Sentenza del Tribunale di Trento del 4 aprile 2013
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Sentenza del Tribunale di Trento del 4 aprile 2013
REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE DI TRENTO IN NOME DEL POPOLO ITALIANO il dott. Giorgio Flaim, quale giudice del lavoro, ha pronunciato la seguente SENTENZA nelle cause per controversia in materia di lavoro promosse con ricorso depositato in data 29.12.2011 d a Z. J. rappresentata e difesa dagli avv. ti Annelise Filz e Alessio Giovanazzi, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in Trento, via Calepina,75, ricorrente c o n t r o F.E.M. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. S. C. ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. M. V., in Trento, … convenuto CONCLUSIONI DI PARTE RICORRENTE “Nel merito, in via principale, accertare e dichiarare nulla, inefficace o comunque invalida la clausola appositiva del termine al contratto di lavoro dd. 1.2.2008 e l’illegittimità dei contratti succedutisi nel tempo a termine, prestazione d’opera, collaborazione coordinata e continuativa ed in ultimo a progetto intercorsi tra le parti dall’1.4.2001 al 31.7.2007 e per l’effetto accertare e dichiarare che il rapporto di lavoro tra Z. J. e la F. E. M. si è costituito perlomeno dall’1.4.2001 a tempo indeterminata e/o disporsi la conversione dei contratti impugnati in contratto a tempo indeterminato e a) per l’effetto ordinare la reintegrazione della lavoratrice e condannare la F. E. M.a risarcirle il danno in base a quanto disposto dall’art. 18 L. 300/1970 ed al pagamento della contribuzione omessa e/o delle differenze retributive non pagate in Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 1 forza dei particolari tipi di contratto posti in essere nel corso del rapporto lavorativo; b) in subordine, ove si ritenesse applicabile quanto previsto dall’art. 32 L. 183/2010, alla corresponsione dell’indennità ivi prevista, nella misura che sarà ritenuta opportuna, oltre al pagamento della contribuzione omessa. Nel merito, in via subordinata: accertato che i contratti di lavoro a progetto che hanno caratterizzato il rapporto lavorativo per numerosi anni siano da dichiararsi illegittimi e pertanto in applicazione di quanto stabilito dall’art. 69 d.lgs. 276/2003 considerarli e convertirli in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con le conseguenze in termini contribuzioni, indennità risarcitorie ed effetto domino sul successivo contratto e a) per l’effetto ordinare la reintegrazione della lavoratrice e condannare la F. E. M. a risarcirle il danno in base a quanto disposto dall’art. 18 L. 300/1970 ed al pagamento della contribuzione omessa e/o delle differenze retributive non pagate in forza dei particolari tipi di contratto posti in essere nel corso del rapporto lavorativo; b) in subordine, ove si ritenesse applicabile quanto previsto dall’art. 32 L. 183/2010 alla corresponsione dell’indennità ivi prevista, nella misura che sarà ritenuta opportuna, oltre al pagamento della contribuzione omessa. Nel merito, in ulteriore subordine: 1) accertare e dichiarare che la mancata stabilizzazione di Z. J. è determinata da motivi di discriminazione di genere; 2) per l’effetto condannare la F. E. M. a procedere all’immediata stabilizzazione della dipendente, reintegrando la ricorrente nel posto di lavoro ed a risarcirle il danno dando applicazione a quanto disposto dall’art. 18 L. 300/1970 o, in subordine, a corrisponderle le retribuzioni ed a versarle la contribuzione previdenziale dall’1.1.2011 alla data di effettiva reintegrazione o, in ulteriore Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 2 subordine, a risarcirle il danno commisurandolo alle retribuzioni non corrisposte nel medesimo periodo ed alla contribuzione omessa. In ogni caso: con vittoria di spese, diritti ed onorari, oltre al 12,5% ex art. 15 T.P., IVA e CNPA”. CONCLUSIONI DI PARTE CONVENUTA “In via preliminare ed assorbente: accertarsi e dichiararsi l’intervenuta decadenza, da parte della ricorrente, da ogni diritto all’impugnazione eppertanto l’inammissibilità del ricorso. Nel merito ed in via subordinata: respingere ogni avversaria domanda, principale e subordinata, per infondatezza in fatto ed in diritto, mancato assolvimento dell’onere di allegazione e prova e comunque per decadenza dell’onere suddetto. In ogni caso: con vittoria di spese, diritti ed onorari di lite oltre agli accessori di legge, da liquidarsi equitativamente a mente dell’ art. 2223 c.c.” PREMESSA Il ricorso risulta depositato in data 29.12.2011. Ne consegue che: 1) Trova applicazione la novella dell’art. 429 co.1 cod.proc.civ. introdotta dall’art. 53 co.2 D.L. 25.6.2008, n. 112, conv. con L. 6.8.2008, secondo cui “nell'udienza il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”, mentre solo “in caso di particolare complessità della controversia” (certamente non ricorrente nella fattispecie in esame) “il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni, per il deposito della sentenza”; Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 3 infatti l’art. 56 D.L. 112/2008 prescrive che il novellato 429 cod. proc. Civ. “si applica ai giudizi instaurati dalla data della sua entrata in vigore” ossia, alla luce del disposto ex art. 86 D.L. cit., a decorrere dal 25 giugno 2008. Secondi i primi commenti dottrinali il modello di sentenza delineato dal nuovo art. 429 co.1 cod.proc.civ. è riconducibile a quello descritto dall’art. 281-sexies cod.proc.civ., il quale dispone che “il giudice, fatte precisare le conclusioni, può ordinare la discussione orale della causa nella stessa udienza o, su istanza di parte, in un’udienza successiva e pronunciare sentenza al termine della discussione, dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In tal caso, la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria”. 2) Trova, altresì, applicazione la novella dell’art. 118 disp.att. c.p.c., introdotta dall’art. 52 co.5 L. 18.6.2009, n. 69, secondo cui “La motivazione della sentenza di cui all’articolo 132, secondo comma, numero 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”; infatti l’art. 58 L. 69/2008 prevede: “Fatto salvo quanto previsto dai commi successivi, le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”; ne consegue che la presente sentenza non conterrà alcuna descrizione dello svolgimento del processo. Ma vi è di più: l’obbligo di immediata lettura comporta necessariamente che la motivazione possa (e debba) contenere unicamente gli elementi indispensabili al fine di non cadere nel vizio di omessa o insufficiente motivazione, ricorrente, secondo gli insegnamenti della Suprema Corte (ex multis, anche di recente, Cass. S.U. 21.12.2009, n. 26825; Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 4 Cass. sez. L. 23.12.2009, n. 27162; Cass. sez. L. 6.3.2008, n. 6064; Cass. sez. L. 3.8.2007, n. 17076;), quando le argomentazioni del giudice non consentano di ripercorrere l'iter logico, che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, o esibiscano al loro interno un insanabile contrasto ovvero quando nel ragionamento sviluppato nella sentenza sia mancato l'esame di punti decisivi della controversia e/o di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione. Il perseguimento dell’obiettivo, imposto al giudice del lavoro dalla novella dell’art. 429 co.1 cod. proc.civ. di redigere una sentenza priva di elementi non essenziali ai fini della decisione, appare agevolato dal principio, consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte (ex multis, di recente, Cass. 24.11.2009, n. 24542; Cass. sez. L. 18.6.2007, n. 14084; Cass. sez. L. 2.2.2007, n.2272; Cass. 27.7.2006, n. 17145;), secondo cui, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse. MOTIVAZIONE le domande proposte dalla ricorrente La ricorrente – premesso di aver prestato attività lavorativa: A) in favore dell’I. A. S. M. A. I) con mansioni di addetto a lavori di vendemmia e vinificazione in forza di contratti a tempo determinato 1.6.-30.9.1997, 1.8.-30.9.1998 e 1.8.199931.5.2000, II) con mansioni di tecnico di laboratorio in forza di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato 1.4.-31.8.2001 e 1.1.