L`età normanna nel Mezzogiorno continentale

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L`età normanna nel Mezzogiorno continentale
L'età normanna
nel Mezzogiorno continentale
Siamo lieti di anticipare, per i nostri lettori, la parte
essenziale dell'Introduzione che il presidente della Società
di Storia Patria per la Puglia, organizzatrice dei Congressi
storici che si vanno, dal '50, svolgendo, ha preposto al volume, in corso di stampa, degli Atti del Congresso Internazionale di Studi sull'Età Normanna, che si svolse, a Bari, in
Terra di Bari e in Basilicata, dal 27 al 31 ottobre 1957.
N. d. il.
Se, dal '51 al '54, il primo ciclo di congressi storici pugliesi intese
diffondere, tra gli studiosi, la conoscenza diretta della regione e approfondire i problemi storici più rilevanti delle sue varie parti (dalla Terra
di Bari alla Capitanata, al Salento), il secondo mira a porre in luce la
funzione della Puglia e del Mezzogiorno continentale nella plurisecolare
vicenda del Regno, della più antica e durevole unità statale che abbia
avuto vita nelle formazioni uscite dal risorgimento — dopo il Mille —
della nazione.
Si sono prese le mosse dall'età normanna, in cui, sotto il pungolo
degli accorti avventurieri nordici, le basi — legislative, amministrative
e politiche — di quell'assetto unitario furono poste, nella varietà e nell'eclettismo delle forme di vita e della cultura, che ancor risentono degli
esempi longobardo, bizantino ed arabo e che costituirono una caratteristica inimitabile e il solo modo di preservare, nell'accentramento che si
avvìa, con Ruggero II, la funzione mediterranea e universale del Mezzogiorno d'Italia.
Sarà poi la volta dell'età sveva in cui, nell'abbinarsi di Regno e di
Impero, e nell'urto col concorrente universalismo della Chiesa, il centralismo dello Stato federiciano fa tacere anche le superstiti voci delle
autonomie locali : ma le istituzioni sono un perfezionamento di quelle
dell'età normanna e continua di questa l'eclettismo culturale e cultuale.
Poi ancora l'età angioina offrirà agli studiosi la possibilità dì chiarir
meglio il perchè e il come già con Carlo I la monarchia — che ha, ormai,
ancor prima del Vespro siciliano, rinunciato al duro accentramento svevo_
cando autonomia, e tespiro, agli organi regionali e locali — ristabi
L'intercapedine feudale, tra sovrano e popolo, che è dubbio segni,<
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mente, un vantaggio e un progresso. E questa autonomia si amplierà, in
età aragonese, per la stessa minor presa del potere centrale, che resta
estraneo alla nazione e che subirà, presso al suo epilogo, la scossa della
Congiura dei baroni; e si farà, in età spagnuola e viceregnale, più consapevole, nelle mille concessioni ottenute e nella definitiva estraneità ed
assenza del potere centrale, rappresentato ma lontano, dei propri diritti
e della sua forza.
Periodo breve di passaggio, l'occupazione austriaca, anche se, come
la francese — dal repubblicanismo ardente, ma di élites, della Repubblica partenopea al regno di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat —,
ricca di echi nella formazione delle nuove classi al potere e di cons2guenze sulla distribuzione della proprietà e della ricchezza.
Inframmezzata dal periodo, appunto, francese e conturbata, come e
più della spagnuola, da moti e congiure, l'età borbonica : la quale ha la
sua fisionomia, la sua dignità e la sua grandezza, espressa nell'illuminata
adesione di ministri e spiriti pensosi alle idee nuove, che, nel Mezzogiorno come nel nord d'Italia, non han bisogno di attendere a spuntare
che si diffondano gli esempi scaturiti dalla rivoluzione di Francia.
