Il grido di Giovanni Paolo II ei 25 anni del Samaritano

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Il grido di Giovanni Paolo II ei 25 anni del Samaritano
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Il grido di Giovanni Paolo II e i 25 anni del Samaritano
Polistena, 9 maggio 2013
Vorrei provare a proporre la mia riflessione su "La Chiesa di fronte alle mafie a 20
anni dall'intervento del Beato Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi"1, mettendo
insieme e riflettendo con voi sia su questa ricorrenza sia sui 25 anni dell'Associazione
"Il Samaritano". Vorrei farlo andando oltre il mero accostamento, pur significativo di
due date: i 20 anni del primo e i 25 di vita dell'Associazione il Samaritano.
Mi piace vedere in quello di Giovanni Paolo II un grido che - assieme ad altri
interventi - raccoglie e dà visibilità alle tante voci/realtà qua e là sparse per l’Italia e
che non si rassegnano allo strapotere, spesso accompagnato da incolumità, della
malavita. Ma da quel grido restano fuori tante - e devono restare fuori le tante sensibilità di facciata e ... “a comando”. Sì, perché ancora oggi continuano ad esserci
sia le une sia le altre. Per essere più chiari; non mi sembra di dire niente di nuovo se
affermo che non sempre gli inviti forti ed espliciti del Papa o dei Vescovi trovano
pronta ed entusiasta accoglienza nei nostri ambienti.
Chi percorre le strade della nostra Penisola lo sa bene questo! Sa, ad esempio,
che tra le "sensibilità a comando" o "di occasione" e quindi nient’affatto convinte
vanno inserite quelle di chi – di fronte all’impegno costante e senza riserve di qualche
prete o vescovo, che ritiene evangelico spendersi per rubare terreno alla malavita o di
fronte alle prese di posizione chiara del Magistero - non trova di meglio da fare che
etichettare queste persone come “preti/vescovi del sociale”! Semmai accompagnando
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«Dio ha detto una volta: “Non uccidere”. Nessun uomo, nessuna associazione umana, nessuna mafia può cambiare
e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Questo popolo siciliano è un popolo che ama la vita, che dà la vita. Non
può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, di una civiltà della morte. Qui ci vuole la civiltà della vita.
Nel nome di Cristo, crocifisso e risorto, di Cristo che è via, verità e vita, mi rivolgo ai responsabili: convertitevi, un
giorno arriverà il giudizio di Dio» (Agrigento, 9 maggio 1993).
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questa espressione (“preti/vescovi del sociale”) con un misto di simpatia, di ...
compassione e comunque di sostanziale presa di distanza perché – per queste persone
– spendersi perché il malaffare venga arginato, spendersi perché la legalità non venga
ridotta a slogan o a interesse da mettere in mostra nelle “occasioni comandate” – (per
queste persone) in fondo non entra nel DNA del ministero sacerdotale sporcarsi le
mani in un territorio – quello della giustizia – che presenta oggettivamente dei
pericoli e che, spesso, ti presenta il conto per l'impegno profuso.
Un conto non sempre o non solo fatto di macchine bruciate o di scritte
ingiuriose o minacciose; ma un conto che è fatto anche di sorrisini compassionevoli,
se per caso ti è stato riconosciuto un piccolo successo; ma un conto fatto anche di
sottile soddisfazione quando qualcuno decide di fartela pagare!
La mia piccola esperienza personale, in un territorio non proprio tranquillo da questo
punto di vista, mi ha insegnato questo: la sensibilità e quindi un impegno che poi
trovi espressione forte e inequivocabile nelle parole di Giovanni Paolo II non si
inventano! Né tra i preti né tra i laici.
La sensibilità e quindi l'azione che si sviluppa per promuovere la legalità e la
giustizia sociale sono “vita e “vita evangelica”. E a questa vita ci si educa!