-28.2.2002, III) con mansioni di tecnico di laboratorio in forza di contratto d’opera 1.3.31.12.2002), Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 5 IV) con mansioni di tecnico di laboratorio in forza di contratto di collaborazione coordinata e continuativa 1.1.-31.12.2003, V) con mansioni di tecnico di laboratorio in forza di contratti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto 1.1.-31.7.2004, 1.8.-31.12.2004, 1.5.200530.4.2006, VI) con mansioni di tecnico di laboratorio in forza di contratto di lavoro subordinato a tempo determinato 1.5.-30.11.2006, VII) con mansioni di tecnico di laboratorio in forza di contratti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto 1.12.2006-31.5.2007, 1.6.2007-31.1.2008, B) in favore della F. E. M. con mansioni di tecnico di laboratorio in forza di contratto di lavoro subordinato a tempo determinato 1.2.2008-31.12.2010, senza essere stata stabilizzata nell’ambito della procedura ex L.P. 2.8.2004, n. 114 e dell’art. 73 lett. a) e b) CCPL per il personale delle Fondazioni – agisce: A) in via principale per la conversione di tutti i contratti indicati sub A) e B), previa declaratoria della nullità delle clausole appositive del termine finale ivi contenute, con conseguente condanna dell’ente convenuto alla reintegrazione ed al pagamento delle retribuzioni maturate o, in subordine, al pagamento dell’indennità ex art. 32 co.5 L. 4.11.2010, n. 183; B) in via subordinata per la conversione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto indicati sub A) - V) e VII), previo accertamento dell’insussistenza di validi progetti, con conseguente condanna dell’ente convenuto alla reintegrazione ed al pagamento delle retribuzioni maturate o, in subordine, al pagamento dell’indennità ex art. 32 co.5 L. 4.11.2010, n. 183; C) in via ulteriormente subordinata Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 6 per la condanna dell’ente convenuto, previa declaratoria che la sua mancata stabilizzazione è stata determinata da motivi di discriminazione di genere, all’immediata stabilizzazione con conseguente reintegrazione e pagamento delle retribuzioni maturate. in ordine all’ eccezione di decadenza sollevata dall’ente convenuto in riferimento e alle domande proposte dalla ricorrente sub A) e B) L’ente convenuto eccepisce in riferimento alle domande di conversione dei contratti stipulati dalle parti ed indicati sub A) e B) la decadenza ex art. 32 co.3, lett. a) e co. 4 lett. a) e b) L. 4.10.2010, n.183, asserendo che l’impugnazione proposta in data 25.7.2011 è tardiva in quanto effettuata: A) sia oltre il termine previsto dall’art. 32 co 3 lett. a) L. 183/2010, in ordine ai contratti di prestazione d’opera, di collaborazione coordinata e continuative e di collaborazione coordinata e continuativa a progetto indicati sub A) – III), IV), V) e VII), B) sia oltre il termine previsto dall’art. 32 co.4 lett. b) L. 183/2010, in ordine ai contratti di lavoro subordinato a tempo determinato indicati sub A) – I). II) e VI) nonché sub B), --L’eccezione non è fondata. A) Le fattispecie concernenti i contratti di prestazione d’opera, di collaborazione coordinata e continuative e di collaborazione coordinata e continuativa a progetto indicati sub A) – III), IV), V) e VII) – nei quali si pone, in primo luogo, la questione della qualificazione del rapporto di lavoro, asserendo il ricorrente di aver eseguito le sue prestazioni, in favore dell’I. A.S. M.A., con modalità proprie della subordinazione – sono sussumibili a quella prevista dal disposto ex art. 32 co 3 lett. a) L. 183/2010, secondo cui “le disposizioni di cui all’ articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 7 inoltre: a) ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto…”. Sennonché la legge 183/2010, in quanto pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 15.11.2010, è entrata in vigore il 24.11.2010; quindi a quell’epoca i rapporti di lavoro scaturenti dai contratti di prestazione d’opera, di collaborazione coordinata e continuative e di collaborazione coordinata e continuativa a progetto indicati sub A) – III), IV), V) e VII) erano già tutti cessati. Ne consegue che l’applicazione al caso in esame del termine di decadenza ex art. 6 L. 604/1966, come modificato dall’art. 32 co.1 L. 183/2010, presupporrebbe un’efficacia retroattiva di quest’ultima norma (che, pur essendo entrata in vigore il 24.11.2010, disciplinerebbe le cessazioni di rapporti di lavoro avvenute in epoca anteriore), che, tuttavia, non trova fondamento in una specifica disposizione, necessaria a derogare la regola generale ex art. 11 co.1 disp.prel.cod.civ. (“La legge non dispone che per l’avvenire; essa non ha effetto retroattivo”). D’altra parte, ponendosi una questione in ordine alla qualificazione di un rapporto di lavoro costituito nelle forme di un rapporto di lavoro autonomo, non può trovare applicazione il disposto ex art. 32 co.4 lett. b) L. 183/2010 (secondo cui “le disposizioni di cui all’ articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche:… b) ai contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di legge previgenti al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e già conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge;”) in quanto risulta evidente che il riferimento “ai contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di legge previgenti al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368” concerne esclusivamente i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato (disciplinati dal d.lgs. 368/2001 e dalle norme di legge ad esso previgenti); Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 8 quindi per questi contratti l’impugnazione della cessazione del rapporto non è assoggettata neppure ad un termine di decadenza scadente il 23.1.2011 (ossia 60 giorni dall’entrata in vigore della L. 183/2010, in data 24.11.2010). B) In ordine ai contratti di lavoro subordinato a tempo determinato indicati sub A) – I). II) e VI) trova applicazione il disposto ex art. 32 co 4 lett. b) L. 183/2010 (secondo cui “le disposizioni di cui all’ articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche:… b) ai contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di legge previgenti al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e già conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge;”). In ordine al contratto di lavoro subordinato a tempo determinato indicato sub B) trova applicazione il disposto ex art. 32 co.4 lett. a) L. 183/2010 (secondo cui “le disposizioni di cui all’ articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche: a) ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla scadenza del termine”. Tuttavia nessun termine di decadenza ai fini dell’impugnazione è maturato in relazione a questi contratti di lavoro subordinato a tempo determinato: sia l’art. 32 co 3 lett. a) L. 183/2010, sia l’art. 32 co.4 lett. b) L. 183/2010 prevedono l’estensione della sfera di applicazione dell’ “articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo” (contra, con motivazione non persuasiva, limitatamente al termine decadenza ex art. 32 co.4 lett. b) L. 183/2010, Trib. Milano 29.9.2011, fondata esclusivamente su di un opinabile ordine del giorno approvato dalla Camera dei Deputati in data 25.2.2011), ma l’art. 32 co.1bis L. 183/2010 stabilisce che “in sede di prima applicazione, le disposizioni di cui all’ articolo 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 9 modificato dal comma 1 del presente articolo, relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011”; dalla locuzione “in sede di prima applicazione” si evince che quest’ultima norma (introdotta con l’art. 2 co.54 D.L. 29.12.2010, n. 225 conv. con L. 26.2.2010, n. 11) trova applicazione a far data dell’entrata in vigore dell’art. 32 co.4, che ha modificato l’art. 6 L. 604/1966 e ne ha esteso la sfera di applicazione (in questo senso Trib. Milano 4.8.2011); affermare, come ritiene l’ente convenuto, che tale norma si applichi unicamente ai termini di impugnazione dei licenziamenti ex art. 6 co.1 L. 604/1966, anziché a quelli afferenti la domanda di accertamento della nullità della clausola appositiva del termine finale, pure previsti dallo stesso art. 6 per effetto dell’ampliamento della sfera di applicazione di questa