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N° 02/2012 9 Gennaio 2012 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell’ambito di questa nuova iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, ma pur sempre collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli……. Oggi parliamo di…………. LA DURATA DELLA FORMAZIONE DEL NUOVO CONTRATTO DI APPRENDISTATO PROFESSIONALIZZANTE E’ DI 5 ANNI PER I PROFILI PROFESSIONALI ARTIGIANI E PER TUTTI GLI ALTRI SETTORI SE VI E’ SOSTANZIALE COINCIDENZA CON I CONTENUTI PROFESSIONALI DELL’ARTIGIANATO. MINISTERO DEL LAVORO – INTERPELLO N. 40 DEL 26 OTTOBRE 2011 Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione Generale per l'Attività Ispettiva interpello n° 40 del 26 ottobre 2011- ha fornito la propria interpretazione in ordine alla durata massima dell’apprendistato professionalizzante o di mestiere relativamente dall’artigianato ai profili ma che professionali presentano appartenenti a settori merceologici diversi contenuti omologhi e contrattualmente sovrapponibili a quelli delle corrispondenti figure dell’artigianato. 1 Come noto, la normativa sull’”apprendistato” è stata recentemente riscritta dal decreto delegato 167/2011 – entrato in vigore lo scorso 25 Ottobre – denominato, in ragione di ciò, anche “Testo unico sull’apprendistato”. Il T.U. ha confermato la triplice veste del contratto in esame, seppur con contenuti e denominazioni differenti, mutuandola dalla previgente disciplina contenuta nell’art. 47 del decreto 276/2003 (id: disciplina che continuerà ad essere operativa fino al 25 aprile 2012). Sull’argomento abbiamo dedicato il recente Convegno del 22 dicembre scorso e la circolare mensile del mese di Ottobre 2011, alla quale rinviamo per ogni approfondimento. L’art. 4 del D. Lgs. 167/2011, recante la disciplina dell’apprendistato “professionalizzante o di mestiere”, prevede che la durata della componente formativa non possa essere superiore a: tre anni per la generalità dei settori; cinque anni per le “figure professionali dell’artigianato” individuate dalla contrattazione collettiva di riferimento. Orbene, con la risposta all’interpello in esame proposto da Confcommercio e Confesercenti, la Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Welfare ha chiarito che la locuzione “figure professionali dell’artigianato” deve essere interpretata in senso ampio. Conseguentemente, secondo l’autorevole interpretazione ministeriale, la disposizione riguardante la durata di 5 anni dell’apprendistato professionalizzante può essere applicata anche a tutte quelle figure – previste nell’ambito dei diversi contratti collettivi del Terziario, del Turismo/Pubblici Esercizi e delle aziende di Panificazione – le cui competenze professionali sono omologhe e contrattualmente sovrapponibili a quelle delle figure artigiane. L’INFORTUNIO IN ITINERE NON E’ INDENNIZZATO SE L’UTILIZZO DEL MEZZO PRIVATO RISULTA ESSERE IL FRUTTO DI UNA “LIBERA SCELTA” DEL LAVORATORE. CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 22759 DEL 3 NOVEMBRE 2011 La Corte di Cassazione, ordinanza n° 22759 del 3 Novembre 2011, ha ribadito i confini della categoria di infortunio "in itinere", precisando che non può considerarsi tale l'incidente stradale in cui rimanga coinvolto il lavoratore che poteva ragionevolmente usare i mezzi pubblici. 2 Come noto, “l’infortunio in itinere“ è quello - conseguente al rischio della strada - che subisce il lavoratore durante il tragitto che conduce: dalla dimora abituale al luogo di lavoro, e viceversa, sia prima e dopo l’orario lavorativo, sia durante la pausa lavorativa per il consumo del pasto. Al riguardo si precisa che non sono configurabili infortuni in itinere quelli occorsi entro l'abitazione, comprensiva delle pertinenze e delle parti condominiali; dal luogo di lavoro ai luoghi di ristoro per il pranzo (qualora non esista una mensa aziendale) e di pernottamento, diversi dalla dimora abituale, e viceversa; da un luogo di lavoro ad un altro luogo di lavoro, nei casi in cui il lavoratore presti servizio alle dipendenze di più datori di lavoro. L’assicurazione a copertura degli infortuni “in itinere” opera anche nel caso di utilizzo di un mezzo di trasporto privato, a condizione che il relativo uso necessiti per effetto: della inesistenza di mezzi pubblici che colleghino l'abitazione del lavoratore al luogo di lavoro; incongruenza degli orari dei servizi pubblici con quelli lavorativi; distanza minima del percorso tale da non poter essere percorsa a piedi. Nel caso esaminato dagli Ermellini, con l’ordinanza de qua, un lavoratore si era dovuto recare fuori sede e aveva optato per l’utilizzo