di - Campo de`fiori

Transcript

di - Campo de`fiori
Civita Castellana
Domenica 12 Febbraio
in Piazza Matteotti
alle ore 16,00
l’Associazione
CATAMELLESI DOC
organizza la 5^ sagra
del Frittellone
Giovedì
23 Febbraio
“CARNEVALE DEI BAMBINI”
sfilata di maschere e carri allegorici
sul tema
“ i 4 elementi - acqua, terra, aria e fuoco”
Domenica 19 - Domenica 26
Martedì 28 Febbraio
Sfilata dei Carri Allegorici
-
La marcia dei pinguini
Libellule e collezionisti
Mambo e Carioca
Si a Divina Commedia nun la sai...
... salla! (carro)
- Carusielli de’ un antro pianeta
- Cupido co’ a freccetta ha colpito
Romeo e Giulietta... a Verona
semo passati e a Civita l’amio
portati!
- Catarì Party, Platinette c’è
- Circo Rosina (carro)
- Sveja Domenica c’è il derby, Holly
e Benji
- Così senza Schumi e Vale, l’antenati si inventarono carnevale
- Caro pubblico battete le mani, il
gruppo Gazibo vi presenta i
Birmani
- La nonna, er gatto e lu cellu
(carro)
- HAAAA...... le Hawaii
- Un sacco de grano pe’ o corvo
nostrano
- Tra Pinocchio e il burattiere, mi
consenta qual’è il vero Cavaliere
(carro)
MASCHERE LIBERE
-
Ciuffete, Ciuffete (locomotiva)
Ben Hur all’attacco
Cappello e Cappella
La macchina di Santa Rosè
Ecco le grattachecche
Super Chiarori
Campo de’ fiori
3
Ho letto
nei tuoi occhi
Sandro Anselmi
Ho preso il coraggio di parlare della mia
storia con Federico e , dopo l’uscita del
precedente numero di Campo di Fiori dove
incominciavo a ricordare il vissuto e le
emozioni di giorni passati, ho gradito moltissimo i tanti vostri apprezzamenti e le
vostre gratificazioni. Avevo avuto timore
all’inizio, di poter strumentalizzare, anche
se involontariamente, mio figlio ma, grazie
a voi, capisco che così non è stato.
Ed è allora, con immensa soddisfazione,
che posso constatare come il messaggio
sia passato integro ed indenne da ogni
forma di speculazione, per arrivare diretto
con la carica dei suoi sentimenti e la
potenza dell’amore. Se tantissime persone
mi hanno confidato la loro emozione nel
leggere quella mia “lettera”, allora è segno
che quella preziosa umanità che tutti
andiamo cercando, alberga ancora tenace
in fondo ai nostri cuori, nonostante i gravi
problemi del tempo in cui viviamo, nonostante tutto!
Non è retorico ricordare che lo spirito di
questa rivista è proprio quello della ricerca
e dell’affermazione dei valori, del desiderio
della riscoperta dei sentimenti, dell’esempio della saggezza dei nostri padri, della
naturale accettazione del “diverso”, insieme al rifiuto totale della polemica per
forza, e delle squallide lotte di partito. Se
solo questi miei umili pensieri e queste
semplici testimonianze, potessero contribuire anche minimamente a migliorare i
rapporti fra le persone, allora sarei infinitamente grato al Signore, per avermi fatto
dono di questa immeritata qualità.
Al riguardo ho certo molti dubbi, ma tentare mi sarà lecito, per la convinzione di
camminare per la giusta strada e per la
gioia di pensare che, magari mio figlio e
quelli come lui, avranno guadagnato uno
sguardo ed un sorriso in più.
Il ricordo della prima volta che ti vidi piangere caro Federico, l’ho ancora vivo dentro
e, tutt’oggi, mi far star male. Eri appena
tornato a casa dopo quell’interminabile
permanenza in ospedale e la tua bontà, la
tua tranquillità, ci sorprendevano tutti.
Eri un bambolotto caldo, da stringere e da
accarezzare all’infinito.
Io ti passavo delicatamente le dita sugli
occhi cercando di piegarli un po’ in basso,
per correggere quel taglio orientale comune a voi Down, e tu ti lasciavi fare e ridevi.
Ti cantavo le filastrocche più stupide che
inventavo al momento, cercavo che tu mi
imitassi nelle smorfie e nelle boccacce più
buffe. Non lo facevi, ma ti divertivi e battevi d’istinto le manine .
Con i giocattoli, poi, era un’impresa.
Non capivi l’uso che ne dovevi fare e, quasi
tutti, finivano scaraventati fuori dalla culla.
Non volevo che tirassi fuori continuamente
la lingua, ed allora facevo finta di prenderla con le dita così tu, impaurito, la ritraevi.
Ti suonavo spesso la chitarra per cantare
“Oh che bel castello marcondirondirondello…..” ed allora, contento, sgambettavi e
gesticolavi tutto.
Una sera, che eri già a letto e venivo a
controllare se ti fossi addormentato, vidi,
con sgomento, due lacrime solcare le tue
guancine. Mi feci prendere immediatamente dall’ansia.
Non sapevo cosa avessi, cosa ti sentissi, tu
non me lo potevi dire: non parlavi.
Tu piangevi in silenzio, con dignità, senza
singhiozzi, senza strepiti, sembravi un piccolo angioletto triste.
Portavi allora i capelli tagliati a caschetto
ed io, lesto, li sollevai per sentirti la fronte.
Ma non avevi la febbre.
Allora cosa ti faceva piangere?
Ti palpai il pancino, ti feci muovere le gambine e le braccia, ma nulla cambiava della
tua espressione da tradire un qualsiasi
dolore. Che avevi allora?
Mi straziava vedermi fissare così, mi chiedevi aiuto e non capivo cosa avessi.
Allora, per consolarti e farti sentire più
forte la mia presenza, ti presi in braccio e
ti coprii di carezze e di baci.
D’incanto spiegasti un candido sorriso, e
quei dentini che sembravano piccole perline, mi regalarono all’istante la gioia
immensa d’aver fugato un pericolo.
Nella ritrovata serenità, ti strinsi al petto
da sentire i battiti del tuo cuoricino accanto al mio.
Pensai allora che ti fosse venuta un attimo
di malinconia, e cercavo di immaginare
quali pensieri fossero passati per la tua
testolina.
Conoscendo la tua straordinaria sensibilità,
ti eri magari intristito per qualcosa che a
noi “normali” sarebbe, senza dubbio, sfuggita, qualcosa che non avremmo minimamente percepito.
In fondo tu vivi pienamente i sentimenti, in
maniera diretta, senza compromessi, ed il
bene che ci regali è molto di più di quello
che noi riusciamo a darti.
di Loredana Filoni
Campo de’ fiori
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Incontro con il simpatico attore romano alle prese con lo spettacolo “Geneticamente mortificato”
Rodolfo Laganà è un personaggio che sa trasmettere la sua filosofia anche oltre lo spettacolo. In “Geneticamente mortificato”, giocando con il dialetto romanesco, mette in
luce le debolezze dei romani e i piccoli problemi della vita quotidiana.
Laganà, con l’ausilio di monologhi, racconta i
suoi anni, vissuti placidamente. Abbiamo
intervistato l’attore in un clima sereno, rilassante e simpatico.
D: Ci parla un po’ di questo spettacolo?
R: Naturalmente, è un gioco di parole, un
one man-show, non è uno spettacolo sulla
genetica. Racconto varie, piccole, mortificazioni quotidiane, che i più deboli, tra i quali
mi annovero, subiscono. E’ uno show con
musica dal vivo, eseguita da un ottima band
di musicisti, tutti professionisti. Abbiamo
anche inciso un CD, attualmente in vendita.
Tutto questo mi sta dando grandi soddisfazioni!
D: Nei suoi show, come del resto, in
questo, nomina spesso la filosofia della
“smaranza”. Ce la vuole spiegare?
R: Io sono il filosofo della “smaranza”: è una
pigra calma, è il gusto del cibo, è il dolce far
niente, la tolleranza verso il proprio corpo. Il
mio slogan a tal proposito è: per tutti quelli
che hanno capito che nella vita l’importante
non è vincere, ma non partecipare proprio.
D: Questo show è il medesimo di quello
estivo?
R: Si. Ho iniziato all’interno del “Raccordo
Anulare World Tour” che faccio da anni. In
questo teatro il “Greco” di Roma, non ero
mai stato. Me lo hanno proposto, ho accettato e, devo dire, sta andando bene. Sono contento.
D: Come sono gli esordi di Rodolfo
Laganà?
R: Sono approdato al mestiere di attore solo
……per aver sbagliato fila! Era il lontano
1978. Andai al “Brancaccio” per prendere dei
biglietti per uno spettacolo di Gigi Proietti.
Davanti a me c’era una fila enorme di gente.
Mi accodai pazientemente e mi ritrovai, senza
accorgermene, a fare l’audizione per entrare
Loredana Filoni e Rodolfo Laganà
Foto Gloria Laganà
nel laboratorio di Proietti. Avevo sbagliato
fila. In compenso, però, mi presero al laboratorio e cambiai vita. Così, nel 1979, ero nel
laboratorio di Proietti. Sono stato fortunato
anche in seguito, perché nell’ ’80 feci un programma per RAI 3 con la regia di Ugo
Gregoretti, su testi di Cesare Zavattini. Vista
la somiglianza, interpretavo lo stesso
Zavattini. Da lì in poi, ho continuato a fare
televisione con Antonello Falqui, il Sabato
sera di RAI 1, e vari programmi. Poi, pian
piano, ho deciso di intraprendere una carriera di one man – show.
D: Si è ispirato a qualcuno?
R: Solitamente non mi ispiro a nessuno.
Anche se poi, nell’anima, ho il mio grande
mito, che è anche il mio punto di riferimento,
Aldo Fabrizi. Di lui ricordo l’indolenza nel
ritrarre il romano, il suo “farsi scivolare
addosso” le cose. Lo interpreto a modo mio
tenendolo, però, sempre un po’ presente.
D: Proseguirà con la tournèe?
R: Probabilmente prorogheremo un po’, qui
al “Greco”, visto il successo dello spettacolo.
A Febbraio invece, sarò al “Manzoni” di
Roma, con una vera e propria commedia, di
e con Paola Tiziana Cruciani, dal titolo
“Naftalina”, nella quale interpreterò un prete
“sola”. In primavera e in estate penso di
riprendere questo spettacolo.
D: Io lo chiedo un po’ a tutti: ha un’aneddoto da raccontare?
R: Ne avrei tanti, ma, come sempre, non me
ne ricordo quando me lo chiedono. Facendo
un one man – show, ogni sera succede qualcosa di diverso: la persona che ti risponde o
i telefonini che squillano (devo dire purtroppo)! Però mi danno anche spunto per farci
qualche minuto di spettacolo in più. Certo
sarebbe meglio se non succedesse! Di cose
ne accadono tante, perché in teatro c’è una
sorta di integrazione con il pubblico.
D: Ha qualche paura Laganà?
R: Ho delle fobie. Ho una grande fobia degli
uccelli! Ho paura di ogni essere con le ali:
uccelli, galline etc. Ho il terrore! Come tutti
gli esseri umani, c’è la paura della morte e
delle malattie. Sono uno che vive tranquillo.
Faccio una vita poco mondana e molto in
famiglia, con mia moglie Gloria e mio figlio
Filippo, vivo tra le “mura” quotidiane dei miei
cari, che mi proteggono molto ed è un valore cui tengo moltissimo.
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Campo de’ fiori
CORRADO
AUGIAS
connubio esemplare
tra cultura,
giornalismo e
televisione
Il noto scrittore ha presentato
la sua ultima fatica,
“I segreti di Roma”,
in varie librerie capitoline
di Loredana Filoni
Corrado Augias è un giornalista di grande
fama: cura una rubrica sul quotidiano “La
Repubblica” e attualmente conduce “Le
Storie” su RAI 3 alle 12 e 45. Scrittore raffinato di una serie di racconti su alcune città,
da “I segreti di New York” a “I segreti di
Londra”. Descrive luoghi inconsueti e suggestivi, in qualche modo sempre straordinari, in
pagine di grande intensità. Ne “I segreti di
Roma” Augias racconta il volto celato della
nostra capitale e le molte storie che hanno
contribuito a renderla immortale. Dalla rozzezza dei suoi primi abitanti capitanati da
Romolo, alla gloria del Rinascimento, fino alle
illusioni di Cinecittà. Ne scaturisce il fascino
senza fine di una città dal passato che non
trascorre e guai se così non fosse.
Con immenso onore abbiamo potuto intervistarlo durante i suoi mille impegni lavorativi.
D: Cosa pensa del livello culturale del
nostro paese?
R: Penso quello che afferma il Prof. Tullio De
Mauro e che ha esposto nel suo libro “La cultura degli italiani” (Laterza): siamo uno dei
popoli meno preparati d’Europa, con un
tasso di analfabetismo o semi analfabetismo
preoccupante.
D: Come mai, secondo lei, i programmi
di approfondimento culturale sono
relegati in fasce orarie “difficili”?
R: La sola regola che attualmente vige in TV
è il rendimento dei programmi in termini
bruti di audience. Più alta la media degli
spettatori, più alto il costo degli spot pubblicitari.
Poiché per i prodotti dell’intelletto vale la
regola che il prodotto più facile scaccia il prodotto più sofisticato, i programmi meno gros-
solani o più raffinati vengono confinati in ore
periferiche rispetto all’ascolto più massiccio.
D: Come è nata l’idea di questo ciclo di
libri su importanti città e metropoli?
R: E’ nato dalla constatazione di quanto
poco, in genere, si sappia (residenti e visitatori) sulle grandi città che sono, invece, degli
straordinari contenitori di storie, vicende,
personaggi, luoghi, non solo di monumenti e
di musei. La fortuna che questi libri hanno
avuto, eccezionale nel caso de “I segreti di
Roma”, dice con chiarezza che quella mia
sensazione corrispondeva ad un bisogno largamente sentito.
D: C’è una città della quale serba un
ricordo particolare?
