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A PETRUCCI " Cattedrali di Puglia „ - Edizioni d'Arte Bestetti, Roma, 1560
Con la pubblicazione della preziosa monografia « Cattedrali di Puglia », l'Editoria italiana ha arricchito la bibliografia d'Arte di un volume che onora la cultura italiana e contribuisce, in aggiunta a recenti pubblicazioni, a rivelare agli
italiani e al mondo (ed io credo a gran numero di pugliesi stessi) i grandi tesori
artistici che l'estremo lembo d'Italia custodisce nel suo grembo.
Alfredo Petrucci ne è l'autore e chi ne segue la diuturna attività di narratore,
poeta, acquafortista, critico d'arte, non può meravigliarsi che, in aggiunta alle abituali dotte pubblicazioni sull'incisione e gli incisori, (ultime fra le quali « il Cara-v aggio e il mondo calcografico romano » edito dai fratelli Palombi di Roma e « Gli
incisori dal secolo XV al sec. XIX » dato in luce dalla Libreria dello Stato nella
collana del Genio italiano all'estero), veda apparire questa sua nuova monumentale opera.
Simile a certi uomini della Rinascenza per i quali la bellezza non aveva misteri,
e che, ad essa votati pienamente, avevano il diritto di chiederle tutto, egli lavora
senza tregua con la penna e col bulino, con la prosa e col canto, tutto vedendo e
-sentendo, come scrisse Luigi Tonelli in un fascicolo del vecchio « Marzocco », con
una profondità che gli deriva, oltrechè dall'esperienza e dalla dottrina non comune, spaziante in tutte le direzioni dello scibile e del sensibile, « da una superiore
contemplazione ideale e poetica della vita ».
Da una condizione siffatta è nato appunto il libro « Cattedrali di Puglia » che
Alfredo Petrucci, pugliese, definisce un « documento d'amore » offerto alla sua terra natale, a questa « regione di pietra » cioè come la chiamarono Henry Bertaux
ed Angelo Conti, che nella pietra genialmente convertita in portali, in cuspidi, in
campanili ora posti a specchio del mare, ora eretti in cima ai colli e alle montagne,
dal Gargano alla punta di finibus terrae, aspira ad individuarsi nei momenti più
sublimi della vita del suo spirito.
Più che come rico gnizione ed esegesi dei singoli monumenti, Alfredo Petrucci
ha concepito e realizzato la sua opera come storia della individuazione di una
gente nelle forme essenziali dell'architettura e della scultura ornamentale, cui la
sua stessa natura ed alcune particolari circostanze come quella dell'abbondanza e
delle qualità delle sue pietre da taglio sembrano l'abbiano predisposta. L'uomo,
-egli dice, che ai primordi della civiltà costruisce le « centopietre » di Patù, e che
più tardi per sua dimora crea la forma rozza ma ingegnosa del « trullo », è lo stesso che erigerà poi la mole superba del Duomo di Taranto (ahimé in gran parte
deformato, ma primo in ordine di tempo, fra i maggiori dell'Italia meridionale),
la basilica di S. Nicola e il Duomo di Bari, il complesso impeccabile, compiuto
in tutte le sue parti, del Duomo di Bitonto, la cupola parabolica della cosiddetta
« Tomba di Rotari », l'ottagono armonioso di Castel del Monte « posto sulla Puglia
come una corona », il prospetto inimitabile nella sua concordia discors del Duomo
di Lucera, la Guglia di Francesco Colaci a Soleto, il campanile dello Zingarello a
Lecce, ecc. ecc.; e che esercì ta il suo estro ornamentale come già in tempi remoti
nella ceramica, nelle opere musive, nell'attività scrittoria e miniaturistica — in
quel vasto e ricco repertorio di motivi sacri e profani, o anche soltanto decorativi,
di cui si hanno esempi magnifici così nelle maggiori chiese romaniche e gotiche
come in quelle barocche (basti per tutte la basilica di « Santa Croce » in Lecce) su
uno sfondo ora velato, ora tutto manifesto, di classicità quale fu riconosciuto da
un Venturi, un Toesca, un Salmi, un Calzecchi, un Lavagnino, e quale e giustificato
,dalla ininterrotta consuetudine culturale della regione.
