato (perché il datore di lavoro ha ripristinato autonomamente e spontaneamente la
legalità, adempiendo agli obblighi di legge, oppure perché il minore non è più in forza) adotterà la cd.
“prescrizione ora per allora”; sanzione pari a 1291 euro
Oblazione (art. 162-bis c.p.): può essere ammessa, sanzione pari a 2582 euro
Note: per i bambini e per gli adolescenti la prestazione lavorativa senza interruzione non può superare i
limiti fissati dagli artt. 20 e 21 legge n. 977/1967: 4 ore e mezzo per la generalità dei lavori, 3 ore (su
prescrizione della Direzione Provinciale del Lavoro) per lavori pericolosi o gravosi..
RIPOSI INTERMEDI PRESCRITTI DALLA
DIREZIONE PROVINCIALE DEL LAVORO
Illecito
Sanzione
Art. 21 L. 977/67 mod. dall’art. 2
D. Lgs. 345/99
Per non essersi attenuto, nel caso
in cui il lavoro presenta carattere
di pericolosità o gravosità, a
quanto prescritto dalla Direzione
provinciale del lavoro circa la
durata (non più di 3 ore senza
interruzione) del riposo intermedio
dei bambini e degli adolescenti.
Art. 26 c. 3 L. 977/67 sost. dall’art. 14
D. Lgs. 345/99
Arresto non superiore a 6 mesi o
ammenda fino a euro 5164.
4.12. Riposi settimanali, minimi e domenicali
Prescrizione obbligatoria (art. 15, D.Lgs. n. 124/2004): è applicabile, l’ispettore procederà a
prescrivere l’immediato ripristino della legalità, ordinando l’immediata cessazione dell’attività lavorativa
fatta svolgere in violazione della legge, qualora, invece, accerti che il reato è stato già compiutamente
realizzato ed è cessato (perché il datore di lavoro ha ripristinato autonomamente e spontaneamente la
legalità, adempiendo agli obblighi di legge, oppure perché il minore non è più in forza) adotterà la cd.
“prescrizione ora per allora”; sanzione pari a 1291 euro
Oblazione (art. 162-bis c.p.): può essere ammessa, sanzione pari a 2582 euro
Note: ai minori viene anche garantita una speciale disciplina dei riposi settimana-li: a loro, infatti, deve
essere assicurato un riposo settimanale di almeno 2 giorni, se possibile consecutivi e comprendente la
domenica. Tale periodo, per ragioni di ordine tecnico-organizzativo può essere ridotto, ma non può
essere in-feriore a 36 ore consecutive, sebbene la giurisprudenza abbia recentemente chiarito che al
minore prossimo alla maggiore età con rapporto di lavoro a tempo parziale possa essere concesso un
riposo settimanale di un solo giorno (Cass. Pen. Sez. III, 18 luglio 2005, n. 26391). Per i minori
impegnati nello spettacolo, in attività culturali, pubblicitarie e sportive e per gli adolescenti impegnati
nel settore turi-stico, alberghiero o della ristorazione, il riposo settimanale può essere concesso in un
giorno diverso dalla domenica.
LAVORAZIONI E PROCESSI LAVORATIVI VIETATI AGLI
ADOLESCENTI
Illecito
Sanzione
Art. 22 c. 2 L. 977/67 sost. dall’art. 13
D. Lgs. 345/99
RIPOSI SETTIMANALI.
Per non aver assicurato ai minori un
periodo di riposo settimanale della
durata di almeno 2 giorni, se
possibile consecutivi, e
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Art. 26 c. 3 L. 977/67 sost. dall’art.
14 D. Lgs. 345/99
Arresto non superiore a 6 mesi o
ammenda fino a euro 5164.
comprendente la domenica.
Art. 22 c. 2 L. 977/67 sost. dall’art. 13
D. Lgs. 345/99
RIPOSO SETTIMANALE MINIMO.
Per non aver assicurato il periodo
minimo di riposo non inferiore a 36
ore consecutive in presenza di
comprovate ragioni di ordine tecnico
e organizzativo.
Art. 26 c. 2 L. 977/67 sost. dall’art.
14 D. Lgs. 345/99
Arresto non superiore a 6 mesi o
ammenda fino a euro 5164.
Art. 22 c. 4 L. 977/67 sost. dall’art. 13
D. Lgs. 345/99
RIPOSO SETTIMANALE NON
DOMENICALE.
Per non aver concesso, anche in un
giorno diverso dalla domenica, il
riposo settimanale ai minori
impiegati nelle attività lavorative di
carattere culturale, artistico, sportivo,
pubblicitario e dello spettacolo.
Art. 26 c. 2 L. 977/67 sost. dall’art.
14 D. Lgs. 345/99
Arresto non superiore a 6 mesi o
ammenda fino a euro 5164.
5. I reati in materia di extracomunitari
Il D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, recante il “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e sulla condizione dello straniero” (con i relativi successivi interventi di “correzione”
e integrazione: D. Lgs. 19 ottobre 1998, n. 380; D. Lgs. 13 aprile 1999, n. 113; legge 30 luglio 2002, n.
189; D.L. 9 settembre 2002, n. 195, convertito in legge 9 ottobre 2002, n. 222), prevede regole
specifiche per l’ingresso, il soggiorno e l’instaurazione del rapporto di lavoro in Italia con lavoratori
provenienti da Paesi non appartenenti all’Unione Europea1.
Il lavoratore extracomunitario presente sul territorio nazionale con regolare permesso di soggiorno per
motivi di lavoro può essere assunto con le normali procedure in uso per la generalità dei lavoratori.
Quanto invece al cittadino extracomunitario che risiede all’estero, il datore di lavoro (italiano o straniero
regolarmente soggiornante) deve attivare la complessa procedura del D. Lgs. n. 286/1998, nell’ambito
dei limiti delle quote massime di stranieri ammessi nello Stato per lavoro subordinato (programmazione
dei flussi di ingresso), presso lo sportello unico per l’immigrazione della provincia di residenza ovvero
di quella dove ha sede l’impresa o ancora di quella dove si svolgerà la prestazione lavorativa che si
richiede (il passaggio burocratico iniziale consta di una richiesta nominativa di nulla osta al lavoro;
l’approdo finale è nel contratto di soggiorno per lavoro subordinato, previo visto d’ingresso e permesso
di soggiorno per motivi di lavoro), secondo una stringente proceduralità delineata recentemente in
occasione della intervenuta modifica del regolamento attuativo contenuto nel DPR 31 agosto 1999, n.
394, ad opera del DPR 18 ottobre 2004, n. 334 (vigente dal 25 febbraio 2005)2.
Nel dettare regole specifiche per l’ingresso, il soggiorno e l’instaurazione del rapporto di lavoro in Italia
con lavoratori provenienti da Paesi non appartenenti all’UE, il D.Lgs. n. 286/1998 ha stabilito anche un
importante e decisivo apparato sanzionatorio che si fonda su un doppio sistema punitivo3.
Da un lato, in modo assolutamente prevalente, si pongono gli illeciti e le sanzioni di natura penale;
dall’altro le ipotesi di violazione, di carattere residuale, di natura amministrativa.
1 Per un approfondimento operativo completo si vedano: S. Bradaschia, A. Millo, E. Pau, “Il lavoro degli stranieri in Italia”,
in Dir. Prat. Lav. ORO, n. 6/2005; AA.VV., “Il nuovo diritto dell’immigrazione. Profili sostanziali e procedurali”, IPSOA
Editore, Milano 2003.
2 In argomento cfr. A. Casotti, M.R. Gheido, “Il lavoro degli stranieri in Italia” in Dir. Prat. Lav., 2005, 13, Inserto; A. Millo,
“Disciplina dell’immigrazione: il nuovo Sportello unico”, in Dir. Prat. Lav., 2005, 11, 613 s.; P. Gremigni, “Extracomunitari:
il nuovo regolamento per l’ingresso in Italia”, in Guida lav., 2005, 9, 12 s.
3 Si veda per un quadro di sintesi anche P. Rausei, “Illeciti e sanzioni”, Ipsoa, Milano, 2005, 391 e segg.
27
In realtà, in questa stessa ottica sistematica, fin dall’inizio la normativa italiana in materia di occupazione
dei lavoratori immigrati da Paesi extracomunitari si è volta a sanzionare le condotte dei datori di lavoro
in violazione delle previsioni legislative sotto il profilo di una prevalente, se non esclusiva, illiceità
penale (delitti e contravvenzioni).
Più di recente, con la legge n. 189/2002 (cd. legge Bossi-Fini), il legislatore della riforma ha voluto
aggiungere alle ipotesi di rilevanza penalistica anche due tipologie di sanzioni amministrative connesse
ad obblighi di comunicazione che, in larga misura, ricalcano quelli già previsti per la generalità dei datori
di lavoro, ma si aggiungono a questi, senza sostituirli.
5.1. I reati per il lavoro illegale degli stranieri
Con riguardo alle ipotesi di reato, e cioè alle fattispecie di lavoro illegale poste in essere da lavoratori
stranieri non appartenenti a Paesi membri dell’UE privi di regolare permesso di soggiorno per motivi di
lavoro, rileva, in primo luogo, in senso logico e cronologico, la contraffazione o l’alterazione dei
documenti di regolarizzazione del soggiorno o degli altri eventuali documenti idonei ad ottenere il
rilascio di quelli (art. 5, comma 8 bis, D. Lgs. n. 286/1998).
Il legislatore stabilisce, inoltre, una pena specifica per la violazione delle disposizioni contro le
immigrazioni clandestine da parte dei datori di lavoro: sono puniti, infatti, gli atti diretti all’ingresso
illegale nello Stato o in altro Stato del quale la persona immigrata non è cittadina né residente, il delitto
è più grave se tali atti sono realizzati a fine di lucro, per trarne profitto (art. 12, commi 1 e 3).
Ciò premesso, va osservato che la principale (sebbene non la più grave in senso assoluto) ipotesi di
reato in materia di immigrazione irregolare (rectius illegale) ai fini dell’ammissione al lavoro è,
naturalmente, quella riguardante la condotta del datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze
lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno ovvero il cui permesso sia stato revocato, annullato
oppure, se scaduto, non si sia chiesto il rinnovo nei termini di legge (art. 22, comma 12).
Tale ultima fattispecie, peraltro, riguarda anche l’occupazione illegale di lavoratori extraUE clandestini
per prestazioni di lavoro subordinato di carattere stagionale (art. 14, comma 6, del D. Lgs. n. 286/1998,
come sostituito dall’art. 20 della legge 189/02).
5.2. L’occupazione clandestina
Si cennava più sopra che la forma classica di tutela e, conseguentemente, di reato in materia di
immigrazione irregolare per quanto concerne i profili relativi al diritto del contratto e del rapporto di
lavoro è quella della penalità che colpisce il datore di lavoro che ha assunto alle proprie dipendenze
lavoratori stranieri non in possesso di regolare permesso di soggiorno4 ovvero il cui permesso sia stato
revocato, risulti annullato o sia scaduto, salvo che, in quest’ultimo caso che sia stato richiesto il rinnovo
nei termini di legge (art. 22, comma 12).
Ne consegue che il datore di lavoro il quale abbia proceduto ad occupare clandestinamente
manodopera extracomunitaria è punito con la pena congiunta dell’arresto da 3 mesi a 1 anno e
dell’ammenda di euro 5000 per ogni lavoratore impiegato (art. 22, comma 12, D. Lgs. 286/98, come
modificato dall’ art. 18 della legge n. 189/2002).
