Sentenza della Corte di Appello di Trento del 15 marzo 2010

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Sentenza della Corte di Appello di Trento del 15 marzo 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Trento, in funzione di magistrato del lavoro,
riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei Signori Magistrati:
DOTT. FABIO
MAIONE
PRESIDENTE REL.
DOTT. MARIA GRAZIA ZATTONI
CONSIGLIERE
DOTT. IOLANDA
CONSIGLIERE
RICCHI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello per le controversie di lavoro
iscritta a ruolo in data 11/11/2009 al n. R.G. …/2009, promossa
con ricorso in appello ex art. 433 c.p.c. di data 30.10.2009
DA
P. N., rappresentata e difesa dall'Avv. A. F. e S. G. di Trento, con
domicilio eletto presso quest’ultima, giusta delega a margine del
ricorso ex art. 414 c.p.c. di prime cure.
APPELLANTE
CONTRO
P. I. S.p.A., con sede in Roma, in persona del suo legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. S. T.,
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del foro di Milano, ed elettivamente domiciliata in Trento presso lo
studio dell’avv. B. F., giusta procura notarile in atti
APPELLATA – APPELLANTE INCIDENTALE.
OGGETTO: RISARCIMENTO DANNI: ALTRE IPOTESI.
Appello avverso la sentenza definitiva n. 87/09, in data 17/04 09/06/2009, del Tribunale di Trento, sez. Lav..
Causa ritenuta in decisione sulla base delle seguenti
CONCLUSIONI
DI PARTE APPELLANTE:
( da ricorso in appello ex art. 433 c.p.c.):
Piaccia all’Ill.ma Corte d’Appello di Trento, Sezione Lavoro, ogni
contraria istanza reietta, in parziale riforma della sentenza n. 87/09
d.d. 17.04.2009, del Tribunale di Trento, Sezione Lavoro, depositata
in Cancelleria in data 09.06.2009,
Nel merito
Condannare la società P. I. S.p.a. alla reintegra e/o al ripristino della
funzionalità del rapporto di lavoro intercorrente tra la ricezione
dell’offerta formale della prestazione lavorativa effettuata dalla
ricorrente in data 28.04.2005 e l’effettivo ripristino del rapporto ed
al
pagamento
delle
retribuzioni
non
percepite
nel
periodo
intercorrente tra la ricezione dell’offerta formale e l’effettivo
ripristino del rapporto di lavoro, oltre ad interessi e rivalutazione
monetaria come per legge.
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In ogni caso con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa anche di
primo grado.
In ogni caso, interessi e rivalutazione monetaria su tutte le somme
richieste dalle singole scadenze al saldo; spese diritti ed onorari
rifusi.
DI PARTE APPELLATA – APPELLANTE INCIDENTALE:
(da memoria difensiva con appello incidentale):
Nel merito,
Respingere l’appello avversario e confermare la sentenza del
Tribunale di Trento, sezione Lavoro, n. 87/2009, resa inter partes in
data 17 aprile 2009, pubblicata in data 9 giugno 2009, non notificata;
Condannare l’appellante alla rifusione delle spese del grado di
giudizio;
In via incidentale
In riforma del primo capo di sentenza, accertare e dichiarare la
legittimità dell’apposizione del termine apposto al contratto
intercorso tra P. I. s.p.a. e la signora P. in data 9 giugno 1999 e
decorrenza 10 giugno 1999 e, per l’effetto, respingere tutte le
domande svolte dalla ricorrente nei confronti di P. I. s.p.a. con il
ricorso introduttivo del primo grado di giudizio, in quanto infondate
e, in parte, prescritte;
In via incidentale subordinata
Per l’ipotesi in cui codesto Ill.mo Tribunale ritenesse fondata la
domanda
avversaria
e
condannasse
P.