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La tradizione orale ed il documento d'archivio, la leggenda secolare e la « vera.
narrazione » che ne è alla radice, si danno continuamente la mano nelle pagine di
questo libro una cui parte è dedicata anche alle pitture pre-millenarie e 'post-millenarie finora poco conosciute della regione, e si spiegano a vicenda, nella cornice
più vasta dell'arte italiana ed europea dello stesso periodo di tempo.
L'autore, sciolti alcuni nodi storico filologici rimasti finora inestricati, come
quello per esempio, della cosiddetta Tomba di Rotari e della sua epigrafe rompicapo, di cui egli ci ha dato finalmente la lettura definitiva ed irrefutabile, riprende
e dibatte, tenendosi signorilmente al di sopra di ogni preconcetto o sciovinismo
campanilistico, i più importanti problemi relativi all'architettura ed alla scultura
pugliese ed ai loro caratteri inequivocabili che ne accompagnano, specie nel periodo romanico e in quello barocco, il quasi prodigioso svolgimento ed alla psicologia
del popolo che di quel miracolo, con i suoi artisti dichiaratamente indigeni, le sue
maestranze sempre ben riconoscibili, i suoi fedeli ansiosi di levarsi, con la chiesa
e il campanile, al di sopra di se stessi, può considerarsi il vero protagonista.
Ma è tempo di lasciare il lettore solo.con il suo libro, il suo meraviglioso libro
che, adorno di circa 500 illustrazioni f. t. e numerosi disegni ed incisioni nel testo,.
si legge come un'avventura : una delle più attraenti ed istruttive avventure dello
spirito.
LUIGI PELLEGRINO
MARIA MALECORE - "
Il grano già suona „ Rebellato Editore, Padova.
Se il lettore, in vena di approfondimenti, sedotto dalla nota biografica posta
alla fine del volumetto (ma era poi proprio necessaria?), volesse rapportare queste
poesie al mondo incantato del folklore del quale si occupa, con largo profitto, la
Malecore, si troverebbe ad aver collocato in una prospettiva scomoda davvero la
sua lettura, una prospettiva che, alla fine, non farebbe altro che fuorviarlo del
tutto. Ed a ciò contribuirebbero, giustamente, l'atmosfera d'incantamento nella
quale sembra sia immerso tutto il mondo poetico della poetessa ed alcuni fatti,
di natura letteraria, che, in ogni modo, non potevano mancare e che dichiariamo
al più presto:
Volge la notte al mattino
e il sereno rapprende
le sorti del piombo
nel bicchiere
(La mia terra mi chiama)
e i santi saranno portati in processione
con un'aringa in bocca.
(Ditelo)
Comunque, si tratta di inserti episodici che nulla sottraggono alla genuinità
di una poesia caratterizzantesi per una sensitività in virtù della quale le immagini,
per troppo urgere, si caricano di una dolente evidenza fino ad acquistare una sorta
di tattile coscienza, la quale, allorquando è contenuta nei limiti della sana ispirazione, produce effetti tonali d'indubbia sicurezza.
Altra cosa è la mia creta
così brulla ed ardente
e lo stendersi piano
di pietre
in un cielo lontano.
(Io non sono)
E' questo uno dei tanti passi, scelto a caso, in cui ci è parsa più risaltante
quella sensitività di cui dicevamo, oltre ad una ricerca, accortamente _perseguita
per notazioni via via succedentisi, di essenzialità che rappresenta il modulo, intorno al quale gravitano le ragioni spirituali, una ricerca che non rifugge, nei casi
più immediati, dalla scarna elencazione di motivi, quando questi, nell'empito del
dettato, s'impongono da soli come elementi già trasfigurati dal sentimento della
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poetessa: «
Venire sulle marine bruciate / dell'Est / farmi scoglio nero / pietra
salmastra / bianca rena immobile / nei seni del mare / ago aromatico di pino /
che suona / sotto il passo della mia gente ».
