bene comune - Master in Diritto Privato Europeo

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bene comune - Master in Diritto Privato Europeo
ENRICO CATERINI
IL «BENE COMUNE» E IL VALORE DI GODIMENTO.
UNA RILETTURA DEGLI STUDI DI PIETRO RESCIGNO, PIETRO
1
GIERI E FRANCESCO LUCARELLI
PER
PERLIN-
SOMMARIO: 1. Le tassonomie del «bene giuridico» – 2. Proprietà rurale-impresa – 3. Proprietà urbana meritevole – 4. «Bene comune».
1. Questo lavoro dà conto dell’influsso che i «classici» 2 esaminati hanno
avuto nella prassi e nella teoria della civilistica italiana. In essi si rinvengono
riflessioni «miliari», distillati di coerenza sistematica e assiologica 3.
Occorre premettere che gli Maestri imprimono al «bene comune», prima
dell’idea maieutica espressa da un’interpretazione orientata del codice civile,
una delle forme dello spirito dell’ordinamento giuridico costituzionale, ove il
«bene» e l’«utile» delineano le dimensioni ideali delle «cose» (materiali e immateriali), attratte dalla forza promozionale della persona 4.
1 Relazione letta a Napoli il 20 maggio 2011 al Convegno di studi «Dalle “proprietà” al bene comune. Analisi e prospettive intorno alla fondazione della nozione giuridica di bene comune attraverso
una rilettura di studi classici sulla proprietà» svoltosi nell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, integrata dell’apparato bibliografico.
2 P. RESCIGNO, Per uno studio sulla proprietà, in Riv. dir. civ., 1972, p. 52 e ss.; P. PERLINGIERI, Introduzione alla problematica della «proprietà», Napoli, 1971, ristampa, Napoli, 2011; F. LUCARELLI, La proprietà
“pianificata”, Napoli, 1974, ristampa della Scuola di Specializzazione in diritto civile dell’Università di
Camerino, Napoli, 2010.
3 Per una ricostruzione concettuale del bene comune nella letteratura civilistica, v., G. CARAPEZZA
FIGLIA, Premesse ricostruttive del concetto di beni comuni nella civilistica italiana degli anni Settanta, in Rass. dir. civ.,
4, 2011, p. 1061 e ss.
4 L’argomento è desumibile dall’idea di bene comune o morale sviluppata dalla Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale, n. 56, in La Civiltà
Cattolica, quaderno 3814, 16 maggio 2009, p. 374 ove si legge: «Il bene che così s’impone alla persona è
infatti il bene morale, cioé un comportamento che, superando le categorie dell’utile, va nel senso della
realizzazione autentica di quell’essere, insieme uno e diversificato, che è la persona umana. L’attività
umana è irriducibile a una semplice questione di adattamento all’”ecosistema”: essere umano significa
esistere e collocarsi all’interno di un quadro più ampio che definisce un senso, valori e responsabilità»;
il riferimento ha tratto spunto da V. MANCUSO, Obbedienza e libertà. Critica e rinnovamento della coscienza
cristiana, Roma, 2012, p. 86. Impostastione analoga con riguardo al contratto, v., J. GESTIN, La formation du contrat, in Traité de droit civil, 3ª ed., diretto da J. GESTIN, Parigi, 1993, p. 28 e s., «La société ne
doit plus être constituée que d’individus, entre lesquels les relations sociales ne peuvent être organisées
que sur un fondement volontarie, c’est à dire contractuel», e poco più avanti con riguardo
all’autonomia contrattuale nell’economia liberale (p. 29), «Le développement du commerce et de
l’industrie la division du travail et la spécialisation on multiplie les échanges. La doctrine économique
du XVIIIe siècle considère “le contrat individuel d’échange” comme “le phénomène élémentaire de
tout l’ordre social”. Le principe de l’autonomie de la volonté s’impose alors par son utilité social» ; si
afferma l’utile e il giusto come princìpi fondamentali della teoria generale del contratto, lì dove l’utile è
sia individuale che pubblico [«La philosophie utilitariste anglaise du XVIIIe siècle annexe le droit à
l’économie politique pour en faire l’ensemble des règles de conduite permettant d’obtenir le plus grand
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Parte Prima – Temi
La tassonomia dei beni non è avulsa da un siffatto contesto «culturale» e
va concepita in relazione anche alle distinzioni infracivilistiche.
L’inquadramento proposto negli studi de quibus profila molteplici concetti
come il «bene giuridico», il «bene mobile», «immobile», di «universalità di
mobili», di «pertinenze», di «beni assemblati»; «dello stesso tipo», di «beni
comuni e civici» 5.
L’evoluzione del pensiero giuridico assegna al bene quell’utilità [patrimoniale e non] a cui l’ordinamento consente l’accesso a mezzo dell’interessevalore selezionato e protetto dalla situazione giuridica. Perciò, nell’elaborazione giuridica il «bene» è altro rispetto alla «cosa» intesa nella sua accezione
fenomenica. Esso non è ciò che rappresenta per come è, poiché il suo profilo è segnato dalle finalità che assolve per l’ordinamento giuridico 6.