I.
s.p.a.,
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previa
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ricostituzione/reintegrazione/ripristino del rapporto di lavoro come
richiesto, al pagamento delle retribuzioni non percepite, si chiede che
la quantificazione dell’eventuale danno tenga conto di quanto
percepito come reddito da lavoro dalla signora P. dopo la cessazione
del rapporto, come risulta dalla documentazione avversaria prodotta
agli atti e di ogni altro reddito da lavoro che dovesse risultare
percepito all’esito dell’istruttoria e del comportamento tenuto dalla
ricorrente ex art. 1227 cod. civ., nella misura ritenuta di giustizia;
In via incidentale e ulteriormente subordinata, per l’ipotesi in cui
codesta Ecc.ma Corte ritenesse fondata la domanda avversaria e
condannasse P. I. s.p.a., previa ricostituzione del rapporto di lavoro
come richiesto accertare e dichiarare che, in forza dello jus
superveniens,
la
lavoratrice
ha
diritto
ad
una
indennità
omnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un
massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto e
non al pagamento delle retribuzioni dalla data di messa in mora sino
alla riammissione in servizio.
In ogni caso
Condannare l’appellante alla rifusione delle spese del grado;
In via istruttoria,
Si ripropongono tutte le istanze, deduzioni ed opposizioni offerte nel
primo grado di giudizio.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
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N. P. con ricorso depositato il 05/05/2008 adiva il Tribunale
di Trento, in funzione di giudice del lavoro, facendo presente di aver
svolto attività lavorativa alle dipendenze della P. I. S.p.A. in forza di
reiterati contratti a tempo determinato (l’ultimo dei quali scaduto il
31/08/1999); chiedeva, quindi, che fosse accertata la nullità del
termine
apposto
ai
suddetti
contratti
con
conseguente
riconoscimento dell’esistenza del rapporto di lavoro a tempo
indeterminato; e che, inoltre, venisse ordinato alla P. I. s.p.a. di
ripristinare il rapporto stesso, con condanna della convenuta al
pagamento delle retribuzioni perdute e dei relativi accessori.
Resisteva a dette pretese, contestandole, la società convenuta,
eccependo in primo luogo lo scioglimento per mutuo consenso del
rapporto di lavoro.
Procedutosi alla rituale istruzione anche a mezzo di
acquisizione di documenti, il Tribunale adito con sentenza n. 87/09
accoglieva la domanda della ricorrente limitatamente alla parte in cui
era stata contestata la legittimità del termine di scadenza apposto al
contratto, respingendo invece le ulteriori richieste della lavoratrice.
Avverso tale sentenza la P. proponeva tempestivo gravame con
ricorso depositato in data 11/11/2009, spiegando le conclusioni
riportate in epigrafe.
Resisteva all’impugnazione, chiedendone la reiezione, la P. I. S.p.A.,
costituitasi con memoria difensiva depositata in data 01/04/2010,
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con cui proponeva anche appello incidentale al fine di sentire
affermare la legittimità del contratto a termine intercorso tra le parti
e, in subordine, per sentire ridurre il quantum debeatur.
All’udienza del 12.04.2010, a seguito di discussione orale delle parti,
la causa era decisa come da separato dispositivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Sullo scioglimento dei rapporti di lavoro per mutuo
consenso ex art. 1372 cod. civ.
Dopo avere affermato la nullità dell’apposizione del termine al
contratto di cui trattasi e la conseguente conversione del rapporto in
altro a tempo indeterminato, il Tribunale ha negato la possibilità di
ripristinare il rapporto di lavoro e di condannare il datore di lavoro al
pagamento delle retribuzioni, osservando che esso, come si sarebbe
potuto dedurre dal comportamento delle parti, si era sciolto per
mutuo consenso.
La questione di diritto consistente nella rilevanza di fatti concludenti
ai fini dello scioglimento del rapporto di lavoro a tempo determinato
per mutuo tacito consenso è, come noto, stata ripetutamente portata
all’attenzione dei giudici di merito e della Suprema Corte, anche in
relazione a casi specifici analoghi alla fattispecie in esame. Il
Tribunale di Trento, in particolare, si era sin qui espresso sulla
questione in maniera opposta rispetto alla decisione oggi gravata e
questa Corte ha di recente confermato tale precedente orientamento.
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Si impone, dunque, una rimeditazione della questione stessa.
Si
tratta, evidentemente, di chiarire in cosa possano concretamente
essere individuati i suddetti fatti concludenti, interpretazione
certamente delicata allorquando si tratta, come avviene nel caso in
esame, di valutare condotte dei lavoratori in danno di essi medesimi.