Si tratta di una contravvenzione, dunque, di tipo colposo nella quale il datore di lavoro incorre anche se
il comportamento tenuto è imputabile a imprudenza o negligenza, senza che sia necessario accertare (da
parte degli ufficiali di polizia giudiziaria ovvero della magistratura inquirente) la sussistenza di una
specifica volontà illecita5.
Sotto un profilo sostanziale il reato si consuma nel momento stesso in cui il lavoratore
extracomunitario viene ad essere occupato dal datore di lavoro.
L’introduzione del “contratto di soggiorno per lavoro subordinato” non ha minimamente inciso sulla sussistenza del reato
de quo, si veda Cass. pen., sez. I, 31 luglio 2003, n. 32272. Cfr. M. Bentivoglio, “L’assunzione di stranieri privi di permesso è
reato”, in Guida lav. 2006, 1, 21.
5 Una precisazione essenziale attiene alla realizzazione del reato a prescindere dalla finalità del datore di lavoro di sottrarsi ai
propri obblighi di natura previdenziale o retributiva, in questo senso Cass. Pen., Sez. I, n. 43204/2002 in Dir. Prat. Lav.
2003, 1066.
4
28
Quanto alla figura del “datore di lavoro” (figura specifica che determina la classificazione del reato
come reato “proprio”, in quanto soltanto questi può essere soggetto attivo) va precisato che non si può
limitare l’operatività della norma soltanto al datore di lavoro imprenditore, ovvero a chi gestisce con
professionalità una attività di lavoro organizzata6, ma più semplicemente la disposizione in argomento
punisce anche il semplice cittadino che, nei panni – anche improvvisati – di datore di lavoro7, viene ad
assumere alle proprie dipendenze una o più persone straniere provenienti da Paesi extraUE per
esigenze di tipo casalingo o familiare (si pensi, per esempio, alle collaboratrici domestiche o alle cd.
“badanti”).
Per quanto attiene, poi, al concetto di “occupazione” utilizzato dalla norma, la quale fa esplicito e
testuale riferimento al “datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze” i lavoratori stranieri
irregolari, deve intendersi necessariamente che sarà da ritenere punibile, per ragioni di tassatività della
legge penale, esclusivamente la condotta del soggetto che abbia occupato il lavoratore extraUE
illegalmente per svolgere attività di lavoro di natura subordinata, di qualsiasi natura, a tempo pieno o
parziale, a tempo indeterminato o determinato.
Ne consegue, pertanto, che la presenza del lavoratore straniero clandestino presso un qualsiasi datore di
lavoro senza svolgere attività di lavoro subordinato farà scattare altra e differente ipotesi di reato, ma
non quella in esame.
Così pure nei casi in cui la presenza dell’extracomunitario sia dovuta ad un distacco operato presso il
datore di lavoro italiano da altro datore di lavoro italiano o straniero che opera all’estero: in tal caso,
infatti, non potrà parlarsi certamente di occupazione “alle dipendenze”, essendo proprio l’essenza
dell’istituto del distacco (art. 30 D.Lgs. n. 276/2003) fondata sulla non dipendenza del lavoratore
distaccato dal datore di lavoro distaccatario8.
Con riguardo allo status dell’extracomunitario, in effetti, la legge punisce il datore di lavoro solo quando
il lavoratore occupato risulta essere “clandestino”9, nel senso che, in concreto e alternativamente, è:
privo del permesso di soggiorno: perché non lo ha mai richiesto o pur avendolo richiesto non lo ha
poi di fatto ottenuto;
in possesso di permesso di soggiorno annullato: per essere stato il provvedimento autorizzatorio poi
dichiarato nullo dall’autorità amministrativa emanante ovvero annullato, successivamente, dall’autorità
giudiziaria;
in possesso di permesso di soggiorno revocato: in quanto il provvedimento originariamente emesso è
stato poi revocato dalla stessa autorità amministrativa che lo aveva inizialmente rilasciato;
in possesso di permesso scaduto senza tempestiva richiesta di rinnovo: per non avere il lavoratore, che
risultava già essere in possesso di permesso di soggiorno poi scaduto, presentato nei termini di legge
istanza di rinnovo dello stesso.
In questo senso interpreta la norma la dottrina pressoché unanime, cfr. M. P. Monaco, “Commento all’art. 22 del D.Lgs. n.
286/1998”, in M. Grandi, G. Pera, “Commentario breve alle leggi sul lavoro”, Cedam, Padova, 2005, 1671. Così
espressamente anche M. Bentivoglio, “L’assunzione di stranieri privi di permesso è reato” cit., 21.
7 L’estensione in senso ampio della portata della locuzione “datore di lavoro” è confermata dalla Suprema Corte con
sentenza Cass. Pen., Sez. I, 12 giugno 2003, n. 25665, in Mass. Giur. Lav. 2003, 975.
8 Analogamente, dovrà dirsi per lo straniero occupato in forza di un contratto di associazione in partecipazione ovvero di un
contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto o a programma essendo entrambi tali istituti riconducibili e
ricondotti, dalla legge e dalla giurisprudenza, alle forme del lavoro autonomo o cd. “parasubordinato” che non consente
l’assimilazione ad una occupazione “alle dipendenze”, salvo il caso dello pseudoassociato o dello pseudocollaboratore che
hanno operato in forza di negozi giuridici fittiziamente autonomi ma sostanzialmente con un rapporto di lavoro di natura
subordinata. D’altro canto, pare fuor di dubbio ammettere che la posizione di assoluta inferiorità economica e giuridica del
lavoratore straniero extracomunitario clandestino darà luogo palesemente a dei contratti di natura fintamente autonoma o
“parasubordinata” e realmente di carattere subordinato, dovendosi però, altresì, ammettere che il disconoscimento del
rapporto di lavoro instaurato ab initio fra le parti non potrà essere seguito dalla sanzionabilità penale della condotta del datore
di lavoro in considerazione del rigoroso principio di tassatività della norma penale. Dovrebbe, peraltro, dubitarsi perfino
della liceità di simili accordi negoziali stipulati in violazione di norme imperative quali sono quelle sulla cittadinanza e
sull’ingresso nel mercato del lavoro per i lavoratori stranieri cittadini di Paesi non appartenenti alla Unione Europea.
9 D’altra parte, vale la pena segnalare che i reati di cui si tratta trovano tutti nel lavoratore straniero extracomunitario in stato
di clandestinità un elemento necessario per la configurabilità delle violazioni penali, ma il clandestino in quanto tale, slavo
nel caso in cui commetta dei reati connessi all’ingresso nel territorio nazionale o di altra natura, può essere soltanto
sottoposto dal Prefetto al provvedimento di espulsione amministrativa, cfr. per queste riflessioni M. Bentivoglio,
“L’assunzione di stranieri privi di permesso è reato” cit., 21.
6
29
A fronte di una qualsiasi delle quattro condizioni soggettive ora elencate, il lavoratore extracomunitario
non può essere legalmente occupato alle dipendenze del datore di lavoro.
In chiave positiva, la novità importante qui introdotta dalla legge “Bossi-Fini” è obiettivamente
rappresentata dalla non punibilità dell’utilizzazione del lavoratore extracomunitario quando il permesso
di soggiorno è scaduto, ma il rinnovo dello stesso è stato chiesto nei termini di legge10.
In effetti, rispetto al periodo previgente la circostanza obiettiva che il lavoratore abbia provveduto
tempestivamente a inoltrare la prevista istanza di rinnovo del permesso di soggiorno scaduto è ritenuta
condizione necessaria e sufficiente per legittimare appieno la prosecuzione del rapporto di lavoro
instaurato, perlomeno fino alla conclusione dell’iter amministrativo del rinnovo11.
Concluso il procedimento aperto dall’istanza di rinnovo se questo ha un esito positivo il lavoratore
tornerà in pieno possesso del permesso di soggiorno con nuovo corso di validità.
In caso contrario, l’esito negativo dell’istanza di rinnovo comporterà l’immediata cessazione del
rapporto di lavoro, giacché nell’ipotesi in cui l’occupazione dell’extracomunitario al quale non sia stato
rinnovato il permesso di soggiorno prosegua oltre il giorno della avvenuta comunicazione del mancato
rinnovo il datore di lavoro incorrerebbe nel reato in argomento, avendo di fatto occupato un lavoratore
privo di permesso di soggiorno.
Peraltro vale la pena segnalare che è senza dubbio difficile imputare al datore di lavoro la prosecuzione
illegale del rapporto di lavoro, date le oggettive difficoltà che egli incontra nel venire a conoscenza
dell’esito del procedimento amministrativo di rinnovo12, specie se il datore di lavoro si attiva nel
richiedere alla Questura competente, per iscritto, informazioni in merito13.
Ancora un chiarimento appare necessario, con riferimento al reato di occupazione illegale di lavoratori
extracomunitari, in quanto sebbene la norma faccia esplicito riferimento al termine plurale “lavoratori
stranieri”, in realtà la contravvenzione esaminata viene ad essere integrata con l’adibizione al lavoro
anche di un solo lavoratore straniero irregolare o clandestino e comunque “privo del permesso di
soggiorno” come sopra illustrato14.
Per quanto concerne il concorso del reato qui descritto con gli altri previsti e stabiliti dal D.Lgs. n.
286/1998, va segnalato che la giurisprudenza ha riconosciuto la piena concorrenza dei singoli reati
descritti nel prossimo paragrafo con quello esaminato, non trattandosi di ipotesi speciale, ma di
fattispecie tutt’affatto differente, che pienamente si concilia, sotto un profilo di illiceità, coi fenomeni
criminosi di carattere generale, anche non legati alla prestazione lavorativa in via esclusiva.
Per quanto poi attiene alla applicabilità della prescrizione obbligatoria (art. 15 del D.Lgs. n. 124/2004) si
precisa che essa non può trovare nessuna operatività in materia, in quanto si tratta, come si è visto, di
una contravvenzione punita con la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda.
Da ultimo occorre tenere presente che il reato fin qui descritto trova integrale applicazione anche per
quanto concerne il lavoro stagionale dello straniero immigrato clandestinamente (privo di permesso di
soggiorno in corso di validità o con istanza di rinnovo presentata tempestivamente).
In effetti, a tale conclusione si giunge pianamente, sul punto della punibilità, posto il principio della
tassatività della norma penale, per effetto dell’espresso rinvio operato dall’art. 24, comma 6, del D. Lgs.
n. 286/1998 (sostituito dall’art. 20, comma 6, della legge n. 189/2002), che richiama le pene previste
dall’art. 22, comma 12, le quali pertanto trovano applicazione anche nelle fattispecie relative a
prestazioni di lavoro subordinato di carattere stagionale.
Per questa sottolineatura P. Pennesi, “I profili sanzionatori per l’occupazione irregolare dei lavoratori extracomunitari”, in
AA.VV., “Il nuovo diritto dell’immigrazione. Profili sostanziali e procedurali” cit., 251.
11 Cfr. A. Millo, “Lavoratori extracomunitari: l’assunzione”, in S. Bradaschia, A. Millo, E. Pau, “Il lavoro degli stranieri in
Italia” cit., 71.