Un tale esordio offre elementi critici alle consuete categorie elaborate dalle dottrine più note 7. Il bene è di consumo, immobile, mobile, materiale,
immateriale, semplice, specificato, universalizzato, pertinenziato, comune,
civico o esclusivo, per ciò che l’ordinamento valuta come meritevole di tutela nella situazione giuridica affidata al titolare 8. Tali distinzioni devono seguibonheur pour les plus grand nombre avec le moins de peine possible…on peut retenir l’idée que le contrat est sanctionné par le droit objectif en raison de son utilité social. Cette utilité même doit cependant
faire une certaine place au rôle des volontés individuelles»], mentre il giusto è il «giusto commutativo» o
«correttivo», ossia quello teso a riequilibrare i patrimoni delle parti del contratto; con esso non può distruggersi l’equilibrio che esisteva prima tra i patrimoni, ciò implica che ogni parte riceve l’equivalente di
ciò che ha dato (p. 228). Per una critica al concetto naturale di bene giuridico sia consentito il rinvio a E.
CATERINI, Le funzioni delle proprietà e dei beni, in Domenico Rubino, I Maestri italiani del diritto civile, I, Interesse e
rapporti giuridici, a cura di P. PERLINGIERI e S. POLIDORI, Napoli, 2009, p. 123 e ss.
5 V. E. CATERINI, La vendita dei beni di consumo, in Le nuove leggi civili commentate, 2, 2006, sub art. 128,
p. 327 e ss.
6 E. CATERINI, Il contributo del libro terzo del codice civile alla formazione del «diritto patrimoniale comune». La
palingenesi della proprietà, in Rass. dir. civ., 2011, 1, p. 1 e ss., ma il profilo è ripreso dalle pronunce del
giudice di legittimità infra discusse.
7 Per una rassegna critica delle varie posizioni teoriche espresse sul tema, v., M. Costantino, I beni
in generale, in Trattato di diritto privato, 7, diretto da Pietro RESCIGNO, Proprietà, Torino, 1982, pp. 5-20,
ove si legge: «Più smplicemente, si potrebbe dire che nel mondo del diritto non ci sono le cose, ma gli
interessi, le esigenze e i bisogni di privati, di comunità o di enti, i rapporti tra di essi e le forme giuridiche della loro tutela. Naturalmente ci sono anche i criteri di riferimento oggettivo delle situazioni meritevoli e delle forme di tutela. Ma questo non vuol dire che il diritto disciplina i beni: l’ordinamento non
si interessa delle cose e neppure di ciò che un individuo fa da solo, ma disciplina i rapporti tra gli uomini. Qualunque risposta sulla natura dei beni giuridici è sempre una risposta sul modo di porsi, nel
diritto, dei rapporti tra soggetti. In questo senso conviene soffermarsi a esaminare la disciplina, rinunziando a costruire prima e al di fuori di essa una nozione di bene conformata su speculative concezioni
del potere individuale o della realtà economica». Come si legge nel testo l’opinione dell’illustre A. citato è pienamente condivisa. Per una differente prospettiva teorica, v. A. GAMBARO, I beni Immateriali
nelle riflessioni della commissione Rodotà, in I beni pubblici. Dal governo dmocratico dell’economia alla riforma del codice civile, (Roma 22 aprile 2008), a cura di U MATTEI E. REVIGLIO S. RODOTA, Roma, 2010, p. 65 e ss.
8 Per una ricostruzione del concetto di bene nell’ordinamento sovranazionale, v. E. CATERINI, La
proprietà nel mercato europeo secondo le giurisprudenze superiori. Paralipòmeni al volume sulla proprietà, in Il controllo
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re un criterio «polarizzato» sulle funzioni del mercato e della persona, con
l’adeguamento delle discipline ai principi di libertà o d’eguaglianza, senza annullare la funzione sociale della proprietà privata 9.
Pertanto, un bene è immobile se l’interesse ammesso a soddisfare è condizionato dalla fissità al suolo, carattere – quest’ultimo – la cui assenza priverebbe di sostanza l’interesse protetto dall’ordinamento: perciò l’incorporazione al suolo [naturale o artificiale] non è un dato ontologico o prenormativo. Infatti, anche la transitorietà dell’incorporazione non è di ostacolo alla qualificazione immobiliare del bene 10. In proposito è utile osservare il
fenomeno attraverso il diaframma societario. Già Portalis sostenne che la distinzione tra bene immobile e mobile non ha una portata oggettiva ma dipendente dai rapporti in cui il bene viene a collocarsi; per cui i beni immobili
di una società saranno sempre dei beni mobili rappresentativi di un valore 11.
Di tal modo si evidenzia la distinzione tra il «bene» e la «situazione giuridica», il primo riceve dalla seconda tale qualità. Ciò induce a non immedesimare il rapporto giuridico con il suo oggetto. Tuttavia, rapporto ed oggetto
si fondono quando per alcuni beni giuridici l’ordinamento prevede un’unica
modalità di realizzazione del valore costituzionale o dell’interesse di riferimento, e ciò in deroga al disposto dell’art. 813 c.c. 12. È quanto s’intravede
di legittimità costituzionale e comunitaria come tecnica di difesa. Corte costituzionale italiana e spagnola a confronto, a
cura L. MEZZASOMA V. RIZZO L. RUGGERI, Napoli, 2010, p. 375 e ss. È bene sottolineare –ma il punto sarà ripreso infra- che la tassanomia dei beni discende dalla conformazione delle situazioni e dei
rapporti che li reacno ad oggetti e non- se non raramente- dalla individuazione delle titolarità seppur
mutevoli.