Orbene, hanno osservato il primo giudice e la società appellata che
nel caso concreto i due contratti a termine in discussione avevano
avuto una durata estremamente contenuta, non avendo mai superato
i tre mesi di durata complessiva; che la ricorrente aveva atteso oltre
cinque anni prima di radicare il contenzioso nei suoi confronti; che
nelle more la ricorrente aveva instaurato altri rapporti di lavoro,
ricevendo una retribuzione; che tale inerzia sarebbe idonea a
configurare il disinteresse della P. (e della appellata) alla ripresa del
rapporto di lavoro con P. I.; che non potrebbe concepirsi
l’assoggettamento del datore di lavoro per un tempo estremamente
lungo ed imprecisato al diritto potestativo dell'ex dipendente di far
valere la pretesa illegittimità del contratto a termine suddetto, onde
ottenere un lauto risarcimento del danno ed il ripristino del rapporto
di lavoro cessato molto tempo prima; che diversi precedenti
giurisprudenziali, sulla base delle riferite argomentazioni, hanno
affermato lo scioglimento contratto per mutuo tacito consenso delle
parti.
Ritiene questa Corte di dover sottolineare la risalenza nel tempo dei
riferiti precedenti.
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La Suprema Corte, infatti, proprio in fattispecie riguardante la P. I.
S.p.A., ha più di recente statuito che “nel giudizio instaurato ai fini
del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro
a tempo indeterminato, sul presupposto dell'illegittima apposizione
al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa
configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è
necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso
dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonché del
comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze
significative - una chiara e certa comune volontà delle parti
medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto
lavorativo; la valutazione del significato e della portata del
complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le
cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non
sussistono vizi logici o errori di diritto (Nella specie, la S.C. ha
confermato la sentenza di merito, che aveva considerato la mera
inerzia del lavoratore dopo la scadenza insufficiente a ritenere
sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso)” (così
Cass.civ., Sez. lav., n. 20390 del 28/09/2007; nello stesso senso v.
Cass.civ., sez. lav., n. 23554/04).
Ed ancora più recentemente la Suprema Corte (v. Sez. L, Sentenza n.
26935 del 10/11/2008) ha ribadito in un caso del tutto simile il suo
pensiero: “Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della
sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato,
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sul presupposto dell'illegittima apposizione al contratto di un
termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una
risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia
accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la
conclusione
dell'ultimo
contratto
a
termine,
nonchè
del
comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze
significative - una chiara e certa comune volontà delle parti
medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto
lavorativo; la valutazione del significato e della portata del
complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le
cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non
sussistono vizi logici o errori di diritto (Nella specie, la S.C. ha
confermato la sentenza di merito, che aveva considerato la mera
inerzia del lavoratore, per un periodo di oltre tre anni dopo la
scadenza, insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso)”.
In sostanza, ritiene questa Corte d’Appello che, in una situazione
quale quella in esame, per la configurabilità di una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso sia necessario l’accertamento di una
volontà delle parti (di porre definitivamente fine ad ogni rapporto
lavorativo) che emerga in maniera chiara e certa.
Orbene, il lasso di tempo (di oltre cinque anni) trascorso dopo la
conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonché la ricerca ed il
conseguimento di diversi posti di lavoro non sembra che possano
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essere di per sé ritenuti significativi di una siffatta volontà se sol si
consideri la scarsa chiarezza della normativa vigente (tanto che dalla
sua interpretazione sono scaturiti orientamenti giurisprudenziali
assai difformi) ed il conseguente stato soggettivo della lavoratrice la
quale, evidentemente, in detta incertezza, ha presumibilmente
continuato a sperare in altre nuove assunzioni, anche a tempo
determinato; e, successivamente, si è col tempo venuta a trovare,
nell’attesa di un chiarimento normativo e/o giurisprudenziale della
situazione, nell’ovvia necessità di ricercare un’altra occupazione.
Detta condotta, di speranzosa attesa da un lato e di ricerca dall’altro
dei necessari mezzi di sopravvivenza, è stata in sostanza per
l’appellante l’unica possibile e non può dirsi quindi, con logica
sicurezza, che il mero ritardo con cui la ricorrente ha intrapreso la via
della rivendicazione dei propri diritti e l’ottenimento nel frattempo di
altri lavori costituisca di per sé elemento idoneo a perfezionare quella
chiara ed evidente volontà di recesso di cui la Suprema Corte ha
parlato nelle sentenze sopra ricordate.