R: Le due città che amo sono Roma e Parigi.
Come Josephine Baker potrei dire anch’io
“J’ai deux amours, mon pays et Paris”. Le
ragioni di questi due amori le ho scritte e articolate nei due libri dedicati appunto uno a
Roma, uno a Parigi. A Roma sono nato, mi
piacerebbe morire a Parigi, in modo da racchiudere l’alfa e l’omega della mia vita. In
queste due metropoli, a Giugno, tra l’altro, si
celebrerà il cinquantenario del loro gemellaggio, in esclusiva, giusta ricorrenza. Non
dimentico
neppure
che
Napoleone,
Imperatore dei francesi, diede a suo figlio il
titolo di “Roi de Rome”.
D: Ha pensato di tornare a condurre un
programma del tipo di “Telefono giallo”?
R: Per ora conduco un programma che si
chiama “Le storie”, che và in onda tutti i giorni in un orario eccentrico (12,45 / 13,15) su
RAI 3. Verso la primavera riprenderò qualche
puntata di “Enigma” che è una specie di
“Telefono giallo” applicato alla storia. Ho un
buon ricordo di “Telefono giallo” ma credo
che le molte imitazioni che circolano sugli
schermi, lo rendano improponibile, almeno,
per quanto mi riguarda.
D: Ha in cantiere la stesura di un nuovo
libro?
R: Si, e sono a metà circa della stesura, ma
è un libro molto delicato su un tema difficile.
E’ un po’ presto per parlarne.
D: A conti fatti, quale delle sue molteplici attività predilige: il giornalista, lo
scrittore o il personaggio televisivo?
R: Se fossi davvero ricco, starei a casa a scrivere, oppure in biblioteca, e negli archivi a
fare ricerche, è l’attività che preferisco.
D: Quali letture predilige?
R: Tutte, un po’ per mestiere, un po’ per inclinazione alla solitudine. Per anni ho divorato
romanzi, oggi preferisco la saggistica di tipo
storico.
D: Com’è il Dott. Augias nel suo tempo
libero?
R: Tempo libero? Non voglio fare la retorica
stucchevole di chi dice di lavorare sempre. Il
mio caso è diverso, non saprei dire quando
faccio una cosa per lavoro e quando la faccio
per diletto, lavoro e tempo libero si confondono, si mescolano uno con l’altro.
Campo de’ fiori
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“La bottega del caffè”
Il gusto di valori sempre attuali in una commedia antica.
Interprete d’eccezione Riccardo Garrone
di Loredana Filoni
Questo testo goldoniano fa parte delle
sedici commedie nuove che furono commissionate all’autore dall’impresario veneziano Medebach, per la stagione 17501751. Fra le sedici commedie questa è l’unica di ambiente. La scena rappresenta
una piazza veneziana, dove hanno fondamenta alcuni edifici: la bottega del caffè,
la casa della ballerina, la casa da gioco,
una bottega da barbiere e una locanda.
L’intreccio delle varie storie si articola
attorno a Don Marzio (Garrone), gentiluomo ma non troppo, che interferisce nella
vita delle persone che incontra sulla sua
strada, complicando ulteriormente le vicissitudini altrui, rendendole quasi farsesche,
sul limite dell’inverosimile. Una commedia
di grande effetto comico, in cui le “visioni”
di Don Marzio, fra l’altro non veritiere,
assumono un sapore amaro. Don Marzio,
come tutta la commedia, ha caratteri universali, come universali sono i maldicenti e
i millantatori.
“Campo de’ fiori” ha incontrato Riccardo
Garrone che ha parlato un po’ della commedia e delle sue esperienze artistiche.
D: Ci parla di questo testo goldoniano, scritto nel 1750, ma sempre
attuale per contenuti e messaggi?
R: C’è poco da dire! E’ una commedia
abbastanza conosciuta. Don Marzio, il mio
personaggio, è un po’ la “lingua cattiva” di
Venezia, quello che racconta i fatti di tutti,
l’impiccione, il curiosone. Al termine, però,
il pubblico si accorge che, in fondo, non
aveva tutti i torti nel riferire le cose dette.
E’ anche un uomo cortese, gentile e ironico, che crede poco nell’onestà umana. Il
suo difetto è quello di dire ciò che ritiene
giusto, combinando anche qualche pasticcio.
D: Quali sono gli autori che predilige?
R: Tanti. Da Moliere a Shakespeare. Da
Goldoni a Pirandello.
D: Quale ruolo le è più congeniale?
R: Fra le cose più recenti che ho interpretato, sicuramente l’ “Enrico IV” di
Pirandello. Mi è rimasto dentro, nonostante siano passati due anni dalla messa in
scena.
D: Lei ha fatto anche della pubblicità
per una nota marca di caffè. Ci parla
di questa esperienza?
R: Sono dieci anni che la faccio.
Impersono San Pietro, un personaggio
precostituito. Su di lui non vi è nulla da
Riccardo Garrone e Loredana Filoni (foto Francesco Antenore)
inventare o da dire.
D: Come si è trovato con Paolo
Bonolis e Luca Laurenti?
R: Come mi sono trovato con Tullio
Solenghi e tanti altri colleghi: se fai il
bravo, bene, altrimenti, male.
D: Secondo Lei perché i bravi attori si
vedono solo in teatro?
R: Forse perché è la cosa più difficile da
fare. Chi lo fa deve essere bravo. Al contrario della televisione, dove chi la fa, tranne pochissimi, non la fa certo per meriti
artistici.
D: Trovandoci nel teatro della compianta signora Ghione, ha un pensiero per ricordarla?
R: E’ una cosa arrivata talmente all’improvviso, che siamo rimasti tutti un po’
storditi. Era inimmaginabile! Poi in scena,
durante lo spettacolo! Questo ti fa percepire tutta la tua fragilità e precarietà. La
gente ci vuole vedere sempre in un determinato modo e, invece, anche noi viviamo
disgrazie e dolori come tutti gli altri esseri
umani.
Campo de’ fiori
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di Carlo Cattani
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a
N
Questo mese, il costante, appassionato,
appassionante, personale cammino alla
ricerca di “nuove emergenze musicali”, mi
reca alla corte di una “piccola grande
band” della Capitale, ARVALIA .
La “distanza” tra i due aggettivi testè usati
è giustificata dall’età dei musicisti coinvolti in questo progetto musicale e dalla
qualità del loro esordio discografico,
“opera dell’ingegno” che ho ascoltato e
riascoltato con attenzione e piacere, in
questi ultimi tempi, il cd ARCHE’. Un
ensemble costituito da 5 ragazzi intorno ai
venti anni, che hanno “acquistato”, indi-
ns!
a
i
c
i
mus
Campo de’ fiori
vidualmente, il biglietto del loro viaggio
verso il pianeta musica, sin dai banchi
delle scuole medie e, successivamente,
incontrandosi si sono “ riconosciuti ” per
la loro comune passione! Ah …. la scuola, una “location”, un “ARCHE’”, un principio, alba di tante “storie di note”! L’avvio
degli ARVALIA si può far risalire alle
Maurizio Nigrelli e di
“pulsioni” di
Valerio Rasi, rispettivamente batterista e
chitarrista , che aggregano, strada facendo, tra prove improvvisate e altre più
strutturate, musicisti diversi, culminando
nel 2004 con la definizione della formazione che ha “finalizzato”
le architetture
musicali del “principio” discografico autoprodotto: “ARCHE’” .
Le “note” degli ARVALIA sono la risultante di un pensiero “stella polare”, che fin
dagli esordi guida e governa bene il quintetto; la forza dell’espressione collettiva è
l’ariete di sfondamento: un unico protagonista, la BAND, collettore delle soddisfazioni artistiche derivanti da un lavoro di
fusione degli “interessi particolari” ….la
“ditta ARVALIA” non sceglie un musicista
“maratoneta dello strumento”, che nella
logica del pensiero, sopra sinteticamente
esposto, risulterebbe un elemento destabilizzante …il pensiero di una “ribalta creativa” equamente condivisa fortifica la motivazione a far musica insieme, sfrondandola da sovrastrutture che potrebbero essere, a volte, il risultato di “pressioni interne”
da accettare a denti stretti per un apparente quieto vivere.
Accanto ai fondatori Nigrelli e Rasi, la
compagine dei nostri “fratres ARVALES” (
in epoca Romana erano indicati così gli
“specialisti religiosi” appartenenti
ad una corporazione avente il
compito istituzionale di officiare riti pagani propiziatori della fertilità dei campi,
accompagnandosi con
preghiere e rituali, i
cosiddetti “carmen
Arvales”), si completa con un’altra chitarra, quella di
Davide Bastolla,
le tastiere di FLAVIO PIERANGELI
e il basso di ANTONIO DEL BUONO,
“officiante ” recentemente accolto nella “confraternita ARVALIANA” a
rilevare
Stefano Di
Leginio.
Di seguito a
quattro simpatiche
chiacchiere a ruota libera scambiate con
VALERIO, “attivista” delle public relations
del gruppo, apprendo alcuni aspetti della
“chiamata allo strumento” dei ragazzi: in
qualche caso trattasi di “incentivi familiari” (papà, mamme, fratelli, zii, già contaminati dalla “virulenza” della musica sono
stati determinanti
per l’iniziazione
…….”crescere respirando gli odori delle
custodie degli
strumenti, ascoltando
aneddoti dell’ambiente musicale ha signi-
ficato tanto!” afferma Valerio ); frequentazione di scuole e seminari musicali
hanno contribuito a rafforzare “la presa”
dello strumento. Un incipit affidato ad una
porta che si apre e chiude, dei passi e un
fruscio di pagine delicatamente sfogliate
(parziale citazione di un lontano
“Passaggio” del Banco del Mutuo Soccorso
dal disco d’esordio B.M.S. ?…… ), costituiscono i preliminari della “cerimonia” che i
nostri “ARVALI” celebreranno nell’arco dei 35 minuti del flessuoso, intrigante,
raffinato, “ARCHE’” (dal Latino: principio,
origine) , lavoro completamente strumentale, strutturato in 8 brani, al quale “ non
manca la parola ” per la concretezza di
espressione riscontrata!
La militanza negli ARVALIA di due chitarristi stilisticamente differenti, ma con l’intento comune di esaltare la componente
melodica, di due “asce” intercambiabili nei
fraseggi solisti, di un batterista in “avanzato stato di competenza”, un pianofortista/tastierista “panoramico”, capace di
avvolgere o sottostare con sonorità ad
ampio spettro di genere, dal rock, al blues,
al jazz, alla classica, una capacità di scrittura da stigmatizzare in relazione alla giovane età dei ragazzi “ARVALI”, non potevano che decretare la riuscita, “col buco”
della loro ciambella/cd “ARCHE’”.
La loro musica, che definirei “guitar oriented in libertà vigilata”, è sostenuta da
costruzioni sonore e conduzione diligente
da parte delle due chitarre, con riff vivaci e “acchiappanti”, ceselli solistici equilibrati, “piu-
mati o graffianti” che siano, mai superflui!
Si frequentano i territori del progressive
anni ’70 , con alcune soluzioni di arrangiamento e sonorità di tastiera che hanno
affinità di vedute con il Banco d’annata,
….ma le pagine di “ARCHE’” sprizzano
anche faville del sacro fuoco del jazz (di
tanto in tanto un po’ acid …), testimoniano l’esposizione dei chitarristi alle “radia-
zioni musicali”
emanate da
prove discografiche
di
illustri “guitar
h e r o e s ”,
intelligentemente assorbite, metabolizzate, utili
per la costruzione di stili dai “percorsi personali” …. e
poi c’è il divertissement “para disco” del
brano DISCLETTICO che esula parzialmente ma sempre con gusto,
dal resto del repertorio proposto!
I“pentagrammaNAUTI” di
ARVALIA confezionano,
dunque, un esordio corposo, con brani di pregevole, equivalente
caratura compositiva ,
che invogliano a ripeterne l’ascolto per
apprezzare al meglio
gli intimi passaggi e le
funzionali sfumature,
anche solo se provenienti da un breve “trillo”
di chitarra o da una “spianata” al suon di Hammond o,
ancora, da un soffice tocco di
piatti nei modi del jazz.
In definitiva, una band da seguire da
parte di tutti coloro che hanno “pensieri
musicali smussati” e ricercano “energia
musicale pulita” per le loro orecchie. La
sacrestia del “tempio” ARVALIA è aperta
all’indirizzo:
www.arvaliaband.it
(email : [email protected])
…l’acquisto del loro cd, al prezzo promozionale di € 5,00 è un’idea per un
reagolo poco ingombrante ma di
“spessore!”!...
Campo de’ fiori
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C I N E M A N EWS
Melissa P., Italia/Spa-gna, 2005. Genere:
erotico; regia: Luca Guadagnino; interpreti: Maria Valverde, Geraldine
Chaplin, Letizia Campa, Fabrizia Sacchi,
Primo
Reggiani,
Claudio
Santamaria; sceneggiatura: Barbara
Alberti, Cristiana Farina, Luca
Guadagnino; fotografia: Mario Amura;
Produzione: Francesca Neri, Bess
Movie, Pentagramma, Sony; distribuzione: Sony, Columbia Pictures
Releasing Italia; durata: 110 minuti.
Abitualmente la critica europea falcia in
maniera veemente prodotti creativi concepiti a tavolino per uno specifico target di
pubblico, realizzati puntando ad un unico
bersaglio: incassi vertiginosi al botteghino.
Ruota intorno a simile mira l’opera filmica
“Melissa P.”, ideata da un regista senza
fama, quale Guadagnino, coadiuvato da
una Francesca Neri, nella veste inedita di
produttrice.
Il passaggio di una pruriginosa adolescente dall’infanzia all’età matura viene trasposto sul grande schermo, dopo che il best
seller “Cento colpi di spazzola prima di
andare a dormire”, steso nel 2003 dall’allora sedicenne siciliana Melissa Panarello,
ha sollevato nell’opinione pubblica un
vespaio di schermaglie polemiche. Il polverone di diatribe bigotte è stato rispolverato per l’uscita del lungometraggio e si è
rivelato un’ottimale campagna di promozione pubblicitaria, facendo balzare il film
al primo posto nel box office italiano, con
1.800.000 euro d’introiti, in seguito al
primo week end di programmazione in ben
200 sale cinematografiche, site nella peni-
sola.