9 Sulla bipartizione dell’ispirazione assiologica in materia proprietaria v., E. CATERINI, Proprietà, in
Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da P. PERLINGIERI, Napoli, 2005, p. 85
e ss.
10 V. E. CATERINI, La vendita dei beni di consumo, cit., p. 329.
11 V. E. CATERINI, La vendita dei beni, ibidem, p. 328, nota 7.
12 La lettera della norma non consente di superare la distinzione tra la situazione giuridica ed il bene oggetto della medesima. L’estensione delle disposizioni riguardanti i beni immobili anche ai diritti
reali con oggetto immobili, e delle disposizioni riguardanti i beni mobili « a tutti gli altri diritti », specifica che le «regole» sul bene immobile transitano nella disciplina dei diritti reali, là dove le «regole» sui
beni mobili sono appendici della disciplina inerente ai diritti di credito. Dunque, il regime dei beni
immobili discende dalla situazione giuridica reale di cui è oggetto, esso non è un prius ma un posterius
dell’interesse protetto, giacché la medesima distinzione tra beni immobili e mobili è l’esito di una valutazione giuridica derivante dalla situazione giuridica della quale sono oggetto. Infatti, anche la costruzione o il suolo se oggetto di un patrimonio societario o se «cartolarizzati» divengono oggetto di situazioni di credito, quindi, beni mobili. Nè può accogliersi la tesi pur accreditata dai codificatori del ’42
che la soggettivizzazione proprietaria (consistente nel mutamento definitorio dalla proprietà al proprietario) possa risolvere nell’unicità della titolarità la complessità dei rapporti sottostanti (v. sul punto,
E. CATERINI, Fausto Gullo, la decretazione sulle terre incolte e il rapporto enfiteutico, in Fausto Gullo fra Costituente
e Governo, a cura di V. ATRIPALDI e C. AMIRANTE, Napoli, 1997, p. 208). La tesi capovolge il problema
e non considera che la qualità del soggetto titolare in situazioni tipiche determina l’assetto degli interessi divisato nel concreto rapporto proprietario.
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nel «bene comune», bene con titolarità soggettivamente complessa, diretta
emanazione di princìpi fondamentali 13. Pertanto, l’entità fenomenica della
«cosa» da presupposto di fatto della qualificazione giuridica (posta a tutela di
differenti interessi e valori) diviene essa stessa «bene». Nel «bene comune» la
cosa s’immedesima con il bene; tra cosa e bene v’è un rapporto d’identità;
l’ordinamento intravede in alcune «cose» dei valori da preservare in quanto
tali, da sottrarre alla valutazione degli interessi protetti ma pur sempre variabili in considerazione dei ragionevoli bilanciamenti 14. La cosa si dematerializza sino a divenire una categoria dello spirito connotata dalla bellezza in
quanto tal espressione di un valore dell’ordinamento 15. Prevale il valore conservativo su quello accrescitivo, l’interesse al godimento (individuale o comunitario) su quello dispositivo.
In questo senso tutte le qualificazioni assegnate al concetto di bene sono
da intendere nella loro dimensione funzionale: il bene sarà civico qualora as13 V. Cass., s.u., 14 febbraio 2011, n. 3665, in Giust. Civ., 2011, I, p. 595 e ss. e Cass., s.u., 16 febbraio 2011, 3811, in Giust. civ., 2011, 3, p. 596 e ss. Occorre rilevare che la prima espressione normativa del bene comune si ha nell’art. 153 della Costituzione di Weimar ove si legge: «La proprietà è garantita dalla costituzione. Il suo contenuto e i suoi limiti sono fissati dalla legge. L’espropriazione può avvenire solo se consentita dalla legge e nell’interesse collettivo. Salvo che la legge del Reich non disponga
altrimenti, deve essere corrisposto un confruo indennizzo. Le controversie sorte circa l’ammontare del
medesimo devono essere sottoposte al giudice ordinario, a meno che la legge del Reich non disponga
altrimenti. La espropriazioni da parte del Reich di beni dei Länder, dei Comuni e delle associazioni di
pubblica utilità è possibile solo dietro indennità. La proprietà obbliga. Il suo uso, oltre che al privato,
deve essere rivolto al bene comune». Ivi il sintagma è assimilabile alla nostra «funzione sociale». Sulla
scarsa aderenza dell’impianto istituzionale disegnato nella Carta di Weimar al sostanziale assetto sociale ed economico vigente e sul quale la prima era chiamata ad operare, si leggano le lucide osservazioni
di C. MORTATI, La Costituzione di Weimar, Firenze 1946, pp. 1-84, in particolare pp. 58-63. Per una simiglianza concettuale tra bene comune e proprietà collettive istruttive sono le pagine di G. VENEZIAN,
Reliquie della proprietà collettiva in Italia, Discorso letto il giorno 20 novembre 1887 per l’inaugurazione
degli studii dell’Università di Camerino, in Annuario universitario 1887-88, Camerino, 1888 e ora in Le
prolusioni dei civilisti, I, (1873-1899), Napoli, 2012, p. 375 e ss., ivi si legge (p. 401): «Parrebbe utile e possibile [...] di assicurare all’insieme degli utenti un’organizzazione autonoma, che garantisca il diritto
dell’insieme, che resta, per la utilità dei singoli, che passano...Certo è necessario di dare agli organismi
collettivi una maggiore elasticità, di rendere possibile che s’adattino alle nuove condizioni di vita, di
evitare che dalla immanenza dello scopo ne derivi la immobilità».