Tanto più che, guardando la vicenda sotto diverso profilo, se la
lavoratrice, scaduto il termine, abbia ritenuto legittimamente cessato
il contratto, la sua convinzione, ricavabile dalla mancata immediata
richiesta di riassunzione, sarebbe stato frutto dell’erronea valutazione
in ordine alla legittimità del termine scaduto; mentre, una volta
divenuto di pubblico dominio il contenzioso apertosi su tale ultima
questione, non può presumersi alla luce della semplice inerzia della
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lavoratrice il suo consenso alla cessazione di un contratto che avrebbe
ipoteticamente essere considerato trasformato in un altro a tempo
indeterminato: ed infatti, nei limiti del lasso di tempo necessario al
maturare della prescrizione, la lavoratrice ben avrebbe potuto
attendere
il
sopravvenire
di
un
chiarimento
legislativo
o
giurisprudenziale sulla legittimità o meno del termine in questione,
per poi agire a tutela dei propri diritti.
La doglianza dell’appellante, pertanto, merita accoglimento.
Sull’appello incidentale
La conclusione di cui sopra rende necessario l’esame del gravame
incidentale, volto in primo luogo a contrastare la decisione del
Tribunale in ordine alla legittimità del termine del contratto.
Preliminarmente va ricordato che al momento dell’assunzione
dell’appellata era pacificamente in atto un’imponente e gravosa fase
di riorganizzazione e ristrutturazione dell’ente pubblico P. in società
per azioni che, avendo anche investito l’offerta di plurimi nuovi
servizi (quale la Posta prioritaria, il Bancoposta, la raccolta e
ridistribuzione delle stampe, il consorzio logistico pacchi, il sistema
di consegna ad areola, il servizio on line ecc.), aveva richiesto una
profonda revisione dell’utilizzo del personale dipendente e la
necessità, peraltro temporanea, di assunzioni a tempo determinato.
Va anche sottolineato, a questo punto, che tutte le circostanze
allegate dalla società P. I. in ordine alla menzionata ristrutturazione
della attività aziendale, alla offerta di nuovi servizi ed alla
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riorganizzazione dei processi di produzione dei servizi, alla
dislocazione delle attività ed alla distribuzione del personale sul
territorio non sono oggetto di contestazione e, comunque, sono state
ampiamente provate da tutti i documenti prodotti e per buona parte
sono quasi fatto notorio (dall’impegno nel settore finanziario, al
BancoPosta, dalle innovazioni nelle tipologie di spedizione e recapito
della corrispondenza ecc.).
E’ poi stato ampiamente provato dai verbali di riunione e dagli
accordi sindacali che la dislocazione del personale sul territorio era
all’epoca completamente irrazionale e che l’esigenza aziendale di fare
cessare le “assegnazioni temporanee” nelle regioni meridionali per
spostare il personale nelle regioni del nord, dove vi erano vuoti di
organico, aveva incontrato molte resistenze anche da parte sindacale,
con un notevole rallentamento di questa riorganizzazione delle
risorse (v. accordo 13 gennaio 1999) e con la conseguenza di una
continua
necessità,
in
attesa
dei
trasferimenti,
di
colmare
temporaneamente questi vuoti (in particolare per quanto riguarda le
mansioni di recapito e sportelleria).
Ciò chiarito, va qui richiamato, quale rilevante ai fini della decisione,
l'art. 23 della legge n. 26 del 1987, norma che ha introdotto ulteriori
possibilità -rispetto alla disciplina generale della legge n. 230 del
1962- di stipulare contratti di lavoro a tempo determinato, lasciando
piena autonomia alle parti collettive nell'individuazione delle stesse
ipotesi, così disponendo: "L'apposizione di un termine alla durata
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del contratto di lavoro, oltre che nelle ipotesi di cui all'art. 1 della
legge 18 aprile 1962 n. 230 …., è consentita nelle ipotesi individuate
nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o
locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative
sul piano nazionale".