La sensibilità e quindi l'azione che si sviluppa per promuovere la legalità e la
giustizia sociale non possono essere liquidate, come spesso avviene anche nei nostri
ambienti, come sensibilità marginali rispetto a quello che ogni credente in Cristo deve
sentirsi appartenere. Spendersi - con tutti i limiti del caso - per togliere terreno alla
malavita, contendendosi semmai con il "capobastone" di turno una strada o una
piazza da destinare al gioco dei ragazzi fa parte dell'impegno quotidiano del credente
in Cristo, che è venuto per restituirci la gioia di vivere nella libertà.
Se guardo alla mia limitata esperienza, devo confessare che quel poco di sensibilità
che mi ritrovo e quel pochissimo che, con altri, ho cercato e cerco ancora di fare mi è
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stata contagiata dai "poveri cristi" che ho incontrato sulla mia strada. Mi è stata
contagiata soprattutto da quelli che hanno messo in crisi il mio atteggiamento
antievangelico tutte le volte in cui alle parole non facevo seguire uno straccio di
impegno personale. Mi è stata contagiata soprattutto da quelli che mi hanno
rimproverato tutte le volte in cui, invitati da me ad avere speranza, non vedevano la
mia mano stringere la loro per accompagnarli concretamente su vie di speranza,
cercando con loro, tentando con loro, sbattendo semmai di fronte a qualche ostacolo,
ma ... con loro.
Non ho dati statistici per capire e per affermare se e in che misura, a vent'anni
dal grido di Giovanni Paolo II, sia cresciuta nella nostra Chiesa la chiara
consapevolezza che i tanti "distinguo" e il silenzio che ad essi spesso segue, fanno il
gioco della malavita e che sulla mancanza di chiarezza e di prese di posizione
nascono e si sviluppano equivoci insopportabili. Come quello di chi non si ribella e
non trova assurdo e blasfemo (sì, blasfemo!) pensare che possa essere in qualche
modo giustificato o guardato con simpatia il mafioso che si circonda di immagini
sacre e di Bibbie disseminate per casa ... o meglio per covi!2
Qualche elemento in verità mi incoraggia, e non poco! Il quotidiano cattolico
Avvenire segue con un'attenzione davvero encomiabile le numerose esperienze nate
dal rifiuto senza riserve delle logiche mafiose e accompagna con evidenti segni di
condivisione tutte le proposte di speranza nate sui segni di morte seminati con
larghezza dalla malavita. Accanto a questo accompagnamento coraggioso e costante,
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Nella Nota pastorale Nuova evangelizzazione e pastorale, la Conferenza episcopale siciliana, denunciando
l’incompatibilità tra mafia e Vangelo, affermava che “tale incompatibilità è intrinseca alla mafia per se stessa, per le sue
motivazioni e per le sue finalità, oltre che per i mezzi e per i metodi adoperati. La mafia appartiene, senza possibilità di
eccezioni, al regno del peccato e fa dei suoi operatori altrettanti operai del maligno. Per questa ragione, tutti coloro che.
in qualsiasi modo, deliberatamente, fanno parte della mafia e ad essa aderiscono o pongono atti di connivenza con
essa, debbono sapere di essere e di vivere in insanabile opposizione al Vangelo di Gesù Cristo e, per conseguenza, di
essere fuori della comunione della sua Chiesa” (n. 12).
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vedo anche moltiplicarsi, nei nostri ambienti, la volontà di far crescere la
consapevolezza di quello delle logiche che regolano i comportamenti mafiosi.
Lo sappiamo, la cultura mafiosa nasce e si sviluppa dove e quando si continua a
chiedere "per favore" ciò che è dovuto "per diritto", nasce e si sviluppa dove la
raccomandazione è considerata regola e sistema.
Se questo è vero, com'è vero, dobbiamo sapere che chi nutre la propria immagine e va
orgoglioso della propria capacità di elargire favori a persone alle quali quelle stesse
cose andrebbero oggettivamente assicurate "per diritto" può e deve ritenersi, senza
alcun rito di affiliazione particolare, membro della malavita.
Agli educatori e a quanti di noi ricoprono ruoli di responsabilità viene domandato
l'impegno di educare alla cultura dei diritti e dei doveri, senza sconti. Lo ripeto: la
malavita cresce tutte le volte che si fa passare il diritto da assicurare per un favore
elargito.