14 V. S. RODOTÀ, Note su proprietà e sovranità, in Pol. dir., 1993, p. 178 ove parla di «proprietà comune dell’umanità».
15 F. DOSTOEVSKIJ, I Demoni, Milano, 1981, pp. 523-524: «Tutto l’equivoco sta solo nel fatto che cosa
sia più bello: Shakespeare o un paio di stivali, Raffaello o il petrolio? E io dichiaro strillò Stefan Trofimovic all’ultimo grado di furore, che Shakespeare e Raffaello sono al di sopra della liberazione dei contadini,
al di sopra della nazionalità, al di sopra del socialismo, al di sopra della giovane generazione, al di sopra
della chimica, al di sopra di quasi tutta l’umanità, poiché sono ormai il frutto, il vero frutto di tutta
l’umanità, e, forse il frutto più alto che ci possa essere! La forma della bellezza già raggiunta, senza il raggiungimento della quale io, forse, non acconsentirei nemmeno a vivere?Ma lo sapete voi che senza
l’inglese l’umanità potrebbe ancora vivere, senza la Germania pure, senza l’uomo russo lo potrebbe anche
troppo bene, senza la scienza potrebbe, potrebbe senza il pane, solo senza la bellezza non potrebbe, poiché non ci sarebbe nulla da fare al mondo! Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui!».
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solverà ad alcuni bisogni primari della persona contribuendo al suo sostentamento materiale e spirituale o alla preservazione ambientale; sarà mobile se
–incorporato o no- tutela quelle utilità derivate dal suo corretto impiego nel
mercato. È la stessa dizione dell’art. 812 c.c. che conferma ciò, lì dove definisce immobili i beni uniti al suolo anche «a scopo transitorio», e immobili gli
edifici galleggianti quando pur non essendo ancorati sono destinati ad esserlo
«per la loro utilizzazione». Trovano analoga spiegazione le «immobilizzazioni
materiali, finanziarie e immateriali» nella disciplina del bilancio, le quali sono
valutate dall’ordinamento come utilità destinate a permanere nel tempo senza distinguerne gli elementi strutturali.
Quando invece l’ordinamento sottrae il bene dalla valutazione d’alternative funzionali secondo il ragionevole bilanciamento d’interessi, lì emerge il
«bene comune» 16.
Dunque, l’interpretazione assiologica dell’ordinamento supera le distinzioni strutturali dei beni per introdurne una dipendente dalle possibili utilizzazioni degli stessi.
2. Un percorso simile si ha con riguardo ai rapporti proprietari 17. Mi limito a qualche esempio. Sebbene la proprietà rurale sia stata intesa anche come
proprietà-godimento le norme costituzionali e comunitarie non consentono
una proprietà rurale senza impresa 18. Il dibattito oscilla tra una proprietà agricola rivolta al mercato (quindi impresa) e un’altra di mera produzione
(quindi senza impresa), non avvedendosi che l’elemento del mercato non è
rinvenuto neppure nell’art. 2135 c.c. se non nelle attività connesse del terzo
comma, e non considerando che è impresa anche l’attività di autoproduzione, ossia per definizione non rivolta al mercato19.
16 Il tema introduce una lettura altra dei parametri valutativi stereotipati sui valori materiali e patrimoniali e offre all’interprete una dimensione esistenziale del bene la quale si aggiunge e arricchisce la
prima. Nel discorso alla University of Kansas, del 18 marzo 1968, Robert Kennedy, afferma: «Troppo
e per troppo tempo abbiamo dato l’impressione di riporre l’eccellenza personale e i valori della comunità nella mera accumulazione di beni materiali. Il nostro prodotto interno lordo...comprende
l’inquinamento dell’aria, la pubblicità delle sigarette e le ambulanze per liberare le strade dalle carneficine...Include la distruzione delle sequoie e la perdita...delle nostre meraviglie naturali...Non include la
bellezza della nostra poesia né la forza dei nostri matrimoni, l’intelligenza del nostro dibattito pubblico
e l’integrità dei nostri pubblici funzionari. Non misura né la nostra arguzia, né il nostro coraggio; né la
nostra saggezza, né il nostro apprendimento; né la nostra compassione né la nostra devozione al paese; in breve, misura qualsiasi cosa, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta», in R. F. KENNEDY, Sogno cose che non sono state mai, a cura di G. BORGOGNONE, prefazione di K. KENNEDY, Torino,
2012, pp. 63.64.
17 Per l’approdo al «rapporto proprietario», v. E. CATERINI, Proprietà, in Trattato, cit., p. 137 e ss.
18 Ibidem, p. 198, n. 461
19 E. CATERINI, Dall’impresa agricola all’impresa agronomica. Per una rilettura dell’art. 2135 c.c., in Rass dir
civ, 1998, p. 733 e ss.