Già in fase di produzione l’autrice del libro
ha dichiarato forfait, abbandonando il cast
di creativi e soggettisti, in tal modo prendendo le distanze da un’opera audiovisiva
che “affronta l’adolescenza in maniera
banale e scontato, a volte direi quasi
offensivo; è imbarazzante vedere come i
responsabili del film abbiano una visione
così bassa degli adolescenti, un popolo di
consumatori, ricoperti di griffe, dalla testa
ai piedi, tutti muniti di cellulare da cui è
impossibile staccarsi, inconsapevoli delle
loro azioni, senza personalità”.
Bisogna, inoltre, essere consapevoli, come
nel traslare pensieri e parole dalla letteratura alla materialità del cinema qualcosa
vada inevitabilmente perso o modificato a
vantaggio delle immagini e della linearità
della trama. Nella stesura della sceneggiatura di “Melissa P.” è stato dato più spessore all’organicità psicologica d’alcuni personaggi, mentre altri sono stati creati con
la fantasia, ex novo; come nel caso della
nonna paterna, interpretata da una sfuggente Geraldine Chaplin.
Rilevante osservare che il lungometraggio
è frutto di una coproduzione italo-spagnola e che la protagonista, una diciottenne
Maria Valverde, sia stata reclutata nella
penisola iberica, dopo fallimentari provini
effettuati sul suolo italiano. La sua recitazione si differenzia rispetto a quella degli
altri commedianti: riesce ad esprimersi
facendo leva sulla sua fisicità, incarnando
lo stereotipo della Lolita, ma privo d’eccessivi clichè, sicché si rivela in lei un lato erotico, controbilanciato da un’inclinazione
di
M.Cristina Caponi
verso un’introversa tenerezza. Raggiunta
la maturità durante le riprese, l’attrice spagnola ha al suo attivo già quattro film nella
sua terra d’origine, e ha coronato la sua
precoce carriera con un premio Goya nella
categoria dei volti emergenti.
Le flebili figure di personaggi che incombono sulla trama avanzano in un’atmosfera ovattata in cui prende forma un chiaro
scuro, illuminato da luci soffuse.
Un’ouverture di quello che ci avrebbe atteso era già d’altronde stata preannunciata
dal trailer, atipico nell’utilizzare un’assenza
d’immagini, un buio che accende i desideri. Interviene, a far cadere nell’oblio una
fotografia che non delizia l’occhio dello
spettatore, un soundtrack prezioso che
alleggerisce il tedio in cui giace il pubblico
durante i 110 minuti di visione.
Il film è privo di fotogrammi ad alto tasso
erotico, le scene di sesso cadono in uno
stato d’indeterminatezza, abbandonando i
teen agers in un gioco di vedo- non vedo,
in cui in sostanza tutto è lasciato all’immaginazione; infatti, come ha dichiarato
Guadagnino: “Il film non è esplicito come
il romanzo, che rasenta la pornografia,
anche se non è castigato per niente”. La
mannaia della censura non è stata eccessivamente severa, ponendo il divieto di
accedere in sala esclusivamente agli adolescenti, con un’età inferiore ai quattordici
anni. Innegabile nel finale una nota di
pedagogia spicciola: da bad girl in un bozzolo di depravazione e vizi, a donna consapevole della sua forza. Non è detto che
non ci si possa rialzare dopo aver toccato
il fondo.
Campo de’ fiori
14
Roma che se n’è andata: luoghi, figure, personaggi
Giuseppe
Gioachino
Belli
Il poeta di
Roma
Il 21 dicembre 1863, tra le
otto e le nove di sera,
muore
all’improvviso
Giuseppe
Francesco
Antonio Maria Gioachino
Raimondo Belli, il Poeta di
Roma; ha ottantadue anni
di
essendo nato, naturalmente
Riccardo
a Roma, il 7 settembre
Consoli
1791, in una famiglia di lontana origine marchigiana, da Gaudenzio e
Luigia Mazio; ha tre fratelli, Carlo che
muore a soli quindici anni, Flaminia che
sarà ordinata Suora dell’Ordine delle
Perpetue Adoratrici della Santissima
Eucarestia e Antonio morto subito dopo la
nascita.
Dei suoi molti nomi dapprima non usa che
il primo e soltanto nell’adolescenza lo fa
seguire da Gioachino; aveva appena undici anni quando muore il padre Gaudenzio
contagiato dal colera a Civitavecchia dove
la famiglia si era trasferita e appena sedici
quando muore la madre Luigia che, nel
frattempo, si era risposata con tale
Michele Mitterpoch.
E’ costretto a sospendere gli studi e
comincia a lavorare presso la Copisteria
Apostolica per passare poi alle dipendenze
del
principe
polacco
Stanislao
Poiniatowsky; corre l’anno 1811 allorquando entra nell’Accademia degli Elleni
che, a seguito scissione, diventerà
l’Accademia Tiberina fondata per promuovere studi storici sulla città di Roma
della quale egli diverrà Segretario prima e
Presidente poi.
A venticinque anni sposa la benestante
Maria Conti vedova del Conte Pichi di tredici anni più anziana, cosa che gli consente di dedicarsi con tranquillità all’attività
poetica; abita nella casa della moglie a
Piazza Poli in un palazzo poi in parte
abbattuto per l’apertura di Via del Tritone,
alloggio che manterrà fino alla morte della
stessa; avrà due figli, Felice Luisa che
morirà a due anni e Ciro che sposerà
Cristina Ferretti alla quale il poeta dedicherà un sonetto
dialettale: “Sora
Crestina mia, pe un caso raro, / io povero
cristiano bbattezzato, / senz’avecce né
ccorpa nè ppeccato, / m’è vvienuto un ciamorro da somaro. Aringrazziat’Iddio! L’ho
ppropio a ccaro! / E mme lo godo tutto
arinnicchiato / su sto mi letto sporco e
inciiafrujjato / come un zan Giobbe
ammezzo ar monnezzaro”.
Allorquando scrive questi versi dal suo
letto, dove un forte raffreddore lo costringe a riguardarsi, il lungo viaggio del Poeta
è terminato; quel viaggio che egli ha compiuto attraverso la sua Roma esplorata in
ogni suo strato, dall’alto al basso e che,
alla fine, lo riconduce nella sua casa, nella
sua camera, nel suo letto,“…la morte sta
anniscosta in ne l’orologgi, / pe fermavve
le sfere immezzo all’ora, / e ggnissuno po’
di: domani ancora / sentirò bbatte er mezzogiorno d’oggi…” Questa in estrema sintesi la vita di Giuseppe Francesco Antonio
Maria Gioachino Raimondo Belli - il Poeta
di Roma dal quale, trattando della tematica Roma che se n’è andata, non si può
prescindere, egli è infatti come il porto al
quale si deve forzatamente attraccare
stante il fatto che da tutto il suo Poema
traspira aria di Roma, infatti, che cosa rappresenta l’imponente produzione dei circa
32.000 versi per circa 2200 sonetti se non
un monumento innalzato alla plebe romana? Scrive Giuseppe Gioachino Belli:
“…ogni quartiere di Roma, ogni individuo
tra i suoi cittadini, specie quelli appartenenti al ceto medio e, da qui in giù, mi
hanno nutrito di episodi particolarmente
adatti ad essere inseriti nel mio dramma…”. Una produzione quella del Poeta
che nei suoi ultimi anni di vita egli stesso
rinnega dichiarandoli
“…sparsi di massime, pensieri e parole
riprovevoli..” rifiutando di riconoscere in
quei versi i propri sentimenti; la morte lo
coglie all’improvviso e poco prima del suo
trapasso raccomanda al figlio Ciro di
distruggere tutti quei sonetti destinati a
renderlo celebre “…esiste una cassetta
piena dei miei manoscritti in versi. Si
dovranno ardere!”, scrisse nel suo testamento, ma fortunatamente Ciro ritenne di
non dover rispettare questa volontà.
Il Belli non fa alcun mistero di essere profondamente innamorato della sua città,
cosa questa che chi scrive riesce a comprendere perfettamente; è del tutto naturale innamorarsi di Roma anche se si è nati
altrove o quanto meno di quella Roma che
se n’è andata e che riusciamo a rivivere, in
buona parte, soltanto attraverso i molti
scritti, le innumerevoli incisioni di
Bartolomeo Pinelli e gli acquerelli di
Roesler Franz.
Nel sonetto dal titolo Un privilegio il Belli
scrive:“…si moro e po’ arinasco /
pred’Iddio d’arinasce a Roma mia…”, e poi,
quasi a volersi giustificare per la manifestata debolezza, con una sferzata di scherno, aggiunge:“…vamm’à cerca un paese
foravia / dove se voti com’à Roma er fiasco…”. Accennavo agli oltre duemila componimenti in romanesco, quasi tutti pubblicati postumi, che mostrano il ribelle e violento accusatore, l’idealista, il contestatore, il cantore della plebe a cui dedica quello che egli chiama “il mio monumento poetico”. Si tratta di una poesia a forti tinte
come dimostra la scelta del dialetto romanesco; in queste poesie il Belli non risparmia neppure gli argomenti religiosi tant’è
che i riti cattolici vengono rappresentati
come fossero semplici copioni privi di significato e persino la morte viene sbeffeggiata con un atteggiamento volutamente irrisorio. Nella poesia del Belli risalta con efficacia la rappresentazione realistica del
mondo popolare romano anche se questa,
in certa misura, viene idealizzata; risaltano
le figure di popolani dalla risposta sempre
pronta, astuti, abili nel maneggiare il coltello e, anche se appartenenti ad una classe minore e modesta, vengono caricate di
un valore esemplare che le rende protagoniste assolute.
Nel presentare la raccolta dei suoi 2200
sonetti, ognuno dei quali è fedele riproduzione della città di Roma dei primi
dell’Ottocento, Giuseppe Gioachino Belli,
nelle note introduttive, scrive:
“Io ho deliberato di lasciare un monumento di quello che oggi è la plebe di Roma. in
lei sta certo un tipo di originalità: la sua lingua, i suoi concetti, l’indole, il costume, gli
usi, le pratiche, i lumi, la credenza, i pregiudizi, le superstizioni, tuttociò insomma
che la riguarda, ritiene una impronta che
assai per avventura si distingue da qualunque altro carattere di popolo”,
continua a pag. 17...
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Campo de’ fiori
17
...continua da pag. 14
anche se egli è in netto contrasto con la
struttura sociale del suo tempo in cui
Roma è governata dal Pontefice - il Papa
Re e dove soltanto un numero molto
ristretto di aristocratici e l’arrogante clero
costituiscono le classi sociali più alte il cui
potere ha ormai perduto ogni giustificazione storica, oltre che ogni morale.
Era quella una Roma dove persino al mercato ittico, da tempo immemorabile, era
diffusa una usanza secondo la quale non si
poteva fissare il prezzo del pesce prima
che avvenisse la scelta da parte del cuoco
papale; sarà soltanto Papa – Pio IX,
Giovanni Maria Mastai Ferretti, 1846 1878 ad abolire questa prerogativa e lo
farà nella maniera più diretta, impedendo
al suo cuoco di recarsi in pescheria.
Situazioni ed atmosfere tutte puntualmente riprese dal Belli, è attraverso i suoi
sonetti che si riescono a cogliere vuoi la
grinta dei pescivendoli, vuoi i candidi
soprusi di fraticelli invadenti che si aggirano fra quei banchi tentando di barattare i
pesci migliori, nonché la insuperabile golosità dei molti porporati; leggendo quei
versi è come se si riuscisse a percepire
quel caratteristico brusio insito in certi dialoghi fatti di botte e risposte che, non di
rado, sfiorano l’alterco.
A questa classe sociale dominatrice si contrappone il popolino fanatico e superstizioso, i cui unici diversivi sono costituiti dalle
molte manifestazioni di piazza, il più delle
volte indette per glorificare le stesse classi
dominatrici, oppure le altrettanto numerose pubbliche esecuzioni, tanto numerose
da rendere famoso un boia, tale Giovanni
Battista Bugatti - in arte Mastro Titta.
Con l’intento di mettere alla berlina l’ipocrisia di questa società decadente il Belli,
da intellettuale e moralista quale è, con la
sua satira pungente dà vita ad un gran
numero di vignette nelle quali molto spesso si celano amare considerazioni sulla vita
e sulle condizioni dell’uomo; ogni sonetto
racconta un breve aneddoto, un flash della
vita di tutti i giorni, i cui versi finali contengono, quasi sempre, una conclusione
umoristica, ironica, molto spesso filosofica.
Questi sonetti riescono ad immortalare
Roma e, senza voler tralasciare tutte le
solennità religiose fissate dal calendario,
osserviamo che soltanto la poesia e il sentimento romano del Belli riescono ad illustrare in maniera adeguata tutti quei pantagruelici eventi di cui Roma è fortemente
intrisa.
In questa variatissima commedia, accanto
alla tematica più amara, a volte traspare
quella gloriosa dei pochi giorni in cui il
popolano riesce a nutrire il suo corpo, è in
tali occasioni che ricorrono le fantasie
mangerecce che lo inseguono nel corso di
tutta la giornata e, tutto ciò, persino tra le
navate di San Pietro allorquando, durante
la Settimana Santa, il coro per sole voci
intona il Miserere.
“…Tutti l’ingresi de Piazza de Spaggna /
Il mercato del pesce
nun hanno antro da ddì ssi cche ppiascere
/ è de sentì a Ssan Pietro er Miserere / che
ggnisun istrumento l’accompaggna.