12 In questo senso già A. Millo, “Lavoratori extracomunitari: l’assunzione” cit., 71-72.
13 Secondo il parere congiunto della Procura della Repubblica e della Questura di Modena del 27 gennaio 2005 il rapporto di
lavoro può lecitamente proseguire, senza incorrere nel reato de quo, anche nel caso in cui il lavoratore extracomunitario abbia
presentato l’istanza di rinnovo successivamente alla scadenza del permesso di soggiorno, purché entro 60 giorni da tale
evento. Nello stesso senso, in giurisprudenza, Cass. Pen., Sez. Un., n. 7892/2003.
14 Nel senso di una integrazione del reato anche per l’occupazione di un lavoratore soltanto si è espressa la Suprema Corte
con la sentenza Cass. Pen., Sez. III, 16 maggio 2005, n. 18182, che ha concluso, appunto, affermando la piena sanzionabilità,
a norma dell’art. 22, comma 12, del D.Lgs. n. 286/1998, del datore di lavoro che assume illegalmente anche un solo
lavoratore straniero. Ritiene, invece, che il reato potrebbe configurarsi soltanto con l’assunzione di almeno due “lavoratori”
F. Natalini, “Il regime sanzionatorio in materia di assunzione di lavoratori stranieri”, in Guida lav., 2005, 34, 39.
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30
Infine, appare opportuno evidenziare una questione di carattere strettamente giuridico, ma con riflessi
squisitamente pratici.
Ci si è chiesti, infatti, se possono coesistere – ed essere quindi parimenti e contestualmente irrogate – le
pene relative al reato di occupazione illegale dello straniero, con le sanzioni amministrative connesse
alle omissioni riguardanti la regolare assunzione del lavoratore (comunicazione al Centro per l’impiego,
dichiarazione di assunzione, iscrizione sui libri obbligatori, denuncia nominativa all’Inail).
Sotto un profilo operativo e su un piano logico sembra da condividersi l’opinione di chi ritiene che non
sia possibile applicare sanzioni amministrative stabilite per comportamenti omessi che il datore di
lavoro non avrebbe potuto materialmente tenere, in assenza dei presupposti normativi e amministrativi
per procedervi15.
Concretamente si verrebbe a realizzare una ipotesi di illecito amministrativo impossibile, senza dire,
inoltre, che la doppia sanzionabilità della identica condotta (svolgimento di attività lavorativa senza il
rispetto delle disposizioni normative previste) integrerebbe la violazione del principio generale di ne bis
in idem.
In questo senso, d’altro canto, si è mosso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il quale assai
opportunamente, con Circolare n. 2 del 14 gennaio 2002, ha chiarito come il datore di lavoro che
ometta di adempiere agli obblighi di comunicazione e di registrazione oltreché di consegna della
dichiarazione al lavoratore con riferimento all’assunzione di cittadino extracomunitario privo di
permesso di soggiorno, o con permesso revocato o annullato ovvero scaduto senza richiesta tempestiva
di rinnovo, non sia soggetto alle relative sanzioni amministrative, trattandosi di violazioni rispetto ad
obblighi che egli non avrebbe potuto materialmente adempiere in assenza dei presupposti e dei requisiti
legali necessitati per una regolare assunzione16.
5.3. Successione di leggi penali nel tempo
A margine della trattazione relativa alla illecita occupazione di lavoratore clandestino, deve essere
opportunamente sottolineato, che anche nella nuova formulazione del precetto della contravvenzione
in argomento (per la quale è stata pure aumentata la pena edittale), seguita a trovare riscontro
l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il comportamento del datore di lavoro che ha assunto
lavoratori extracomunitari sprovvisti dell’autorizzazione al lavoro (di cui al vecchio art. 12, co. 2 legge
30 dicembre 1986, n. 943) non è affatto riconducibile alla nuova ipotesi di assunzione dei lavoratori
privi del permesso di soggiorno e, di conseguenza, non è configurabile come reato17.
Si tratta, in verità, di una classica ipotesi di leggi penali che disciplinano l’identica materia succedendosi
nel tempo18, laddove si fa obbligo all’interprete di formulare una chiara indicazione sul significato
In questo senso già P. Pennesi, “I profili sanzionatori per l’occupazione irregolare dei lavoratori extracomunitari” cit., 252.
Restano, evidentemente, salve le sanzioni penali connesse alla medesima fattispecie di illecita assunzione dello straniero,
così come qui illustrate, ed anche, su un piano civilistico, le tutele retributive e previdenziali riservate al lavoratore per
l’attività lavorativa svolta (art. 2126 cod. civ.). Il lavoratore conserva il diritto alla retribuzione e alle prestazioni previdenziali
per il tempo in cui ha svolto attività lavorativa.
17 Vedi, in tal senso, da ultimo, Cass. Pen., Sez. Un., 11 settembre 2001, n. 33539, in Dir. prat. lav., 2001, 40, 2747. La
sentenza citata fra l’altro testualmente afferma: “e pure è vero che, nell'iter amministrativo prefigurato dalla legge ai fini della
regolare presenza dello straniero in Italia, il permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato presuppone il rilascio
dell'autorizzazione al lavoro (ai sensi dell'articolo 22 del Tu n. 286/1998), la norma penale attualmente vigente non ricollega
comunque la soglia di rilevanza all'atto presupposto, fissandola in un momento posteriore a quello già considerato
dall'articolo 12 della legge n. 943/1986; - l'autorizzazione al lavoro subordinato (promanante dall'ufficio periferico del
Ministero del lavoro e della previdenza sociale), seppure completamente rispetto al permesso di soggiorno (la cui
competenza è demandata all'autorità di P.S.), è comunque un provvedimento da esso distinto e non inscindibilmente
connesso (si pensi, ad esempio, alle ipotesi: di soggiorno per lo svolgimento di lavoro autonomo e di attività professionali; di
ricongiungimento familiare con conseguente possibilità di accesso immediato al lavoro; di sanatoria ai sensi del D.P.C.M. 16
ottobre 1998)”. Cfr. anche, in senso conforme, Cass. pen., sez. I, 23 maggio 2000, n. 2429; Cass. pen., sez. I, 29 marzo 2000,
n. 955 Cass. pen., sez. I, 9 marzo 1999, n. 3199.
18 Sul caso specifico in esame si vedano le riflessioni di M. Bentivoglio, “L’assunzione di stranieri privi di permesso è reato”
cit., 22.
15
16
31
operativo della norma e cioè se debba considerarsi una successione di leggi penali nel tempo o,
piuttosto, di una vera e propria abolitio criminis19.
Dopo un iniziale orientamento che voleva vedere nel passaggio dall’art. 12 della legge n. 943/1986
all’art. 22 del D.Lgs. 286/1998 una successione di leggi penali nel tempo con la conseguente
applicazione della norma più favorevole al reo (art. 2, comma 3, cod.pen.)20, è nettamente prevalso in
giurisprudenza l’indirizzo contrario, secondo cui ciò che viene ad essere sanzionato non è l’aspetto
autorizzativo al lavoro in quanto tale, ma piuttosto “l’adibizione al lavoro di uno straniero illegalmente
immigrato, spostando la soglia di punibilità”21, che muove dall’atto presupposto all’atto finale del
procedimento.
5.4. La “non punibilità” per “sanatoria”
Concludendo sui profili di punibilità del datore di lavoro per il reato di occupazione clandestina finora
esaminato, non si può omettere di annotare il fenomeno delle cd. “sanatorie”22, che ha fortemente
inciso sulla operatività del reato in questione.
In effetti, a seguito delle disposizioni contenute nell’art. 33, comma 6, della legge 189/2002 e dell’art. 1,
comma 6, del DL n. 195/2002, convertito nella legge n. 222/2002, non sono punibili i datori di lavoro
che hanno provveduto a presentare e a inoltrare nei termini di legge la “dichiarazione di emersione”,
con riguardo alla generalità delle violazioni, penali, amministrative e civili, previste dalla normativa in
materia di soggiorno, lavoro, fisco, previdenza e assistenza, nonché con riferimento a tutti i reati e agli
illeciti amministrativi in ogni caso derivanti dall’occupazione dei lavoratori stranieri extracomunitari per
i quali la dichiarazione di emersione veniva presentata23.
Peraltro, al fine di evitare ogni irragionevole disparità di trattamento (fra chi aveva goduto della
possibilità di presentare la dichiarazione di emersione e chi no), la giurisprudenza della Suprema Corte24
ha inteso, consapevolmente, applicare la “scusante” qui indicata e, quindi, ritenere non punibile, il
datore di lavoro che fosse stato accusato e imputato del reato di cui all’art. 22, comma 12, D.Lgs. n.
Sulla questione richiamata nel testo, che muove dalla necessità di assumere un atteggiamento interpretativo conforme al
sistema penalistico attuale in ragione della scelta logico-giuridica fra una vera e propria abolitio criminis (art. 2, co. 2 cod. pen.:
nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge posteriore, non costituisce reato; se vi è stata condanna, ne
cessano l’esecuzione e gli effetti penali) ovvero una successione di leggi penali nel tempo (art. 2, co. 3 cod. pen.: si applica la
legge penale le cui disposizioni sono più favorevoli al reo). Cfr. in dottrina: M. Romano, “Il rapporto tra norme penali.
Intertemporalità, spazialità, coesistenza”, Giuffré, Milano 1996; E. Musco, “La riformulazione dei reati. Profili di diritto
intertemporale”, Giuffré, Milano 2000; F. Mantovani, “Diritto penale”, Cedam, Padova 2001, 89 e segg.; D. Pulitane,
“Abolitio criminis” in A. Crespi, F. Stella, G. Zuccalà, “Commentario breve al codice penale”, Cedam, Padova 1999, sub art.
2; G. Fiandaca, E. Musco, “Diritto penale. Parte generale”, Zanichelli, Bologna 1995, 77 e segg.; A. Cadoppi, P. Veneziani,
“Elementi di diritto penale. Parte generale”, Cedam, Padova 2002, 105-112; M. Romano, “Commentario sistematico del
codice penale”, Giuffré, Milano 1995, sub art. 2; T. Padovani, “Tipicità e successione di leggi penali. La modificazione
legislativa degli elementi della fattispecie penale incriminatrice o della sua sfera di applicazione nell’ambito dell’art. 2, 3°
comma, c. p.”, in Riv. it. dir. proc. pen., 1982, 1354 e segg. In giurisprudenza vedi: Cass. Pen., Sez. Un., 26 marzo-26 giugno
2003, n. 25887 (che afferma, sul punto: “il criterio normale deve essere quello che porta a ricercare un’area di coincidenza tra
le fattispecie previste dalle leggi succedutesi nel tempo”); Cass. Pen., Sez. VI, 29 gennaio 1998, n. 1192; Cass. Pen., Sez. Un.,
27 giugno 1994, n. 7394.
20 In questo senso, precisamente, si era espressa, in un primo tempo, la Suprema Corte con sentenza Cass. pen., sez. III, 3
novembre 1999, n. 2944.
21 Così, testualmente, P. Pennesi, “I profili sanzionatori per l’occupazione irregolare dei lavoratori extracomunitari” cit., 251.
22 Su questo specifico tema si rinvia ai contributi di R. Mancino, “La sanatoria badanti e colf” e di E. Zappalorti, “La
legalizzazione del lavoro irregolare”, entrambi in AA.VV., “Il nuovo diritto dell’immigrazione. Profili sostanziali e
procedurali” cit., rispettivamente 105 e segg. e 141 e segg.