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Il rapporto tra proprietà e impresa è malposto quando si intende rinvenire la prima nel mero produttore dell’art. 838 c.c. e la seconda nel proprietario
che gode direttamente o indirettamente il fondo, dismettendo o delegando
ad altri il ruolo imprenditoriale (art. 2135 c.c.). Se l’elemento discriminante è
rinvenuto nell’«attività» dell’imprenditore e nell’«inattività» del proprietario ci
si può avvedere facilmente che l’ordinamento non contempla proprietà senza doveri e che il rapporto proprietario include situazioni «aliene» poste nella
titolarità del proprietario 20.
Dunque, la proprietà rurale è attività; essa implica una pur minima organizzazione e professionalità e produce ricchezza; la norma costituzionale
(art. 44) sanziona una proprietà esercitata anche a mezzo di una temporanea
inattività 21.
3. Egualmente dicasi per la proprietà urbana. In essa sarebbe contenuto al
minimo un rapporto statico volto al mero godimento del bene suscettibile di
utilizzazione urbana e, nella massima espansione, un rapporto dinamico fatto
di attività e disposizioni tendenti alla produzione di un reddito d’impresa.
Distinzione insicura che omette di considerare il nesso ordinamentale tra
proprietà e impresa, lí dove la prima non è mai priva di un nucleo anche minimo della seconda, sebbene nella forma della impresa senza mercato22.
Il rapporto proprietario obbliga all’attività, ha un contenuto doveroso necessario posto a tutela di interessi propri o «alieni», i quali nella proprietà urbana emergono nei regimi pianificatori. Tra il rapporto proprietario e gli
strumenti di pianificazione emerge l’«evoluzione» della funzione di godimento proprietario in quella d’impresa. Essa è mediata dai poteri di pianificazione della pubblica amministrazione. Il tema della pianificazione urbana introduce con la modalità della fonte regolamentare amministrativa lo scopo della
«sostenibilità» del rapporto proprietario definendone sia i poteri di godimento-conservativi che quelli produttivo-accrescitivi. Dunque tra proprietà e impresa non c’è soluzione di continuità, ma consustanzialità differentemente
dosata in considerazione delle molteplici funzioni che il rapporto proprietario concretamente persegue. La stessa proprietà con funzione «protettiva»
[emergente anche dal contenuto vincolato degli strumenti programmatori]
Ibidem, p. 747
Già E. FINZI, Le moderne trasformazioni del diritto di proprietà, in Discorso pronunciato per
l’inaugurazione dell’anno accademico 1922-1923 presso il R. Istituto di scienze sociali Cesare Alfieri di
Firenze, in Le prolusioni dei civilisti, cit., II, p. 1848, scrive: «Il dovere sociale del proprietario, dianzi fondato essenzialmente su concetti morali e tradizionali, sta convertendosi in dovere giuridico per modo
tale che la proprietà è oggi, forse più che un diritto, un centro onde si irraggiano infiniti doveri».
22 E. CATERINI, Proprietà, in Trattato, cit., p. 213 e ss.
20
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non è incompatibile con una doverosità comportamentale, come non lo è il
rapporto proprietario a funzione «produttiva»; ambedue devono perseguire
la funzione sociale in quanto innervata di «sostenibilità», ossia orientata verso
obiettivi «favoriti» e «meritevoli» non soltanto per la loro vantaggiosità economica, ma per l’esito del bilanciamento tra valori economici e valori anche
non patrimoniali delle risorse impiegate per le utilità proprietarie. Tutto questo è rinvenibile anche nella norma principio sul divieto di immissioni superiori alla «normale tollerabilità» (art. 844 c.c.) 23. La norma non contempla soltanto la relazione tra la proprietà e l’impresa ma un paradigma della ragionevolezza come ponderazione di valori e interessi distinti, da specificare nella
concretezza della situazione; emerge la relatività e storicità del giudizio di ragionevolezza in considerazione anche delle mutevoli sensibilità sociali verso
le differenti istanze della protezione della persona, del patrimonio e della
produzione. Si può affermare senza eccessi logici o discontinuità interpretative che nell’art. 844 c.c. v’è una delle possibili espressioni del principio di
proporzionalità e adeguatezza, eretto a principio generale dell’ordinamento
italo-europeo 24. Dunque, il rapporto proprietario per come sopra inteso implica un inevitabile giudizio di meritevolezza e di coesione sociale ispirato ai
princìpi italoeuropei.
4. È utile un ritorno sul concetto di bene per ribadire che è l’ordinamento
che può sottrarre i beni dalla valutazione di un’utilizzazione economica per
considerarne la diretta discendenza dai princìpi costituzionali. I beni complessi (com’è il «bene comune», l’azienda, l’universalità, il bene civico, il bene
condominiale, ecc.) implicano una rilevanza giuridica di interessi tutelati che
non riguardano la mera sommatoria dei singoli beni, bensì il loro valore
d’insieme e funzionale apportato da una profilazione mercantile o assiologica
delle utilità, le quali implicano un’attività, un esercizio. Dunque, ciascun bene
può essere concepito in una molteplice accezione a seconda della profilazione che gli interessi leciti delle parti gli assegnano, ovvero, della caratura assiologica che al bene riconosce l’ordinamento.