Coronamento di questo aderire spontaneo, nei ceti intellettuali, alle
idee nuove, e, insieme, dei moti di libertà che operavano almeno dal '99,
l'unità nazionale : che tuttavia lascia aperta la via al permanere di problemi, dai quali sollevarsi è apparso, per decenni, arduo. E sarà materia
ad un ultimo, conclusivo, congresso del ciclo, dopo quelli sull'età spagnuola e sull'età borbonica.
Per intanto, il Congresso di studi sull'età normanna era destinato a
porre le premesse indispensabili e le basi ad una valutazione nuova -fin qui solo sfiorata dalla storiografia, ch'è per il periodo dai Normanni
agli Aragonesi in gran parte straniera — della funzione della Puglia
e delle altre terre continentali nella formazione dello Stato normanno.
Come e perchè si passasse dal « Ducatus Apuliae », superba costruzione dovuta al genio politico di Roberto il Guiscardo, che sembrava dovesse conglobare e riassumere ogni altro sforzo propulsivo normanno,
nella stessa Sicilia tolta agli Arabi, al « Regnum Siciliae », con cui il figlio
ed erede del massimo artefice della redenzione cristiana dell'isola dette
prova della maturità del suo ingegno, politico più che militare : questo
l'interrogativo cui anticiperemo già qui una risposta. Che poi questo
Stato, rimasto fino a Manfredi apulo-siciliano o siculo-pugliese, si mutasse, prima ancora che nel nome nella sostanza, in un regno napoletano,
ciò fu dovuto ad un evento politico-militare e ad una conseguenza della
creazione d'una stabile capitale : la perdita della Sicilia e il richiamo
esercitato da Napoli, con la sua università e i suoi uffici, su i giovani
delle provincie.
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Finchè la Sicilia rimase congiunta ai domini di terraferma, l'osmosi
— di gruppi popolativi e d'individui, feudatari e funzionari, di commercianti, di stranieri — fu costante e continua : anche se ciò non determini
un uniformarsi della struttura amministrativa che resta, per la Sicilia,
particolare e distinta.
Se, nel momento in cui si erge la figura di Ruggero II, Palermo assurge a « caput regni » e la Sicilia dà il nome e assume il controllo della vita dello Stato, ciò è dovuto ad un fatto dinastico elementarmente visibile, rimontante alle contese successive alla morte, a
mezzo l'impresa grandiosa d'Oriente, di Roberto il Guiscardo : al progressivo indebolirsi del ramo pugliese degli Altavilla, con Ruggero Borsa
e Guglielmo, a tutto vantaggio della maggior vitalità e capacità del ramo
ormai siciliano, rappresentato dal gran conte Ruggero e dal suo omonima
secondogenito e successore, al termine della reggenza della terza sposa,
l'aleramica Adelaide. Sicchè, quando, nel 1127, Guglielmo di Puglia viene
a morte, il destino dell'unificazione, prima ancora dinastica che politica,
si compie e l'erede del conquistatore della Sicilia assorbe le eredità giacenti degli altri epigoni di quei primi Altavilla, che il patto di famiglia
di Melfi aveva mossi alla conquista delle terre d'intorno. Le discese imperiali e l'alleanza anti-normanna di cui si fa aùspice Innocenzo II non
fanno che accelerare, per ragioni di sicurezza dello Stato normanno, la
fine delle repubbliche marinare tirreniche e delle città autonome della
sponda adriatica : mentre dallo scisma romano, che aveva opposto Anacleto II ad Innocenzo, Ruggero traeva la definitiva e incoraggiante sanzione della già raggiunta unità dei domini normanni, con l'incoronazione
a « rex Siciliae, Calabriae ed Apuliae », cui si aggiungevano il « principatus Capuae » e l'« honor Neapolis » (ma egli preferì la formula abbreviata di « rex Siciliae et Italiae »), a Palermo, il Natale del 1130.