Proprio in considerazione di tale normativa, e nell'esercizio di tale
facoltà, il C.C.N.L. 26 novembre 1994 per i dipendenti delle P. aveva
previsto alcune specifiche ipotesi in cui poter ricorrere a contratti a
termine (quali gli incrementi di attività in dipendenza di eventi
eccezionali od esigenze produttive particolari ovvero le sopravvenute
punte di intensa attività aziendale); successivamente, con l'accordo
sindacale dd. 25 settembre 1997, era stata introdotta una ulteriore
ipotesi legittimante le assunzioni a termine, quella della presenza di:
"esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di
rimodulazione degli assetti occupazionali in corso quale condizione
per la trasformazione della natura giuridica dell'Ente ed in ragione
della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di
sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell'attuazione del
progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane",
pattuizione che si inquadrava nel contesto della privatizzazione in
atto dell'Amministrazione delle P. e delle Telecomunicazioni, già
trasformata in Ente Pubblico Economico.
Ed ancora, con accordo attuativo stipulato lo stesso giorno, la parti
avevano concordato la possibilità di procedere all’assunzione di
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personale straordinario con contratto a tempo indeterminato,
convenendo quanto segue: "in relazione all'art. 8 del CCNL così
come integrato con accordo 25.9. 97, le parti si danno atto che, fino
al 31 gennaio 1998, l'impresa si trova nella situazione di cui al punto
che precede, dovendo affrontare il processo di trasformazione della
sua natura giuridica con conseguente ristrutturazione aziendale e
rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di realizzazione".
Con successivo accordo del 16 gennaio 1998, in prossimità dunque
del 31/01/1998 richiamato dall’accordo appena citato (data che era
stata ritenuta coincidente con la fine del processo di riorganizzazione
dell’Ente), le parti, dato atto del persistere della necessità di far
fronte alle esigenze create dal processo di ristrutturazione aziendale,
non ancora ultimato, avevano esteso la possibilità di procedere ad
assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo
determinato fino al 30 aprile 1998, mentre da ultimo, con successivo
accordo del 27 aprile 1998, le parti avevano pattuito la proroga di 30
giorni dei rapporti di lavoro a termine in scadenza al 30-4-1998.
Benché la trasformazione in S.p.A. delle antiche P. fosse stata
perfezionata già nel febbraio 1998, tuttavia, il processo di
ristrutturazione a cui si è fatto cenno era dunque continuato anche
successivamente, con la conseguente esigenza di disporre assunzioni
a tempo limitato. Tanto che ancora il 18 gennaio 2001, una settimana
dopo la stipula di un nuovo C.C.N.L., le parti avevano ritenuto
opportuno concordare quanto segue: "…con specifico riferimento ai
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contratti a tempo determinato stipulati da P. I. S.p.A. a decorrere
dal 1 luglio 1997 fino alla sottoscrizione del C.C.N.L. 11-1-2001, la
società ribadisce che i contratti medesimi, disposti secondo quanto
previsto dall'art. 8 del C. C.N.L. 26-11-1994, così come modificato
dall'accordo del 25 settembre 1997, si sono resi necessari in
conseguenza
di
avviati
processi
di
riorganizzazione
e
di
ristrutturazione aziendale finalizzati alla realizzazione degli
obiettivi e degli interessi strategici di cui al piano d'Impresa. Le
OO.SS. nel dare atto di quanto sopra, convengono anche che i citati
processi, tuttora in corso, saranno fronteggiati in futuro anche con
il ricorso a contratti a tempo determinato, stipulati nel rispetto della
nuova disciplina pattizia definita dal C.C.N.L. 11-1-2001".
Orbene, in siffatta situazione di fatto e di diritto, la giurisprudenza
prevalente ha ritenuto che l’azienda da un lato e le rappresentanze
dei lavoratori dall’altro abbiano inteso porre un limite temporale alla
concreta possibilità di fare ricorso all’assunzione di dipendenti a
tempo determinato per le ragioni indicate negli accordi sopra
ricordati, limite da individuare nella data del 30 aprile 1998; con la
conseguenza che le apposizioni di un termine alle assunzioni
successive a tale data sarebbero da ritenere nulle (con conseguente
conversione ex tunc di quei contratti a tempo determinato in
contratti a tempo indeterminato), risultando prive del necessario
strumento derogatorio, e cioè la norma collettiva richiamata dall’art.