Ad un amico che ci indicava il Pavese di « Verrà la morte ed avrà i tuoi
occhi » come uno dei probabili antefatti della poesia della Malecore, per certa
cadenza di ritmo, non abbiamo saputo, seduta stante, dir di no, ma un ripensamento ci ha fatti più accorti : il mondo dei fenomeni della poetessa salentina
è tutto in una involuzione romantica dei motivi di questo Salento (che qui è
'diventato, opportunamente data la natura evocativa della poesia, il Sud), una
involuzione che par quasi diventata ragione d'un costume. Non vorremmo, sia
detto per inciso, che in futuro, nel nome di questa ragione dovessimo trovarci
tra le mani non più il Salento, ma un logoro cliché, buono soltanto per le fiere
poetiche. Così, notazioni come questa :
Pellegrina d'amore
per le strade
del mio paese
mi vengono incontro
le case
col mio cuore d'un tempo
e quasi non lo riconosco.
(Pellegrina d'amore)
c'inducono ad orientare in altro senso la nostra ricerca.
Si avverta però il martellare di certi motivi, alcune lacerazioni dell'ispirazione
evidenti nella necessità del calco (« Sei tornato / a stringermi in una morsa i
quando tutto era remoto / fatto limo di me »: che è richiamo palese da un
tempo caro alla Ada Negri) e ci si accorgerà che non pochi sono i pericoli cui
va incontro la Malecore, particolarmente nella seconda parte della raccolta, dove
è evidente lo scompenso rispetto alla prima, pericoli rappresentati da altrettanti
strappi praticati in un tessuto eccessivamente teso. In questa seconda parte è
infatti raccontata, in termini di esaltata disperazione a volte, la storia intima dell'anima della Malecore. Non ultimo, tra i pericoli, quello dell'estetismo, avvertibile laddove il sentimento ci appare come tumefatto (Le gemme inturgidate / dal
sangue / battono alle vene / come altissimi gridi / alle porte del cielo) o addirittura trasferito, per semplice trasposizione, in zone di estrema rarefazione (Non
chiamarmi, amore, / voglio avere / orecchie di cera / ed occhi di duro cristallo)
in virtù di una complicata metafisica che ci fa sospettare fonti non eccessivamente
qualificate in fatto di poesia.
In ogni caso, tali manfestazioni possono sempre rientrare nel dominio della
più struggente femminilità che non può non prorompere, quando è fatta avvertita
dei pericoli suddetti, nel grido contratto:
No, non voglio
che si apra
la soffice tomba di me
che fiorisce poesia.
(Io mi difendo)
Enzo Panareo
CARLO TINCA "
Giornalismo e letteratura nell' Ottocento „ Bologna,i Cap.
pelli - 1959.
Per chi voglia avventurarsi nel vasto e solo in parte approfondito campo del
giornalismo letterario nell'Ottocento italiano, consigliamo la lettura della interessante antologia di studi critici che Carlo Tenca pubblicò sulla « Rivista Europea »
e sul « Crepuscolo » e che Gianni Scalia ha raccolto nel volume n. 27 della Biblioteca Universale Cappelli.