Defatti, cazzo! in la Gran Bertaggna / e in
nell’antre cappelle furistiere / chi ssa ddì
ccom’a Rroma in ste tre ssere / Miserere
mei Deo secunnum maggna? Oggi sur
maggna sce so stati un’ora / e ccantata
accusì, ssangue dell’ua / quer maggna è
una parola che innamora. Prima l’ha ddeta
un musico, poi dua / poi tre, ppoi quattro;
e ttutt’er coro allora / J’ha dato ggiù:
Mmisericordiam tua…”
Vi è un maggna in quel coro sul quale i
cantori insistono, con vari contrappunti,
per un tempo incalcolabile in conformità
dello stile polifonico e quel magna, per il
popolano del Belli altro non può significare, se non quello di cui lui ha più bisogno,
ossia il mangiare ed è per tale motivo che
s’immedesima tanto in quelle voci e le
celebra con tale struggimento dell’animo.
Il Poeta ha prestato molta attenzione
anche ai Pontefici ai quali ha dedicato
molti dei sonetti dialettali, ma non solo, lo
ritroviamo attento cronista in più di una
occasione come nella circostanza legata al
viaggio di ritorno di Gregorio XVI,
Bartolomeo Alberto Cappellari, 1831 -
1846, dalla villeggiatura di Castel
Gandolfo, allorquando, per dare un po’ di
riposo al Papa, erano state addobbate
alcune stanze a Tor di Mezza Via, località
dove a lui ed al suo seguito veniva offerto
un rinfresco, come disse il Belli, “per
togliersi il polverone dalla gola”.
Nel sonetto dal titolo: “Er ritorno da
Castergandorfo” del 31 ottobre 1836, il
Belli, che non lesina gli strali nei confronti
di un Papa che la voce popolare corrente
indica come beone contento, scrive:“Circa
a vventitrè e un quarto er Padre Santo /
s’affermò a bbeve a Ttor- de-Mezza-Via; /
poi rimontò in carrozza e ffesce intanto: /
sù ggiuvenotti, alò, tiramo via.“Me crederai, si tt’aricconto in quanto / arrivò a
Rroma? Ebbè, a la vemmaria / già stava a
ccasa e sse teneva accanto / er zolito bbucal de marvasia.
Malgrado ciò egli è affezionato a questo
Pontefice, ne è prova il sonetto dal titolo
“er Papa novo”, composto il 21 ottobre
1846, immediatamente dopo la nomina
del successore, nel quale è ancora la figura di Papa Gregorio XVI che prevale; scrive il Poeta di Roma:“…a Papa Grigorio je
volevo bene perché me dava er gusto di
potenne dì male…”
Campo de’ fiori
19
L’importanza dell’analisi storica
Se il restauro di un’opera
d’arte non può prescindere dallo studio storico su
di essa, dei fattori che
hanno portato alla sua
nascita e di quelli che ne
hanno determinato il suo
evolversi e trasformarsi
dell’Arch.
nel tempo, e se il primo
Cristina Collettini
approccio con il bene,
quello visivo, ci permette
di trarre delle deduzioni iniziali certo non
esaustive su di esso e che quindi devono
essere supportate da dati certi, il primo
passo da compiere per avvicinarsi alla conoscenza di quell’opera è indubbiamente la
ricerca del materiale cartaceo e iconografico
che in via più o meno diretta la riguarda.
Mentre per l’analisi diretta dell’opera, aldilà
delle difficoltà di dare le giuste interpretazioni, la fonte è costituita dal bene stesso e
quindi facilmente individuabile, quali sono le
fonti e dove si possono trovare queste informazioni storiche? Si tratterà di analizzare la
letteratura esistente sul bene e sul contesto
storico che lo ha determinato, nonché la
documentazione grafica che, nel caso di un
edificio storico, può essere costituita da antichi disegni, vedute, acquerelli, cartografie
nuove e antiche, mappe catastali relativi al
monumento stesso ed estesi al suo contesto
territoriale. Molto utile può essere partire da
studi già esistenti sull’opera che vogliamo
Acta Sacrae Visitationis Civitatis Manliani
Visita Pastorale del Vescovo Andrea Corsini,
Accademia dei Lincei, Palazzo Corsini
analizzare: un buono studio presenta infatti
la bibliografia di riferimento dove sono elencati i testi che, in modo più o meno approfondito, trattano il tema in questione e quindi può darci già delle prime indicazioni su
dove e cosa andare a cercare. E’ però vero
che fino a quando si parla di opere d’arte di
un certo rilievo, gli studi in materia sono
cospicui e anche molto approfonditi, ma sussiste anche il problema opposto: per opere
poco conosciute la documentazione è molto
spesso carente e diventa più difficile ricostruire la storia dell’edificio, il perché della
sua nascita, il suo evolversi nel tempo, cosa
ne ha determinato la sua struttura attuale.
C’è poi un’altra considerazione da fare.: deludente ma vero, molti autori spesso si copiano
fra loro e non è raro trovare le stesse parole
su scritti di studiosi diversi, appartenenti allo
stesso periodo storico o vissuti in epoche lontane fra loro.
Se quindi i contributi di altri studiosi possono
rappresentare un valido punto di partenza
per la nostra ricerca storica, sarà indubbiamente più utile e attendibile andare ad esaminare direttamente le fonti.
Biblioteche, archivi storici, archivi comunali,
collezioni private raccolgono tutta quella
documentazione cartacea che non deve essere considerata appannaggio dei soli “topi da
biblioteca”, sono luoghi che vedono un quantitativo più o meno vasto di testi, disegni,
manoscritti che hanno un fascino tutto loro e
fra i quali, ahimè, non è raro perdersi!!
Accanto infatti ad archivi perfettamente organizzati con testi ordinati e catalogati per
autore e per argomento, ne esistono molti
altri, in centri minori, dove documentazione
di diverso periodo storico e diverso contenuto è disposta su scaffali impolverati e molto
spesso pericolanti!! Ricordo come, durante
una delle mie prime ricerche storiche, qualche anno fa, in un archivio parrocchiale di
una cittadina del reatino, rimasi sconcertata
dalla confusione in cui vertevano manoscritti
di una certa importanza, al punto che mi trovai immersa nella lettura di testi che con la
mia ricerca avevano poco a che vedere ma
che tanto avevano catturato la mia attenzione al punto che, all’uscita, dell’opera che
stavo studiando ne sapevo tale e quale a
quando ero entrata! A parte situazioni più o
meno agevoli, l’analisi diretta delle fonti, via
via che si va a ritroso nel tempo, implica
imbattersi in testi scritti in linguaggi desueti,
in manoscritti più o meno ben conservati,
lacunosi in alcune loro parti, e che, in quanto
tali, presentano una grafia d’altri tempi, con
una terminologia ormai dimenticata o linguaggi arcaici: in Italia il latino la fa da
padrone!! C’è poi un importante aspetto,
legato all’attendibilità delle fonti dirette. Le
visite pastorali, le storie dei Papi sono fonti
utilissime per capire ad esempio la storia
delle chiese, sia perché i principali committenti delle opere del passato sono stati gli
uomini di chiesa, sia perché possono riportare ampie descrizioni delle opere così come
dell’attività edilizia di eminenti personaggi.
Può però capitare che l’estensore, per dare
un eccessivo risalto all’operato della persona,
molto più spesso per accattivarsene le simpatie, tenda ad esagerare alcuni fatti, così un
piccolo intervento di restauro può diventare
una ricostruzione dalle fondamenta o la
donazione di due candelabri può trasformarsi
Risposte ai quesiti di Prima Sacra Visita Pastorale
dell’Elmo. Cardinal Cassetta, Vescovo di Sabina,
per la parrocchia di San Michele Arcangelo, rilasciate il 1°Agosto 1905 dal Parroco D.Tito
Crescenzi, foglio 1, Archivio Storico della
Parrocchia di Magliano Sabina.
nella sostituzione di tutto l’arredo ecclesiastico. Lo studio storico di un monumento non è
facile, soprattutto per chi è alle prime esperienze, e comporta comunque un bagaglio
culturale che permetta di valutare le informazioni, di selezionare quelle effettivamente utili
da quelle che lo sono meno, di distinguere
quelle veritiere da quelle enfatizzate o del
tutto erronee. In ciò può venire in aiuto il
monumento stesso, la cui analisi diretta potrà
incrementare, confermare e a volte smentire
le informazioni storiche raccolte. Sarà anzi il
continuo raffronto tra fonti storiche e analisi
diretta che permetterà di fissare i termini
certi, di escludere ciò che certamente è finzione e di delineare un profilo coerente, un
profilo e una ricostruzione storica che non
sono definiti una volta per tutte ma che, con
il proseguire delle indagini archeologiche e in
seguito a successivi ritrovamenti anche cartacei, potrebbero arricchirsi, incrementarsi e,
se del caso, anche modificarsi.
Nessuno storico, nessun restauratore infatti
può avere l’ambizione di definire un tema una
volta per tutte; potrà al più dare un suo contributo, una sua interpretazione che deve
comunque poggiare su solide argomentazioni, sulla base di quelle che sono le conoscenze storiche fino ad allora pervenute.
In questo contesto nasce un concetto molto
significativo: l’importanza di pubblicare i
risultati di indagini conoscitive, ritrovamenti,
approfondimenti, così da creare e via via
incrementare un background di riferimento
per tutti coloro che in futuro studieranno il
nostro passato.
20
Campo de’ fiori
L’angolo ... cin cin
di Letizia Chilelli
regole che vado enunciando non sono
Da questo numero, inizierò ad occuparmi
assolute. Chi è esperto di allestimento di
dei veri e propri abbinamenti eno-gastropranzi ricevimenti in casa può concedersi
nomici, aspetto fondamentale per l’impieanche delle varianti per liberare la propria
go dei vini.
fantasia. Prima però di abbandonarci ad
L’accostamento dei vini alle bevande può
abbinamenti fantasiosi sarà utile procedeessere un’arte difficoltosa soltanto per
re ad una necessaria suddivisione che
coloro che non si pongono il problema.
serva come orientamento di base.
Ma, con un minimo di cognizioni di base e
Passiamo dunque in rassegna i principali
un pochino di attenzione, si può arrivare a
tipi di vino e vediamo a quali vivande poscogliere anche le più nascoste sfumature
sono essere abbinati :
del “matrimonio” cibo-vino, raggiungendo
Nessun grande vino liquoroso bianco con
così risultati perfetti. Se il menù non è
le carni rosse o con la selvaggina.
complicato, l’indicazione del vino
Nessun grande vino rosso con
o dei vini non sarà faticosa, a
crostacei, molluschi e pesci in
patto che la scelta sia fondamengenere. Questo non toglie però
talmente giusta.
che nelle regioni dove c’è una
Se i vini che occorrono sono più di
buona gamma di vini rossi, questi
due, il problema comincia a prenon possano essere utilizzati negli
sentare alcune difficoltà. Con tre
abbinamenti. Il problema non si
o più vini, siamo già al livello di un
pone per un pesce servito con
pranzo di una certa importanza.
salsa al vino rosso.
Occorre, quindi, far procedere il
I vini bianchi vanno serviti prima
vino in modo che tra una portata
dei rossi. Ci sono però alcune
e l’altra ci sia armonia necessaria
eccezioni: una Vernaccia di
per tener “sveglio” l’appetito.
Oristano può essere servita a fine
La successione corretta dei vini
Per un pranzo colorito,
pasto in abbinamento con un
durante il pranzo diventa elemenfai un primo saporito.
dolce alle noci, un vino liquoroso
to di fondamentale importanza, ci
Se non sai come iniziare,
passito può concludere un pasto
sono infatti delle regole ben color ti vado ad insegnare.
con una torta a pasta non lievitalaudate, che conviene in ogni
Prendi un medio pentolino,
ta.
caso seguire per non incorrere in
melanzane, zucchine e peperoncino.
Il vino deve equilibrarsi al piatto.
piccoli o grandi “errori”.
Prepara anche qualche odore,
Un salmì di capriolo verrà accomCome dicevamo, non è però suffie poi prendi un cavolfiore.
pagnato da un vino più robusto di
ciente accostare un cibo ad un
Ora il tutto taglia a cubetti,
quello che verrà servito con un
vino, occorre, infatti, armonizzare
con un fil d’olio a saltare metti.
taleggio dal profumo delicato e
i vini anche nella successione
Poni i fusilli nell’acqua che hai fatto bollire,
fine.
delle vivande.
e nel pentolino aggiungi peperoncino e sale per insaporire.
Il vino fresco va servito prima di
Come non è consigliabile aprire
Il gorgonzola vai a tagliare,
quello a temperatura ambiente.
un pranzo “importante” con un
e il parmigiano a grattare.
Anche qui almeno due eccezioni:
antipasto troppo vigoroso per
Nella pasta che hai scolato,
Il Moscato d’Asti o un vino liquofarlo seguire da altre portate
disponi tutto il preparato.
roso serviti a fine pasto saranno
molto più delicate, così bisogna
Or l’odore è sì invitante,
serviti freschi.
cominciare con vini più fini e delie il sapore assai intrigante.
I vini vanno serviti ad una gradacati e farli seguire da altri vini più
Adesso goditi i complimenti,
zione alcolica ascendente, ricorrobusti e generosi.
dei commensali sorridenti.
diamo infatti che un vino che si
Salvo rare eccezioni, a tavola, di
beve non deve mai far dimenticanorma ci si regola in questo
re il precedente.
modo:
Erminio Quadraroli
Ad ogni piatto il proprio vino. Se
-Prima il vino più leggero e poi
si dispone di pochi vini, servire
quello più robusto
pochi piatti. Ogni vino ha la sua
-Prima il vino giovane e poi quelstagione : i vini bianchi “fioriscolo invecchiato
no”in maggio e “maturano” in ottobre
si apre il pranzo con un vino bianco e con
-Prima il vino meno importante e poi quel(sentono maggiormente il richiamo della
antipasti leggeri, facendo seguito con una
lo più importante
terra).
pasta non troppo salsata e un secondo di
Come si può notare si gioca sempre su di
Evitiamo quindi di servirli in questi periodi.
pesce.
una questione di gradualità e armonia.