Tuttavia, già all'indomani dell'unità raggiunta, lo Stato normanno
si trova a dover affrontare, nella commozione che dovette percuotere le
maggiori potenze del tempo di fronte al fatto e alle sue possibili conseguenze, di cui sopra tutto lo status del bacino del Mediterraneo avrebbe
avuto a risentire, vaste coalizioni straniere e moti di città, àpule e campane, connesse a quelle coalizioni. Ruggero ne esce vittorioso : e costrin.
ge, sull'esempio dei suoi maggiori, il Papato al riconoscimento anche delle ultime concessioni — imperniate su quella Legazìa di Sicilia che peserà
duramente per secoli su i rapporti della Chiesa col Regno —, ottenute da
Anacleto II, le città e i feudatari ad una drastica riduzione dei loro poteri. Ristabilita la situazione all'interno e alle frontiere, può sviluppare
le tre culture del Regno — l'araba, la greca, la latina —, imprimere l'impronta del costruttore in monumenti che ancor s'ergono possenti — dal
Duomo di Cefalù alla Cappella Palatina —, avviare la conquista dell'Africa settentrionale, rinnovando anche, così, quei disegni orientali che
erano parsi sopìti dopo la morte del Guiscardo e che, presso al fatale
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esito della dinastia, il nipote, Guglielmo II, riprenderà nella stessa direzione, antibizan tina, senza successo.
Il momento successivo alla morte di Ruggero II segna la grande
crisi dello Stato normanno : forse perchè troppo accentuatamente siciliano, e proprio mentre massimo consigliere e ispiratore d'una nuova
politica antifeudale è un barese, Majone, la catena delle sanguinose insurrezioni pugliesi, e delle più sanguinose repressioni, riprende, complicata, e certo preceduta, da intrighi di palazzo e congiure di principi, e
Gu g lielmo I, il Malo, scompare nell'ombra di un isolamento, proprio del
costume orientale che trionfa nella corte, ma anche effetto dell'addensarsi di fosche ombre sulla famiglia regia.
Rinnovatore delle leggi dell'avo e più dolce nel tratto, verso feudatari e sudditi, Guglielmo II, il fondatore della basilica di Monreale, è
presto assorbito dal dramma della mancanza di un erede, pur dopo le
nozze con la sorella di Riccardo Cuor di Leone, l'inglese Giovanna, che
recherà dalla sua patria funzionari, chierici, letterati, aggiungendo influenza a influenza. Se vivrà di Guglielmo il Buono, in un ininterrotto
richiamo che non è solo nostalgico sentimento di popolo, ma riferimento
costante nelle successive, aspre, vicende del Regno, il largheggiare verso
le università e le terre in genere, uno spirito nuovo di liberalità nelle
esazioni — tanto da apparire la sua già ai non molto tardi nipoti come
l'età dell'oro —, il pressochè inspiegato patto concluso col più accanito
nemico del Regno, l'Impero tedesco, nella persona del Barbarossa, ne
fa, dinanzi alla storia, il responsabile della tragica rovina della sua gente.
Che invano, richiamandosi anch'essa, attraverso un nipote negletto del
grande Ruggero, all'ora della maggior gloria e fortuna, tenta, morto GLiglielmo, di annullare gli effetti del matrimonio di Costanza d'Altavilla
con Enrico VI e di arginare poi, superata l'aspra contesa con gli inglesi
di Riccardo Cuor di Leone, l'invasione, che sùbito si profila, del Regno.
L'antico conte di Lecce, Tancredi, gran connestabile sotto il cugino Gu-.
glielmo II, suo condottiero nell'impresa d'Oriente, ha appena il tempo di
rivelare — nei rapporti coi burgenses, che• stanno per lui, e con le chiese
— doti di accorto politico : prima acerbi lutti, poi la sua stessa morte,
a_prono la Sicilia alla spietata conquista sveva.
A vendetta del tradimento consumato verso i suoi parenti della famiglia reale (mandati a morire coi loro fedeli nella lontana Germania), delle spogliazioni e delle ruberie, matura forse nel cuore di Costanza, certo
in alcuni maggiorenti siciliani, la rivolta antitedesca : che Enrico VI
stronca nel sangue dei congiurati e dei sospetti.