Per detti motivi alcuni beni assurgono a valori primari, protetti dall’ordinamento costituzionale proprio in considerazione della loro capacità protettivo-conservativa degli elementi di natura necessari per preservare e migliorare la qualità dell’ambiente e il rapporto intergenerazionale. Lo sviluppo sostenibile basato su una crescita economica equilibrata [obiettivo dell’art. 3,
Per una rassegna ragionata di giurisprudenza e dottrina, v. M. DE TILLA, La proprietà. I rapporti di
vicinato, III, Milano, 2000, p. 11 e ss.
24 V. E. CATERINI, Il contributo del libro terzo del codice civile alla formazione del «diritto patrimoniale comune». La palingenesi della proprietà, in Le Corti Cal., 2010, p. 282 e in Rass dir civ, 1, 2011, p. 1 e ss.
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co. 3 del trattato sull’Unione europea, a sua volta espressione normativa più
determinata dell’utilità sociale dell’art. 41 cost.], è la riemersione meglio delineata dei princìpi di cui agli artt. 2, 3 e 9 cost., 13 e 37 della carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea, 27 della dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU, 10 della dichiarazione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ove si dà rilievo di rango costituzionale a beni-valori, la cui efficacia è indipendente dal rapporto giuridico
di cui possono formare oggetto. Questi beni sono destinatari di una disciplina dell’oggetto che trasla nel rapporto. Non a caso i beni del patrimonio culturale e paesaggistico, hanno una propria disciplina che riguarda l’oggetto in
quanto bene tutelato come valore 25.
25 Nelle citate sentenze della Cassazione , ss.uu., nn. 3665 e 3811 del 2011, per comodità denominate Spagna Musso dal nome del consigliere relatore, si evingono considerazioni di valenza sistematica
meritevoli di essere segnalati e commentati. Il deciso riguarda la natura demaniale o no delle acque
salse o salmastre di specchi d’acque della laguna veneta più o meno definitivamente delimitati anche
con opere dell’uomo autorizzate. Il giudice di legittimità afferma che «...va rilevato che l’appartenenza
di un bene al demanio naturale marittimo (necessario) si pone quale conseguenza della presenza delle
connotazioni fisiche considerate dalla legge, e ciò indipendentemente da atti ricognitivi
dell’amministrazione o da formalità pubblicitarie...», il supremo collegio prosegue e afferma che «I beni
demaniali, elencati nell’art. 822 c.c. secondo un criterio di tassatività, hanno come caratteristica comune il fatto di essere beni immobili o universalità di mobili e di appartenere necessariamente ad enti territoriali...Questi beni sono tali o per loro intrinseca qualità (c.d. demanio necessario...) o per il fatto di
appartenere ad enti territoriali (c.d. demanio accidentale o eventuale...)...I beni patrimoniali indisponibili...possono essere sia mobili che immobili e possono appartenere anche ad enti pubblici non territoriali...anche per questi beni si profila una distinzione tra patrimonio necessario e patrimonio accidentale, riconducibile in parte all’art. 826 c.c., commi 2 e 3, poiché vi sono beni patrimoniali per natura...e
beni patrimoniali per destinazione...i beni patrimoniali indisponibili...sono commerciabili, ma sono
gravati da uno specifico vincolo di destinazione all’uso pubblico, pur potendo formare oggetto di negozi traslativi di diritto privato», e ancora, «Tuttavia, dagli art. 2, 9 e 42 cost, e stante la loro diretta applicabilità, si ricava il principio della tutela della umana personalità e del suo corretto svolgimento
nell’ambito dello stato sociale, anche nell’ambito del “paesaggio”, con specifico riferimento non solo ai
beni costituenti, per classificazione legislativa-codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della
“proprietà” dello Stato ma anche riguardo a quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione risultino, sulla base di
una compiuta interpretazione dell’intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività...Ne deriva quindi che là dove un bene immobile, indipendentemente dalla titolarità, risulti per le sue intrinseche connotazioni, in particolr modo quelle di tipo ambientale e paesaggistico, destinato alla realizzazione dello Stato sociale come sopra delineato, detto bene è da ritenersi, al di fuori dell’ormai datata prospettiva del dominium rimanistico e della proprietà codicistica, “comune” vale a dire, prescindendo dal titolo di proprietà, strumentalmente collegato alla
realizzazione degli interessi di tutti i cittadini. Del resto già da tempo, la dottrina ma la stessa giurisprudenza hanno fatto propria l’idea di una necessaria funzionalità dei beni pubblici con la conseguente convinzione che il bene è pubblico non tanto per la circostanza di rientrare in una delle astratte categorie del codice quanto piuttosto per essere fonte di un beneficio per la collettività, sino ad ipotizzare casi di gestione patrimoniale dei beni pubblici (come la loro alienazione e cartolarizzazione)...Pertanto, il solo aspetto della “demanialità” non appare esaustivo per individuare beni che, per
loro intrinseca natura, o sono caratterizzati da un godimento collettivo o, indipendentemente dal titolo
di proprietà pubblico o privato, risultano funzionali ad interessi della stessa collettività. In tal modo,
E. Caterini – Il «bene comune» e il valore di godimento
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Dunque, i beni tanto ricevono dal rapporto giuridico l’assetto d’interessi
concretamente valutato come meritevole; tanto imprimono al rapporto con
il quale si immedesimano la propria valutazione assiologica quale strumento
attuativo dei valori primari dell’ordinamento.