norma disposta dall’art. 32 co. 4 L. 183/2010, significa sostenere che il legislatore d’urgenza è intervenuto per sospendere l’efficacia di una norma, quale quella ex art. 6 co. 1 L. 604/1966 riferita ai licenziamenti, che era in vigore da oltre quarant’anni, e non già dell’estensione della stessa norma ai contratti di lavoro a tempo determinato disposta pochi mesi prima, il che aveva provocato, a causa dell’introduzione ex novo di un termine di decadenza, una restrizione in via immediata della possibilità di esercitare la tutela avverso i contratti di lavoro a termine illegittimi; ciò appare del tutto paradossale ed irragionevole. quindi l’ente convenuto non può invocare la scadenza di termini di decadenza alla data del 23.1.2011 (per i contratti indicati sub A)) ed alla data del 2.3.2011 (per il contratto indicato sub B)) ossia in epoca antecedente quella (1.1.2012) di estensione della sfera di applicazione dell’art. 6 L. 604/1966, da cui è derivata la rilevanza per la fattispecie in esame di quei termini di decadenza; di contro appare tempestiva, in quanto intervenuta prima del 1.3.2012 (60° giorno a decorrere dal 31.12.2011, come prescritto dall’art. 2 co. 54 D.L. 225/2010), l’impugnazione proposta in data 25.7.2011 dalla ricorrente. Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 10 in ordine alle domande di conversione dei contratti stipulati dalla ricorrente con l’I. A. S. M.’A. ed indicati sub A) Le domande di conversione in contratti a tempo indeterminato dei contratti stipulati dalla ricorrente con l’ I. A. S. M. A. ed indicati sub A) non sono fondate. Appare pacifico che l’I. A. S. M. A. era un ente di natura pubblica; lo stabiliva espressamente l’art. 1 co.2 L.P. 5.11.1990, n. 28, secondo cui “l'I. a. ha sede in S. M. A. ed è dotato di personalità giuridica di diritto pubblico”. Quindi trovava applicazione la disciplina dettata per i rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (come confermato dall’art. 17 co.3 lett. c) L.P. 28/1990, il quale richiamava “la normativa della Provincia autonoma di Trento relativa al personale che svolge analoghe funzioni”); in proposito l’art. 36 co.5 d.lgs. 30.3.2001, n. 165 dispone: “In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative” (la stessa norma viene richiamata dall’art. 37 co. 5 ultimo periodo L.P. 3.4.1997, n. 7, secondo cui “in materia di violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori si applica l'articolo 36, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche)”. Corte Cost. 13.3.2003, n. 89, nel decidere la questione se tale disposizione sia legittima nella parte in cui esclude che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, possa comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ha statuito che “…il principio fondamentale in materia di instaurazione del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è quello, del tutto estraneo alla disciplina Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 11 del lavoro privato, dell'accesso mediante concorso, enunciato dall'art. 97, terzo comma, della Costituzione. L'esistenza di tale principio, posto a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione, di cui al primo comma dello stesso art. 97 della Costituzione, di per sé rende palese la non omogeneità - sotto l'aspetto considerato - delle situazioni poste a confronto dal rimettente e giustifica la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di norme imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego dei lavoratori da parte delle amministrazioni pubbliche conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio, in luogo della conversione (in rapporto) a tempo indeterminato prevista per i lavoratori privati”. Inoltre la Suprema Corte, oltre a ribadire le considerazioni del giudice delle leggi (Cass. 20.3.2012, n. 4417; Cass. 13.1.2012, n. 392; Cass. 15.6.2010, n. 14350; Cass. 23.5.2003, n. 8229; Cass. 2.5.2003, n. 6699;), ha precisato (Cass. 7.5.2008, n. 11161;) – a fronte dell’assunto di un ricorrente per cassazione secondo cui la trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato non è impedita dal divieto posto dall’art. 36 co.5 d.lgs. 165/2001 qualora il contratto di lavoro con clausola appositiva del termine nulla si riferisca a soggetti già positivamente valutati in una procedura concorsuale – che tale divieto si riferisce anche all’ipotesi in cui la violazione di disposizioni imperative sulle assunzioni riguardi persone risultate idonee in una procedura concorsuale atteso che l’osservanza del precetto ex art. 97 co.3 Cost. “è garantito solo dalla circostanza che l'aspirante abbia vinto il concorso, non essendo sufficiente il mero risultato di idoneità”. Il divieto, previsto dal legislatore nazionale, di conversione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro con pubbliche amministrazioni contenenti clausole appositive del termine finale affette da nullità, non appare in contrasto con il diritto dell’Unione Europea alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza 7.9.2006, causa C-53/04, Marrosu e Sardino; 7.9.2006, causa C-180/04, Vassallo; conf. 1.10.2010, causa C-3/10, Affatato;), la quale, in ordine alla questione pregiudiziale “Se la direttiva 1999/70/CE (articolo 1 nonché clausole 1, lett. b, e Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 12 clausola 5 dell’accordo quadro (…)) debba essere intesa nel senso che osta ad una disciplina interna (previgente all’attuazione della direttiva stessa) che differenzia i contratti di lavoro stipulati con la pubblica amministrazione, rispetto ai contratti con datori di lavoro privati, escludendo i primi dalla tutela rappresentata dalla costituzione d’un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in caso di violazione di regole imperative sulla successione dei contratti a termine”, ha così statuito (in sentenza Marrosu e Sardino cit. punto 57): “…si deve risolvere la questione sollevata dichiarando che l’accordo quadro deve essere interpretato nel senso che esso non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che esclude, in caso di abuso derivante dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, che questi siano trasformati in contratti o in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, mentre tale trasformazione è prevista per i contratti e i rapporti di lavoro conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato, qualora tale normativa contenga un’altra misura effettiva destinata ad evitare e, se del caso, a sanzionare un utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico”; in particolare ritiene la Corte (Marrosu e Sardino cit. punti 47-55): “47…dal momento che (la clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro ) non stabilisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, così come non stabilisce nemmeno le condizioni precise alle quali si può fare uso di questi ultimi (sentenza Adeneler e a., cit., punto 91), essa lascia agli Stati membri un certo margine di discrezionalità in materia. 48 Ne consegue che la clausola 5 dell’accordo quadro non osta, in quanto tale, a che uno Stato membro riservi un destino differente al ricorso abusivo a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione a seconda che tali contratti siano stati conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato o con un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico. 49 Tuttavia, come risulta dal punto 105 della citata sentenza Adeneler Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 13 e a., affinché una normativa nazionale, come quella controversa nella causa principale, che vieta, nel solo settore pubblico, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di contratti a tempo determinato, possa essere considerata conforme all’accordo quadro, l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale settore, un’altra misura effettiva per evitare, ed eventualmente sanzionare, l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato stipulati in successione. 50 Per quanto riguarda quest’ultima condizione, occorre ricordare che la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro impone agli Stati membri l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure enumerate in tale disposizione e dirette a prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, qualora il diritto nazionale non preveda già misure equivalenti. 