La morte improvvisa del conquistatore dà respiro al Regno : ma con
la fine, a un anno di distanza, pure di Costanza, si apriva la lunghissima
crisi, da cui prima la protezione di Innocenzo III, poi il genio precoce
di Federico II, dovevano trarre lo Stato, che il grande Ruggero aveva
costruito, fondandolo su una fusione tra indigeni e conquistatori che
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sarebbe rimasta senza esempio nella storia. Anche ripudiando la pur significativa rivendicazione nazionale che Matteo d'Ajello e Tancredi di
Lecce avevano impersonato e ricollegandosi a Guglielmo II, Federico
avrebbe riassunto in sè, con un carattere più spiccato di modernità, nella
stessa prevalenza del suo interesse per la Sicilia e per la Puglia su quello
per la Germania, gli elementi più alti di civiltà, l'eclettismo culturale e
religioso, le capacità innate del costruttore, le aspirazioni mediterranee
e orientali, che gli venivano dal materno sangue normanno.
Se si fosse potuto — superando difficoltà di ogni genere — realizzare il programma, per così dire, itinerante del Congresso, percorrendo
quello che fu, alla conquista delle terre intorno, il cammino dei figli dí
Tancredi d'Hauteville, di recente venuti dalla normannizzata penisola del
Cotentin, l'uno dopo l'altro, richiamati dalle notizie di successi insperati,
lentissime ad arrivare, non si sarebbe potuto che cominciare da Melfi,
da dove il breve acrocoro del Vùlture digrada. Da lì i Normanni, le cui
prime schiere i Greci avevano battuto a Canne assieme agli insorti antibizantini publiesi, rinforzati dalle nuove leve transmarine, padroni ormai,
per l'aiuto offerto al duca Sergio di Napoli contro Pandolfo di. Capua,
della contea di Aversa, sul versante tirrenico, volsero, nel 1041, alle maggiori fortune. Raccoltivisi, due anni dopo, a parlamento, ne venne la suddivisione del paese — conquistato e da conquistare — tra i dodici conti
fratelli. Melfi fu, da allora, il centro della Normannìa peninsulare e la
sede, con Guglielmo Bracciodiferro, Drogone, Umfredo e Roberto il Guiscardo, della Contea di Puglia, finchè, nel dilatarsi degli interessi, con la
conquista iniziata della Sicilia e l'estensione dei domini nella Calabria,
nel 1077 il Guiscardo, posto fine al principato longobardo di Salerno,
non vi si trasferì, senza che per questo Melfi decadesse, se non assai lentamente, dalla sua importanza, chè, ancora, sino alla fine dell'età sveva,
fu sede di parlamenti e concili e da Federico II prescelta nel 1231 per la
solenne emanazione delle « Constitutiones Regni ». Da Melfi cinta di mura
(ove rimasero a lungo gli archivi del Regno prima di trasferirsi, a dorso
di mulo, come alcuna fonte ricorda, a S. Salvatore a mare a Napoli), il
cammino doveva condurre — nell'ideale viaggio che non ha potuto
trovare corrispondenza, purtroppo, nella realtà — alla più pianeggiante
Venosa, patria di Orazio e forse di Manfredi; là, dove, nell'abbazia benedettina della Trinità, eretta, appena in tempo, da Drogone, fu tumulata
la sua salma, ucciso che fu, mentr'era assorto in preghiera nella chiesa
di Monte Ilaro, nell'insorgere di elementi filo-bizantini, nel 1051, e, assieme, Roberto il Guiscardo vi fece porre quella del maggior fratello, Guglielmo, estinto nel 1046, così come quella del terzo conte di Puglia e
suo predecessore, Umfredo, morto nel 1057. E ancor v'è, solo superstite
tra i molti monumenti funebri, la tomba di Al berada, la prima moglie del
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Guiscardo, la madre di Boemondo, che, ripudiata dal marito, bramoso
d'affrettare — con le nuove nozze con Sichelgaita, sorella del principe di
Salerno, .Gisulfo — i tempi della totale conquista del Mezzogiorno, era
stata rinchiusa nell'appena compiuto castello di Melfi. Genesi del dramma, da cui doveva venire, col diseredamento di Boemondo a favore dei
figli di Sichelgaita, la rovina del ramo principale, pugliese, degli Al tavilla.