23 Condizione sine qua non per l’applicazione della scriminante in argomento, che esonerava da ogni responsabilità soggettiva,
è stata data dall’aver, appunto, denunciato alla competente autorità prefettizia la sussistenza del rapporto di lavoro
subordinato con personale extraUE, instaurato nei tre mesi antecedenti all’entrata in vigore delle disposizioni menzionate,
dapprima soltanto per il lavoro domestico consistente nelle attività di assistenza a componenti della famiglia non del tutto
autosufficienti (cd. “badanti”), poi più estensivamente anche per i dipendenti da imprese individuali o in forma societaria. Su
tale questione, specificamente sotto il profilo sanzionatorio, si vedano le ottime riflessioni di M. Bentivoglio, “L’assunzione
di stranieri privi di permesso è reato” cit., 22.
24 Così Cass. pen., sez. I, 17 aprile 2003, n. 18633.
19
32
286/1998, qualora avesse provveduto a regolarizzare la posizione dello straniero extracomunitario
assunto alle sue dipendenze in epoca anteriore alla entrata in vigore della legge n. 189/200225.
5.5. Altre ipotesi di illecito penale
Accanto alla fattispecie di natura contravvenzionale finora esaminata, rilevano, nel contesto del D.Lgs.
n. 286/1998, altre quattro fattispecie di reato, di tipo delittuoso, che meritano di essere richiamate e
separatamente evidenziate, per la loro incidenza in situazioni nelle quali il datore di lavoro italiano si
volge ad immettere al lavoro il lavoratore straniero illegalmente26.
Contraffazione - Anzitutto, chiunque contraffà o altera un visto di ingresso o di reingresso, un permesso
di soggiorno, un contratto di soggiorno o una carta di soggiorno, ovvero contraffà o altera documenti al
fine di determinare il rilascio di un visto di ingresso o di reingresso, di un permesso di soggiorno, di un
contratto di soggiorno o di una carta di soggiorno, è punito con la reclusione da uno a sei anni.
Se la falsità concerne un atto o parte di un atto che faccia fede fino a querela di falso la reclusione è da
tre a dieci anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale (art. 5, comma 8
bis, D. Lgs. n. 286/1998, come modificato dall’art. 5, legge n. 189/2002).
Si tratta di un delitto che può essere commesso da “chiunque” (reato “comune”) e, quindi, anche dal
datore di lavoro che opera nel senso indicato dalla norma al fine di far entrare nel territorio nazionale il
lavoratore straniero clandestino per svolgere attività lavorativa.
Il comportamento punito è quello della contraffazione ovvero della alterazione di documenti idonei
all’ingresso e alla permanenza in Italia, ma anche quello della contraffazione o della alterazione di
documenti necessari al rilascio di essi.
Immigrazione clandestina - Inoltre, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque in violazione
delle disposizioni del Testo unico sulla disciplina dell’immigrazione compie atti diretti a procurare
l'ingresso nel territorio dello Stato di uno straniero ovvero atti diretti a procurare l'ingresso illegale in
altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la
reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 15.000 euro per ogni persona (art. 12, comma 1, D. Lgs.
286/1998, come modificato dall’art. 11 legge n. 189/2002).
Anche tale delitto rivolgendosi a “chiunque” può essere integrato dal datore di lavoro che al fine di
occupare il lavoratore straniero clandestino ne procura l’ingresso illegale nel territorio nazionale con
qualunque modalità.
Pur restando una ipotesi di reato di carattere sussidiario (“salvo che il fatto costituisca più grave
reato…”), a ben vedere, la novità introdotta dalla legge n. 189/2002 non appare di poco momento, né
di scarso significato27.
Se prima ad attivare l’azione punitiva dello Stato erano tutte le “attività dirette a favorire l’ingresso”, ora
dopo la legge Bossi-Fini sono punibili soltanto coloro (anche datori di lavoro) che pongono in essere
“atti diretti a procurare l’ingresso”, vale a dire che non si punisce più il comportamento di chi in un
modo o nell’altro favorisca l’ingresso dell’extracomunitario nel nostro Paese, ma soltanto la più incisiva
condotta di chi agisce in un senso che rende immediatamente e direttamente possibile l’ingresso28.
L’elemento psicologico del delitto de quo è dato dalla volontà dell’agente di procurare l’ingresso del
lavoratore straniero clandestinamente nel territorio dello Stato: ciò presuppone, ovviamente, che il
Non è stata però ritenuta adeguata né sufficiente ad integrare la fattispecie scusante delineata dal legislatore del 2002 la
semplice regolarizzazione contributiva, in ragione della evidente difformità fra la tutela previdenziale ed assistenziale del
lavoro e la tutela del lavoro immigrato regolare, cfr. Cass. pen., sez. I, 26 luglio 2004, n. 32500.
26 Con riferimento alle quattro ipotesi delittuose considerate di seguito nel testo, evidentemente, non trova alcuna
applicabilità l’istituto agevolativo della prescrizione obbligatoria (art. 15 del D.Lgs. n. 124/2004) non trattandosi di
contravvenzioni. Sia consentito fare rinvio a P. Rausei, “Il sistema penale in materia di lavoro. Delitti e contravvenzioni”, in
Dir. Prat. Lav., 2005, 44, Inserto.
27 Cfr. per tale sottolineatura E. Manganiello, “Commento all’art. 12 del D.Lgs. n. 286/1998”, in M. Grandi, G. Pera,
“Commentario breve alle leggi sul lavoro” cit., 1657-1658.
28 Si veda, in proposito, Cass. Pen., Sez. I, 10 ottobre 2003 in Foro it., 2004, I, c. 672.
25
33
soggetto che pone in essere gli atti a ciò comunque diretti sia a conoscenza dello status di clandestino del
lavoratore29.
Rappresenta una causa di giustificazione speciale, oltre a quanto previsto dall’art. 54 cod. pen., l’aver
agito per soccorrere il lavoratore in condizione di bisogno o per prestargli assistenza umanitaria (art. 12,
comma 2).
Le pene vengono aumentate sussistendo particolari circostanze aggravanti, e cioè se: 1) il fatto riguarda
l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone; 2) per procurare
l'ingresso o la permanenza illegale la persona è stata esposta a pericolo per la sua vita o la sua
incolumità; 3) per procurare l'ingresso o la permanenza illegale la persona è stata sottoposta a
trattamento inumano o degradante. La stessa pena aumentata si applica quando il fatto è commesso da
tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti
contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti (art. 12, comma 3 bis).
Inoltre, le circostanze attenuanti (diverse da quella prevista dagli artt. 98 e 114 cod. pen.), concorrenti
con l’aggravante ora richiamata, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti e le diminuzioni di
pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente all’aggravante (art. 12,
comma 3 quater).
Immigrazione clandestina aggravata - Sempre fatta salva l’ipotesi che il fatto costituisca un più grave reato
(reato di carattere sussidiario), chiunque, al fine di trarre profitto anche indiretto, compie atti diretti a
procurare l'ingresso di taluno nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del presente testo
unico, ovvero a procurare l'ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha
titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa di
15.000 euro per ogni persona (art. 12, comma 3, D. Lgs. 286/98, come modificato dall’art. 11 legge n.
189/02).
Anche in questa ipotesi aggravata le pene sono aumentate ai sensi dell’art. 12, comma 3 bis, nei casi
sopra indicati.
D’altro canto, se i fatti costituenti reato sono compiuti al fine di reclutare persone da destinare alla
prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale ovvero riguardano l'ingresso di minori da
impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento, si applica la pena della reclusione da
cinque a quindici anni e la multa di 25.000 euro per ogni persona (art. 12, comma 3 ter).
Anche qui le circostanze attenuanti concorrenti con le aggravanti richiamate (commi 3 bis e 3 ter), non
possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano
sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti (art. 12, comma 3
quater).
Tuttavia, le pene sono diminuite fino alla metà nei confronti dell’imputato che si adopera per evitare
che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente l'autorità di polizia o
l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per
l'individuazione o la cattura di uno o più autori di reati e per la sottrazione di risorse rilevanti alla
consumazione dei delitti (art. 12, comma 3 quinquies).
Favoreggiamento della permanenza clandestina - Infine, al di fuori delle ipotesi precedenti e salvo che il fatto
costituisca un più grave reato, chiunque, al fine di trarre profitto ingiusto dalla condizione di illegalità
dello straniero o nell’ambito delle attività punite dal Testo unico, favorisce la permanenza
dell’immigrato clandestino nel territorio dello Stato in violazione delle norme che ne legittimano la
presenza e la permanenza stessa, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a
15.000 euro (art. 12, comma 5, D. Lgs. 286/98).
Si tratta di una ipotesi di reato a carattere sussidiario, qualificabile come reato “comune”, che si
configura come fattispecie autonoma e distinta30 rispetto a quella di cui all’art. 12, comma 1.
Qui la condotta è data dal porre in essere qualsiasi attività che possa in ogni modo agevolare la
permanenza illegittima dello straniero nel territorio dello Stato.
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30
Vedi ancora E. Manganiello, “Commento all’art. 12 del D.Lgs. n. 286/1998” cit., 1657.
Così pure E. Manganiello, “Commento all’art. 12 del D.Lgs. n. 286/1998” cit., 1657.
34
L’elemento psicologico, d’altronde, consiste in un vero e proprio dolo specifico, in quanto esso viene a
caratterizzarsi in ragione della specifica volontà del soggetto agente di trarre un profitto ingiusto dalla
condizione di illegalità dello straniero ovvero dalla permanenza o dal soggiorno illegale.
La giurisprudenza si è occupata direttamente della sussistenza di tale fattispecie di reato (art. 12, comma
5) in uno con quella di occupazione clandestina (art. 22, comma 12)31, sancendo il principio secondo il
quale perché possa dirsi realizzato e compiuto il delitto di favoreggiamento dell’illegale presenza di
stranieri extracomunitari nel territorio dello Stato, non è sufficiente il solo fatto dell’assunzione al
lavoro di immigrati clandestini, essendo, invece, necessario che si configuri pienamente la finalità
soggettiva (e al contempo oggettiva) dell’ingiusto profitto.
Il dolo specifico richiesto dal legislatore per l’imputazione del più grave reato di cui all’art. 12, comma 5,
infatti, non può essere identificato, secondo la Suprema Corte, nel contesto di un naturale e ordinario
svolgimento di un rapporto contrattuale, di natura sinallagmatica, e cioè a prestazioni corrispettive, che
è dato dal rapporto di lavoro subordinato instaurato con lo straniero clandestino, ma piuttosto
dall’impiego della stessa manodopera clandestina in attività illecite o dalla imposizione di condizioni
gravose o discriminatorie in termini di orario di lavoro, di sicurezza nell’ambiente di lavoro e di
retribuzione32.
Mancando la prova delle diverse condizioni obiettive idonee a configurare un ingiusto profitto, come
ora esemplificate, si potrà e si dovrà contestare soltanto la meno grave ipotesi di reato di cui all’art. 22,
comma 1233.
Fonte normativa
Art. 5, co. 8 bis D.
Lgs. 286/98 come
modif. da art. 5 L.
189/02
Illecito
Sanzione
CONTRAFFAZIONI O ALTERAZIONI.
Per aver contraffatto o alterato un visto di ingresso o
reingresso, un permesso di soggiorno, un contratto di
soggiorno o una carta di soggiorno, ovvero per aver
contraffatto o alterato documenti al fine di determinare
il rilascio di un visto di ingresso o di reingresso, di un
permesso di soggiorno, di un contratto di soggiorno o
di una carta di soggiorno.