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9 - LA ZAGAGLIA
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La parte antologica vera e propria è preceduta da un'ampia prefazione in cui
lo Scalia esamina lo sviluppo del giornalismo italiano dell'Ottocento ed in particolare l'opera del Tenca. Da il « Caffé » al « Conciliatore », dagli « Annali di Statistica » al « Politecnico », è posto in risalto il graduale ma netto passaggio da uno
stile sterilmente cronachistico ad un responsabile impegno politico con l'esame
degli argomenti di fondo della società dell'epoca, ad una più spiccata sensibilità
per i problemi concreti, ad una concezione della rivista letteraria quale strumento
di azione ed educazione sociale e politica. E possiamo seguire il Tenca, dal 1845
alla direzione della « Rivista Europea », svolgere il suo lavoro di critica letteraria,
innalzandosi al di sopra della controversia classicismo-romanticismo nell'assimilazione, da ambedue i movimenti, dei risultati criticamente più validi per un esame
della letteratura contemporanea, dal Niccolini al Grossi e al Prati, all'editoria
popolare, alle strenne ed agli almanacchi. E dalla « Rivista Europea » il Tenca
passa alla redazione del « 22 Maggio » e dell'« Italia del Popolo » entrando nel vivo
della disputa politica sotto l'evidente influenza del Mazzini. E nel '49, col ritorno
degli austriaci in Lombardia, eccolo a Firenze dove scrive per breve periodo su
« La Costituente Italiana ». Ma, oltre che nella « Rivista Europea », l'opera più
valida del Tenca si svolge sul « Crepuscolo », rivista alla quale collabora il Cattaneo, durante l'interruzione del « Politecnico », dal 1845 a 1860. Il « Crepuscolo »,
più che partecipare attivamente alla lotta ideologica dell'epoca, contribuisce a
tener desta la coscienza politica nelle classi migliori della borghesia lombarda,
diffondendo il credo cavouriano nella funzione di guida del Piemonte e nella europeità del movimento italiano. Gli scritti critici del Tenca pubblicati sul « Crepuscolo » mirano a creare una letteratura nazionale e unitaria, al di sopra di ogni
provincialismo.
Dopo la non breve ed esauriente prefazione, lo Scalia raccoglie i più significativi scritti apparsi sulla « Rivista Euroepa » e sul « Crepuscolo », col pretesto di
far conoscere al grosso pubblico il lavoro di critica letteraria del Tenca ed il suo
impegno di rinnovazione della società.
Fra i saggi stralciati dalla « Rivista Europea » val la pena di leggere quello
dedicato alle « Condizioni dell'odierna letteratura italiana » (febbraio 1846), in cui
l'autore, individuando lo stretto rapporto esistente fra letteratura e società, analizza la crisi della prima riconducendola ad una insufficienza della seconda ad esprimere le forze innovatrici a lungo soffocate dalla propria inerzia; quelli dedicati a
Tommaso Grossi (aprile-maggio 1846) ed a Giovanni Prati (febbraio 1847) in cui si
critica profondamente l'improduttività della loro opera, tutta impregnata di sterile
e patetico romanticismo. Una aperta polemica contro questo movimento è il saggio
dedicato a Giuseppe Giusti (Crepuscolo - aprile 1850) nelle cui opere il Tenca crede
di riscontrare quell'esigenza rinnovatrice e quell'espressione di sana e virile popolariu' che dovrebbe informare ogni opera poetica. Sempre dal « Crepuscolo » sano
tratti il saggio su Silvio Pellico (febbraio 1854), dove la formulazione dell'interpretazione storicistica della letteratura sembra quasi preparare il terreno a quella
che sarà successivamente l'opera del De Sanctis, e quello sulle « Opere inedite di
Alessandro Manzoni (novembre 1850-gennaio 1851) in cui il Tenca polemizza con i
concetti formulati dal Manzoni in queste opere postume, circa cioè l'impossibilità
di una unità fra storia ed invenzione, fra morale e arte. Concetti questi che sembrano contrastare quasi con la ricerca, effettuata dal Manzoni stesso, di una possibile armonia fra religione e filosofia, fra ideologia e arte.
Di minore importanza, ma comunque sempre interessanti per una organica
visione della letteratura dell'epoca e dei problemi da essa derivanti, sono i due
saggi sulle « Strenne » e sugli « Almanacchi popolari », apparsi rispettivamente
sulla « Rivista Europea » del gennaio 1845 e sul « Crepuscolo » del gennaio 1850.
Nell'interessarsi a queste manifestazioni dell'editoria popolare, il Tenca ne rileva
i limiti ed i pericoli per una seria divulgazione scientifica e per la formazione dí
una autentica cultura popolare.
Ferruccio Morello
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