51 Inoltre quando, come nel caso di specie, il diritto comunitario non prevede sanzioni specifiche nel caso in cui siano stati comunque accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate per far fronte ad una siffatta situazione, misure che devono rivestire un carattere non soltanto proporzionato, ma altresì sufficientemente effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell’accordo quadro (sentenza Adeneler e a., cit., punto 94). 52 Anche se le modalità di attuazione di siffatte norme attengono all’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi, esse non devono essere tuttavia meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza), né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (v., in particolare, sentenze 14 dicembre 1995, causa C-312/93, Peterbroeck, Racc. pag. I-4599, punto 12, nonché Adeneler e a., cit., punto 95). 53 Ne consegue che, quando si sia verificato un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso ed eliminare le conseguenze Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 14 della violazione del diritto comunitario. Infatti, secondo i termini stessi dell’art. 2, primo comma, della direttiva 1999/70, gli Stati membri devono «prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla [detta] direttiva» (sentenza Adeneler e a., cit., punto 102). 54 Non spetta alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione del diritto interno, compito che incombe esclusivamente al giudice del rinvio, il quale deve, nella fattispecie, determinare se i requisiti ricordati ai tre punti precedenti siano soddisfatti dalla normativa nazionale pertinente. Tuttavia la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può fornire, ove necessario, precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua interpretazione (v. sentenza 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax e a., Racc. pag. I-1609, punti 76 e 77). 55 A tal riguardo occorre rilevare che una normativa nazionale quale quella controversa nella causa principale, che prevede norme imperative relative alla durata e al rinnovo dei contratti a tempo determinato, nonché il diritto al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa del ricorso abusivo da parte della pubblica amministrazione a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, sembra prima facie soddisfare i requisiti ricordati ai punti 51-53 della presente sentenza..” Sussistono, quindi, ragioni ostative insuperabili alla condivisione di quel minoritario orientamento della giurisprudenza di merito (Trib. Livorno 26.11.2010; Trib. Siena 13.12.2010; Trib. Napoli 16.6.2011; Trib. Trani 18.6.2011; ), che, seppur con diverse motivazioni, ha accolto le domande, proposte da lavoratori alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, di conversione di rapporti di lavoro a termine in rapporti a tempo indeterminato. Nelle note finali autorizzate (pag. 13) parte ricorrente configura la successione della F. E. M. all’I. A. S. M. A.; tuttavia tale ricostruzione non può comunque giovare alla ricorrente, atteso che non può essere fatto valere nei confronti dell’ente subentrante un effetto giuridico (quale la conversione dei contratti stipulati prima della cessione) che non si era già prodotto nei confronti dell’ente cedente. Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 15 In definitiva devono essere rigettate le domande di conversione in contratti a tempo indeterminato dei contratti stipulati dalla ricorrente con l’ I. A. S. M. A. ed indicati sub A) . In proposito l’analisi può fermarsi qui, non avendo la ricorrente proposto la domanda di risarcimento danni ex art. 36 co.5, ultimo periodo d.lgs. 165/2001, secondo cui “il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative”. in ordine alla domanda di conversione del contratto stipulato dalla ricorrente con l’I. A. S. M. A. ed indicati sub B) E’, invece, fondata la domanda di conversione in contratto a tempo indeterminato del contratto stipulato dalla ricorrente con la F. E. M. in data 31.1.2008 per il periodo 1.2.2008-31.12.2010. --Emerge per tabulas (doc. 1 fasc.ric.) che detto contratto è stato stipulato al fine di soddisfare “esigenze di carattere tecnico, organizzativo e produttivo connesse al progetto di ricerca “Breeding molecolare applicato alla vite” ”. Orbene, in ordine allo svolgimento in concreto del rapporto di lavoro scaturito da tale contratto, è stato compiutamente accertato grazie ai risultati dell’espletata istruttoria che: I) solo fino alla fine del 2008 la ricorrente è stata addetta alle attività connesse al progetto di ricerca “Breeding molecolare applicato alla vite”; in proposito la teste G. M. S. ha dichiarato: “… Lavoro alle dipendenze dell’ente convenuto… Lavoro come ricercatrice responsabile di un gruppo di ricerca. La ricorrente ha operato nell’ambito del mio gruppo di ricerca fino alla fine del 2008; la ricorrente svolgeva mansioni di tecnico di laboratorio. Confermo che il mio gruppo di ricerca operava nell’ambito del Dipartimento Genomica e Biologia… All’interno del Dipartimento hanno operato sempre più gruppi di ricerca. Il Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 16 laboratorio presso cui era addetta la ricorrente operava prevalentemente per il mio gruppo… Nell’anno 2008 la ricorrente ha all’epoca lavorato presso il mio gruppo che seguiva il progetto “Breeding molecolare applicato alla vite”. La ricorrente quindi nel 2008 ha svolto mansioni di tecnico di laboratorio funzionali a detto progetto…”; II) invece a partire dal 2009 la ricorrente è stata addetta alla nuova piattaforma tecnologica che si occupa di genotipizzazione e sequenziamento in favore di una pluralità di gruppi di ricerca e quindi le sue prestazioni hanno soddisfatto esigenze tecniche, organizzative e produttive diverse da quelle indicate nel contratto di lavoro a tempo determinato da lei sottoscritto con la F. E. M. in data 31.1.2008; in proposito sempre la teste G. ha dichiarato: “Dopo il 2008 il mio gruppo ha continuato a lavorare sul progetto di ricerca “Breeding molecolare applicato alla vite”. La ricorrente non è stata più inserita nel mio gruppo, ma è stata trasferita alla nuova piattaforma tecnologica, la quale si occupa di genotipizzazione e sequenziamento in favore di una pluralità di gruppi di ricerca. Detta piattaforma costituisce uno dei “net laboratories”. Presso detta piattaforma sono state accentrate le analisi meno complesse e più ripetitive; presso i gruppi di ricerca sono rimasti comunque i laboratori effettuate le analisi di maggiore complessità...”; parimenti il teste V. R., responsabile del Dipartimento Genomica e Biologia, ha confermato che prima dell’inizio del congedo di maternità (8.5.2009) “la ricorrente ha lavorato presso la piattaforma “genotipizzazione e sequenziamento””; inoltre ha pure confermato che “la ricorrente, al rientro dal congedo di maternità, è stata addetta alla piattaforma nel periodo settembre-dicembre 2010”. In definitiva, fatta eccezione per i primi dodici mesi (anno 2008), la ricorrente ha svolto, per i successivi otto mesi di lavoro effettivo (avendo per il resto della durata del rapporto fruito del congedo di maternità), prestazioni lavorative dirette a soddisfare esigenze tecniche, organizzative e produttive diverse da quelle indicate nel contratto di lavoro a tempo determinato da lei sottoscritto con la F. E. M., venendo Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 17 addetta non più al laboratorio utilizzato dal gruppo che seguiva il progetto di ricerca “Breeding molecolare applicato alla vite”, ma alla nuova piattaforma piattaforma tecnologica, la quale si occupa di genotipizzazione e sequenziamento in favore di una pluralità di gruppi di ricerca. --Tale divergenza – tra le esigenze poste a giustificazione dell’apposizione del termine finale al contratto di lavoro subordinato a tempo determinato e quelle in concreto soddisfatte dalle prestazioni eseguite dalla ricorrente in favore della F. convenuta – comporta – stante la natura di soggetto privato del datore di lavoro (come esplicitamente ammesso dalla convenuta a pag. 17 della memoria di costituzione, alla luce del chiaro disposto dell’art. 13 L.P. 2.8.2005, n. 14, secondo cui “i rapporti di lavoro dei dipendenti delle fondazioni sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa e sono costituiti e regolati contrattualmente”) – la conversione di quel contratto in contratto a tempo indeterminato. Infatti l’art. 1 d.lgs. 368/2001 dispone: “Il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato. 1. È consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro. 2. L'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1”; Come già evidenziato dal giudice delle leggi (Corte Cost. 14.7.2009, n. 214;) nonché dalla consolidata giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. 