E dell'eroe crociato, morto ad Antiochia nel 1111 e riportato in Puglia
per sua estrema volontà, si sarebbe dovuto subito rivedere la singolarissima tomba, che ancor sorge, allato della cattedrale di San Sabino, a
Canosa.
Melfi, Venosa, Canosa, dunque, le prime tappe del viaggio alla ricerca del passato normanno della regione pugliese; e Bari stessa, che dalla
riconquista operatane nel 1071 da Roberto il Guiscardo fu restituita al
mondo e alla Chiesa occidentale, e, più lontane, non fuori dell'orizzonte,
ma delle possibilità pratiche di questo Congresso, Taranto e Lecce, che
furono sedi dei più importanti domini feudali fin dall'età normanna; e
si dovrebbero aggiungere Brindisi, Castellaneta, Montescaglioso, a segnare i punti di maggiore istanza della conquista e del governo normanno.
Ma, tra Bari e l'alta Puglia, l'odierna Lucania, che le fu congiunta,
e la Terra d'Otranto, stretta per vincoli di famiglia in più momenti a
Lecce, a Montescaglioso, a Brindisi, sede d'una delle contee più forti e
potenti, e d'una delle badie più ricche di storia, è Conversano, dove una
delle sedute del Congresso si è svolta.
In questo, che è stato lo scenario, presentatosi agli occhi dei congressisti, hanno trovato il loro inquadramento le tredici relazioni e le
altrettante comunicazioni svolte da studiosi italiani e stranieri nelle
varie sedute.
Dopo il discorso inaugurale, in cui un maestro di studi medievali e
di probità scientifica, Roberto Cessi, ha tracciato le linee di svolgimento
de « L'epopea normanna », i problemi dell'età sono stati rivissuti, nella
loro posizione, intanto, storiografica, nell'analisi delle fonti e della letteratura storica italiana e straniera.
Nella serie delle relazioni particolari (ma generali, su i grandi tèmi,
che si presentano alla meditazione e all'indagine degli studiosi), una prima — « Puglia e Sicilia nella formazione del Regno » — è valsa, non solo
a chiarire il motivo scientifico del perchè la Puglia — dopo le conferenze
palermitane a ricordo dell'ottavo centenario della creazione del Regno di
Sicilia e il Congresso, organizzato dalla Società Siciliana di Storia Patria
nella ricorrenza centenaria della morte di Ruggero II — abbia assunto
l'iniziativa ,di questo nuovo Convegno, ma a riconsiderare la funzione della Puglia e del Mezzogiorno continentale nella creazione del primo Stato
unitario del mondo medievale. Questo il problema, connesso alla vicenda
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del ramo principale degli Altavilla e della feudalità continentale della Normannìa italiana, che in ogni relazione e comunicazione avrebbe dovuto
trovar rispondenza, se non fossero spesso prevalsi i consueti spunti generici, di cui la storiografia, purtroppo, continua a vivere. E nella stessa
prima seduta, pomeridiana, del 27 ottobre sono state tenute altresì le attese comunicazioni di Emil G. Léonard, lo storico della Normandia e degli
Angioini di Napoli, sul tema : « Normands d'Italie et Normands de Normandie », del decano dei bizantinisti, Henri. Grégoire, su « L'intervention
de l'empereur Émanuel Comnéne en faveur des révoltés de la Pouille dans
l'historie et dans l'épopée », di Fernand Vercauteren, lo storico di Liegi,
direttore de « Le Moyen Age » e già dell'Accademia Belga di Roma, su « I
rapporti fra il Belgio e il Regno di Sicilia nella seconda metà del secolo XII ».