23 legge n. 56/1987 ricordato in premessa.
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Pertanto,
scaduto
il
termine
del
30
aprile
1998,
fissato
concordemente dalle parti con l’accordo sopra richiamato, dal tenore
univoco ed evidente, le successive assunzioni a tempo determinato
delle ricorrenti non avrebbero più potuto essere giustificate con le
ricordate esigenze di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti
occupazionali in corso, essendo cessata appunto la portata
derogatoria introdotta dall’originaria pattuizione collettiva adottata
in ossequio all’art. 23 legge n. 56/1987.
Siffatta ratio decidendi è stata aspramente censurata dalla società
appellante (in via incidentale) secondo cui, invece, le parti non
avrebbero mai inteso porre un limite temporale all’accordo del
25/09/1997, essendosi limitate in tutte le contrattazioni successive a
riconoscere l’esistenza delle condizioni di fatto legittimanti il ricorso
all’assunzione di lavoratori a tempo determinato.
L’appellante società ha ricordato l’orientamento della Suprema Corte
(vedi da ultimo Cass. Sez. Lav.
10143/05, 6029/05, 4862/05,
14011/2004) assolutamente favorevole alla piena validità della
disciplina derogatoria introdotta con l’accordo integrativo del
25.9.1997, attuativo dell’art. 8 C.C.N.L. 1994 delle P.
Secondo
tale
diverso
filone
giurisprudenziale
“la
riserva
all’autonomia collettiva dell’individuazione di ipotesi di contratto a
termine, ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge, ha inteso
creare un diverso sistema di controllo sulle modalità di utilizzazione
dello strumento contrattuale, parallelo e alternativo, per cui,
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accanto all’area originaria del contratto a temine per esigenze
organizzative qualitativamente straordinarie, è stata prevista la
possibilità di prevedere un’area di impiego normale e ricorrente di
tipo contrattuale, del quale risulta in parte modificata la funzione
economico-sociale, restando la tutela del lavoratore affidata non
più alle previsioni di norme inderogabili, generali e astratte, ma
allo strumento negoziale collettivo” (così Cass. 6029/05 cit.).
Pur trattandosi, quindi, di una sorta di delega in bianco ad
individuare pattiziamente nuove ed ulteriori ipotesi di contratto a
termine, anche totalmente disomogenee rispetto a quelle già previste
per legge (cfr. Cass. 14011/2004), la garanzia data dall’inserimento
della norma nel sistema sopra delineato sarebbe da ritenersi
sufficiente, avendo la Suprema Corte definitivamente chiarito che
non
è
esatto
ritenere
che
“la
norma
contrattuale
debba
naturalmente avere, di per sé, una efficacia temporale limitata
perché l’autonomia sindacale non trova limiti nella legge per quanto
riguarda la tipologia e l’ambito temporale di operatività delle nuove
ipotesi di contratto a termine da introdurre” (così Cass. 6029/05
cit.). Sicché, non essendo la fissazione di un termine di efficacia
dell’accordo connaturata ed essenziale al tipo di deroga delineata in
via pattizia, non potrebbero essere condivise le contestazioni relative
alla sopravvenuta inefficacia dell’accordo integrativo per spirare dei
termini apposti dalle parti.
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Ha rimarcato ancora l’appellante in via incidentale la molteplicità
degli accordi e delle dichiarazioni intermedie fra le parti in relazione
alle assunzioni a termine intervenute dalla data di stipulazione
dell’accordo integrativo 25.9.97 alla data del 18.1.01, quando è stato
nuovamente dato atto, come sopra ricordato, che le esigenze di cui
all’accordo medesimo sono state presenti e costanti per tutto il
periodo e erano a quella data ancora sussistenti. Ed ha anche
sottolineato che l’accordo iniziale non conteneva alcun termine, come
esattamente doveva essere per le considerazioni che precedono,
mentre quello successivamente richiamato, dato il tenore letterale
puramente dichiarativo o al più ricognitivo delle dichiarazioni in cui
si dava atto del persistere del processo di riorganizzazione, non
avrebbe avuto il significato preteso dalla ricorrente, di scadenza
dell’efficacia
della
normativa
dichiarazioni
successive
derogatoria.