27.1.2011, n. 1931; Cass. 12.7.2010, n. 16303; Cass. 27.4.2010, n. 10033; Cass.1.2.2010, n. 2279; Cass. 21.5.2008, n. 12895;) la ratio sottesa alla prescrizione formale ex art. 1 co.2 d.lgs. 368/2001 – che impone la specificazione (per iscritto) delle ragioni “di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro”, di cui al co.1 – è quella di garantire la trasparenza, la Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 18 veridicità e l’immodificabilità di tali ragioni, consentendo al lavoratore di conoscerle preventivamente ed al giudice di verificarne l’effettiva connessione con la durata solo temporanea della prestazione (in particolare accertando se il lavoratore sia state effettivamente utilizzato per soddisfare le ragioni indicate specificamente per iscritto). In relazione a tale obbligo di specificazione Cass. 2279/2010 ha osservato: “Con l'espressione sopra riprodotta, di chiaro significato già alla stregua delle parole usate, il legislatore ha infatti inteso stabilire un vero e proprio onere di specificazione delle ragioni oggettive del termine finale, perseguendo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità dì tali ragioni nonché l'immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto (così Corte Costituzionale sent. 14 luglio 2009 n. 214). Il decreto legislativo n. 368 del 2001, abbandonando il precedente sistema di rigida tipicizzazione delle causali che consentono l'apposizione dì un termine finale al rapporto di lavoro (in parte già oggetto di ripensamento da parte del legislatore precedente), in favore di un sistema ancorato alla indicazione di clausole generali (ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo), cui ricondurre le singole situazioni legittimanti come individuate nel contratto, si è infatti posto il problema, nel quadro disciplinare tuttora caratterizzato dal principio di origine comunitaria del contratto di lavoro a tempo determinato (cfr., in proposito, Cass. 21 maggio 2008 n. 12985) del possibile abuso insito nell'adozione di una tale tecnica. Per evitare siffatto rischio di un uso indiscriminato dell'istituto, il legislatore ha imposto la trasparenza, la riconoscibilità e la verificabilità della causale assunta a giustificazione del termine, già a partire dal momento della stipulazione del contratto di lavoro, attraverso la previsione dell'onere di specificazione, vale a dire di una indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contenuto che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e più in generale circostanziale. In altri termini, per le finalità indicate, tali ragioni giustificatrici, contrariamente a quanto sostenuto in prima battuta dalla ricorrente, devono essere sufficientemente particolareggiate, in maniera Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 19 da rendere possibile la conoscenza dell'effettiva portata delle stesse e quindi il controllo di effettività delle stesse. Che questo debba ritenersi il significato del termine "specificate" usato dall'art. 1, comma 2, D.Lgs. cit., risulta del resto confermato dalla interpretazione della relativa disciplina anche alla luce della direttiva comunitaria a cui il decreto medesimo da attuazione. In proposito, è stato di recente chiarito dalla Corte di giustizia CE (cfr., in particolare sent. 23 aprile 2009 nei procc. riuniti da C - 378/07 a C - 380/07, Kiriaki e altri nonché sent. 22 novembre 2005, C - 144/04, Mangold) che l'accordo quadro trasfuso nella direttiva 1999/70/CE contiene nel preambolo e del testo sia norme riguardanti ogni tipo di contratto a termine sia norme riferibili esclusivamente al fenomeno della reiterazione di tale tipo di contratto e quindi ai lavoratori dei contratti a termine cd. successivi. "Risulta infatti chiaramente sia dall'obiettivo perseguito dalla direttiva 1999/70, sia dall'accordo quadro e dalla formulazione delle pertinenti disposizioni di esso, che... l'ambito disciplinato da tale accordo non è limitato ai soli lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi, ma che, al contrario, si estende a tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell'ambito di un determinato rapporto di lavoro che li vincola ai rispettivi datori di lavoro, indipendentemente dal numero di contratti a tempo determinato stipulati da tali lavoratori (punto 116 della sentenza Kiriaki). In particolare, nella prima categoria rientra a pieno titolo la clausola 8, n. 3 dell'accordo, alla stregua della quale "la applicazione" (della direttiva) "non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell'ambito coperto dall'accordo". Tale clausola, cd. di non regresso, è stata esplicitamente ritenuta dalla Corte di giustizia come riferita ad ogni aspetto della disciplina nazionale del contratto a termine e quindi anche a quella del primo o unico contratto a tempo determinato. Ed infatti: "La verifica dell'esistenza di una reformatio in pejus ai sensi della clausola 8 n. 3 dell'accordo quadro deve ritenersi in rapporto all'insieme delle Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 20 disposizioni di diritto interno di uno Stato membro relative alla tutela dei lavoratori in materia di contratti di lavoro a tempo determinato" (punto 120 della medesima sentenza). Come è stato recentemente rilevato in dottrina, in tal modo la clausola di non regresso persegue lo scopo, in generale, di impedire arretramenti ingiustificati della tutela nella materia considerata, nella ricerca di un difficile equilibrio tra esigenze di modernizzazione dei sistemi sociali nazionali, flessibilità del rapporto per i datori e sicurezza per i lavoratori. A ciò consegue che una interpretazione del termine "specificate" che non consentisse, nella piena trasparenza, quel controllo di effettività, assicurato, seppur in maniera diversa, dalla disciplina previgente, risulterebbe in contrasto con la clausola di non regresso di cui alla clausola 8 n. 3 dell'accordo quadro recepito dalla direttiva, in quanto rappresenterebbe un ingiustificato arretramento in rapporto al precedente livello generale di tutela applicabile nello Stato Italiano e finirebbe altresì per configurare un eccesso di delega da parte del governo rispetto a quanto stabilito dalla L. 29 dicembre 2000, n. 422, che a questo attribuiva unicamente il potere di attuare la direttiva 1999/70/CE, con la possibilità di apportare nei settori interessati dalla normativa da attuare unicamente modifiche o integrazioni necessarie ad evitare disarmonie tra le norme introdotte e quelle già vigenti…”. In termini perfettamente identici si è pronunciata più recentemente Cass. 1931/2011 cit. ed in termini analoghi Cass. 16303/2010 cit.. --In ordine alla conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato – qui conseguente all’intervenuta modifica delle originarie esigenze tecniche, organizzative e produttive – Cass. 21.5.2008, n. 12895 (conf. Cass. 15.11.2010, n. 23057;) ha statuito che anche nella vigenza del d.lgs. 368/2001 alla nullità della clausola di apposizione del termine finale consegue la nullità parziale ex art. 1419 co.2 cod.civ. relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (“Tanto rilevato in generale, va, però, innanzitutto, Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 21 precisato che l'accordo quadro (recepito dalla direttiva) non stabilisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere una eventuale trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato , così come esso, peraltro, nemmeno stabilisce le condizioni precise alle quali si può fare uso di questi ultimi… tuttavia