Reclusione da 1 a 6 anni.
Se la falsità concerne un atto o
parte di un atto che faccia fede
fino a querela di falso la reclusione
è da 3 a 10 anni.
La pena è aumentata se il fatto è
commesso da un pubblico
ufficiale.
Reclusione fino a 3 anni e multa
IMMIGRAZIONE CLANDESTINA.
fino a euro 15000 per ogni
Art. 12, co. 1 D. Lgs. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, per avere
286/98 come modif.
compiuto, in violazione delle disposizioni del D. Lgs. 25 persona.
da art. 11 L. 189/02 luglio 1998, n. 286, atti diretti a procurare l'ingresso nel
territorio dello Stato di uno straniero ovvero atti diretti
a procurare l'ingresso illegale in altro Stato del quale la
persona non è cittadina o non ha titolo di residenza
permanente.
Reclusione da 4 a 12 anni e multa
IMMIGRAZIONE CLANDESTINA AGGRAVATA.
fino a euro 15000 per ogni
Art. 12, co.3 D. Lgs. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, per avere
compiuto, in violazione delle disposizioni del D. Lgs. 25 persona.
286/98 come modif.
da art. 11 L. 189/02 luglio 1998, n. 286, al fine di trarne profitto anche
indiretto, atti diretti a procurare l'ingresso nel territorio Le pene sono aumentate se:
dello Stato di uno straniero ovvero atti diretti a
a) il fatto riguarda cinque o più
procurare l'ingresso illegale in altro Stato del quale la
persone;
persona non è cittadina o non ha titolo di residenza
b) la persona è stata esposta a
permanente.
pericolo di vita o di incolumità;
Si veda Cass. pen., sez. I, 28 novembre 2005, n. 1096; Cass. pen., sez. I, 25 ottobre 2000, n. 4700.
Sul punto si concorda ampiamente con quanto argomentato da M. Bentivoglio, “L’assunzione di stranieri privi di
permesso è reato” cit., 21, secondo la quale “il datore di lavoro che riservi al dipendente straniero un trattamento retributivo
e normativo deteriore rispetto alle condizioni di lavoro della generalità dei lavoratori impiegati nelle medesime attività
lavorative, profittando della sua condizione di illegalità, resta allora esposto, sempreché sia comprovabile la sussistenza
dell’elemento psicologico costituito dal dolo specifico, alle pene più gravi comminate dall’art. 12, comma 5”.
33 Per la possibilità che il reato di occupazione illegale dello straniero (art. 22, comma 12, del D.Lgs. n. 286/1998) con quello
di favoreggiamento della permanenza di stranieri clandestini nel territorio dello Stato (art. 12, comma 5, del D.Lgs. n.
286/1998) si è espressa la Suprema Corte con la sentenza Cass. Pen., Sez. I, n. 41638/2003, in Dir. Prat. Lav. 2003, 1861.
31
32
35
La stessa pena si applica quando il fatto è commesso da
tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando
servizi internazionali di trasporto ovvero documenti
contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti.
Se i fatti riguardano l'ingresso di
minori da impiegare in attività
illecite al fine di favorirne lo
sfruttamento, si applica la pena
della reclusione da 5 a 15 anni e la
multa di euro 25000 per ogni
persona.
FAVOREGGIAMENTO ALLA PERMANENZA DELLO
Reclusione fino a reclusione fino a
4 anni e multa fino a euro 15000.
OCCUPAZIONE ILLEGALE CLANDESTINA.
Arresto da 3 mesi a 1 anno e
ammenda di euro 5000 per ogni
lavoratore impiegato.
OCCUPAZIONE ILLEGALE CLANDESTINA.
Arresto da 3 mesi a 1 anno e
ammenda di euro 5000 per ogni
lavoratore impiegato.
Art. 12, co. 5 D. Lgs. STRANIERO CLANDESTINO.
286/98 come modif.
Al di fuori delle ipotesi precedenti e salvo che il fatto
da art. 11 L. 189/02 costituisca un più grave reato, per avere, al fine di trarre
profitto ingiusto dalla condizione di illegalità dello
straniero o nell’ambito delle attività punite dal Testo
unico, favorito la permanenza dell’immigrato
clandestino nel territorio dello Stato in violazione delle
norme che ne legittimano la presenza e la permanenza
stessa
Art. 22, co. 12 D.
Lgs. 286/98 come
modif. da art. 18 L.
189/02
c) la persona è stata sottoposta a
trattamento inumano o degradante.
Per avere il datore di lavoro occupato alle proprie
dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di
soggiorno per lavoro subordinato, ovvero il cui
permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto,
nei termini di legge, il rinnovo, revocato o annullato.
Art. 24, co. 6 D. Lgs. STAGIONALI.
Per avere il datore di lavoro occupato alle proprie
286/98 come modif.
da art. 18 L. 189/02 dipendenze per lavori di carattere stagionale, uno o più
stranieri privi del permesso di soggiorno per lavoro
stagionale, ovvero il cui permesso sia scaduto e del
quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il
rinnovo, revocato o annullato.
6. Le sanzioni civili ripristinatorie, risarcitorie, interdittive e previdenziali
A - Sanzioni ripristinatorie
□ Lavori autonomi o parasubordinati
□ Lavori flessibili
□ Lavori esternalizzati
□ Lavori a contenuto formativo
□ Licenziamenti nulli e illegittimi
□ Condotta antisindacale e comportamenti discriminatori
A1. Conversione della collaborazione a progetto non genuina
CONVERSIONE DELLA COLLABORAZIONE A PROGETTO
NON GENUINA
Illecito
Sanzione
Art. 69, co. 1, D.Lgs. n. 276/2003
Per aver instaurato un rapporto di
collaborazione coordinata e continuativa
senza l'individuazione di uno specifico
progetto, programma di lavoro o fase di
Art. 69, co. 1, D.Lgs. n. 276/2003
Artt. 1418-1424 cod. civ.
Il rapporto di lavoro è considerato di lavoro
subordinato a tempo indeterminato sin dalla
data di costituzione dello stesso (il contratto
36
esso come stabilito dall'art. 61, co. 1,
D.Lgs. n. 276/2003
è nullo per contrasto con norme
imperative).
Il datore di lavoro può dimostrare la sussistenza di
un rapporto di lavoro diverso da quello subordinato
a tempo indeterminato, corrispondente alla tipologia
negoziale di fatto realizzatasi tra le parti (art. 69,
co. 2)
A2. Presunzione di fraudolenza nell’associazione in partecipazione
PRESUNZIONE DI FRAUDOLENZA
NELL’ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE
Illecito
Sanzione
Art. 86, co. 2, D.Lgs. n.
276/2003
Per aver instaurato un
rapporto di associazione in
partecipazione senza una
effettiva partecipazione e
senza adeguate erogazioni a
chi lavora
Art. 86, co. 2, D.Lgs. n. 276/2003
Art. 1344 cod. civ.
Il lavoratore ha diritto ai trattamenti contributivi,
economici e normativi stabiliti dalla legge e dai
contratti collettivi per il lavoro subordinato svolto
nella posizione corrispondente del medesimo settore
di attività, o in mancanza di contratto collettivo, in
una corrispondente posizione secondo il contratto di
settore analogo (il contratto è nullo perché in frode
alla legge).
Il datore di lavoro può dimostrare che la prestazione
lavorativa rientra in una tipologia di lavoro diversa (contratto
di lavoro subordinato speciale o con particolare disciplina,
contratto nominato di lavoro autonomo, altro contratto
espressamente previsto nell'ordinamento)
A3. Conversione del contratto a termine
Ferme restando le indennità, a titolo di maggiorazione retributiva, spettanti al lavoratore assunto a tempo determinato il cui rapporto
di lavoro prosegua entro un dato periodo di tempo (art. 5, co. 1, D.Lgs. n. 368/2001), la sanzione ripristinatoria opera nei casi
evidenziati in tabella.
CONVERSIONE DEL CONTRATTO A TERMINE
Illecito
Sanzione
Art. 1, co. 1-2, D.Lgs. n. 368/2001
Mancanza dell’atto scritto
Per aver stipulato un contratto a tempo
determinato senza atto scritto dal quale
risulti l'apposizione del termine alla durata
del contratto di lavoro subordinato.
Art. 1, co. 1-2, D.Lgs. n. 368/2001
Art. 1419 cod. civ.
Il rapporto di lavoro è considerato a
tempo indeterminato sin dalla data di
costituzione dello stesso (è nulla la
clausola di apposizione del termine)
Art. 1, co. 1-2, D.Lgs. n. 368/2001
Mancanza della causale specifica
Per aver stipulato un contratto a tempo
determinato senza specificare in concreto
nell’atto scritto di apposizione del termine
le ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo.
Art. 1, co. 1-2, D.Lgs. n. 368/2001
Art. 1419 cod. civ.
Il rapporto di lavoro è considerato a
tempo indeterminato sin dalla data di
costituzione dello stesso (è nulla la
clausola di apposizione del termine)
37
Art. 4, co. 1-2, D.Lgs. n. 368/2001
Proroga illegittima
Per aver prorogato il contratto a tempo
determinato oltre i limiti consentiti dalla
legge.
Art. 4, co. 1-2, D.Lgs. n. 368/2001
Artt. 1418-1424 cod. civ.
Il rapporto di lavoro è considerato a
tempo indeterminato a far data dal
termine ultimo della proroga (il contratto
è nullo per contrasto con norme
imperative).
Art. 5, co. 2, D.Lgs. n. 368/2001
Prosecuzione illegittima
Per aver continuato il rapporto di lavoro a
termine oltre il ventesimo giorno (in caso
di contratto di durata inferiore a sei mesi)
ovvero oltre il trentesimo giorno (negli
altri casi).
Art. 5, co. 2, D.Lgs. n. 368/2001
Artt. 1418-1424 cod. civ.
Il rapporto di lavoro è considerato a
tempo indeterminato a far data dal
ventesimo o dal trentesimo giorno (il
contratto è nullo per contrasto con norme
imperative).
Art. 5, co. 3, D.Lgs. n. 368/2001
Riassunzione illegittima
Per aver riassunto a termine il lavoratore
entro un periodo di dieci giorni dalla data
di scadenza di un contratto di durata fino a
sei mesi ovvero venti giorni dalla data di
scadenza di un contratto di durata
superiore ai sei mesi.
Art. 5, co. 3, D.Lgs. n. 368/2001
Artt. 1418-1424 cod. civ.
Il secondo contratto si considera a tempo
indeterminato fin dalla costituzione (il
contratto è nullo per contrasto con norme
imperative).
Art. 5, co. 4, D.Lgs. n. 368/2001
Assunzioni successive
Per aver effettuato due assunzioni
successive a termine senza alcuna
soluzione di continuità, il rapporto di
lavoro si considera a tempo indeterminato
dalla data di stipulazione del primo
contratto.
Art. 5, co. 4, D.Lgs. n. 368/2001
Art. 1344 cod. civ.
Il rapporto di lavoro si considera a tempo
indeterminato dalla data di stipulazione
del primo contratto (il contratto è nullo
perché in frode alla legge).