Sempre al Castello di Bari, la seduta antipomeridiana del 28, presente uno stuolo di storici del diritto e giuristi, è stata aperta dalla
relazione ,di Camillo Giardina su « La legislazione normanna », cui ha
fatto da opportuna appendice la comunicazione di Riccardo °restano su
Appellatus nelle Assise normanne ». Quindi Walther Holtzmann, direttore dell'Istituto Storico Germanico di Roma, il continuatore di Paul Kehr
nell'edizione dell'« Italia Pontificia » e direttore della più antica e autorevole rivista di studi medievali, il « Deutsches Archiv », nonchè delle
« Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Biblioteken »,
ha prospettato alcuni dei problemi di maggior rilievo che si presentano
all'indagine relativa ai rapporti tra il Regno normanno e la Chiesa romana.
La seduta pomeridiana, dopo una visita ai monumenti normanni e
l'inaugurazione della mostra delle pergamene all'antica abbazia di S. Benedetto, si è svolta a Conversano : commemorato, da d. Cosimo Ruppi,
nel nono centenario della morte, il conte Umfredo, Francesco Babudri ha
rievocato l'opera e la figura di un altro « comes » normanno, Amico di
Giovinazzo, e P. Benedetto Pesci, l'archeologo francescano, ha parlato dei
« Ricordi normanni a Roma ». Nel chiuder la seduta, Francesco Calasso
ha proposto la ristampa del « Cartolarium Cupersenense » di Domenico
Morèa, ricordando l'opera meritoria del geniale erudito, che fu l'animatore di siffatti studi in Terra di Bari.
Un attento sopraluogo alle superstiti vestigia normanne di Bari vecchia e, in particolare alla cripta restaurata di S. Nicola e a S. Gregorio, ha
aperto, martedì 29, il terzo giorno del Congresso. Son seguite due delle
relazioni più impegnative : di Francesco Calasso, su « Le università meri-,
dionali e i Comuni » e di Antonio Marongiu, su « Le istituzioni politiche :
la feudalità ed il Regno ». Sempre al Castello, la seduta pomeridiana del
29 è stata particolarmente ricca di relazioni; sotto la presidenza di Henri
Grégoire, Franz D6lger e Michel Lascaris, hanno parlato Marguerite Mathieu, su « Bizantini e Normanni », leggendo anche un rapporto di. L. R.
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Ménager, Francesco Gabrieli su « Arabi e Normanni », Roberto Cessi su
« Venezia e i Normanni », Mario Chiaudano, su « Genova e i Normanni ».
E la giornata si è conclusa con un concerto di antiche musiche, a cura
della Polifonica barese, nella Cattedrale.
La giornata del 30 è stata dedicata ad una rapida corsa nel Villture
a Venosa, Giuseppe Agnello ha tenuto la relazione su « L'architetura religiosa, militare e civile », e Giovanni (Magli quella su « Le zecche e la monetazione Quindi, Tommaso Pedìo si è occupato de « L'ordinamento
tributario del Regno normanno » e Illuminato Peri degli aspetti della vita
economica. La visita alla SS. Trinità di Venosa, nella impressionante nudità del paesaggio in cui sorge, ha fatto riflettere i congressisti italiani e
stranieri sulla labilità delle costruzioni umane : in tale abbandono il già
superbo tempio è lasciato. Come, del resto, il Castello di Melfi, in cui non
è stato possibile organizzare l'accesso neppure di un limitato numero di
persone.