dell’auto propria per raggiungere il posto di lavoro, poiché gli orari dei mezzi pubblici erano scomodi. Durante il tragitto era stato coinvolto in un incidente stradale. Vistosi respingere la richiesta di indennizzo come infortunio sul lavoro dall'INAIL, il lavoratore presentava ricorso giudiziale ma usciva sconfitto in tutti i gradi di giudizio di merito. Da qui il ricorso per Cassazione. Orbene, i giudici di Piazza Cavour, sul solco di precedente giurisprudenza di legittimità (cfr. sentenze n.ri 19940/04 e 17752/2010), nel confermare la sentenza della Corte d’Appello, hanno rigettato il ricorso in considerazione della mancanza di prove circa una difficoltà o impossibilità del lavoratore di avvalersi dei mezzi pubblici ed hanno (ri)affermato l’importante principio in base al quale “in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, l'infortunio "in itinere" non può essere ravvisato in caso di incidente stradale subito dal lavoratore che si sia spostato con il proprio automezzo, ove l'uso del veicolo privato non rappresenti una necessità, in assenza di soluzioni alternative, ma una libera scelta del 3 lavoratore, tenuto conto che il mezzo di trasporto pubblico costituisce lo strumento normale per la mobilità delle persone in quanto comporta il grado minimo di esposizione al rischio della strada” . In nuce, secondo gli Ermellini, il fulcro della distinzione tra la categoria dei c.d. infortuni "in itinere" che danno luogo a indennizzo per infortunio lavorativo e quelli che invece non possono essere considerati tali, sta nella possibilità per il lavoratore di avvalersi dei mezzi pubblici: se ciò è possibile allora andare con la propria auto è una scelta che aggrava i rischi del viaggio e se li deve assumere il lavoratore, che non potrà invocare l'infortunio “in itinere”. IL LAVORATORE REPERIBILE IN STATO DI EBBREZZA ED AL QUALE SIA STATA RITIRATA LA PATENTE NON PUO’ ESSERE LICENZIATO. CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 23063 DEL 7 NOVEMBRE 2011 La Corte di Cassazione, ordinanza n° 23063 del 7 novembre 2011, è intervenuta in materia di “reperibilità” e “stato di ebbrezza” del lavoratore dipendente. Infatti, gli Ermellini, con l’ordinanza de qua, hanno statuito l’importante “principio” in base al quale il lavoratore in reperibilità non può essere equiparato tout court ad un dipendente che si trova in servizio, nell’esercizio delle sue funzioni. Inoltre, “lo stato di ebbrezza” – condizione sufficiente per il ritiro della patente di guida, ai sensi del codice della strada – non equivale a quello di “manifesta ubriachezza” - condizione comunemente prevista dai contratti collettivi nazionali quale causa di licenziamento disciplinare. Ecco i fatti. Un lavoratore, addetto alla manutenzione degli ascensori, era stato “pizzicato“ dai Carabinieri alla guida in stato di ebbrezza durante il suo turno di reperibilità. A seguito di ciò, aveva subito il ritiro della patente da cui era conseguita l’impossibilità di recarsi in azienda il giorno successivo. L’azienda, ritenendo irrimediabilmente violato il vincolo fiduciario, provvedeva – previo espletamento della procedura ex art. 7 della legge 300/70 – a comminare il licenziamento disciplinare. Orbene, i Giudici del Palazzaccio, facendo proprie le motivazioni espresse dai Giudici dei gradi precedenti, hanno affermato che la semplice reperibilità passiva (id: non risultava essere stata esercitata dal datore la facoltà di chiamata) non è assimilabile al 4 normale stato di servizio lavorativo e che, inoltre, lo “stato di ebbrezza” non è equiparabile a quello di “manifesta ubriachezza”, per il quale il CCNL di riferimento prevedeva – in ogni caso - l’applicazione di una sanzione conservativa. Pertanto i Giudici di Piazza Cavour, pur ritenendo il comportamento grave, hanno confermato sia la reintegrazione del lavoratore, sia il risarcimento del danno ex art. 18 della legge 300/70 disposto dai Giudici del Merito, atteso che la sanzione del licenziamento risultava violare, rispetto al fatto commesso dal lavoratore, il principio di proporzionalità di cui all’art. 2106 c.c. IL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE DEL LAVORATORE, IMPOSSESSATOSI DI BENI AZIENDALI, E’ LEGITTIMO SE E’ RAGIONEVOLE TEMERE PER LA FUTURA CORRETTEZZA DELL’ADEMPIMENTO LAVORATIVO. CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 22692 DEL 2 NOVEMBRE 2011 La Corte di Cassazione, sentenza n° 22692 del 2 novembre 2011, si è nuovamente pronunciata sul concetto di giusta causa e di legittimità del licenziamento in relazione alla proporzionalità tra la sanzione espulsiva e l’infrazione commessa. Nel caso de quo un lavoratore