A4. Conversione del contratto a tempo parziale
Ferme restando le sanzioni di tipo risarcitorio, a titolo di maggiorazione retributiva, spettanti al lavoratore assunto a tempo parziale
nei casi di omessa indicazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa, ovvero di mancato rispetto delle disposizioni
in materia di clausole elastiche e flessibili o, infine, di violazione del diritto di precedenza (art. 8, co. 2, 2-bis e 3, D.Lgs. n.
61/2000), la sanzione ripristinatoria può operare nei casi evidenziati in tabella (fatto comunque salvo il ricorso alle procedure di
conciliazione e arbitrato previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 8, co. 2).
CONVERSIONE DEL CONTRATTO A TEMPO PARZIALE
Illecito
Sanzione
Art. 2, co. 1, D.Lgs. n. 61/2000
Mancanza della forma scritta
Per aver stipulato un contratto a tempo parziale senza
forma scritta.
Art. 8, co. 1, D.Lgs. n. 61/2000
Il lavoratore può chiedere al Giudice di vedersi dichiarata la
sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo
pieno a partire dalla data in cui la mancanza della scrittura sia
giudizialmente accertata.
Art. 2, co. 2, D.Lgs. n. 61/2000
Omessa indicazione della durata della prestazione
Per aver stipulato un contratto a tempo parziale senza
puntuale indicazione della durata della prestazione
lavorativa e della collocazione temporale dell'orario
con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e
all'anno
Art. 8, co. 2, D.Lgs. n. 61/2000
Artt. 1418-1424 cod. civ.
Il lavoratore può chiedere al Giudice di vedersi la sussistenza
fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire
dalla data del relativo accertamento giudiziale con riferimento
alla mancata indicazione della durata della prestazione (il
contratto è nullo per contrasto con norme imperative).
38
Art. 5, co. 1, D.Lgs. n. 61/2000
Omessa convalida della trasformazione
Per aver trasformato, senza atto scritto debitamente
convalidato dalla Direzione provinciale del lavoro
competente per territorio, un rapporto di lavoro a
tempo pieno in rapporto a tempo parziale
Art. 5, co. 1, D.Lgs. n. 61/2000
Artt. 1418-1424 cod. civ.
Il rapporto di lavoro si considera proseguito a tempo pieno
(la trasformazione del contratto è nulla per contrasto con
norme imperative).
A5. Costituzione del rapporto di lavoro in caso di somministrazione fraudolenta, illecita o irregolare
COSTITUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO IN CASO DI
SOMMINISTRAZIONE FRAUDOLENTA, ILLECITA O IRREGOLARE
Illecito
Sanzione
Art. 28 D. Lgs. 276/2003
Somministrazione fraudolenta
Per avere posto in essere la somministrazione con la
specifica finalità di eludere norme inderogabili di
legge o di contratto collettivo.
Art. 28 D.Lgs. n. 276/2003
Art. 1344 cod. civ.
Il contratto di somministrazione è
nullo perché in frode alla legge, il
lavoratore è considerato alle dirette
dipendenze dell’utilizzatore a tutti
gli effetti (il contratto è nullo
perché in frode alla legge).
Art. 21, co. 4 D. Lgs. 276/2003
Somministrazione senza forma scritta
Per aver stipulato un contratto di somministrazione
di lavoro senza forma scritta.
Art. 21, co. 4, D.Lgs. n. 276/2003
Artt. 1418-1424 cod. civ.
Il lavoratore è considerato alle
dirette dipendenze dell’utilizzatore
a tutti gli effetti (il contratto è nullo
per contrasto con norme
imperative).
Art. 20, co. 3 D. Lgs. 276/2003
Somministrazione a tempo indeterminato illecita
Per aver stipulato un contratto di somministrazione
di lavoro a tempo indeterminato al di fuori delle
ipotesi in cui la stessa è espressamente e
tassativamente ammessa.
Art. 27, co. 1, D.Lgs. n. 276/2003
Artt. 1418-1424 cod. civ.
Il lavoratore ha la facoltà di
chiedere la costituzione di un
rapporto di lavoro alle dirette
dipendenze dell’utilizzatore (il
contratto è nullo per contrasto con
norme imperative).
Art. 20, co. 4 D. Lgs. 276/2003
Somministrazione a tempo determinato illecita
Per aver stipulato un contratto di somministrazione
di lavoro a tempo determinato senza indicazione
delle ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo che lo legittimano.
Art. 27, co. 1, D.Lgs. n. 276/2003
Artt. 1418-1424 cod. civ.
Il lavoratore ha la facoltà di
chiedere la costituzione di un
rapporto di lavoro alle dirette
dipendenze dell’utilizzatore (il
contratto è nullo per contrasto con
norme imperative).
39
Art. 20, co. 5 D. Lgs. 276/2003
Somministrazione vietata
Per avere concluso un contratto di somministrazione
nelle ipotesi in cui è tassativamente vietato:
sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di
sciopero; presso unità produttive nelle quali si sia
proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti
collettivi o in cui sia operante una sospensione dei
rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al
trattamento di integrazione salariale, riguardo a
lavoratori adibiti alle stesse mansioni; senza previa
effettuazione della valutazione dei rischi.
Art. 27, co. 1, D.Lgs. n. 276/2003
Artt. 1418-1424 cod. civ.
Il lavoratore ha la facoltà di
chiedere la costituzione di un
rapporto di lavoro alle dirette
dipendenze dell’utilizzatore (il
contratto è nullo per contrasto con
norme imperative).
Art. 21, co. 1, lett. a)-e), D. Lgs. 276/2003
Somministrazione priva del contenuto obbligatorio
Per avere concluso un contratto di somministrazione
senza l’indicazione dei seguenti elementi obbligatori:
a) gli estremi dell'autorizzazione rilasciata al
somministratore; b) il numero dei lavoratori da
somministrare; c) i casi e le ragioni di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo; d)
l'indicazione della presenza di eventuali rischi per
l'integrità e la salute del lavoratore e delle misure di
prevenzione adottate; e) la data di inizio e la durata
prevista del contratto di somministrazione.
Art. 27, co. 1, D.Lgs. n. 276/2003
Artt. 1418-1424 cod. civ.
Il lavoratore ha la facoltà di
chiedere la costituzione di un
rapporto di lavoro alle dirette
dipendenze dell’utilizzatore (il
contratto è nullo per contrasto con
norme imperative).
A6. Costituzione del rapporto di lavoro in caso di appalto fraudolento o illecito
COSTITUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO IN CASO DI
APPALTO FRAUDOLENTO O ILLECITO
Illecito
Sanzione
Artt. 28-29 D. Lgs. 276/2003
Appalto fraudolento
Per avere posto in essere un appalto di servizi
con la specifica finalità di eludere norme
inderogabili di legge o di contratto collettivo.
Art. 28 D.Lgs. n. 276/2003
Art. 1344 cod. civ.
Il contratto di appalto è nullo
perché in frode alla legge, il
lavoratore è considerato alle dirette
dipendenze dell’utilizzatore
(pseudo-committente) a tutti gli
effetti (il contratto è nullo perché in
frode alla legge).
Art. 29, co. 1, D. Lgs. 276/2003
Appalto illecito
Per aver stipulato un contratto di appalto senza
una effettiva organizzazione dei mezzi necessari
da parte dell'appaltatore, neppure risultante, in
relazione alle esigenze dell'opera o del servizio
dedotti in contratto, dall'esercizio del potere
organizzativo e direttivo nei confronti dei
lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché senza
l’assunzione, da parte dello stesso appaltatore, del
rischio d'impresa.
Art. 29, co. 3-bis, D.Lgs. n. 276/2003
Artt. 1418-1424 cod. civ.
Il lavoratore ha la facoltà di
chiedere la costituzione di un
rapporto di lavoro alle dirette
dipendenze dell’utilizzatore o
pseudo-committente (il contratto è
nullo per contrasto con norme
imperative).
40
A7. Costituzione del rapporto di lavoro in caso di distacco fraudolento o illecito
COSTITUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO IN CASO DI
DISTACCO FRAUDOLENTO O ILLECITO
Illecito
Sanzione
Artt. 28-30 D. Lgs. 276/2003
Distacco fraudolento
Per avere posto in essere un distacco di
manodopera con la specifica finalità di
eludere norme inderogabili di legge o di
contratto collettivo.
Art. 28 D.Lgs. n. 276/2003
Art. 1344 cod. civ.
Il distacco è nullo perché in frode alla legge,
il lavoratore è considerato alle dirette
dipendenze dell’utilizzatore (pseudodistaccatario) a tutti gli effetti
(il distacco è nullo perché in frode alla
legge).
Art. 30, co. 1, D. Lgs. 276/2003
Distacco illecito
Per aver realizzato un distacco di
manodopera, ponendo uno o più
lavoratori a disposizione di un altro
soggetto, senza l’esigenza di soddisfare
un proprio interesse, senza una effettiva
temporaneità e senza finalizzare
l’operazione alla esecuzione di una
determinata attività lavorativa.
Art. 30, co. 4-bis, D.Lgs. n. 276/2003
Artt. 1418-1424 cod. civ.
Il lavoratore ha la facoltà di chiedere la
costituzione di un rapporto di lavoro alle
dirette dipendenze dell’utilizzatore o
pseudo-distaccatario (il distacco è nullo per
contrasto con norme imperative).
B - Sanzioni risarcitorie
□ Risarcimento del danno per violazione degli obblighi di sicurezza nell’organizzazione del lavoro
□ Risarcimento del danno da discriminazioni
□ Risarcimento del danno nel licenziamento illegittimo
B1. Demansionamento e dequalificazione
DEMANSIONAMENTO E DEQUALIFICAZIONE
Illecito
Art. 2103 cod. civ.
Per avere il datore di lavoro
assegnato al lavoratore a
mansioni inferiori a quelle
per le quali è stato assunto o
comunque non equivalenti
alle ultime effettivamente
svolte
Sanzione
Artt. 1218-1223-1226 cod. civ.
Il lavoratore ha diritto al risarcimento dei danni patiti
Per il danno “professionale” dovranno essere provare le circostanze
di fatto che integrano la effettiva diminuzione della capacità
professionale acquisita o la mancata acquisizione di una maggiore
capacità o, infine, la effettiva perdita di chance di carriera o di
maggiore guadagno.
Per il danno “biologico” dovranno essere dedotte le specifiche
lesioni dell'integrità psico-fisica subite dal lavoratore e accertabili
dai medici.
Per il danno “esistenziale” (danni all'identità professionale,
all'immagine, alla vita di relazione, alla libera esplicazione della
personalità nel luogo di lavoro) dovranno essere provate circostanze
di fatto che attestano oggettivamente l'alterazione delle abitudini di
vita del lavoratore o la lesione della sua immagine personale o
professionale.
41
B2. Mancata tutela delle condizioni di lavoro
MANCATA TUTELA DELLE CONDIZIONI DI LAVORO
Illecito
Sanzione
Art. 2087 cod. civ.
Per non avere il datore di lavoro
adottato nell’esercizio dell'impresa tutte
le misure che, secondo la particolarità
del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono
necessarie a tutelare l'integrità psicofisica e la dignità personale del prestatore
di lavoro
Artt. 1218-1223-1226 cod. civ.
Art. 2043-2056 cod. civ.
Il lavoratore ha diritto al risarcimento dei
danni patiti
B3. Discriminazioni
DISCRIMINAZIONI
Illecito
Art. 37, co. 3-4, D.Lgs. n. 198/2006
Discriminazioni collettive in base al sesso
Per avere il datore di lavoro posto in
essere atti, patti o comportamenti
discriminatori diretti o indiretti di
carattere collettivo
Sanzione
Artt. 1218-1223-1226 cod. civ.