esso impone agli Stati membri di adottare almeno una delle misure elencate nella clausola 5, n. 1, lett. da a) a c), che sono dirette a prevenire efficacemente l'utilizzazione abusiva di contratti o rapporti a tempo determinato successivi, pur restando fermo che gli Stati membri sono tenuti, in generale, nell'ambito della libertà che viene loro lasciata dall'art. 249, comma 3 Trattato CE, a scegliere le forme e i mezzi più idonei al fine di garantire l'efficacia pratica delle direttive (v. sentenza "Adeneler" citata)… Orbene, in tale quadro "comunitario"- relativamente al lavoro privato…il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 non prevede esplicitamente una sanzione per l'ipotesi della mancanza delle prescritte ragioni giustificative, anche se: a) già nella sua formulazione, per evidente argomentazione a contrario, indica chiaramente che, in tale ipotesi, ciò che non è consentito dalla legge, con norma di inequivocabile carattere imperativo, è espressamente la "apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato"; b) nel comma successivo, dispone esplicitamente che "l'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1". Invero la norma non può che essere letta nel suo insieme, nel sistema previsto dall'ordinamento e nel quadro di una interpretazione costituzionalmente orientata. In primo luogo, osserva il Collegio che, se la ratio della previsione della specificazione delle dette ragioni con forma scritta ad substantiam, è quella di garantire la certezza della natura del contratto, responsabilizzando il consenso del lavoratore, e di consentire al giudice il controllo effettivo del contenuto del contratto stesso, verificando, attraverso la applicazione della clausola generale, la conformità tra gli interessi programmati dalle parti e gli interessi riconosciuti meritevoli di tutela attraverso la regolamentazione del contratto medesimo, ne consegue logicamente Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 22 che, nella sostanza, le sanzioni non possono non essere accomunate dalla detta ratio, tanto nel caso in cui il termine non risulti da atto scritto, quanto nel caso in cui manchi la indicazione di una sufficiente ragione giustificativa. In tale prospettiva, quindi, anche l'argomento "ubi lex voluit dixit" non può avere un peso decisivo, tanto più se si considera che nel nostro ordinamento il meccanismo della nullità parziale è attuato oggettivamente in funzione del principio della conservazione del rapporto contrattuale, la quale, in sostanza, in generale, costituisce la regola - principio che assume, altresì, una particolare rilevanza nel diritto del lavoro. Al riguardo vanno ricordati i principi più volte affermati da questa Corte, da un lato, circa il carattere eccezionale della nullità totale (v. fra le altre Cass. 16-11-1996 n. 10050, Cass. 13-11-1997 n. 11248), dall'altro, circa la portata della norma di cui al secondo comma dell'art. 1419 c.c.. In particolare è stato affermato che ai fini dell'operatività della disposizione di cui all'art. 1419 cod. civ., comma 2 il quale contempla la sostituzione delle clausole nulle di un contratto contrastanti con norme inderogabili, con la normativa legale, non si richiede che le disposizioni inderogabili dispongano espressamente la sostituzione, in quanto "la locuzione codicistica ("sono sostituite di diritto") va interpretata non nel senso dell'esigenza di una previsione espressa della sostituzione, ma in quello dell'automaticità della stessa, trattandosi di elementi necessari del contratto o di aspetti tipici del rapporto, cui la legge ha apprestato una propria inderogabile disciplina" (v. Cass. sez. 3^ 21- 8-1997 n. 7822, vedi anche Cass. sez. 3^ 22-5-2001 n. 6956, Cass. 5- 12-2003 n. 18654, contra cfr. Cass. sez. 2^ 28-6-2000 n. 8794, Cass. sez. 3^ 22-3-2005 n. 6170). Tale indirizzo risulta coerente anche sul piano sistematico (trascurato dalla tesi contraria), in rapporto al principio generale fissato dall'art. 1339 c.c. che ha una portata generale nel quadro della (etero)integrazione della regolamentazione contrattuale… La Corte costituzionale, infatti, (pur con riferimento alla fattispecie del contratto di lavoro a tempo parziale) ha chiaramente affermato, in generale, che: "L'art. 1419 c.c., comma 1 ... non è applicabile rispetto al contratto di lavoro, allorquando la nullità della clausola derivi dalla contrarietà Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 23 di essa a norme imperative poste a tutela del lavoratore, così come, più in generale, la disciplina degli effetti della contrarietà del contratto a norme imperative trova in questo campo (come anche in altri) significativi adattamenti, volti appunto ad evitare la conseguenza della nullità del contratto. Ciò in ragione del fatto che, se la norma imperativa è posta a protezione di uno dei contraenti, nella presunzione che il testo contrattuale gli sia imposto dall'altro contraente, la nullità integrale del contratto nuocerebbe, anziché giovare, al contraente che il legislatore intende proteggere…. Tutto ciò, del resto, rappresenta una naturale e generale conseguenza del fatto che, nel campo del diritto del lavoro - in ragione della disuguaglianza di fatto delle parti del contratto, dell'immanenza della persona del lavoratore nel contenuto del rapporto e, infine, dell'incidenza che la disciplina di quest'ultimo ha rispetto ad interessi sociali e collettivi - le norme imperative non assolvono solo al ruolo di condizioni di efficacia giuridica della volontà negoziale, ma, insieme alle norme collettive, regolano direttamente il rapporto, in misura certamente prevalente rispetto all'autonomia individuale, cosicché il rapporto di lavoro, che pur trae vita dal contratto, è invece regolato soprattutto da fonti eteronome, indipendentemente dalla comune volontà dei contraenti ed anche contro di essa. Non hanno quindi modo di trovare applicazione, in questo campo, quei limiti alla operatività del principio di conservazione del rapporto che sono strettamente collegati all'identificazione nel contratto della fonte primaria del regolamento negoziale, come si verifica nell'ambito della disciplina comune dei contratti. E la violazione del modello di contratto e di rapporto imposto all'autonomia individuale da luogo, di regola, alla conformazione reale del rapporto concreto al modello prescritto - per via di sostituzione o integrazione della disciplina pattuita con quella legale ovvero per via del disconoscimento di effetti alla sola disposizione contrattuale illegittima - e non già alla riduzione del rapporto reale ad una condizione di totale o parziale irrilevanza giuridica”. In verità anche l’art. 32 co.5 L. 4.11.2010, n. 183, laddove dispone “nei casi di conversione del contratto a tempo determinato…”, presuppone che dalla nullità della Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 24 clausola appositiva del termine finale deriva la conversione in un rapporto a tempo indeterminato; in proposito Corte Cost. 11.11.2011, n. 3030, nel rigettare le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32 co. 5, 6 e 7 L. 183/2010, ha precisato che “…la norma scrutinata non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto, assicura a quest'ultimo l'instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Difatti, l'indennità prevista dall'art. 32, commi 5 e 6, della legge n. 183 del 2010 va chiaramente ad integrare la garanzia della conversione del contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato. E la stabilizzazione del rapporto è la protezione più intensa che possa essere riconosciuta ad un lavoratore precario. Non a caso, dall'esame dei lavori preparatori si desume che la disposizione di cui all'art. 32, comma 5, dell'anzidetta legge dev'essere correttamente letta come riferita alla conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato e che, conseguentemente, la previsione della condanna al risarcimento del danno in favore del lavoratore dev'essere intesa “come aggiuntiva e non sostitutiva della suddetta conversione” (ordine del giorno G/1167-B/7/1-11 accolto al Senato della Repubblica innanzi alle commissioni I e XI riunite nella seduta del 2 marzo 2010)”. Quindi deve esser dichiarato che, a far data dall’1.1.2009 (epoca in cui è