La distinzione tra i beni sarà ancorata al tipo d’interesse giuridico perseguito, per cui l’ordinamento riconoscerà beni che realizzano utilità derivate
dalla produzione e dallo scambio di valori e ricchezze, e beni rivolti alla conservazione del valore esistente: l‘interesse al godimento nei beni comuni diviene valore. Quest’ultimo non presuppone un’inattività del titolare singolo
o collettivo della situazione, non esclude cioè che contenga anche poteri dirisultando la collettività costituita da persone fisiche, l’aspetto dominicale della tipoligia del bene in
questione cede il passo alla realizzazione di interessi fondamentali indispensabili per il compiuto svolgimento dell’umana personalità». La costruzione retrostante la decisione in esame è condivisibile nel
risultato con qualche obiezione sul percorso argomentativo. Intanto occorre precisare che la qualificazione di bene mobile o immobile non è un prius ontologico-strutturale ma un posterius funzionalegiuridico, dunque, non è un dato acquisito dall’interprete ma l’esito dell’interpretazione. In questo senso – come emerge dalla motivazione – anche la distinzione bene pubblico – bene privato si attenua e
sfuma nella dimensione assilogica che non fa derivare la differenza di regime giuridico dalla titolarità
(o appartenenza) ma dalla natura dell’interesse e valore divisati nel rapporto i quali si riversano anche
(ma non necessariamente) sulla titolarità. Il bene non ha connotazioni intrinseche ma è il riferimento
fisico o ideale di un fascio di interessi e valori i quali -diversamente combinati- producono una disciplina adeguata e proporzionata al soddisfacimento degli stessi. A ciò non si sottraggono neppure i beni
demaniali c.d. necessari (le acque pubbliche, le opere di difesa nazionale) nei quali l’ordinamento intravede una diretta strumentalità ai valori della persona e della pace, e nel contempo lo stesso ordinamento reputa che in siffatte circostanze detti valori possono essere perseguiti a mezzo della titolarità organica dell’ente pubblico territoriale. Non si può escludere che i medesimi scopi-valori possano essere
perseguiti con un differente regime pur sempre conforme a Costituzione. Pertanto, il bene è «comune»
non tanto per essere a titolarità collettiva o diffusa -anziché esclusiva- ma per la ragione che «le cose
che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della
persona», dunque, anche il bene in titolarità proprietaria privata può essere «comune». Più precisamente il bene è comune quando è esso stesso un valore protetto dall’ordinamento nella sua massima espressione. Lo specchio d’acqua salmastra della laguna veneta è bene comune se in esso si rinviene il
valore protettivo-conservativo quale unica espressione attuativa del valore costituzionale della tutela
del paesaggio e dell’ambiente, incompatibile con l’esercizio di poteri di godimento anche imprenditoriali. Per un commento delle sentenze anzi citate, v., G. CARAPEZZA Figlia, Proprietà e funzione sociale. La
problematica dei beni comuni nella giurisprudenza dell Sezioni unite, in Rass. dir. civ., 2, 2012, p. 535 e ss., in particolare p. 543 ove si legge: «La sentenza sostiene infatti che, al di là di una preventiva indicazione da
parte del legislatore, l’attitudine del bene al perseguimento degli interessi della collettività ne giustifica
l’iscrizione, in via interpretativa, nel novero dei beni pubblici...Tuttavia quest’affermazione...non persuade per numerose ragioni. Ad esempio, secondo i giudici di legittimità, il binomio “fonte di un beneficio per la collettività”-natura pubblica del bene troverebbe fondamento nelle numerose disposizioni
che, nel prevedere forme di dismissione del patrimonio pubblico, hanno finito per incrinare la regola
dell’incommerciabilità dei beni demaniali, pur conservando il vincolo di destinazione pubblico. ... Tuttavia, la conseguente scissione fra titolarità (privata) e regime giuridico (demaniale) –lungi dal comprovare, come sostiene la Cassazione, che la destinazione a usi o finalità collettive giustifica la natura pubblica del bene – dimostra, al contrario, la progressiva svalutazione del profilo soggettivistico a vantaggio di quello oggettivo della destinazione funzionale, coerente con il principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale...».