L'ultima giornata del Congresso ha visto i congressisti a Ruvo, a Canora, così ancor ricca di ricordi normanni, ad Andria, a Castel del Monte :
e, a sera ormai inoltrata, .di ritorno a Bari, la riunione di chiusura è stata
tenuta, con la relazione di Antonino De Stefano su « La cultura dell'età
normanna » e le comunicazioni, filologico-glottologiche, di Carlo Battisti,
Giovanni Alessio e Oronzo Parlangèli. Ettore Paratore riprendeva il tèma,
su cui s'era diffuso il De Stefano, sottolineando quella che è la sorte di
ogni congresso, anche nato nell'ambiziosa speranza di recare una parola
nuova, e definitiva, su gli argomenti prescelti : di aver posti, più che
risolti, problemi, per suo conto aggiungendone altri, tratti dalla sua conoscenza delle fonti letterarie dell'età normanna; e un altro insigne maestro di studi latini, Jean Bayet della Sorbona e attuale direttore dell'École Francaise di Roma chiudeva, con nobili parole, la seduta e il Congresso.
Che, se fosse stato compreso il nostro invito o colto il nostro spunto
iniziale, inteso ad avviare, nel continuo raffronto tra la più nota fisionomia dello Stato normanno in Sicilia e le caratteristiche differenziali (ambientali, storiche, feudali) delle regioni del continente, avrebbe dovuto
recare a un ulteriore approfondimento della costruzione generale del Regno, a un senso, almeno in parte nuovo, della funzione, tra esse, rappresentata, in particolar modo, dalla Puglia. L'attendevamo da alcune delle
relazioni appunto per ciò precostituite al Congresso, e la cui definitiva
redazione abbiamo invano fin qui atteso dagli autori, non certo dalle non
molte comunicazioni, che non potevano non essere e restare di contorno,
anche se, da talune, qualche apporto sia venuto ai fini di quella rinnovata valutazione, che si postulava, delle forze agenti nel sostrato, in età normanna, del Mezzogiorno.
Vi è negli studi, in taluni studi — è doloroso, ma onesto, il constatarlo —, in quelli a noi più cari, una certa lassezza, un certo abbandono.
Per cui invano abbiamo protratta per due anni la nostra attesa. E ciò ci
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persuade ancora una volta che nulla, di quel che l'uomo opera, sfugge, per quanti sforzi si pongano in atto ad evitarlo, ad un suo triste
destino : l'incompiutezza, e il divario tra l'opera comune e il tentativo
isolato, tra la valutazione complessiva del singolo e la dimostrazione, cui
occorrerebbero molte vite e una somma di competenze specifiche, quali
il grado raggiunto dalla scienza non può più consentire ad alcuno.
Non abbiamo, quindi, ritegno a riconoscere che la nostra speranza,
espressa nell'ultimo saluto rivolto al Congresso, che quanto dalle troppo
rapide enunciazioni orali non era sempre apparso, maturasse nella redazione delle relazioni, emergesse da quegli « Atti », in cui, meglio, sarebbe
stato da ricercare il motivo e il risultato delle nostre riunioni, sia stata,
per gran parte forse, purtroppo, elusa.
Era, in effetti, un arduo compito, quello assegnato al Congresso;
cui il carattere distintivo e la ragion d'essere derivava proprio dall'aver inteso animare storici italiani e stranieri, storici puri e giuristi, economisti, filologi, storici dell'arte e della cultura, alla ricerca dei motivi
di sviluppo e di confluenza, di continuità e di discontinuità, tra il continente e la Sicilia, Normannìa bizantina e longobarda e Normannia araba,
in quella che fu la grande ora della prima unità raggiunta dal Mezzogiorno.
L'esperimento sarà continuato per le età successive, attraverso i successivi congressi : che, nei prossimi anni, e già in questo, seguendo uno
stesso itinerario pratico e ideale, condurranno gli studiosi dall'età sveva
alla angioina, dalla aragonese alla spagnola, alla borbonica, alla unità nazionale, che si basò, oltre che sull'apporto piemontese, militare e politico,
sulla unità del Regno meridionale, mantenutasi nei secoli.
PIER FAUSTO PALUMBO
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