insorta la divergenza tra le esigenze tecniche, organizzative e produttive indicate a fondamento della clausola appositiva del termine finale del contratto sottoscritto dalle parti e quelle effettivamente soddisfatte dalle prestazioni lavorative eseguite dalla ricorrente in favore della convenuta), intercorre tra la ricorrente Z. J. e la F. E. M. un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e pieno avente per oggetto mansioni di addetto tecnico di IV livello –settore genetica CCPL per il personale delle Fondazioni ex L.P. 2.8.2005, n. 14. --a) Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 25 In ordine alle retribuzioni maturate in epoca precedente la sentenza di accertamento della nullità del termine (dalla cui scadenza anche nel caso in esame è cessata la funzionalità di fatto del rapporto), prima dell’entrata in vigore della L. 183/2010 era consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. S.U. 5.3.1991, n. 2334; Cass.27.5.2009, n. 12343; Cass. 12.3.2009, n. 6010; Cass. 27.3.2008, n. 7979; Cass. 13.4.2007, n. 8903; Cass. 27.10.2005, n. 20858;), l’orientamento secondo cui, nel caso di nullità della clausola di apposizione del termine finale, il prestatore, che vede il suo rapporto di lavoro convertito in tempo indeterminato, ha diritto al risarcimento dei danni subiti a causa dell'impossibilità di svolgere la prestazione, stante il rifiuto ingiustificato del datore di lavoro di riceverla, danni corrispondenti alle retribuzioni maturate dal momento in cui il lavoratore ha messo a disposizione del datore le proprie energie, così costituendolo in mora ex art.1217 cod.civ. (analogamente anche Cass. ord. 28.1.2011, n. 2112, su cui infra). Profonde innovazioni ha introdotto l’art. 32 co.5 L. 183/2010, il quale prescrive: “Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’ articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604…” La Suprema Corte (ord. 28.1.2011, n. 2112;) ha sollevato (come pure il tribunale di Trani) questioni di illegittimità costituzionale dell’art. 32 co.5 (nonché 6 e 7) ) L. 183/2010 in riferimento, per quanto qui rileva, agli artt. 3 co.2, 4, 24 e 111 Cost. (“Il danno sopportato dal prestatore di lavoro a causa dell'illegittima apposizione del termine al contratto è pari almeno alle retribuzioni perdute dal momento dell'inutile offerta delle proprie prestazioni e fino al momento dell'effettiva riammissione in servizio. Fino a questo momento, spesso futuro ed incerto durante lo svolgimento del processo e non certo neppure quando viene emessa la sentenza di condanna, il danno aumenta col decorso del tempo ed appare di dimensioni anch'esse non esattamente prevedibili…La liquidazione di un'indennità eventualmente sproporzionata per Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 26 difetto rispetto all'ammontare del danno può indurre il datore di lavoro a persistere nell'inadempimento, eventualmente tentando di prolungare il processo oppure sottraendosi all'esecuzione della sentenza di condanna, non suscettibile di realizzazione in forma specifica”) nonché all’art. 4 Cost. (stante la “non aderenza di esse alla giurisprudenza comunitaria. La sproporzione fra la tenue indennità ed il danno, che aumenta con la permanenza del comportamento illecito del datore di lavoro, sembra contravvenire all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 ed allegato alla direttiva 1999/70, che impone agli Stati membri di "prevenire efficacemente l'utilizzazione abusiva di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato... ossia misure che devono rivestire un carattere non soltanto proporzionato, ma anche sufficientemente effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell'accordo quadro" (Corte CE sent. e. 212/04, Adeneler) "Ne consegue che, qualora si sia verificato un ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato successivi, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso ed eliminare le conseguenze della i violazione del diritto comunitario" (Corte CE sent. da C 378/07 a C 380/07, Angelidaki )”. Con la sentenza 303/2011 la Consulta ha dichiarato non fondate le suddette questioni. Secondo il giudice delle leggi la disciplina ex art. 32 co.5 (nonché 6 e 7) L. 183/2010 è fondata sulla ratio legis diretta ad “introdurre un criterio di liquidazione del danno di più agevole, certa ed omogenea applicazione”, rispetto alle “obiettive incertezze verificatesi nell'esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del danno secondo la legislazione previgente”. Tale norma, che, come si è già visto, “non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto, assicura a quest'ultimo l'instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato”, va intesa, in base ad una “interpretazione costituzionalmente orientata”, nel senso che “il danno forfetizzato dall'indennità in esame copre soltanto Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 27 il periodo cosiddetto “intermedio”, quello, cioè, che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara la conversione del rapporto”, con la conseguenza che a partire da tale sentenza “è da ritenere che il datore di lavoro sia indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva” (altrimenti risultando “completamente svuotata” la “tutela fondamentale della conversione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato. Se, infatti, il datore di lavoro, anche dopo l'accertamento giudiziale del rapporto a tempo indeterminato, potesse limitarsi al versamento di una somma compresa tra 2,5 e 12 mensilità di retribuzione, non subirebbe alcun deterrente idoneo ad indurlo a riprendere il prestatore a lavorare con sé. E lo stesso riconoscimento della durata indeterminata del rapporto da parte del giudice sarebbe posto nel nulla.”) Nel contempo “il nuovo regime risarcitorio non ammette la detrazione dell'aliunde perceptum. Sicché l'indennità onnicomprensiva assume una chiara valenza sanzionatoria. Essa è dovuta in ogni caso, al limite anche in mancanza di danno, per il avere il lavoratore prontamente reperito un'altra occupazione”. In definitiva secondo Corte Cost. 303/2001 la norma risulta “adeguata a realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi”, atteso che: “Al lavoratore garantisce la conversione del contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, unitamente ad un'indennità che gli è dovuta sempre e comunque, senza necessità né dell'offerta della prestazione, né di oneri probatori di sorta. Al datore di lavoro, per altro verso, assicura la predeterminazione del risarcimento del danno dovuto per il periodo che intercorre dalla data d'interruzione del rapporto fino a quella dell'accertamento giudiziale del diritto del lavoratore al riconoscimento della durata indeterminata di esso. Ma non oltre, pena la vanificazione della statuizione giudiziale impositiva di un rapporto di lavoro sine die”. Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 28 Successivamente la Suprema Corte (Cass. 29.2.2012, n. 3056;) ha dichiarato di aderire a tale interpretazione adeguatrice, ritenendo di non ravvisare una diversa interpretazione “che sia parimenti non solo rispettosa della Costituzione, ma anche del tutto conforme alla lettera e alla ratio della norma stessa”; quindi l’indennità ex art. 32 co.5 L. 183/2010 si configura “come una sorta di penale stabilita dalla legge – in stretta connessione funzionale con la declaratoria di conversione del rapporto di lavoro – a carico del datore di lavoro per la nullità del termine apposto al contratto di lavoro e determinata dal giudice nei limiti e con i criteri dettati dalla legge, a prescindere sia dall'esistenza del danno effettivamente subito dal lavoratore (e da ogni onere probatorio al riguardo) sia dalla messa in mora del datore di lavoro, con carattere “forfetizzato”, “onnicomprensivo” di ogni danno subito per effetto della nullità del termine, nel periodo che va dalla scadenza dello stesso fino alla sentenza che ne accerta la nullità e dichiara la conversione del rapporto”. La Corte non ha condiviso altre interpretazioni “che in qualche modo riducano o eliminino il carattere “onnicomprensivo” dell'indennità, ovvero ne delimitino ulteriormente il periodo di “copertura”, in ragione di elementi (come la messa in