294 Industrial design - Fondazione Internazionale Menarini

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294 Industrial design - Fondazione Internazionale Menarini
n° 294 - aprile 2000
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
Industrial design
Parlare o scrivere di industrial design, è complesso come parlare o
scrivere d’arte. Anzi di
più . Perché mentre dell’arte è possibile tracciare una vicenda storica avvalendosi dell’artificio storiografico, per
il design tutto risulta
più nebuloso e articolato. Il filtro della storia è più labile. È come
se gli eventi fossero
troppo ravvicinati e la
nostra una visione critica affaticata da una
prospettiva corta. Come
se il senso critico che
abbiamo nei confronti
del design fosse sempre
in parte orientato dagli
aspetti ideologici dai
quali è difficile prendere le distanze.
Non solo, ma le idee
che sono state tracciate
nell’evoluzione della
disciplina del design
sono tante e contraddittorie. Alcune hanno
riferimenti puntigliosi
con la storia dell’arte,
altre hanno avuto raccordi altrettanto significativi con la storia della
tecnica. In Italia esistono diverse versioni
della storia del design:
impostata come storia
delle idee del design,
ovvero come storia dei
movimenti teorici del
design italiano; trattata
come storia delle innovazioni tecnologiche;
oppure tracciata come
storia della cultura del
design vista attraverso
la storia della cultura
dell’arte architettonica.
Inoltre non c’è una definizione unica, rigo-
rosa ed esauriente del
design, ma solamente
una generica che si riferisce alla produzione
di oggetti che, nati da
un progetto, sono portatori di valenze estetico-funzionali. Oggetti
che sono riproducibili
in serie grazie alla tecnica industriale.
Definizione che porta
al rapporto tra industrial design e arte in
senso stretto. Un rapporto ancor oggi non
del tutto sancito e risolto perché accanto a
chi considera il design
arte a tutti gli effetti,
c’è chi continua a non
considerare il design,
l’artigianato, e le cosiddette arti applicate o
arti minori, come arte.
Rapporto ambiguo che
affonda le sue origini
nel Rinascimento; in
Grecia, a Roma, e fino
al Medioevo, esisteva
un artigianato strettamente collegato con le
altre arti. È la Rivoluzione francese a sancire
definitivamente la dicotomia già anticipata,
sia pur in modo alterno,
nei due secoli precedenti: scultura, pittura
e architettura (le “Belle
Arti”) e oggetti d’uso
o di decoro (artigianato
del vetro, della ceramica, del legno, del tessuto, ecc) (le “Arti Applicate”) detti anche
d’arte minore.
Il tutto si complica con
il disegno industriale.
Non è più la mano dell’uomo a creare, ma una
macchina. E un oggetto
creato da una macchina
può essere arte? Questa
la domanda che porta
nel tempo a una scissione di opinioni sempre più netta: la funzione dell’oggetto diventa elemento di valutazione prioritario, o
ancor di più la corrispondenza tra forma e
funzione. Scissione avvertibile soprattutto negli anni cinquanta e sessanta del Novecento.
Oggi, anche se non ancora per tutti, anche in
un oggetto realizzato
industrialmente, ma inventato, creato concettualmente dall’artista,
dall’architetto, dal designer, c’è arte.
Anche se viene sempre
sottolineato il fatto che,
a differenza di quanto
avviene nelle cosiddette
arti maggiori dove i protagonisti sono gli artisti e le loro opere, nell’industrial design oltre ai progettisti hanno
ugual peso, almeno, produttori, venditori e pubblico.
Un’arte che come per
gli oggetti d’arte applicata del passato ha principalmente, ma non
solo, come finalità quella
di offrire strumenti per
Gerrit Rietveld: sedia rossa e blu, 1918
Nick Gabi Ward: tazze bianche e nere, 1980
Le “origini” del design: bottoni fiamminghi della fine del XVI secolo; una pagina della
Bibbia di Gutenberg; tersia lignea di A. Barili
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vivere meglio: perché
il design è oltre che arte
anche qualità della vita,
cultura di servizio. Basti pensare alla cerniera
lampo, innovazione che
rivoluziona nel nostro
secolo il sistema di abbottonarsi così come
nel quattordicesimo secolo l’uso generalizzato
del bottone soppianta
- non senza critiche per
chi lo riteneva, all’opposto, impudico perché permetteva di slacciarsi e quindi togliersi
i vestiti più in fretta quello dei lacci.