(denominate
Ed
“accordo
infatti
attuativo
nelle
per
assunzioni con contratto a termine”) era stata sempre usata la
formula del “darsi atto” della sussistenza delle condizioni previste
dall’accordo integrativo e nel contempo era stata aggiunta la
previsione di un termine entro il quale si sarebbe potuto procedere
alle
assunzioni
a
tempo
determinato,
termine
via
via
progressivamente “prorogato”. Infine, con l’“Addendum all’art. 7”
(che riguarda i contratti part-time) nelle ultime due righe viene
disposta la proroga dell’accordo 25.9.97 al 31.12.98.
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Non vi è dubbio che i rilievi della società appellante (in via
incidentale) siano meritevoli della massima attenzione e non è certo
casuale se parte della giurisprudenza di merito e di legittimità (v. le
massime sopra citate) abbiano recepito la riportata interpretazione.
Tuttavia, ritiene questa Corte di doversi uniformare all’orientamento
prevalente della Corte di Cassazione la quale (si veda, ex multis,
Cass.civ., Sez. Lav., n. 18383 del 23/08/2006 secondo cui, in caso di
stipula del contratto a termine dopo il superamento della data fissata
nell'accordo, va dichiarata la nullità delle clausola di apposizione del
termine; nonché la recente sentenza n. 20390 del 28/09/2007, la
quale ha affermato: “… con numerose sentenze questa Corte
Suprema (cfr., ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378),
decidendo su fattispecie sostanzialmente identiche a quella in
esame, ha confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno
dichiarato illegittimo il termine apposto a contratti stipulati, in base
alla previsione dell'accordo integrativo del 25 settembre 1997 sopra
richiamato
(esigenze
ristrutturazione
richiamato
quanto
eccezionali,
..),
già
dopo
in
conseguenti
il
precedenza
30
alla
fase
aprile
affermato
di
1998;
circa
la
configurabilità, in relazione alla L. n. 56 del 1987, art. 23, di una
vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati
nell'individuazione di nuove ipotesi di apposizione di un termine alla
durata del rapporto di lavoro, e premesso altresì che in forza della
sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato,
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quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato
accordo integrativo del 25 settembre 1997, la giurisprudenza di
questa Corte ha ritenuto corretta l'interpretazione dei giudici di
merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto
in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data
16 gennaio 1998, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano
convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31 gennaio 1998 (e
poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30 aprile 1998),
della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la
conseguenza che, per far fronte alle esigenze derivanti da tale
situazione,
l'impresa
poteva
procedere
(nei
suddetti
limiti
temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto
tempo determinato; da ciò deriva che deve escludersi la legittimità
dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto
privi di presupposto normativo”), ha ripetutamente affermato che,
avuto riguardo all'interpretazione dell'accordo integrativo del c.c.n.l.
del 25 settembre 1997 relativo all'assunzione a termine di dipendenti
postali, il termine di scadenza dell'efficacia dell'autorizzazione alla
stipulazione di contratti a termine, sebbene non contenuto nella
pattuizione originaria, è stato effettivamente e validamente fissato
con gli accordi sindacali attuativi, in connessione con la durata delle
esigenze aziendali.
Né tale conclusione pare possa essere messa in dubbio dalla
dichiarazione ultima del 18/01/2001 (già menzionata) alla quale
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certo non potrebbe essere attribuito alcun effetto interpretativo
retroattivo con efficacia sanante, in difetto della prova della validità
ed
efficacia
della
disciplina
contrattuale
al
momento
della
stipulazione di singoli contratti a termine (in tal senso si è espressa
ripetutamente la Suprema Corte).
Si deve quindi ritenere dalla lettera dell’accordo sindacale concluso in
prossimità della data di privatizzazione dell’Ente che
sia stata
concordemente espressa dalle parti, probabilmente alla luce di
valutazioni eccessivamente ottimistiche, la volontà di apporre un
termine finale alla possibilità di assunzioni a termine; e che
successivamente, preso atto, invece, del persistere di quello stato di
necessità cui le “esigenze eccezionali” avevano in passato fatto
riferimento, le parti abbiano ritenuto opportuno reintrodurre, con
l’accordo sindacale del gennaio del 2001, la prassi delle assunzioni a
tempo determinato.