I vini leggeri e profumati sono gradevoli in
Se il menù, però, dovesse proseguire con
Ogni abbinamento deve legarsi con gli
tutti i periodi dell’anno, ma l’inverno è più
un piatto di carne (in arrosto o in umido),
altri, quello cioè che lo precede e quello
favorevole ai grandi rossi.
sorgerà la necessità di proporre un seconche lo segue.
Anche per gli spumanti possiamo seguire
do vino che sarà di regola rosso. Se poi
Attenzione però:non è detto che ogni porlo stesso criterio : all’aperitivo serviremo
concluderemo il nostro pasto con un destata debba avere il suo vino, una sola tipoun cremant, poi un brut blanc de blancs,
sert, si può contemplare la possibilità di
logia di vino può andare molto bene per
proseguiremo con un millesimato, e coninserirvi un vino adatto, che potrà essere
l’antipasto, per la pasta (asciutta o in
cluderemo con un demi-sec o uno spubianco o anche rosso.
brodo) e anche per il secondo. Si pensi ad
mante dolce e/o aromatico.
Desidero comunque farvi presente che le
esempio alla stagione estiva dove di solito
Abbinamenti
eno-gastronomici
Fusilli campagnoli
22
Campo de’ fiori
La gloriosa S.S. Corchiano
Da più di qualche anno
ormai ogni centro abitato,
piccolo o grande che sia,
non può non avere la propria squadra di calcio.
Corchiano può vantarne
una che conta più di settanta anni. È stato piuttodi
sto difficile per me trovare
Ermelinda
informazioni esatte riBenedetti
guardo il corso della sua
vita, non essendoci nessun documento
scritto. Tutto ciò che sono riuscita a scoprire era affidato alla memoria di ex giocatori, tifosi e dirigenti, alcuni dei quali ormai
anche piuttosto anziani, ma orgogliosi di
ricordare quei bei momenti di gloria e di
raccontare i loro prodigi, a distanza di tanti
anni e con un po’ di nostalgia. Per questo
li ringrazio vivamente, essendo stati con
me molto gentili e disponibili e mi scuso
con tutti per eventuali dimenticanze, dovute al passare degli anni e alla labilità della
memoria umana. Il calcio é uno degli sport
più praticati e seguiti degli ultimi anni.
Verso il 1850, in Inghilterra, il football, pur
non avendo ancora questo nome, era già
configurato in modo assai simile a quello
dei nostri giorni. Poi, pian piano, si diffonde in tutto il mondo. I giovani di Corchiano
iniziano a conoscere ed esercitare questo
sport intorno agli anni ’30 del Novecento,
quando, grazie ad un certo Signor Aldo di
Roma, toccano con piedi il primo vero pallone da calcio e imparano le prime norme
e i primi rudimenti di tecnica, sostituendo
quella specie di palla fatta di stracci, che,
fino ad allora, avevano calciato senza regole. Proprio così, in quegli anni, si forma una
piccola squadra nella quale si ritrovano a
giocare gli elementi più validi dei vari gruppi delle scuole del paese, che erano soliti
sfidarsi a fine lezione nell’allora grande
prato, divenuto oggi Piazza San Biagio.
Molti si appassionano subito a questo sport
e, non potendo praticarlo a causa dell’età,
decidono di puntare tutto sui ragazzi.
Antonio Giustini, maestro di scuola elementare, proprio per la sua istruzione,
diventa il primo presidente della squadra di
calcio di Corchiano, affiancato da altri collaboratori, tra cui Giuseppe Crescenzi e il
da sx in alto: Giuseppe Crescenzi, Torello Crescenzi, Bruno Petrucci, Roberto Nardi, Antonio Giustini,
un operaio del Conte Tosti del quale non si conosce il nome, Dott. Signoriello, Pietro D’Achille.
da sx in basso: Mario Sberna, Luigi Benedetti, Amelio Bigarelli, Antonio Fiaschetti, Silio Bernabei,
Alessandro Petrucci, Olindo (si conosce soltanto il nome)
medico condotto del paese di quel tempo,
il dottor Signoriello. Erano gli inizi. La squadra non aveva una divisa, dei colori che la
contraddistinguessero, i giocatori scendevano in campo con una semplice maglia e
un paio di pantaloncini. Non esisteva neanche un allenatore: la passione, l’abilità, lo
spirito di competizione, la voglia di giocare
e soprattutto di vincere e di dimostrare di
essere i più forti, facevano loro da allenatore. Non esisteva nemmeno un campionato nel quale poter gareggiare con altre
squadre. Ci si limitava a sfidare le piccole
formazioni dei paesi vicini: Gallese, Fabrica
di Roma, Vignanello, Ronciglione, Rignano.
Corchiano era molto forte e spesso e
volentieri usciva vincitrice dagli incontri,
anche fuori casa. A motivo di ciò, in più di
qualche occasione gli incontri finivano in
scontri, in cui si veniva anche alle mani. I
corchianesi erano piuttosto facinorosi, lo
riconoscono! Impressa nelle loro memorie
è in particolare la partita giocata in occasione dell’inaugurazione del campo sportivo di Ronciglione. La squadra locale era
sicura di vincere ma la delusione fu grande. Gli ospiti infatti trionfarono per due a
uno ed anche in quell’occasione furono
botte!
Tutto sembrava procedere per il meglio,
fino a che non esplode la Seconda Guerra
Mondiale, durante la quale, benché la passione fosse tanta, la voglia di divertirsi
cala. Ma appena il conflitto finisce, i ragazzi tornano più agguerriti che mai, con il
desiderio di recuperare il tempo perduto e
di puntare sempre più in alto.
Intorno alla seconda metà degli anni ’50
circa molte cose cambiano. Alcuni dei componenti della prima squadra, pur non
essendo più in grado di giocare, non avevano abbandonato del tutto il mondo del
calcio, che era stato per loro ragione di
grandi soddisfazioni e divertimento, ma
erano passati ad essere “dirigenti”, mettendo a frutto tutta la loro esperienza. Nuove
e valide leve intanto arricchivano la formazione della S.S Corchiano. Di questi cambiamenti, però, vi parlerò nella seconda
parte, sul prossimo numero.
Campo de’ fiori
23
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Indovina L’Artista
Di lato è riportato un particolare del quadro “Il Bacchino
malato”. Sai dire chi l’ha dipinto? I primi tre che indovineranno e lo comunicheranno in
redazione, riceveranno un simpatico omaggio offerto dal
Centro Parati di Selli Vittorio
24
Campo de’ fiori
Come eravamo
Ballando coi ricordi
Non sono mai stato
un gran ballerino, o
meglio, non ho mai
trasmesso ai miei
piedi la mia passione
per la musica, eppure
quando vedo qualcuno che balla e balla
bene, provo quasi
di Alessandro Soli
invidia, e rimpiango
di non avere mai
imparato a farlo. E’ tempo di carnevale,
tempo di feste mascherate, di follie collettive, di veglioni, di coriandoli; tutti dobbiamo divertirci, ci sentiamo quasi obbligati a
questi insoliti comportamenti, figli di una
tradizione antichissima ben radicata nella
nostra mente. “Semel in anno licet insanire”, così dicevano gli antichi romani nel
periodo dedicato al massimo divertimento,
che in parole povere significa “armeno ‘na
vorta all’anno, fatece diventa’ matti de
gioia”. E allora fatemi ballare coi miei ricordi, che poi sono i ricordi di tutti i miei
coetanei, di noi giovani degli anni ’60.
Carnevale, che bello mascherarsi e tuffarsi
nella mischia, sui carri allegorici, o dietro,
tra le maschere libere, insieme agli amici,
cercando lei che durante la settimana non
avevi potuto avvicinare per prendere
accordi.
Comunque sapevi che l’avresti incontrata
durante il veglione ufficiale, quando
accompagnata dai genitori, col suo vestitino elegante, un po’ impacciata, ma felice,
avrebbe partecipato all’elezione di Miss
Carnevale. Che ambiente diverso, una
grande sala (a Civita Castellana avevamo la
Sala Cicuti) lo spazio centrale libero,
appunto per ballare, un piccolo palco dove
l’orchestrina “nostrana” suonava, poi,
lungo le pareti i tavoli e tutti seduti. Lei,
con i genitori a fianco, non aspettava altro
che tu la invitassi a ballare, allora prendevi
coraggio, trattenevi il respiro, ti aggiustavi
il nodo della cravatta e come se non la
conoscessi, chiedevi se voleva ballare.
Civita Castellana - Sala Cicuti, veglione di carnevale del 1955 - foto del Sig. Valentino Gai
Furbescamente aspettavi che l’orchestrina
attaccasse un ritmo lento, così avresti
potuto tenerla tra le braccia, ma non stringerla, perché gli sguardi burberi dei suoi
erano pronti a fulminare entrambi. Poi man
mano che la serata andava avanti, arrivavano gli immancabili “trenini”, quando tutti
attaccati si andava “a rimorchio” e tu naturalmente eri agganciato al “tuo vagoncino”.
Il pavimento della sala era sommerso di
coriandoli, le strisce filanti che scendevano
dal soffitto ostacolavano le tue parole da
innamorato, i cotillons rendevano tutti così
buffi, che ti ritrovavi improvvisamente in
quel clima carnevalesco, che avevi dimenticato mentre parlavi con lei fissandola
negli occhi. Poi la sosta “rancio”, quando al
buffet tutti si fiondavano su bignè, diplomatici, frappe e scroccafusi e quando c’erano, perché no, sui “frittelloni”, orgoglio
culinario della nostra Civita Castellana. Era
difficile rimanere solo con lei, marcatissima
dai due arcigni difensori, cercavi di agire in
contropiede, la tua azione si coronava
davanti ai bagni, dove chilometriche file ti
permettevano di parlarle finalmente in
pace,mentre aspettavi il tuo turno. Cercavi
di convincerla a partecipare alla festicciola
che stavi organizzando con gli amici per
martedì grasso, magari a casa tua, con il
permesso e la presenza dei genitori.
Allora sarebbe stato diverso, sul piatto del
giradischi, solo pezzi lenti (altro che carnevale), corpi stretti e qualche bacio, rimanendo rigorosamente fermi sulla propria
“mattonella”. Ma ecco, la giuria sta per
assegnare la fascia di miss Carnevale, tutti
si avvicinano al palco , l’orchestra accenna
uno stacchetto e il presidente proclama la
vincitrice. Sei felice, perché non è lei ad
aver vinto, ma tu; anzi avete vinto tutti e
due, perché avete vissuto un carnevale
d’altri tempi, un carnevale che oggi può
sembrare un po’ stupido, ma che ha significato tanto nell’evoluzione dei costumi
contemporanei e nelle abitudini odierne,
un carnevale che si può rivivere solo
“Ballando coi ricordi”.
Campo de’ fiori
26
Karate saggio di Natale
Sabato 17 Dicembre 2005, come ogni anno
con l’arrivo del Natale, nei locali della palestra OKINAWA, si è svolto il “Saggio di
Natale”, evento dedicato a tutti i bambini dai
5 ai 12 anni, iscritti ai corsi di Karate. I piccoli karateka
si
sono esibiti davanti agli
sguardi
attenti e
divertiti
dei propri
genitori
foto dei partecipanti
ed hanno
dimostrato i progressi raggiunti in questi
primi mesi di attività. L’argomento principale
proposto quest’anno dagli istruttori dei
rispettivi turni (Fabio Mercuri, Roberta
Mercuri) è quello relativo all’acquisizione
delle “capacità motorie e coordinative” attraverso prove di coordinazione e velocità, sotto
forma di circuiti e corsie. Questo permette
agli istruttori di insegnare ai bambini le
nozioni fondamentali della disciplina, attraverso forme di gioco divertenti e appassionanti che rendono più facile l’apprendimento
delle stesse. Inoltre, tramite l’utilizzo dei circuiti, si riescono a sviluppare tutte le capacità fisiche come la forza, la rapidità, la resistenza e la mobilità articolare, al fine di permettere l’acquisizione di una corretta postu-
ra e favorire lo
sviluppo ottimale
dell’apparato
locomotorio
e
muscolare. Tutto
questo lavoro è
di fondamentale
importanza per
sala Karate
una formazione
ed uno sviluppo
a carattere generale, prima di entrare nella
fase specifica dell’arte marziale. Grande la
soddisfazione da parte dei due istruttori per
l’ottima prestazione di tutti i bambini che
hanno divertito ed emozionato i genitori presenti. Il saggio si è concluso con la premiazione finale dei bambini: Melissa Latino,
Diego Compagni, Alessio De Venanzi,
Michela Accettone, Francesco Stefani,
Pietro D’Addario, Denise Cimarra, Hariz
Batik, Alessia De Federicis, Giorgia
Gaspari, Gaia Biancini, Francesco
Deriu’,
Fabio
Filippelli,
Cosmin
Racovita, Simone Corelli, Federico
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Campo de’ fiori
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Le guide di Campo de’ fiori
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R
STORIA La cittadina
di
Ronciglione,
aggrappata alla pendenza di una collina
tufacea, con una
superficie di 52,28
di
kmq e circa ottomila
abitanti, dista appena Ermelinda Benedetti
20 km dal capoluogo
di provincia, Viterbo, e si eleva per 442 m
sul livello del mare. Contornato dai Colli
Cimini da un lato e dal Lago di Vico dall’altro, il paesaggio si presenta particolarmente affascinante. Questa sua ubicazione, da sempre, spinse gli uomini a stanziarvisi. Il borgo, infatti, ha un’origine da
far risalire agli Etruschi, durante la presenza dei quali nacque e si rafforzò una
fitta rete di fiorenti scambi commerciali.
Durante il periodo imperiale romano,
assunse, con tutte le probabilità, la funzione di castrum, posto tra la Cassia Cimina
e la Cassia Clodia. Ma con le invasioni barbariche si trovò a dover far fronte ad un
periodo di non indifferente sofferenza.