mora o l'epoca della domanda) estranei alla fattispecie legale (al pari di quelle, opposte, estensive del periodo medesimo)”. In particolare, in relazione all’orientamento che fissa la data finale del periodo coperto dall’indennità alla data della proposizione del ricorso giurisdizionale e non già alla data della sentenza (Corte Appello Roma n. 547/2012; Corte Appello Torino n. 1519/2011; Tribunale Napoli 16.11.2011;), occorre ricordare che la Consulta (richiamando le proprie pronunce - sent. n. 298/2009, 86/2008, 282/2007, 354/2006, ord. n. 102/2011, 109/2010, e 125/208) ha escluso che “inconvenienti solo eventuali e di mero fatto, che non dipendono da una sperequazione voluta dalla legge, ma da situazioni occasionali e talora patologiche (come l'eccessiva durata dei processi in alcuni uffici giudiziari)” possano rilevare ai fini del giudizio di legittimità costituzionale; quanto alle “presunte disparità di trattamento ricollegabili al Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 29 momento del riconoscimento in giudizio del diritto del lavoratore illegittimamente assunto a termine” ha rilevato non solo che “il processo è neutro rispetto alla tutela offerta”, ma anche che “l'ordinamento predispone particolari rimedi, come quello cautelare, intesi ad evitare che il protrarsi del giudizio vada a scapito delle ragioni del lavoratore (sentenza n. 144 del 1998), nonché gli specifici meccanismi riparatori contro la durata irragionevole delle controversie di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89”. Di recente anche la Corte territoriale (ex multis Corte Appello Trento n. 42/2012) ha statuito che l’indennità ex art. 32 co.5 L. 183/2010 è volta a risarcire la perdita delle retribuzioni relative al periodo fino alla pronuncia della sentenza e non già alla proposizione della domanda giudiziale. Da ultimo l’art. 1 co.13 L. 28.6.2012, n. 92 (entrata in vigore in data 18.7.2012) ha statuito: “La disposizione di cui al comma 5 dell’articolo 32 della legge 24 novembre 183, n, 183 si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro”. b) L’art. 32 co.5 L. 183/2010 richiama, ai fini della commisurazione dell’indennità risarcitoria tra il minimo di 2,5 ed il massimo di 12 mensilità, i criteri ex art. 8 L. 15.7.1966, n. 604 ovvero “avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti”; in proposito Corte Cost. 303/2011 ha evidenziato che “la garanzia economica in questione non è né rigida, né uniforme” e, “anche attraverso il ricorso ai criteri indicati dalla L. n. 604 del 1966, art. 8, consente di calibrare l'importo dell'indennità da liquidare in relazione alle peculiarità delle singole vicende, come la durata del contratto a tempo determinato (evocata dal criterio dell'anzianità lavorativa), la Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 30 gravita della violazione e la tempestività della reazione del lavoratore (sussumibili sotto l'indicatore del comportamento delle parti), lo sfruttamento di occasioni di lavoro (e di guadagno) altrimenti inattingibili in caso di prosecuzione del rapporto (riconducibile al parametro delle condizioni delle parti), nonché le stesse dimensioni dell'impresa (immediatamente misurabili attraverso il numero dei dipendenti”. Venendo al caso in esame, considerando la durata triennale del rapporto di lavoro, la non immediata reazione della lavoratrice ricorrente (che ha impugnato in data 25.7.2011 il contratto scaduto il 31.12.2010) e le non esigue dimensioni dell’azienda datrice, appare equo quantificare l’indennità in misura pari a nove mensilità corrispondente, in ragione di una retribuzione globale di fatto, quale emerge dai prospetti paga prodotti dalla ricorrente (all’incirca € 1.707,83), ad € 15.370,47; tale somma va maggiorata con gli interessi legali decorrenti dalla data odierna fino al saldo. in ordine alla domanda di condanna alla stabilizzazione Essendo stata proposta in via subordinata rispetto a quella già accolta (inammissibile, per evidente tardività, è l’inserimento dell’inciso “in via alternativa” inserito in sede di note finali), appare superfluo procedere all’esame dell’ulteriore domanda proposta dalla ricorrente e concernente la stabilizzazione, previa declaratoria che la sua mancata stabilizzazione è stata determinata da motivi di discriminazione di genere; ciò senza però non rilevare le singolarità di una procedura di stabilizzazione che: a) non ha previsto la predeterminazione di criteri generali ed astratti ai fini dell’individuazione dei lavoratori da stabilizzare (come riferito dai testi V. e B.), il che non appare di certo conforme ai “principi di pubblicità, trasparenza ed imparzialità” richiamati nelle direttive impartite dalla Provincia Autonoma di Trento alle Fondazioni (doc. 9 e 11 fasc. conv.); b) Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 31 ha comportato il consolidamento, mediante la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, della stragrande maggioranza degli aspiranti (secondo il teste V. “la differenza tra le persone che hanno partecipato alla stabilizzazione e quelle stabilizzate è stato inferiore alle decina”; secondo il teste S.“solo due persone [tra cui la ricorrente] non erano state stabilizzate”), tanto che il risultato appare più simile ad una sanatoria che ad una stabilizzazione selettiva e ciò imponeva all’ente convenuto un più stringente obbligo di motivazione della sua scelta; c) la ricorrente è stata ritenuta non adatta a ricoprire un posto (di addetta alla nuova piattaforma tecnologica), le cui mansioni ella aveva già svolto per otto mesi; d) l’esclusione della ricorrente dal novero degli stabilizzati è stata giustificata a posteriori (difettando la predeterminazione di criteri generali ed astratti) dall’ente convenuto con la maggiore complessità delle nuove piattaforme tecnologi rispetto ai laboratori in precedenza utilizzati da ciascun gruppo di ricerca, mentre la teste G. ha riferito circostanze diametralmente opposte, dichiarando che presso la “nuova piattaforma tecnologica, la quale si occupa di genotipizzazione e sequenziamento… sono state accentrate le analisi meno complesse e più ripetitive; presso i gruppi di ricerca sono rimasti comunque i laboratori effettuate le analisi di maggiore complessità...”; appare evidente che un siffatto modus operandi poteva indurre la ricorrente ad ipotizzare ragionevolmente di essere stata destinataria di determinazioni da parte della F. convenuta non già discrezionali, ma, se non discriminatorie, quanto meno arbitrarie. in ordine alle spese Le spese non possono che seguire la soccombenza. P.Q.M. Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 32 Il tribunale ordinario di Trento - sezione per le controversie di lavoro, in persona del giudice istruttore, in funzione di giudice unico, dott. Giorgio Flaim, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione rigettata, così decide: 1. Accerta la sopravvenuta inidoneità, a far data dal gennaio 2009, della corrispondente clausola a giustificare l’apposizione del termine finale (31.12.2010) al contratto di lavoro subordinato stipulato dalle parti in data 31.1.2008. 2. Dichiara che, a far data dal gennaio 2009, intercorre tra la ricorrente Z. J. e la convenuta F. M. un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e pieno avente per oggetto mansioni di addetto tecnico di IV livello – settore genetica CCPL per il personale delle Fondazioni ex L.P. 2.8.2005, n. 14. 3. Condanna l’ente convenuto alla corresponsione, in favore della ricorrente, dell’indennità risarcitoria ex art. 32 co.5 L. 183/2010, liquidata nella somma di € 15.370,47, pari a nove mensilità della retribuzione globale di fatto, con gli interessi legali decorrenti dalla data odierna fino al saldo. 4. Condanna l’ente convenuto alla rifusione, in favore della ricorrente, delle spese di giudizio liquidate nella somma complessiva di € 3.768,09, di cui € 3.500,00 per compenso ed € 268,09 per spese documentate, oltre ad I.V.A. e C.N.P.A.. Trento, 4 aprile 2013 IL FUNZIONARIO GIUDIZIARIO Tiziana Oss Cazzador IL GIUDICE dott. Giorgio Flaim Materiale diffuso da: Osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro www.dirittisocialitrentino.it Progetto di ricerca svolto nellʼambito del bando post doc PAT 2011 33