Certamente questo modus operandi non può che lasciare perplessi
giacché, essendo l’ipotesi di assunzione a termine di cui si discute
correlata a un processo di trasformazione molto complesso e difficile,
non appare logico che si sia voluto introdurla per periodi di tempo
così limitati (di volta in volta quattro mesi, due mesi, un mese ecc.);
così come
suscita perplessità il fatto che le c.d. proroghe siano
intervenute quando il termine precedente era abbondantemente
scaduto.
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Tuttavia, come ha ricordato la Suprema Corte in un caso del tutto
analogo, “nell'interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di
diritto comune si deve fare innanzitutto riferimento al significato
letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è
precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano
solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il
contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti”
(Cass.civ., Sez. L, n. 1552 del 26/01/2006).
Sicché la sentenza gravata merita sul punto piena conferma.
Peraltro, la pretesa della società appellante in via incidentale va
rigettata anche sotto un ulteriore, diverso, autonomo e di per sé
sufficiente profilo.
Questa Corte ha già avuto modo di sottolineare, in ciò confortata
dalle più recenti pronunzie della Suprema Corte (vedi in particolare
le sentenze n. 6029/2005 e n. 4862/05), che l’effetto derogatorio nei
confronti della L.230/1962 previsto dall’art. 23 citato si arresta
all’art. 1 della legge del 1962, sicché non ne risulta intaccato il
principio dell’onere probatorio a carico del datore di lavoro previsto
dall’art.3 di detta legge (vedi anche Cass. Sez. Lav. n. 15297/04, n.
8366/2003, n. 3843/2000 e n. 7519/1998), prova che deve essere
rigorosa in quanto altrimenti verrebbe impedito qualsiasi controllo
tra le ragioni della stipulazione del termine e le ragioni sottese alla
previsione astratta dell’ammissibilità della stipulazione stessa, il che
si porrebbe in netto contrasto con il dettato legislativo.
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Orbene, P. I. s.p.a. ha omesso di provare tali circostanze in relazione
allo specifico contratto stipulato con la dipendente oggi appellante o
quanto meno sulla concreta situazione della filiale alla quale essa era
stata addetta.
In realtà, la società convenuta ben avrebbe potuto dimostrare il
proprio assunto in relazione alla ricorrente, dovendosi guardare alla
piccola realtà locale e non al quadro nazionale; ma una prova di tal
genere neppure è stata allegata (quella richiesta in primo grado,
invece, aveva ad oggetto solamente l’esistenza del processo generale
di ristrutturazione dell’Ente).
Ne consegue che non avendo la società P. provato e neppure offerto
di provare che presso gli uffici postali dove venne assunta la
ricorrente con il primo contratto esistevano quelle situazioni che
legittimavano l’apposizione di un termine (e non viceversa semplici
carenze strutturali da coprire con lavoratori da assumere a tempo
indeterminato), l’appello incidentale deve essere comunque respinto.
Sul quantum debeatur
Come già esposto in narrativa il Tribunale non ha svolto l’istruzione
della causa (neppure allo scopo di quantificare l’eventuale aliunde
perceptum da parte della ricorrente in dipendenza di attività
lavorative svolte successivamente alla cessazione del contratto).
Si rende quindi necessario demandare la questione relativa al
quantum debeatur alla presecuzione del giudizio, come da separata
ordinanza.
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P.Q.M.
Non definitivamente pronunziando, in parziale riforma della
sentenza n. 87/09, in data 17/04 - 09/06/2009, del Tribunale di
Trento, sez. Lav., impugnata in via principale da P. N. ed in via
incidentale da P. i. S.p.A., accerta e dichiara che tra le parti intercorre
un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dal
10/06/1999, cioè dal contratto contenente la previsione del termine
dichiarato nullo dal primo giudice.
Dispone la prosecuzione del giudizio per l’accertamento del quantum
debeatur, come da separata ordinanza.
Trento, lì 15 marzo 2010
IL CANCELLIERE
(RENATO UDERZO)
IL PRESIDENTE EST.
(DOTT. FABIO MAIONE)
Depositata in Cancelleria il
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