Subito dopo entrò a far parte del Ducato
Romano. Da questo momento in poi, raggiunta una certa stabilità, iniziò ad essere
un ambito punto di riferimento per viaggiatori e commercianti. Il nome stesso,
secondo alcuni, sarebbe da ricollegare ad
un nobile potente francese, chiamato
Rossillon, che, nell’VIII sec., sembra abbia
voluto trasferirsi proprio lì, per la bellezza
dei luoghi e per l’aria salubre che si respirava. Lo stemma del suo casato raffigurava due leoni, quasi sicuramente quelli che
sono impressi ancora oggi sullo stemma
della cittadina, ai quali sono stati aggiunti
il giglio farnese e una falce. I Vico
governarono Ronciglione per
quattro secoli, fino alla fine del
1400, quando, dopo una contesa con gli
Anguillara, furono i potenti Farnesi a prendere il sopravvento, estendendo il loro
dominio anche qui. I nuovi governanti
avevano il compito, oltre che di formare
uno stato autonomo, di migliorare l’aspetto architettonico nonché quello economico
dei feudi dei quali erano venuti in possesso. Molto fu fatto per Ronciglione: fu addirittura realizzato un corso d’acqua artificiale, il Rio Vicano, sul lago di Vico. Grazie
alla caduta delle acque di questo rivolo,
vennero costruite cartiere, ferriere, mulini
e tipografie, una delle quali fu tra le prime
stamperie di carte da gioco di tutta Italia.
Il centro divenne un forte richiamo per la
mano d’opera proveniente da tutti i paesi
vicini e da luoghi lontani. Questo fece registrare ben presto un forte innalzamento
della popolazione che segnò una conseguente crescita economica. Nel 1537 il
cardinale Alessandro Farnese, eletto poi
Papa Paolo III, fondò il Ducato di Castro e
di Nepi e Ronciglione
venne eretta a
Contea fino al
momento
in cui Nepi fu ceduta per l’acquisto di
Parma e Piacenza, che divennero, a loro
volta, ducato. Nel 1649, Ronciglione, in
seguito alla caduta del Ducato, venne confiscato ai Farnesi dalla Santa Sede e passò
pertanto sotto l’amministrazione della
Camera Apostolica. È da ammirare il fatto
che nonostante questo, contrariamente a
quanto avvenne per molti altri centri della
zona, non perse il suo dinamismo economico e culturale. L’arrivo dei francesi, poi,
non risparmiò neanche il piccolo centro e,
nel 1799, durante gli scontri, a seguito di
un violento incendio, parte del patrimonio
architettonico andò distrutto e con esso
bruciò nel rogo anche il prezioso archivio
storico.
Oggi di tutti questi secoli di storia rimane
il caratteristico borgo medievale, cuore
pulsante di una nuova cittadina che si è
sviluppata tutta intorno.
ITINERARIO TURISTICO I monumenti
più importanti da visitare sono perlopiù di
periodo
rinascimentale,
avendo
Ronciglione raggiunto il suo massimo
splendore tra il 1500 e il 1700. Solo la
Chiesa di Santa Maria della
Provvidenza è da far risalire al periodo
medievale, XI secolo, anche se mostra i
segni di numerosi interventi apportati da
artisti di secoli successivi. Sempre per
quanto riguarda l’architettura ecclesiastica, é possibile ammirare nel Borgo i resti
della Chiesa di Sant’Andrea, costituiti
da colonne e capitelli e dal campanile,
costruito nel 1463 dal comasco Galasso.
La Chiesa di Santa Maria della Pace
venne eretta nel 1551 per volontà del
Cardinale Alessandro Farnese che la destinò ai Padri Agostiniani. Il progetto sembra
di stampo vignolesco, l’altare maggiore è
in stile barocco con un affresco della
Vergine del XV sec. e una sala settecentesca di pregio, attribuita a Sebastiano
Campo de’ fiori
Conca, raffigura la Madonna con Bambino
e S. Francesco di Sales. Di grande importanza è il Duomo, un maestoso edificio
anch’esso di stile barocco, risalente al
1671, con molta probabilità edificato su
progetto di Rinaldi. L’interno è impreziosito da due grandiose tele di Franceso
Trevisani e Giuseppe Ghezzi, poste sugli
altari minori del transetto, dei quali quello
di destra conserva, inoltre, il prezioso trittico quattrocentesco del S. Salvatore
benedicente di Gabriele di Francesco.
L’altare maggiore è arricchito da una
splendida tavola attribuita alla scuola di
Giulio Romano. Poco distante dal centro si
trova la piccola Chiesa campestre di
Sant’Eusebio, del VII sec., quindi romanica. Divisa in tre navate da colonne in
tufo sormontate da antichi capitelli, presenta affreschi del XII, XIII e XVII secolo.
Della presenza di potenti famiglie rimane,
benché in grave stato di degrado, il
Castello della Rovere, detto “I Torrioni”
in quanto l’enorme mole rimasta è sorretta ancora dai grandi torrioni angolari. La
costruzione risale all’alto medioevo, legata
alla funzione di difesa del borgo.
Particolare è la Fontana dei Liocorni,
disegnata probabilmente dal Vignola o da
Antonio Gentili da Faenza, nel 1581, che
riporta scolpiti lo stemma farnesiano e
quello dei Liocorni. Come per Caprarola, è
possibile visitare la Riserva naturale del
Lago di Vico.
TRADIZIONI E FESTE Festa di
Sant’Antonio Abate Festeggiamenti in
onore del Santo protettore degli animali, il
17 gennaio. Al suo interno vi è inserito un
palio che prende il nome di Corsa della
Stella.
Carnevale di Ronciglione Prevede sfilate per le vie del paese di originali carri allegorici accompagnati da colorate maschere
e tanta musica. Per la sua estrosità è uno
dei più spettacolari d’Italia.
il Duomo
29
Palazzo Comunale e la Fontana dei Liocorni
Corse a vuote Corse di cavalli senza fantino, che si svolgono durante il periodo di
Carnevale.
Feste estive a Punta del Lago
Iniziative proposte dalla efficiente pro loco
di Ronciglione, che cura anche tutte le
altre manifestazioni, per ravvivare le calde
giornate estive lungo le rive del Lago di
Vico.
Festa delle Nazioni Vengono invitate
tutte le ambasciate del mondo e preparati
stand gastronomici con prodotti tipici e
spettacoli folcloristici tenuti delle rappresentanze dei vari Paesi intervenuti. I
festeggiamenti si svolgono nel mese di
luglio.
Festa di San Bartolomeo
Festeggiamenti in onore del Santo patrono
animati da intrattenimenti pomeridiani e
serali di piazza nei giorni immediatamente
precedenti al 25 agosto.
SAPORI TIPICI Oltre a quelle che sono
le pietanze caratteristiche comuni a molti
dei paesi dellaTuscia, a Ronciglione hanno
particolare rilievo i Tortorelli, un
singolare tipo di pasta fatta in
casa che nasce da un semplice
impasto di acqua e farina, lunghi,
rotondi
e spessi. Per quanto
riguarda i dolci sono peculiari i
Panpepati con una base di miele
e cacao nella quale vengono
impastati fichi secchi, uva passa,
noci, pinoli, nocciole.
LE CURIOSITA’: Ma lo sapevate che a Ronciglione…
Il più anziano del paese è la
signora Iannicali Maria di 103
anni.
La coppia sposata da più anni
invece è composta dai signori
Gianforte Giuseppe e Stella
Cristina, che sono convolati a
nozze nel lontano 23 febbraio del
1933.
(fotoservizio M. Topini)
riserva del Lago di Vico
Campo de’ fiori
Le disfuenze
Centro di Diagnosi e Terapia
Neuropsichiatrica, Psicologica, Logopedica,
Psicopedagogica
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Almeno una volta
ognuno di noi ha provato sulla propria pelle
una difficoltà di fluenza o “Disfluenza”.
Le alterazioni dell’eloquio, come ripetizioni,
troncature, intercisioni
a cura della Dott.ssa che stravolgono il
Anna Maria Sambuci ritmo, la velocità e la
fluenza della lingua
parlata, provocano disagio sia al soggetto
che parla che all’ascoltatore, poiché richiamano l’attenzione sul modo di parlare piuttosto che sul contenuto del discorso.
E’ molto frequente incontrare soggetti
tachilalici, quelli che nell’ansia di finire il
discorso si “mangiano le parole”. Un po’
meno frequenti i tartagliatori, che sono
una evoluzione peggiorativa dei tachilalici,
cioè coloro che oltre a “mangiarsi le parole” a volte si inceppano, alterando così
anche il ritmo dell’eloquio.
Il fenomeno senza dubbio più conosciuto è
la balbuzie, caratterizzata da un insieme di
alterazioni nella velocità, nel ritmo e nella
fluenza dell’espressione verbale.
Varie teorie sulle cause si sono diffuse nel
tempo e mai nessuna è stata categoricamente negata o riconosciuta.
Di conseguenza anche gli approcci terapeutici sono molteplici e si riferiscono alle
diverse teorie etiologiche: organiche,
genetiche, psicologiche.
I sintomi sono variabili nell’età, nel tempo
e nelle caratteristiche espressive anche
nello stesso soggetto.
Molto spesso il problema può condizionare
tutta l’esistenza. Ogni scelta corre il rischio
di essere valutata non in base a motivazioni reali bensì in rapporto alla necessità
di dover parlare.
Dal punto di vista diagnostico il logopedista analizza il comportamento disfluente e
lo stato emotivo del balbuziente e, di conseguenza, propone un percorso terapeuti-
31
co personalizzato, avvalendosi anche della
collaborazione di altri specialisti.
E’ ormai appurato che i tempi di insorgenza di tale disturbo si focalizzano intorno ai
2 – 3 anni, 6 anni, adolescenza.
Intorno ai due o tre anni può comparire
una “balbuzie fisiologica”, la quale è determinata dall’aumento del lessico (parole) a
conoscenza del bambino che lo porta a
“stentare” nella produzione perché molto
concentrato sulla ricerca della “parola giusta”.
Non è un dato certo come tale sintomo
può evolvere ma è altresì consigliabile prevenire anziché curare.
Anche in un caso di balbuzie fisiologica è
opportuno avvalersi di una consulenza
specialistica, che sostenga i genitori nel
comportamento adeguato da tenere.
E’ possibile porre quesiti relativi agli
interventi terapeutici e diagnostici
del Centro,e ricevere chiarimenti in
proposito, visitando il sito
www.centroceral.com
Aggrappati ad un “cordone” di speranza
Come un fiore che,
immerso nella tempesta, scosso dal vento e
maltrattato dalla pioggia, aspetta qualche
timido raggio di luce
per veder di nuovo brillare i suoi petali, così è
l’uomo.
di
Erminio Quadraroli L’essere umano è indebolito dallo scorrere del
tempo ma rafforzato
dalle nuove speranze che ogni giorno la
ricerca produce.
Lo sviluppo e la sperimentazione, tuttavia,
da sole, delle volte non bastano e…come
un soffione che è spazzato via dal vento
così la nostra vita rischia di essere donata
nelle mani di un Angelo.
Per non spezzare prematuramente il
nostro debole legame terreno, un piccolo
ma operoso gruppo di medici ricercatori
ogni giorno si batte per sconfiggere mali
che, ancora oggi, purtroppo non sono
sempre curabili e che trasformano la luce
di felici occhi, brillanti come stelle in un
cielo sereno, in orribili tenebre.
La nascita di una nuova vita, evento già di
per sé felice, può trasformarsi in un
immenso progetto di speranze.
Un neonato può, senza rendersene conto,
compiere il suo primo “regalo” denso di
altruismo, nei confronti di chi soffre e di
chi oramai intravede una vita piena di
scure ombre.
I genitori del nascituro possono compiere un gesto molto piccolo per
regalare
un
aiuto
immensamente grande: donare le cellule
staminali
contenute in
grossa quantità
nel sangue del
cordone ombelicare.
Come si apprende da molte riviste specialistiche,
questo sangue
è ricco di cellule che possono
essere usate
per rigenerare
tessuti
danneggiati e curare malattie come
l’Alzheimer e alcuni tipi di tumore.
Questo è un gesto di altruismo a “costo
zero”, che può regalare sorrisi a persone
che hanno perso la voglia di
sorridere…basta chiedere informazioni nei
reparti di ginecologia degli ospedali dove
si effettua il parto per lasciare
una impronta indelebile nel cuore di un
ammalato.
Alcune volte basta guardare con gli occhi e
capire con il cuore per regalare una speranza in più a chi oramai crede di averla
perduta.
Campo de’ fiori
32
L’orologio del Palazzo Comunale di Ronciglione
12 Agosto 1712 - 20 Ottobre 1714
Architetto Sebastiano Cipriani
Il collocamento dell’orologio pubblico, nel
1712, nella sommità del Palazzo Priorale di
Ronciglione in Piazza Umberto I, va visto
in relazione ai restauri del palazzo stesso,
promossi dalla Sacra Congregazione del
Buon Governo, retta dal Cardinale
Giuseppe Renato Imperiali, per rinnovare
le vetuste e degradate strutture dell’antico
edificio priorale.
Come risulta dalla documentazione archiviale, incaricato del progetto e della redazione dei capitolati d’appalto è l’Architetto
Sebastiano Cipriani, già autore del progetto del campanile della Collegiata dei
SS. Pietro e Caterina, il Duomo di
Ronciglione, recentemente restaurata.
Il posizionamento dell’orologio sulla facciata principale e in asse con il portale cinquecentesco, è un intervento architettonico modesto e di poca rilevanza, ma diventa un episodio artistico di grande valore se
visto nell’ottica dei piani di rinnovamento
urbano della città di Ronciglione, promossi
tra il 1712 e il 1730 dall’amministrazione
pontificia e dal Cardinale Imperiali per
dare un nuovo volto alla cittadina, un
tempo centro vitale e “capitale” del Ducato
Farnesiano.
Le opere appaltate interessarono il
Duomo, l’acquedotto pubblico e la fontana
di Piazza Umberto I, il palazzo Priorale, le
vie principali ed altri importanti edifici.
Una serie non indifferente di lavori pubblici, secondo una terminologia attuale, tuttora in fase di studio ed analisi.