Sapete? Questa cultura, terreno sul quale prospera la mentalità mafiosa del chiedere
per favore ciò che spetta per diritto, a volte, la troviamo anche nelle nostre chiese.
Immaginate, c'è gente - per lo più persone che, pur non frequentando le nostre chiese,
non vogliono rinunziare a un Battesimo, a una Prima Comunione o a una Cresima e
che, proprio perché respirano a pieni polmoni la cultura del favore più che quella del
diritto - (c'è gente) che viene a chiedere i Sacramenti "come favore", semmai
facendosi raccomandare da qualche persona ... fidata, che può vantare qualche
conoscenza nell'ambiente della Chiesa! Ma c'è anche gente - per fortuna pochi, mi si
dice - che, ostentando una religiosità di facciata, si onora di far parte dei comitati di
feste popolari per interessi inespressi e per godere dei favori della gente. Come c'è
gente che pretende il ruolo di padrino di Battesimo e/o di Cresima, senza averne i
requisiti richiesti.
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Le cronache dei fatti criminosi attribuiti alla malavita ci dicono che non ci
renderemo mai conto abbastanza della capacità della malavita di pervadere il contesto
sociale e facendosi lei stessa istituzione. É sotto gli occhi di tutti, poi, il passaggio
"culturale" e di strategia intervenuto all'interno delle organizzazioni mafiose; tanto
che dal mafioso che appoggiava il politico si è passato al mafioso che cerca di farsi
lui stesso politico.
Ben vengano allora iniziative di questo genere, tese a "far memoria" di eventi e
parole dal sapore forte e inequivocabile. Anche se sono convinto che da sole non
bastano per allargare il numero delle persone consapevoli della necessità di spendersi
per combattere le logiche - talvolta spavalde e sprezzanti, altre volte subdole - della
malavita. Una consapevolezza e una sensibilità concrete che non si inventano né
vanno date per scontato.
La poca esperienza che mi son fatto in questi anni - pagando personalmente anche il
prezzo di errori commessi per eccesso di entusiasmo - mi dice che se non ci hai
rimesso mai niente di tuo (non mi riferisco necessariamente ai soldi!) per certe realtà
– ad esempio, per un gruppo di lavoro, per una comunità, per un’associazione, per lo
sviluppo di un’attività, per un bene confiscato ecc. - (se non ci hai rimesso mai niente
di tuo) quelle realtà tu le vedrai solo come luoghi di potere/strapotere delle quali
impadroniti per gestirle con il piglio del faccendiere disposto a tutto, fuorché al
servizio. E questo può avvenire ed avviene fuori e dentro la Chiesa, proprio perché
tante volte manca l'aver interiorizzato la forza che viene dalla pagina evangelica del
Samaritano. Una pagina che non chiede di essere sbattuta in faccia a nessuno per la
immediatezza del suo messaggio; una pagina invece che può gettare una luce
straordinaria sulla vita di ognuno di noi e su quella delle realtà che possono nascere
quando si incontrano in maniera feconda bisogni (il malcapitato del vangelo) e
desiderio di non girarsi dall'altra parte dinanzi ad essi. Il fatto è che spesso il
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malcapitato che incontriamo per strada, ci riesce più facile invitarlo a venire a
qualche cerimonia religiosa che fermarci prima ad ascoltarne il grido di dolore,
vedendo se, per caso, non ci sia la possibilità di lenirne le ferite.
L'audacia del Samaritano e i verbi con i quali l'Evangelista Luca descrive i suoi
gesti - se fatti nostri - sono capaci di farci crescere sempre di più come Chiesa e come
società civile sulle quali tutti devono poter contare perché non distratte da beghe
interne e da interessi di parte e corporativi. Il Signore ci chiederà conto di ritardi e di
omissioni causati dalla burocrazia del cuore e della mente, causati cioè tutte le volte
che giriamo alla larga dal malcapitato di turno, avendo sempre un motivo in più per
non metterci in gioco con lealtà di fronte a esigenze precise e a responsabilità
riconosciute.
 Nunzio Galantino
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