Controllo dell`email da parte del datore di lavoro

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Controllo dell`email da parte del datore di lavoro
Si può usare la posta elettronica dell'azienda per fini privati?
Commette reato il datore di lavoro che controlla la posta elettronica ricevuta o
inviata dai lavoratori?
Per quanto concerne il problema relativo all'uso della posta elettronica, è bene ricordare che il dipendente
potrebbe utilizzare questo servizio, oltre che per fini del tutto leciti, rientranti nel corretto e diligente esercizio
delle proprie mansioni, anche per fini vietati. Il dipendente, infatti, potrebbe utilizzare la posta elettronica sia
per fini personali ponendo in essere una violazione dell'obbligo di diligenza di cui all'art. 2104 c.c., sia per fini
illeciti, realizzando delle fattispecie di reato vietate dalla legge (ad esempio scambiando immagini o
documenti a contenuto illegale o divulgando all'esterno dell'azienda documenti riservati).
Tutti i messaggi di posta elettronica inviati o ricevuti dai dipendenti vengono registrati nella memoria di
massa del server e possono essere letti o controllati in qualsiasi momento. In questo modo, potrebbe
realizzarsi un controllo dei lavoratori a distanza vietato dall'art. 4 Statuto del Lavoratori.
In relazione al controllo della posta elettronica ricevuta o inviata dai lavoratori, si pone un problema, quello,
cioè di stabilire se i messaggi di posta elettronica rientrino nella nozione di corrispondenza, la cui libertà e
segretezza è tutelata dall'art. 15 della Costituzione.
L'art. 15 della Costituzione così dispone: "La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma
di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità
giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge."
Con tale disposizione normativa, il Costituente ha inteso annoverare tra le libertà fondamentali e i diritti
inviolabili della persona la libertà e la segretezza della corrispondenza, tutelandola con una doppia riserva, di
legge e di giurisdizione.
Risulta, quindi, di fondamentale importanza chiarire cosa si intenda per corrispondenza e quali siano le forme
di comunicazione che rientrano in tale nozione. Un autore ha osservato che "Una volta, il messaggio o la
notizia avevano forma o scritta o orale; il computer ha introdotto un nuovo supporto, che è anche un nuovo
modo di essere del messaggio. Questo non è più soltanto contenuto in uno scritto o in un discorso, ma può
essere contenuto in un pacchetto di impulsi elettronici (Corrado De Martini, Telematica e diritti della persona,
in Il Diritto dell'informazione e dell'Informatica, 1996). Ai fini del presente parere sarà sufficiente ricordare
che la legge 23 dicembre 1993, n. 547, modificando l'art. 616 c.p. che prevede il reato di violazione,
sottrazione e soppressione di corrispondenza, ha equiparato la corrispondenza informatica o telematica a
quella epistolare, telegrafica, telefonica. L'art. 616, ultimo comma, ora così dispone: "Agli effetti delle
disposizioni di questa sezione, per corrispondenza s'intende quella epistolare, telegrafica, telefonica,
informatica
o
telematica ovvero
effettuata
con
ogni
altra
forma
di
comunicazione
a
distanza.".
Negli anni novanta, la Corte Costituzionale è intervenuta sul punto con due sentenze (Corte Cost. 11 marzo
1993, n. 81, in Giur. cost., 1993, fasc. 2, 731, e Corte Cost. 17 luglio 1998, n. 281, in Giur. it., 1999, fasc.
11, 2006), nelle quali ha affrontato la questione di legittimità costituzionale riguardante il contrasto tra l'art.
15 della Costituzione e rispettivamente gli artt. 266 e 267 del c.p.p. nella parte in cui tali articoli limitano alle
sole operazioni di intercettazione del contenuto delle conversazioni telefoniche, le garanzie stabilite dagli artt.
266 - 271 c.p.p. In tali sentenze la Corte Costituzionale ha ritenuto che rientra nell'ambito di applicazione
della garanzia apprestata dall'art. 15 Cost. non soltanto la segretezza del contenuto della comunicazione, ma
anche quella relativa ai dati esterni della comunicazione, cioè quella relativa all'identità dei soggetti e ai
riferimenti di tempo e di luogo. L'autorità Garante per la privacy ha affermato che la posta elettronica deve
essere considerata corrispondenza privata. La stessa autorità ha, peraltro, escluso l'applicabilità della
normativa penale a tutela della corrispondenza qualora il datore di lavoro abbia avvertito i propri dipendenti
che qualsiasi messaggio di posta elettronica (in quanto attinente all'attività lavorativa) può essere reso
pubblico in qualsiasi momento. Il Garante ha, quindi, escluso la protezione delle mail come corrispondenza
privata nel momento in cui il datore di lavoro ha redatto un regolamento di utilizzo della posta elettronica nel
quale viene chiaramente precisato che la posta elettronica è strumento aziendale e non è da considerare
corrispondenza privata.
risposta a cura di Salvatore Trifirò, Giacinto Favalli e Francesco Rotondi
Fonte: Diritto e Pratica del lavoro-Settimanale di amministrazione e gestione del personale, Ipsoa Editore