Art. 2043-2056 cod. civ.
I lavoratori hanno diritto al risarcimento dei
danni patiti
Per il danno “professionale” dovranno essere
provare le circostanze di fatto che integrano la
mancata acquisizione di una maggiore capacità
professionale o la perdita di chance di carriera o di
maggiore guadagno.
Per il danno “biologico” dovranno essere dedotte le
specifiche lesioni dell'integrità psico-fisica subite e
accertabili dai medici.
Per il danno “esistenziale” (danni all'identità
professionale, all'immagine, alla vita di relazione,
alla libera esplicazione della personalità nel luogo di
lavoro) dovranno essere provate circostanze di fatto
che attestano oggettivamente l'alterazione delle
abitudini di vita del danneggiato o la lesione della
sua immagine personale o professionale.
Art. 38, co. 1, D.Lgs. n. 198/2006
Discriminazioni individuali in base al sesso
Per avere il datore di lavoro posto in
essere comportamenti in violazione del
divieto di discriminazione nei confronti
del lavoratore o della lavoratrice
Artt. 1218-1223-1226 cod. civ.
Art. 2043-2056 cod. civ.
Il lavoratore o la lavoratrice ha diritto al
risarcimento dei danni patiti.
Art. 4, co. 4, D.Lgs. n. 215/2003
Discriminazioni individuali in base alla razza
e all’origine etnica
Per avere il datore di lavoro posto in
essere comportamenti in violazione del
divieto di discriminazione nei confronti
del lavoratore o della lavoratrice
Artt. 1218-1223-1226 cod. civ.
Art. 2043-2056 cod. civ.
Il lavoratore o la lavoratrice ha diritto al
risarcimento dei danni patiti.
42
Art. 4, co. 5, D.Lgs. n. 216/2003
Discriminazioni individuali (per qualsiasi
causa)
Per avere il datore di lavoro posto in
essere comportamenti in violazione del
divieto di discriminazione nei confronti
del lavoratore o della lavoratrice
Artt. 1218-1223-1226 cod. civ.
Art. 2043-2056 cod. civ.
Il lavoratore o la lavoratrice ha diritto al
risarcimento dei danni patiti.
C - Sanzioni interdittive (cd. “clausole sociali”)
□ Sanzioni interdittive per violazioni di “clausole sociali”
C1. Sanzioni interdittive e “clausole sociali”
SANZIONI INTERDITTIVE E “CLAUSOLE SOCIALI”
Illecito
Sanzione
Art. 36, co. 2, L. n. 300/1970
“Clausola sociale”
Per non aver rispettato la clausola che impegna gli
imprenditori che esercitano professionalmente
un'attività economica organizzata nell’esecuzione
di contratti di appalto o di subappalto attinenti
l'esecuzione di opere pubbliche, ad applicare nei
confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non
inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di
lavoro della categoria e della zona
Art. 36, co. 2, L. n. 300/1970
Su comunicazione della Direzione Provinciale del Lavoro sono
adottate dall’amministrazione competente le opportune
determinazioni, fino alla revoca del beneficio, e nei casi più gravi o
nel caso di recidiva potranno decidere l'esclusione del responsabile,
per un tempo fino a cinque anni, da qualsiasi ulteriore concessione
di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero da qualsiasi appalto
Art. 36-bis, co. 8, D.L. n. 223/2006, come convertito in
L. n. 248/2006
Regolarità contributiva nell’edilizia
Per non essere, i datori di lavoro del settore edile,
in possesso dei requisiti per il rilascio della
certificazione di regolarità contributiva anche da
parte delle Casse edili ovvero per aver riportato
condanne passate in giudicato per la violazione
della normativa in materia di sicurezza e salute nei
luoghi di lavoro per la durata di cinque anni dalla
pronuncia della sentenza
Art. 36-bis, co. 8, D.L. n. 223/2006, come convertito in L. n. 248/2006
Non spettano le agevolazioni di cui all'art. 29 del decreto-legge 23
giugno 1995, n. 244, convertito, con modificazioni, dalla legge 8
agosto 1995, n. 341
Art. 41, co. 1, D.Lgs. n. 198/2006
Discriminazioni dirette o indirette
Per aver posto in essere atti o comportamenti
discriminatori nei confronti dei lavoratori
Art. 41, co. 1, D.Lgs. n. 198/2006
Su comunicazione della Direzione Provinciale del Lavoro sono
adottate dall’amministrazione competente le opportune
determinazioni, ivi compresa, se necessario, la revoca del beneficio
e, nei casi più gravi o nel caso di recidiva, l'esclusione del
responsabile per un periodo di tempo fino a due anni da qualsiasi
ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero
da qualsiasi appalto.
La disposizione si applica anche quando si tratti di agevolazioni finanziarie o
creditizie ovvero di appalti concessi da enti pubblici, ai quali la direzione
provinciale del lavoro comunica direttamente la discriminazione accertata per
l'adozione delle sanzioni previste. La stessa non si applica, invece, nel caso sia
raggiunta la prevista conciliazione.
43
Art. 17 L. n. 68/1999
Art. 77 bis, lett. b) DPR n. 445/2000
Regolarità del collocamento obbligatorio
Per non aver certificato, le imprese che
partecipano a bandi per appalti pubblici o
intrattengono rapporti convenzionali o di
concessione con pubbliche amministrazioni, con
apposita dichiarazione del legale rappresentante,
l'ottemperanza agli obblighi posti dalle norme che
disciplinano il diritto al lavoro dei disabili
Art. 17 L. n. 68/1999
Le imprese inadempienti sono escluse dai bandi o dai rapporti in
convenzione o concessione.
Art. 3 D.L. n. 71/1993, come convertito dalla L. n.
151/1993, e modificato dall’art. 10 della legge n.
30/2003
Regolarità del collocamento obbligatorio
Per non avere, le imprese artigiane, commerciali e
del turismo rientranti nella sfera di applicazione
degli accordi e contratti collettivi nazionali,
regionali e territoriali o aziendali, laddove
sottoscritti, rispettato integralmente gli accordi e
contratti citati, stipulati dalle organizzazioni
sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori
comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale
Art. 3 D.L. n. 71/1993, come convertito dalla L. n. 151/1993, e
modificato dall’art. 10 della legge n. 30/2003
Le imprese inadempienti sono escluse dal riconoscimento di
benefici normativi e contributivi.
D - Sanzioni previdenziali
□ Sanzioni “civili” previdenziali ordinarie, speciali e straordinarie
D1. Sanzioni “civili” previdenziali ordinarie
La disciplina ordinaria e speciale prevista dall’art. 116, commi 8-17, della legge n. 388/2000) si applica anche alle inadempienze
commesse prima del 2001 (ad esclusione di quelle relative alle sanzioni già versate entro il 30 settembre 2000). Nelle
amministrazioni centrali e periferiche dello Stato e negli enti locali il dirigente responsabile è sottoposto a sanzioni disciplinari ed è
personalmente tenuto al pagamento delle sanzioni civili e degli interessi. Con riguardo al TUR (tasso ufficiale di riferimento) si
tengano presenti le seguenti variazioni determinate dai provvedimenti di variazione succedutisi nel tempo: dal 14.03.2007 pari a
3,75 (tasso sanzioni civili 9,25); dal 13.12.2006 pari a 3,50 (tasso sanzioni civili 9); dall’11.10.2006 pari a 3,25 (tasso
sanzioni civili 8,75); dal 9.8.2006 pari a 3,00 (tasso sanzioni civili 8,50); dal 15.6.2006 pari a 2,75 (tasso sanzioni civili 8,25);
dall’8.3.2006 pari a 2,50 (tasso sanzioni civili 8,00); dal 6.12.2005 pari a 2,25 (tasso sanzioni civili 7,75); dal 9.6.2003 pari
a 2,00 (tasso sanzioni civili 7,50); dal 12.3.2003 pari a 2,50 (tasso sanzioni civili 8,00); dall’11.12.2002 pari a 2,75 (tasso
sanzioni civili 8,25); dal 14.11.2001 pari a 3,25 (tasso sanzioni civili 8,75); dal 19.9.2001 pari a 3,75 (tasso sanzioni civili
9,25).
SANZIONI “CIVILI” PREVIDENZIALI ORDINARIE
Illecito
Art. 116, co. 8, lett. a), L. n. 388/2000
Omissione contributiva
Nel caso di mancato o ritardato
pagamento di contributi o premi, il cui
ammontare è rilevabile dalle denunce
e/o registrazioni obbligatorie
Sanzione
Art. 116, co. 8, lett. a), L. n. 388/2000
Sanzione civile, in ragione d'anno, pari al
tasso ufficiale di riferimento maggiorato di
5,5 punti; la sanzione civile non può essere
superiore al 40 per cento dell'importo dei
contributi o premi non corrisposti entro la
scadenza di legge
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Art. 116, co. 8, lett. b), L. n. 388/2000
Evasione contributiva
Nel caso di evasione connessa a
registrazioni o denunce obbligatorie
omesse o non conformi al vero, cioè nel
caso in cui il datore di lavoro, con
l'intenzione specifica di non versare i
contributi o premi, occulta rapporti di
lavoro in essere ovvero le retribuzioni
erogate
Art. 116, co. 8, lett. b), L. n. 388/2000
Sanzione civile, in ragione d'anno, pari al 30
per cento; la sanzione civile non può essere
superiore al 60 per cento dell'importo dei
contributi o premi non corrisposti entro la
scadenza di legge.