Il 6 Aprile 1712, in Roma, il Cardinale
Imperiali incarica l’Architetto Sebastiano
Cipriani della redazione del progetto di
restauro del palazzo Priorale e dell’orologio
pubblico,
della
“…..Comunità
di
Ronciglione…”, allora in precario stato di
conservazione a seguito delle infiltrazioni
di acqua dalle sconnesse strutture lignee
del tetto.
Il 25 Giugno 1712 il Cardinale approva il
progetto e la stima dei lavori redatti dall’architetto, che a più riprese è a
Ronciglione per eseguire i rilievi tecnici e
strutturali necessari.
Il 22 Agosto 1712 viene stipulato il contratto di appalto delle opere con il Mastro
Muratore Francesco Cantù: “LA SACRA
CONGREGAZIONE DEL BUON GOVERNO CONSIDERATE LE OFFERTE CHE
SONO STATE DATE PER LI LAVORI DI
MURATORE DA FARSI NEL RIFACIMENTO DEL PALAZZO PRIORALE DI
COTESTA COMUNITA’ E NELLA
FABRICA DA POTER COLLOCARVI IL
PUBBLICO OROLOGIO, HA GIUDICATO QUELLA DEL CAPOMASTRO FRANCESCO CANTU’ LA PIU’ VANTAGGIOSA E CHE LI DETTI LAVORI DEBBANO
FARSI SECONDO LA PERIZIA, IL
DISEGNO ET LA DIREZIONE DELL’ARCHITETTO CIPRIANI. ROMA 22
AGOSTO 1712”.
Il 10 Settembre 1712 viene redatto e sottoscritto il capitolato d’appalto: ”CAPITOLI, PATTI ET CONVENZIONI CHE
DOVRA’ OSSERVARE IL CAPOMASTRO PER IL RIFACIMENTO DEL
PALAZZO PRIORALE DI RONCIGLIONE ET IVI FARE LA FABBRICA PER
SITUARCI L’OROLOGGIO A BENEFICIO DI QUEL PUBBLICO ET ALTRO IN
CONFORMITA’ DELLO SCANDAGLIO
ET INSTRUZIONE FATTA DALL’ARCHITETTO SEBASTIANO CIPRIANI ET
SECONDO IL GIUDICATO DELL’EMINENTISSIMO ET REVERENDISSIMO
CARDINALE IMPERIALI”.
L’orologio, del tipo “a Vela”, è posto su un
alto basamento lapideo poggiante sulla
copertura lignea ed è caratterizzato da una
struttura muraria di base rivestita con
materiale lapideo e da due mensole laterali a doppia voluta contrapposta, con al
centro il quadrante, sorreggenti il cornicione sommitale.
Superiormente è collocata una aerea struttura metallica a volute, di chiara ispirazione Barocca, con tre campane bronzee di
varia forma e dimensione.
L’orologio rivela la sua presenza sul piano
di facciata tramite due paraste, che incorniciano lo stesso portale.
L’Architetto Sebastiano Cipriani è, dunque,
un tecnico della cerchia dell’Imperiali.
Buon architetto ed erede della tradizione
architettonica barocca romana, tra il 1705
e il 1730 è particolarmente attivo nei centri dell’alto viterbese: nel 1705 collabora
dapprima con Filippo Barigioni nelle opere
di costruzione del Ponte Clementino a
Civita Castellana e successivamente, tra il
1706 e il 1727, nella realizzazione della
Fontana e dell’Acquedotto di Nepi.
A Ronciglione è opera autografa il
Campanile del Duomo e il restauro, sempre con il Barigioni, della Fontana di Piazza
del Comune.
A Roma tra il 1727 e il 1730, è architetto
del Tribunale delle Strade, importante carica pubblica del tempo.
Di alto livello tecnico ed artistico i rilievi
eseguiti nel 1728/’30 delle principali piazze di Roma per il Tribunale delle Strade.
Nel 1727 elabora e realizza con Filippo
Barigioni il progetto di restauro della
Chiesa di San Gregorio a Ponte Quattro
Capi, in prossimità della sinagoga di Roma
e di fronte all’Isola Tiberina.
La realizzazione dell’Orologio Comunale di
Ronciglione è un episodio marginale e
secondario, ma il suo alto livello artistico è
una valida chiave di lettura per capire e
conoscere l’azione culturale e tecnica svolta dallo Stato Pontificio tra il 1700 e il 1750
nei territori a nord di Roma dove promosse ingenti opere pubbliche di alto livello
formale ed esecutivo, tuttora inesplorate e
dimenticate dagli storici dell’arte.
Prof. Arch. Enea Cisbani
Campo de’ fiori
34
Cari amici
la storia di Noel si arricchisce sempre più di nuove avventure.
Conservate gli inserti e... buona lettura
dai vostri Cecilia e Federico
soggetto e testo Sandro Anselmi
continua sul prossimo numero
Lettera di
una mamma
Sarei molto felice se pubblicaste questa
mia lettera nel prossimo numero del vostro
giornale perché fosse di stimolo alle persone che si trovano nelle nostre condizioni, il tanto coraggio viene premiato da
tante soddisfazioni. Tutti noi dalla vita
vogliamo il meglio: un buon lavoro, tanta
salute, una bellissima famiglia, una casa e
dei bambini. I “Bambini” per una mamma,
penso siano la cosa più importante.
Quando sai di essere incinta, la prima cosa
che ti chiedono è “preferisci maschio o
femmina?” e tu rispondi che l’importante
è che sia sano e libero. Anche a me hanno
fatto questa domanda, ma, pensando che
era il terzo figlio che aspettavo, ed essen-
do giovane, tutto sarebbe andato per il
meglio; invece fin dall’inizio sono iniziati i
problemi. I primi tre mesi, a differenza
delle altre gravidanze, sono dovuta stare a
letto e, per maggior sicurezza, avevamo
deciso di fare l’amniocentesi ma, per il
distacco della placenta, non è stato possibile farla. Quando è nato il bambino è
stato meraviglioso, ma è durato pochissimo perché, subito dopo la nascita, ci
hanno comunicato che dovevamo trasferirlo all’ospedale di Viterbo per controlli. Per
non farmi preoccupare mi hanno detto le
cose più banali, ma appena me lo hanno
portato mi è bastato guardarlo negli occhi
per capire la verità, il mio bambino aveva
la “Sindrome di Down”. In quel momento ci
è crollato il mondo addosso e, intanto, i
dottori ci ripetevano che, nella sfortuna,
dovevamo ritenerci fortunati perché il
bambino stava bene, il cuore, i polmoni e
tutti gli altri organi funzionavano alla perfezione. A distanza di due anni, possiamo
dire che le cose vanno benissimo. Fin da
quando è nato, Francesco ha lottato con
tutte le sue forze per farsi rispettare in
questo mondo, con i suoi fratelli, poi, ha
un rapporto bellissimo. Non c’è giorno che
non pensi a lui, a come sarà la sua vita, a
come sarà il suo domani quando sarà
grande, queste sono le domande che mi
pongo in ogni minuto della giornata, ma
ho capito che è inutile porsele, ma che
bisogna vivere la vita giorno per giorno.
Molto spesso penso che se avessi fatto
l’amniocentesi e avessi deciso di abortire,
oggi saremmo pentiti di questa scelta, perché le gioie e le soddisfazioni che ci sta
dando Francesco sono immense e vi possiamo dire che siamo molto orgogliosi di
essere genitori di un bambino down.
Alessandra Grieco
Per un sorriso...di venti bambini !
L’occasione che mi viene offerta dal Signor
Anselmi e dalla Redazione è grande e preziosa, e mi preme quindi utilizzarla come
meglio mi consentono i mezzi di cui dispongo. Prima di andare avanti e di creare confusione in testa a te che mi stai leggendo,
permettimi una breve premessa. Chi scrive
si chiama Roberto e lo fa a nome di un
modesto, ma premuroso piccolo progetto di aiuto a venti Bambini indiani… È proprio di loro che voglio parlarti, ma
forse lo avevi già intuito: del resto le immagini della pagina parlano da sole. Il progetto (“Per Un Sorriso”) ha preso forma qualche anno fa, per volontà e mano di una giovane donna che chiamerò Barbara (anche
perché questo è il suo vero nome), mia
amica e collega. Barbara, oltre a coltivare
un vivo interesse per pratiche yoga e meditative, e aver studiato per insegnarle, è,
come me, anche una “navigante” come si
dice in gergo, o hostess, se preferisci: una
persona, insomma, che ha molte occasioni
di viaggiare per lavoro, piacere, curiosità
intellettuale… E proprio in occasione di uno
dei suoi numerosi viaggi in India (paese del
quale ha accumulato una sconfinata conoscenza), ha incontrato Raja, un ragazzo
indiano appena trentenne, Maestro di yoga,
che le ha parlato del proprio desiderio di
prendersi cura di alcuni bambini orfani o
semiorfani del piccolo villaggio di
Serupatthu, sperso tra le alture dell’India
meridionale, in una regione a prevalenza tribale, raggiungibile dopo ore e ore di viaggio
a bordo di una jeep, inerpicandosi su stradine assai poco sicure ma “periodicamente”
battute da strombazzanti autobus che sfrecciano, carichi di passeggeri, a velocità folli
sul ciglio di pericolosi dirupi. Barbara ci ha
riflettuto, ha fatto domande, ha avuto risposte (e credimi, in quel bellissimo ma bizzarro paese è cosa ardua!), ha voluto conoscere i Bambini e la loro realtà di vita. Non le è
servito molto tempo per convincersi che
qualcosa andava fatta. Dopo un primo
periodo di prova, assieme a Raja ha organizzato un trasferimento dei Bimbi in una
cittadina più facilmente raggiungibile e che
poteva garantire più servizi (e con “servizi”
intendo soprattutto quelli primari: ospedale
e scuola, che sul cocuzzolo della montagna
non sanno neanche cosa siano! Molti, infatti, sia adulti che bambini, se colpiti da
malattia, muoiono prima che arrivi un
“medico” o prima che possano essere trasportati in un luogo in cui ricevere cure). Da
otto che erano in origine, i Bambini oggi
sono diventati venti e chissà, forse non ci
fermeremo qui. Parlo al plurale perché da
qualche tempo anch’io ho deciso di unirmi a
Barbara e lo scorso Ottobre con Lei sono
giunto a Tiruvanamalai, la città dello stato
del Tamilnadu, in cui vivono i Bambini.
Esserci di persona significa calarsi nella vita,
annusare gli odori e “sentire” lo spirito di
luoghi che, magari, hai sempre e solo osservato a debita distanza da telespettatore. I
Bambini, però, quelli sono come li conosci
anche tu: veri, bellissimi, allegri, ma meno
fortunati di altri (anche se la fortuna rimane
sempre un concetto molto relativo). Si
impara presto a voler bene a Suly, a
Sangeeta, a Saktivel, a Ranjith, a Reka o a
Ponkumar e a tanti altri loro “fratellini e
sorelline” (perché tali hanno imparato a
essere gli uni con le altre!). Scusami se non
li nomino tutti, ma i loro nomi sono enormemente complicati e la memoria, ahimè,
non mi assiste… Questo, però, non ha
importanza, perché se chiudo gli occhi e
penso a loro, li rivedo tutti, nessuno escluso, mentre ci si stringono attorno, contenti
di trovarci a casa al loro rientro da scuola...
contenti perché una Domenica, muniti di
guanti e polverine puzzolenti, li abbiamo
liberati di quei “fastidiosi animaletti” che gli
infestavano la testa, dando vita a un’allegra
doccia comune a colpi di secchi d’acqua di
pozzo... contenti perché dopo una giornata
di scuola potevano fare con noi lezione di
inglese (a essere sinceri: venti minuti di
“this is the dog” e “I like the cake” e un’ora di divertito e inarrestabile caos in tamil, la
loro lingua!)... o contenti perché il programma “serale” prevedeva disegni e balli... o,
ancora, più semplicemente contenti perché
potevano impossessarsi dei nostri piedi e
lanciarsi in convintissimi massaggi, attività
di cui vanno letteralmente pazzi e, con
appena quattro piedi a disposizione, puoi
immaginare quale bagarre scoppiasse per
essere il fortunato detentore di uno di essi!
Grazie alle nostre attività parallele (Barbara
come insegnante di yoga, io come traduttore per case editrici, e altri amici in modi a
loro congeniali) cerchiamo di dare respiro al
progetto (che significa una vita più sana e
dignitosa per i Bambini) con iniziative di
vario genere (il fatto che tu stia leggendo
questo articolo ci fa sentire meno soli), e
una volta che la tasca si è “gonfiata” di
qualche soldo, ci carichiamo lo zaino in spalla e via: saliamo sull’aereo che ci riporterà
dai Bambini di Tiruvanamalai! Considera che
uno di noi va da loro circa ogni sei mesi. È
una vera emozione rivedere, di sera, tutti
quei minuscoli occhi bianchissimi e accesi di
gioia che ci corrono incontro! Lì, poi, inizia
la seconda fase del progetto: il soldo della
tasca, di cui sopra, va per le spese di affitto
della casa, per il cibo (riso, essenzialmente)
e altri prodotti a completamento dell’alimentazione dei Bambini, oltre a qualche
coloratissimo dolcetto perché si tratta pur
sempre di Bambini! Ti ricordo che la stragrande maggioranza degli indiani è vegetariana e fa ampio uso di riso, tapioca – principale risorsa agricola della regione – ceci,
spinaci, “lady fingers” o “dita di dama”, una
sorta di gustoso fagiolino triangolare,
pomodori, melanzane, tutto condito con salsette talmente piccanti da stendere un
cavallo, e il “chapati”, pane non lievitato a
forma di grossa frittella); inoltre controlli dal
dentista, paga delle donne che li accudiscono… spese vive, insomma. Forse se li osservassi mangiare il riso per il pasto della sera,
potresti obiettare: ma non usano forchettine? Perché li fate mangiare con le mani?