ricorreva ai Giudici di Legittimità avverso il licenziamento per giusta causa intimatogli, per essere stato sorpreso – all’uscita dello stabilimento – con un pacco contenente materiale aziendale nuovo, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e del principio di proporzionalità delle sanzioni disciplinari ex art. 2106 c.c.. I Giudici del Gravame, secondo la prospettazione del ricorrente, non avrebbero dato rilievo, sia alla mancanza di precedenti disciplinari, sia alla tenuità del valore della merce di cui era stato trovato in possesso. Orbene, i Giudici nomofilattici hanno (ri)precisato che nel licenziamento disciplinare la gravità del fatto va valutata, al fine di determinare il rispetto del principio di proporzionalità, sulla base di elementi che non si esauriscono nelle dirette conseguenze economiche prodotte al datore di lavoro mercé la condotta infedele, ma possono riguardare sia il grado di responsabilità collegato alle mansioni affidate al lavoratore, sia le modalità della condotta, sia, ancora, l’incidenza dei fatti sul vincolo fiduciario. 5 A tal proposito, a parere della Suprema Corte, la Corte territoriale aveva correttamente evidenziato che era legittimo aspettarsi che la società non potesse più fare affidamento su un dipendente che aveva trafugato beni aziendali. Gli Ermellini, nel respingere la domanda del lavoratore, hanno uniformato il proprio decisum alle statuizioni della Corte distrettuale, alimentando l’indirizzo prevalente, nella Giurisprudenza di legittimità (ex pluribus, Cassazione n° 14507 del 29/9/2009), in base al quale “nel caso di licenziamento per giusta causa in conseguenza dell’abusivo impossessamento di beni aziendali da parte del dipendente, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso viene in considerazione non l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale ma la ripercussione sul rapporto di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti”. L’INFORTUNIO IN BICICLETTA O IN BIKE SHARING E’ INDENNIZZATO SICURAMENTE SE AVVIENE ALL’INTERNO DELLE PISTE CICLABILI. INAIL – NOTA N. 8476 DEL 7 NOVEMBRE 2011 L'INAIL, con nota n° 8476 del 7 novembre 2011, ha espresso la propria posizione in merito alla possibilità di indennizzare gli infortuni in itinere occorsi al lavoratore che utilizzi mezzi di locomozione “alternativi “, quali la bicicletta propria o il bike-sharing, per recarsi al lavoro. Come noto, l’art. 12 del D. Lgs. 38/2000 ha delineato i casi in cui è possibile indennizzare gli infortuni occorsi al lavoratore nel tragitto casa/lavoro e ritorno. In particolare, il Legislatore, con la norma predetta, ha inteso stabilire che il mezzo prioritario di spostamento debba essere quello pubblico costituendo l’utilizzo del mezzo personale del lavoratore un caso meramente residuale, limitato esclusivamente alle ipotesi nelle quali il percorso non sia servito da mezzi pubblici, ovvero l’utilizzo di questi ultimi risulti eccessivamente gravosi per il lavoratore. Nei centri densamente abitati ed afflitti perennemente da problemi di traffico ed inquinamento, si possono presentare nuove fattispecie infortunistiche che hanno costituito approfondimento da parte dell’INAIL con la nota in esame. 6 In primis, l’istituto assicuratore ha sottolineato la diversa presunzione di risarcibilità dell’infortunio in itinere in bicicletta classificandolo in due macro-gruppi a seconda del luogo in cui esso si sia verificato, e precisamente: all’interno di piste ciclabili: in tal caso l’indennizzo è dovuto dall’INAIL in quanto il rischio viene definito “normale“; su strade di viabilità ordinaria (id: aperte anche alle autovetture): in tale ipotesi, stante la sciente volontà del lavoratore di esporsi ad un rischio superiore alla norma, si ritiene esclusa la possibilità di indennizzo, fatta salva la facoltà di dimostrare, con onere a carico del lavoratore, l’inevitabilità dell’utilizzo di tale mezzo di locomozione o l’eccessiva dispendiosità di altri mezzi di trasporto. Infine, l’Ente assicuratore si sofferma anche sul bike-sharing, messo a disposizione del cittadino da molti comuni italiani e consistente nell’utilizzo condiviso della bicicletta mediante apposite colonnine di sosta, sostenendo la non assimilabilità dello stesso al servizio di mezzi pubblici. Pertanto, anche nell’ipotesi di fruizione di tale servizio, vanno applicati i criteri scriminanti di cui sopra. Ad maiora IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! HA REDATTO QUESTO NUMERO LA COMMISSIONE COMUNICAZIONE SCIENTIFICA ED ISTITUZIONALE DEL CPO DI NAPOLI COMPOSTA DA FRANCESCO CAPACCIO, PASQUALE ASSISI, GIUSEPPE CAPPIELLO E PIETRO DI NONO. 7