Art. 116, co. 10, L. n. 388/2000
Oggettive incertezze
Nel caso di mancato o ritardato
pagamento di contributi o premi
derivanti da oggettive incertezze
connesse a contrastanti orientamenti
giurisprudenziali o amministrativi sulla
ricorrenza dell'obbligo contributivo,
successivamente riconosciuto in sede
giudiziale o amministrativa, purché il
versamento dei contributi o premi sia
effettuato entro il termine fissato dagli
enti impositori
Art. 116, co. 10, L. n. 388/2000
Sanzione civile, in ragione d'anno, pari al
tasso ufficiale di riferimento maggiorato di
5,5 punti; la sanzione civile non può essere
superiore al 40 per cento dell'importo dei
contributi o premi non corrisposti entro la
scadenza di legge
Qualora la denuncia della situazione debitoria sia
effettuata spontaneamente prima di contestazioni o
richieste da parte degli enti impositori e comunque
entro dodici mesi dal termine stabilito per il
pagamento dei contributi o premi e purché il
versamento dei contributi o premi sia effettuato entro
trenta giorni dalla denuncia stessa, i soggetti sono
tenuti al pagamento di una sanzione civile, in
ragione d'anno, pari al tasso ufficiale di riferimento
maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non può
essere superiore al 40 per cento dell'importo dei
contributi o premi non corrisposti entro la scadenza
di legge
D2. Sanzioni “civili” previdenziali speciali
SANZIONI “CIVILI” PREVIDENZIALI SPECIALI
Illecito
Sanzione
Art. 116, co. 15, lett. a), L. n. 388/2000
Incertezze gravi e fatto doloso del terzo
Nei casi di mancato o ritardato pagamento di
contributi o premi derivanti da oggettive
incertezze connesse a contrastanti ovvero
sopravvenuti diversi orientamenti
giurisprudenziali o determinazioni
amministrative sulla ricorrenza dell'obbligo
contributivo successivamente riconosciuto in
sede giurisdizionale o amministrativa in
relazione alla particolare rilevanza delle
incertezze interpretative che hanno dato
luogo alla inadempienza e nei casi di
mancato o ritardato pagamento di contributi
o premi, derivanti da fatto doloso del terzo
espressamente denunciato
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Art. 116, co. 15, L. n. 388/2000
Sanzione civile ridotta fino alla misura
degli interessi legali, a condizione del
pagamento integrale dei premi o dei
contributi omessi o evasi (la specialità
della sanzione esclude gli interessi di
mora)
Art. 116, co. 15, lett. b), L. n. 388/2000
Crisi aziendali
In tutti i casi di crisi, riconversione o
ristrutturazione aziendale che presentino
particolare rilevanza sociale ed economica in
relazione alla situazione occupazionale locale
ed alla situazione produttiva del settore,
comprovati dalla Direzione provinciale del
lavoro - Servizio ispezione del lavoro
territorialmente competente
Art. 116, co. 15, L. n. 388/2000
Sanzione civile ridotta fino alla misura
degli interessi legali, a condizione del
pagamento integrale dei premi o dei
contributi omessi o evasi (la specialità
della sanzione esclude gli interessi di
mora)
Art. 116, co. 15-bis, L. n. 388/2000
Aziende agricole con eventi eccezionali
Per le aziende agricole colpite da eventi
eccezionali, ivi comprese le calamità naturali
e le emergenze di carattere sanitario
Art. 116, co. 15-bis, L. n. 388/2000
Sanzione civile ridotta in misura non
inferiore al tasso di interesse legale (la
specialità della sanzione esclude gli
interessi di mora)
Art. 116, co. 16, L. n. 388/2000
Art. 1, comma 220, L. n. 662/1996
Procedure concorsuali
Nelle ipotesi di procedure concorsuali, in
caso di pagamento integrale dei contributi e
spese
Art. 116, co. 16, L. n. 388/2000
Sanzione civile ridotta fino alla misura
degli interessi legali, a condizione del
pagamento integrale dei premi o dei
contributi omessi o evasi (la specialità
della sanzione esclude gli interessi di
mora)
Art. 116, co. 16, L. n. 388/2000
Art. 1, comma 221, L. n. 662/1996
Enti pubblici non economici ed enti senza scopo di
lucro
Per gli enti non economici e gli enti, le
fondazioni e le associazioni non aventi fini di
lucro, nei casi di omesso o ritardato
pagamento dei contributi o premi, qualora il
ritardo o l'omissione siano connessi alla
documentata ritardata erogazione di
contributi e finanziamenti pubblici previsti
per legge o convenzione
Art. 116, co. 16, L. n. 388/2000
Sanzione civile ridotta fino alla misura
degli interessi legali, a condizione del
pagamento integrale dei premi o dei
contributi omessi o evasi (la specialità
della sanzione esclude gli interessi di
mora)
Art. 116, co. 17, L. n. 388/2000
Art. 2, co. 11, D.L. n. 338/1989 come convertito
dalla L. n. 389/1989
Pagamento rateale (omissione)
Nei casi di omesso o ritardato pagamento dei
contributi o premi
Art. 116, co. 17, L. n. 388/2000
Il pagamento rateale della sanzione
civile può essere consentito fino a 60
mesi
Art. 116, co. 17-bis, L. n. 388/2000
Art. 2, co. 11, D.L. n. 338/1989 come convertito
dalla L. n. 389/1989
Pagamento rateale (casi eccezionali)
Nei casi di particolare eccezionalità
Art. 116, co. 17-bis, L. n. 388/2000
Il pagamento rateale della sanzione
civile può essere consentito fino a 40
rate trimestrali costanti
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D3. Sanzioni “civili” previdenziali straordinarie
SANZIONI “CIVILI” PREVIDENZIALI STRAORDINARIE
Illecito
Sanzione
Art. 3, co. 3, ultima parte, D.L. n.
12/2002, come convertito dalla L. n.
73/2002, come modificato dall’art. 36-bis,
co. 7, lett. a), D.L. n. 223/2006, come
convertito dalla L. n. 248/2006
Maxi-sanzione contro il sommerso
Per aver impiegato lavoratori non
risultanti dalle scritture o da altra
documentazione obbligatoria
Art. 3, co. 3, ultima parte, D.L. n. 12/2002, come
convertito dalla L. n. 73/2002, come modificato
dall’art. 36-bis, co. 7, lett. a), D.L. n. 223/2006,
come convertito dalla L. n. 248/2006
L’importo delle sanzioni civili connesse
all’omesso versamento dei contributi e premi
riferiti a ciascun lavoratore non può essere
inferiore a euro 3.000, indipendentemente
dalla durata della prestazione lavorativa
accertata
Art. 53, co. 3, D.Lgs. n. 276/2003
Apprendistato senza formazione
In caso di inadempimento nella
erogazione della formazione
all’apprendista di cui sia
esclusivamente responsabile il datore
di lavoro e che sia tale da impedire la
realizzazione delle finalità del
contratto di apprendistato
Art. 53, co. 3, D.Lgs. n. 276/2003
Il datore di lavoro è tenuto a versare la
differenza tra la contribuzione versata e quella
dovuta con riferimento al livello di
inquadramento contrattuale superiore che
sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al
termine del periodo di apprendistato,
maggiorata del 100 per cento.
La maggiorazione così stabilita esclude l'applicazione
di qualsiasi altra sanzione prevista in caso di omessa
contribuzione
Art. 55, co. 5, D.Lgs. n. 276/2003
Inserimento con inadempienze nel progetto
individuale
In caso di gravi inadempienze nella
realizzazione del progetto individuale
di inserimento di cui sia
esclusivamente responsabile il datore
di lavoro e che siano tali da impedire
la realizzazione della finalità del
contratto di inserimento
Art. 55, co. 5, D.Lgs. n. 276/2003
Il datore di lavoro è tenuto a versare la
differenza tra la contribuzione versata e quella
dovuta con riferimento al livello di
inquadramento contrattuale superiore che
sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al
termine del periodo di inserimento,
maggiorata del 100 per cento.
Art. 18, co. 7, L. n. 300/1970
Licenziamento di sindacalisti
In caso di licenziamento di lavoratori
dirigenti delle rappresentanze sindacali
aziendali, finché il datore di lavoro
non ottemperi alla sentenza di
reintegrazione
Art. 18, co. 7, L. n. 300/1970
Il datore di lavoro è tenuto anche, per ogni
giorno di ritardo, al pagamento a favore del
Fondo adeguamento pensioni di una somma
pari all'importo della retribuzione dovuta al
lavoratore.
La maggiorazione così stabilita esclude l'applicazione
di qualsiasi altra sanzione prevista in caso di omessa
contribuzione
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Bibliografia
L. Caiazza, R. Caiazza, R. Troili, “Diritto sanzionatorio in materia di lavoro”, Buffetti, Roma, 2005
A. De Felice, “Le sanzioni nel diritto del lavoro”, Esi, Napoli, 2003
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F. S. Fortuna (a cura di), “I reati in materia di lavoro”, in A. Di Amato (diretto da), “Trattato di diritto penale
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M. Grandi, G. Pera (a cura di), “Commentario breve alle leggi sul lavoro”, Cedam, Padova, 2005
S. Margiotta, “Ispezioni in materia di lavoro. Decreto legislativo n. 124 del 23 aprile 2004”, IV edizione, Ipsoa,
Milano, 2005
S. Margiotta, “Il sistema sanzionatorio delle leggi sul lavoro”, in G. Santoro Passarelli (a cura di), “Diritto e
processo del lavoro e della previdenza sociale”, Ipsoa, Milano, 2006
A. Morrone, “Diritto penale del lavoro. Nuove figure e questioni controverse”, Giuffrè, Milano, 2005
A. Montemarano, “Diritto penale del lavoro”, Sole 24 Ore, Milano, 2000
T. Padovani, “Diritto penale del lavoro. Profili generali”, Giuffrè, Milano, 1983
T. Padovani, “Diritto penale del lavoro”, in G. Pera, “Diritto del lavoro”, Cedam, Padova, 2000
P. Rausei, “Vigilanza penale e procedure speciali”, “Ispezioni in azienda. Lezione 3”, in I Corsi, 2006, 11
P. Rausei, “Codice delle Ispezioni”, vol. 2 “Sanzioni”, Ipsoa, Milano, 2006
P. Rausei, “Illeciti e sanzioni”, Ipsoa, Milano, 2005
C. Smuraglia, “Diritto penale del lavoro”, Cedam, Padova, 1980
PIERLUIGI RAUSEI è coordinatore amministrativo del Ministero del lavoro e della
previdenza sociale. Avvocato, già Ispettore del lavoro, è componente del “Centro Studi
Attività Ispettiva” della Direzione generale per l’attività ispettiva, Tutor regionale per la
formazione del personale ispettivo delle Marche e responsabile Affari Legali della
Direzione provinciale del lavoro di Ascoli Piceno. Giuslavorista apprezzato, è
componente del Comitato Scientifico della Fondazione Studi dell’Ordine Nazionale dei
Consulenti del Lavoro, figura, inoltre, fra i collaboratori del Centro Studi Internazionali
e Comparati “Marco Biagi” dell’Università di Modena e Reggio Emilia, presso la quale
tiene lezioni di “Diritto sanzionatorio del lavoro” quale membro della “teaching
faculty”. Componente del Comitato scientifico della rivista “Diritto & Pratica del
Lavoro” e membro del Comitato di redazione delle riviste “Diritto delle Relazioni
Industriali” e “Bollettino Adapt”, collabora anche con “Guida alle Paghe” e “Diritto e lavoro nelle Marche”.
Docente in Corsi e Master universitari e di formazione-aggiornamento professionale, è Autore di numerosi saggi
in diritto del lavoro. Ha pubblicato, fra gli altri, i seguenti volumi: “Il mobbing nel rapporto di lavoro” (2002);
“Lavoro e previdenza: sistema sanzionatorio”, “Il nuovo volto del lavoro: l’attuazione della Riforma Biagi.
Commento al D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276” e “La riforma del lavoro. Riflessioni critiche e indicazioni
operative sul D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276” (2003); “Somministrazione di lavoro” e “La nuova ispezione in
azienda” (2004); “Illeciti e sanzioni”, “I nuovi lavori” e “Il vademecum della riforma lavoro” (2005); “Percorsi di
diritto del lavoro. Per la tutela del lavoro senza aggettivi” e “Codice delle Ispezioni (vol. 1. Procedure; vol. 2.
Sanzioni)” (2006); “Somministrazione di lavoro”, II ed., “Codice delle Ispezioni (vol. 3. Modulistica)” (2007).
Figura fra gli Autori del primo commentario della riforma del mercato del lavoro (“Come cambia il mercato del
lavoro”, Ipsoa 2004) ed è uno degli Autori dei volumi della Collana ADAPT in tema di riordino dei servizi
ispettivi, certificazione dei contratti di lavoro, esternalizzazioni (Giuffrè 2004-2006). Per contattare l’Autore il sito
www.rausei.it ad accesso gratuito.
Si segnala, con riferimento alla Circolare del 18 marzo 2004 del Ministero del Lavoro, che le considerazioni contenute nel presente
intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione alla
quale appartiene.
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