Bottoni che, con la loro
praticità e bellezza
hanno, oltre che semplificato, “ornato” la
vita di tutti i giorni.
Oggi sono conservati
nei più importanti musei del mondo.
Nel loro assoluto minimalismo o nella loro
ridondante capacità di
decorazione, gli oggetti
d’arte applicata antichi
e di design contemporanei, quindi, hanno determinato e determinano il nostro comfort
quotidiano, “ornano”
la nostra esistenza e
danno un senso al vivere di tutti i giorni.
I primi segni di industria primitiva, fino alle
più sofisticate lavorazioni dei secoli quindicesimo-diciassettesimo,
è possibile scorgerli in
tempi antichi in cui, oltre ai macchinari più
perfezionati, sono già
presenti manifatture ad
alta specializzazione che
anticipano la moderna
divisione del lavoro e
persino l’intento che
anima le attuali linee
di montaggio: il tornio,
la ruota dei vasai, le
presse a mano delle for-
naci dei laterizi.
Fenomeno di disegno
industriale ante litteram è la stampa: l’arte
dello scrivere passa dai
pennini degli amanuensi
alla moltiplicazione del
foglio attraverso una
macchina utensile.
Un’innovazione che nasce da un’invenzione
tecnica con intenti prevalentemente pratici:
la serialità del prodotto
e non un’innovazione
estetica. La Bibbia di
Gutenberg nasce, infatti, graficamente ad
imitazione delle Bibbie manoscritte negli
scriptoria.
Di vero design si parla,
si sa , solo con la Rivoluzione industriale, convenzionalmente databile al periodo che va
dal 1760 al 1880. Da
qui in poi si aprono percorsi paralleli tra arte e
design all’interno delle
continue evoluzioni formali che hanno caratterizzato soprattutto la
nostra epoca e portato
nell’ultimo decennio
frange del design a mettere persino in discussione lo statuto del design industriale - come
la riproducibilità tecnica e seriale - slittando
dalla serialità dell’oggetto utile alla irripetibilità del “pezzo
unico”, fino a proporre
la tesi dell’assoluta circolarità tra arte, design,
architettura, decorazione e moda.
Temi e problematiche
aperte legate al design
che hanno oggi più che
mai tutto lo smalto delle
realtà in continua trasformazione. E promuovere dei Centri Design
potrebbe aprire un
nuovo e vivace terreno
Mackintosh: sedia, 1902. Alun Hart: Macchina da
cucire per tessuti sintetici, 1983
di confronto e di indagine tra le diverse ricerche contemporanee:
dalla definizione stessa
del design, alla delimitazione del suo campo
di indagine e alla possibilità di selezionare il
“buon design”, sino alla
nuova eticità richiesta
oggi alla progettazione
industriale come al
grado di esteticità presente in essa, al suo rapporto con le arti visive
e con la decorazione,
sino all’opportunità e
alle modalità di aprire
le porte di un museo
agli oggetti di design.
Di oggetti che, aggiungiamo noi, dovrebbero,
forse utopisticamente,
poter essere oltre che
guardati, anche toccati,
girati, osservati nelle
loro diverse angolazioni.
Manipolati perché sono
stati pensati e progettati in funzione di un
rapporto d’uso, in relazione con il corpo e i
suoi sensi.
Un’emozione d’uso non
sottrattiva, ma che si
aggiunge all’emozione
del vedere.
maria siponta de salvia
Penna a sfera e variazioni di fantasia, 1970
Progetto di auto realizzato dagli studenti del Pratt
Institute (USA)