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Parte Prima – Temi
spositivi, purché essi siano diretti al fine conservativo-protettivo, piuttosto
che a quello produttivo-accrescitivo. In questa concezione si spiega il sillogismo posto dall’art. 813 c.c. tra beni immobili e diritti reali (interessi di godimento), da un lato, e beni mobili e «tutti gli altri diritti» (interessi di produzione), dall’altro. Come dire che le disposizione normative riguardanti i beni
immobili si estendono a quelle sui diritti reali immobiliari, se ed in quanto le
une e le altre sono accomunate dal medesimo fine di godimento; là dove le
disposizioni riguardanti i beni mobili si estendono alle disposizioni sugli altri
diritti se collocate in rapporti giuridici il cui interesse perseguito tende alla
funzione accrescitivo-dispositiva della produzione. È la riprova dell’inevitabile nesso tra interesse giuridico e utilità perseguite lì dove il primo è eterodato, cioè scelto dall’ordinamento tra una molteplicità di utilità possibili; il
tutto con la discriminante della «sostenibilità» che induce a bilanciare l’utilità
apprensibile con l’esaurimento delle risorse naturali. L’effetto antropico, unito alla preservazione artistica e biologica di alcune parti del territorio e alle
testimonianze di civiltà in esso presenti, detta la misura dell’interesse giuridicamente protetto nella regola del caso concreto. L’ordinamento attraverso il
«bene comune» sottrae alcuni oggetti dall’ interesse produttivo-accrescitivo,
li sottrae cioè da quei poteri che di norma si combinano all’immissione dei
beni nel mercato, poiché i beni della comunità o se si preferisce della civiltà
devono essere conservati e preservati (anche a mezzo attività di gestione) 26
in quanto «riserve» per la vita sostenibile e la memoria civica delle future generazioni 27. In questo senso il «bene comune» è uno sviluppo anche degli
artt. 2, 3, 9 cost., 13 e 37 della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, 27 della dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU, 10 della
dichiarazione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali e 813 c.c.; esso appartiene già ai valori dell’ordinamento costi26 E. FINZI, Le moderne trasformazioni, cit., p. 1850, «In questo senso è regolata la proprietà sui beni
immateriali: la legge consente bensì il diritto esclusivo all’inventore di sfruttare il proprio brevetto per
un certo tempo, ma pone a condizione del divieto a tutti di godere essi pure, la effettiva utilizzazione
da parte del titolare. Solo se l’apparecchio brevettato viene fabbricato e sfruttato vi è un vantaggio sociale ed è giusta la difesa; ma se l’inventore non sa esso stesso, coi suoi mezzi, con la sua iniziativa, con
la sua volontà giovarsi –ed insieme giovare a tutti- del nuovo bene scoperto, allora egli perde ogni diritto sopra di esso, e la sua invenzione diventa di dominio pubblico».
27 Interessanti le parole di A. LUCARELLI, Proprietà pubblica, principi costituzionali e tutela dei diritti fondamentali. Il progetto di riforma del codice civile: un’occasio e perduta?, in I beni pubblici, cit., p. 85 e ss., in particolare pp. 90-91: «Più che il titolo di proprietà (appunto pubblico o privato) rileva per questi beni la funzione e l’individuazione dei diritti: rileva la situazione di fatto, piuttosto che il titolo formale, risulta
appunto più importante, per la tutela effettiva del diritto, il momento possessorio e la fase gestionale,
piuttosto che il titolo di proprietà del bene...L’idea di fondo è stata quella di ritenere che i beni comuni
potessero essere utilizzati, goduti, ma non posseduti in via esclusiva da un soggetto, ancorché pubblico; l’idea di fondo è stata quella di non attribuire mai, e in nessun caso, fasce di esclusività ad un soggetto, ancorché pubblico».
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tuzionale e alla cultura giuridica che ne è espressione, rappresenta (una volta
codificato) il suggello di un valore giuridico sempre più affidato alla sensibilità degli interpreti. Tuttavia, discorrere di beni (e della loro tassonomia) senza
abbinare ad essi la complementare questione dei nuovi rapporti reali di diritto pubblico e privato, lascia aperta la materia che al contrario richiederebbe
un intervento di riforma urgente per adeguarne le discipline ai nuovi bisogni
della persona e del mercato internazionale 28.
In conclusione, si può affermare che l’evoluzione dialettica tra le proprietà e il bene comune è la formale emersione di un percorso culturale in atto e
già magistralmente inaugurato con gli scritti degli Autori ivi discussi.
Gli scritti esaminati affrontano con largo anticipo tematiche proprietarie che hanno avuto nel
quarantennio a seguire larghi riflessi negli studi e nella prassi civilistica. Anche il tema del «bene
comune», di recente destinatario di una autorevole commissione di studi, è già l’esito di un percorso
interpretativo il quale muove da detti scritti è approda alla delineazione della categoria ora anche
di dominio giurisprudenziale. Gli studi denunciano la valenza immateriale di alcuni beni dediti ad
alimentare la categoria estetica e non soltanto economica dello spirito.
28 Si veda P. PERLINGIERI, Normazione per princìpi: riflessioni intorno alla proposta della commissione sui beni
pubblici, ibidem, p. 124 e ss. Ove si legge: «Né appare una grande conquista il meccanismo di interscambilità tra regimi e beni. In realtà, regimi e beni sono le due facce della stessa medaglia. È possibile qualificare in senso giuridico un bene soltanto se quel bene è suscettibile di realizzare un interesse giuridicamente rilevante. La disciplina non è tanto quella del bene in sé, quanto quella delle situazioni giuridiche, talvolta in concorso, talvolta in concorrenza, talaltra in conflitto che a quel bene di riferiscono...Può non rilevare, in alcuni casi, l’appartenenza del bene; ma è sempre rilevante se quel bene è funzionale alla realizzazione dei diritti fondamentali: infatti, non si può prescindere dalla funzione che il
bene deve nel concreto assicurare...Da apprezzare anche la riscoperta del momento gestionale e cioè
del momento dell’effettività. Una teoria troppo legata alla titolarità conduce a statiche schematizzazioni che non risolvono i problemi. Occorre riservare attenzione alla sostanza dei poteri e alla loro complessiva ed effettiva funzione, per individuare la disciplina adeguata alla situazione concreta».