Beh, potrei risponderti che è così che si
mangia da quelle parti, e che anch’io e
Barbara lo facciamo quando siamo lì e che
pensiamo che i Bambini debbano crescere sì
in salute, ma mantenendo le tradizioni e i
costumi del loro paese, senza introdurre
elementi estranei che soddisferebbero solamente la nostra visione occidentale. E poi
dovresti veder che manualità! Del resto,
proprio questo significa adottare “a distanza”: prendersi cura di qualcuno senza allontanarlo dal proprio paese di origine.
continua a pag. 43......
36
Campo de’ fiori
CIAK SI GIRA
Era l’autunno del 1990 quando mio
padre, che conosceva la mia giovane
passione per il cinema, mi informò che,
in Piazza Matteotti, stavano girando un
altro film; dico un altro perché, fra la
fine degli anni ’80 e l’inizi del ‘90, molti
registi scelsero Civita Castellana come
di
scenario nel quale ambientare alcune
Roberto
scene dei loro film, e fu grazie a questi
Moscioni
film che iniziai a sognare di poter lavorare, un giorno, in questo mondo. Il film di cui vi parlerò è YEAR OF THE GUN , uscito nelle sale cinematografiche italiane nel 1991 con il titolo L’ANNO DEL TERRORE, diretto da John Frankenheimer, grande regista Hollywoodiano morto nel 2002 all’età di 72 anni.
Suoi i film “IL BRACCIO VIOLENTO DELLA LEGGE 2”
con Gene Hackman e il recente “RONIN” con Robert
De Niro, tanto per citarne alcuni. L’ANNO DEL TERRORE è un thriller che racconta la storia di uno
scrittore americano (Andrew McCarthy) che, nel
1978, arrivando in Italia per scrivere un romanzo sul sequestro di Aldo Moro ed i suoi rapitori,
scopre cose che metteranno seriamente a rischio
la sua vita. Nel film viene raccontato uno spaccato della nostra storia, fatto di intrighi ed attentati che hanno terrorizzato l’ Italia, fino alla fine
degli anni ‘80. Per questa pellicola, girata in gran
parte a Roma e Venezia, Frankenheimer scelse ben due
piazze selezionate fra le cittadine del viterbese. Una fu
Piazza Matteotti a Civita Castellana, la quale doveva
rappresentare una piazzetta di Roma, con tanto di presenza delle caratteristiche carrozzelle turistiche romane. Quì venne girata la scena di una rapina in banca,
con tanto di conflitto a fuoco a colpi di mitra tra i malviventi e un poliziotto, tutto sotto gli occhi di una fotografa interpretata da un’ allora sconosciuta Sharon
Stone, attrice che di li a poco diverrà una star di
Hollywood. Ricordo ancora i colpi assordanti delle armi
dei rapitori che, con il volto coperto da un passamontagna, in sella ad una moto che correva a grande velocità, sparavano colpi di mitra sulle auto e su un poliziotto che cadeva a terra crivellato dai colpi, morendo sotto
i miei occhi. Fu un’ esperienza terribile.... ma per fortuna ad un certo punto, una voce urlò “ STOP.....DA
CAPO.....” e fu così che il poliziotto si rialzò, i malviventi ritornarono ai loro posti, pronti per un’altra sparatoria, ed io, insieme a tutti gli altri curiosi dietro le
corde che delimitavano il set, tirammo un respiro di sollievo...Che bello sarebbe se la vita, potesse delle volte
essere un film, offrendoci l’opportunità di rialzarci ad
ogni sbaglio e in ogni momento di difficoltà.....ma questa è un’altra storia. La seconda piazza scelta quale set
del film, fu Piazza del Comune a Bassano Romano dove,
anche qui, venne girata la scena di un assassinio: Due
sicari, a volto coperto, in sella ad una moto, uccidono a
colpi di pistola un agente segreto della CIA, in missione in Italia nelle vesti di un direttore di una testata giornalistica. Nel film, tra le tante scene di violenza, quella
della rapina, girata a Civita Castellana, e quella dell’assassinio dell’agente della CIA, rimangono bene impresse nella mente, sarà per la bellezza di Sharon Stone
o per l’eleganza di queste piazze, ma una cosa è certa,
che la Tuscia, anche questa volta, ha bussato alle porte
di Hollywood.
YEAR OF THE GUN
L’anno del terrore
Campo de’ fiori
38
Brevi note sulla vita, sulle intenzioni, sui sogni e sulle utopie di
Gianfranco Santi
Gianfranco Santi
Vasta e complessa la sua formazione artistica e culturale.
Nasce a Civita Castellana nel 1936, da
padre ceramista faentino e da madre di
origini viterbesi.
La sua esperienza ceramica, sempre assistita e sorretta da una viva curiosità per
l’innovazione e la creatività, trova occasione di stimoli e di verifiche nell’esperienza
paterna, oltreché nel fervido periodo di
rinnovamento artistico degli anni ‘50/60.
Il frequente e precoce contatto con i tanti
ceramisti, sia operanti all’interno dell’azienda del padre, sia all’esterno di essa,
tutti comunque ricchi di esperienza e di
vita, arricchisce il suo bagaglio culturale ed
alimenta la sua conoscenza del processo
ceramico.
Dopo un biennio di studi a Roma, si trasferisce a Rimini nel 1952 con la sua famiglia, dove suo padre ha intanto fondato
una azienda ceramica. Dopo il diploma,
decide di dedicarsi completamente allo
studio ed alla pratica dell’attività artistica
ceramica, sia in un processo avanzato di
produzione, sia nella ricerca di nuove e più
originali espressioni.
Attiva così una sua originalissima attività,
nella quale si realizza un approfondimento
costante della materia ceramica e del suo
aspetto formale, in una congiunzione ideale e reale assieme con i movimenti artistici e le idee più avanzate e di ricerca.
Nel 1967 collabora prima in modo esterno
con il Colorificio Romer di Firenze, poi dal
1970 entra a far parte di quella azienda. In
un percorso esaltante di esperienze tecniche e commerciali, percorre, assiste ed
interpreta i sentimenti, il gusto, la ricerca
e l’innovazione che caratterizzano la ceramica italiana di quegli anni.
Il Colorificio Romer, antica e gloriosa
azienda, leader nel suo settore, cede nel
1972 l’attività alla Degussa di Francoforte,
che sapientemente innesta la conoscenza
tecnico scientifica tedesca nella fantasia e
nella creatività italiana.
Sono anni di grande fervore che consentono a Santi di arricchire notevolmente le
sue esperienze tecniche, anche attraverso
i frequentissimi viaggi all’estero –
Francoforte, Limoges e Valencia – dove la
Degussa possiede stabilimenti di produzione e di ricerca ceramica.
Il pensionamento per raggiunti limiti di età
nel 2001 non segna la fine delle sue esperienze, ma l’inizio di una nuova attività di
studio, ricerca, servizi, e corsi di formazione ceramica.
A Faenza fonda una sua azienda, la
Ceramic & Colours che in breve diventa il
centro riconosciuto di supporto alle varie
attività ceramiche italiane.
Parallelamente alla sua attività lavorativa,
alimenta una ricerca artistica, che si traduce in esperienze di tipo formale, quali la
pittura, la fotografia, la scultura, la letteratura che, senza pregiudizio per alcun
mezzo ed alcun supporto di tipo pratico,
rappresentano un processo in divenire di
una ricerca senza soluzione di continuità,
tutta rivolta ad indagare nel mistero della
vita, nella funzione e nel significato della
nostra presenza all’interno della comunità
umana.
All’interno delle sua attività, inserisce
come momento di arricchimento e di consolidamento dei suoi principi e delle sue
esperienze, corsi di insegnamento e di formazione artistica con particolare riferimento alla ceramica, alcune mostre d’arte,
conferenze sulla tecnica ceramica, sulla
storia dell’arte, sulla fotografia.
Vive a Rimini in via Oliveti 56 dove ha sede
anche il suo atelier, lavora a Faenza in via
Pana 34, dove si reca giornalmente in
auto, con sempre maggiore pervicacia e
determinazione, convinto com’è che la
vita, così articolata e complessa, deve
essere riempita non solo del pane quotidiano che sostiene il nostro corpo, ma di
sogni, ebbrezze, speranze, fatiche e quant’altro dovrebbe servire al genere umano
per sopravvivere alla monotonia ed alla
ignavia del nostro tempo.
Dice
Gianfranco
Caastellana:
Santi
di
Civita
“......Civita, per me, non è solo un’antica
città, non è solo il mio luogo di nascita, la
mia origine, ma qualcosa di più profondo e
viscerale, un sentimento metabolizzato
dell’anima, un luogo di memorie, di emozioni e di mestizia insieme...........
....Ma Borghetto è per me il primo segno
autenticamente amico. Sono già a casa
mia. E’ come il ritorno dell’emigrante,
un’abbracciar le membra della propria
madre, riascoltare l’appassionato palpito
del suo cuore, condividere le sue lacrime e
le sue emozioni.......
....E la speranza di tornarvi si rinnova oni
giorno, ogni ora, mai completamente
appagata. Negli occhi di tanta gente
amica, nei segni che il tempo rimarca ferocemente sul loro volto, nelle vicende alterne della vita, nella trasformazione lenta ed
inesorabile delle cose, c’è anche il sentimento della mia condizione, dell’esser
figlio di questa città tanto cara e tanto
amata.”
Campo de’ fiori
39
Grande età e movimento
Via Donatello - Loc. Fontana Matuccia
Civita Castellana (VT) - T. 0761.514016
Inizia, da questo numero, una nuova
rubrica di informazione per affrontare, di
volta in volta, i principali temi che riguardano il movimento e la ginnastica per i
meno giovani; una guida per confrontare
quello che si fa e quello che si potrebbe
fare; un breve viaggio per individuare
motivazioni ed esigenze degli anziani
riguardo al movimento.
Vent’anni fa, intravedendo all’orizzonte il
confine “terza età”, incominciai ad interessarmi di tutto quanto era attinente al
movimento in quella fase della vita: letteratura scientifica, seminari, corsi, statistiche, articoli da tutto il mondo.
Proposi, così, ai sessantenni di allora un
programma di ginnastica che mi sembrava
giusto e anche piacevole. Non ottenni nessuna adesione!
Delusa, chiedevo a qualche conoscente
anziano. Per le donne la risposta era quasi
sempre: “ah, io di movimento ne faccio tanto, spolvero, lavo i pavimenti…” e via tutto l’elenco dei lavori domestici.
Per gli uomini solo un sorriso imbarazzato
come a dire “guarda che anche se non
sono più giovane sono un uomo; per
gli uomini c’è solo lo sport (cioè la
competizione) oppure meglio niente,
la palestra non fa per noi”.
Passarono altri dieci anni; insegnavo aerobica ma non abbandonavo il mio percorso di conoscenza con lo studio delle varie
scuole di ginnastica dolce:
Alexander,
Feldenkrais,
Mèziere. Affascinata da queste
tecniche, mi impegnavo per
superare gli stereotipi di movimento derivanti dalle mie precedenti esperienze professionali. Poi, ancora una volta, mi
prese il desiderio di farne partecipi altri. Questa volta ci fu
una risposta!
Non una risposta di massa,
s’intende, ma i tempi cominciavano a cambiare: piccoli gruppi a cui io davo tutto, poco o
tanto che fosse, di quanto era
entrato nella mia vita attraverso il movimento fisico.
E da cui ho ricevuto molto.
Ricordo l’armonia di tante persone in movimento senza nessuna guida né di voce, né di
musica; coreografie incantevoli create da corpi di ogni età
nella totale libertà di fisico e
mente, unificati da un ritmo
silenzioso e comune.
Ricordo le confidenze, qualche ringraziamento, ma soprattutto i momenti di conoscenza condivisa. Sono passati ancora
anni; ora forse è il tempo di completare
con l’informazione il percorso iniziato tanto
tempo fa.
Dalla prossima volta entrerò nello specifico affrontando di volta in volta i seguenti
argomenti:
coltivare l’abilità motoria, osteoporosi, come dire “no grazie” alle etichet-
te, il fitness e il welness, posturologia
e osteopatia, psicologia ed esperienze oltre la ginnastica, ginnastica in
acqua, mantenimento dell’efficienza
muscolare e articolare, equilibrio da
mantenere e affinare, resistenza cardio vascolare, le ginnastiche dolci.
A presto.
Carla Bonafede Di Donato
Coordinatrice Programmi Fitness
Centro Blu Life
di Loredana Filoni
“L’Harem e i suoi segreti” è un modo
innovativo di fare teatro. E’ una rappresentazione gradevolissima, con
una peculiarità, la presenza, in scena,
di venticinque donne. Il pezzo è stato
ideato e scritto da Piera D’Agostini,
che abbiamo intervistato. La regia e
le coreografie sono di Valentina
Colagrossi. Lo spettacolo si svolge in
due tempi. Nel primo, ammiriamo
l’interno di un harem, dove venti
odalische, di tutte le età, trascorrono
il tempo in modi diversi: chi danzando, chi cospargendosi di olii e
unguenti. Tutte in un’unica attesa,
quella di essere scelta come Favorita.
Una voce narrante sottolinea i pensieri, le paure, le gioie, le nostalgie.
La seconda parte è, invece, una vera
e propria rappresentazione di danza
del ventre: danza dei veli, del candelabro, delle spade, dei bastoni e percussioni. Lo spettacolo dell’ 8
Dicembre è stato arricchito dalla presenza di due ospiti d’eccezione: il
ballerino e coreografo Saad Ismail e
la ballerina Marie – Aude Cornuel
che, in coppia, hanno presentato una
coreografia in omaggio al maestro
Mahomoud Reda. Un’ultima curiosità, la presenza, per qualche minuto,
dell’unico ruolo maschile, l’eunuco,
interpretato da Leonard Madier.
Attore “prestato” dal teatro classico.
Ha già al suo attivo la partecipazione
in rappresentazioni di Ionescu,
Checov e Pirandello. Ora diamo la
parola alla nostra intervistata, Piera
D’Agostini.
D: Come è nata l’idea di questo spettacolo tutto al femminile?
R: Noi abbiamo una scuola di danza
del ventre, quindi è stata quasi una
conseguenza logica. Volendo rappresentare al meglio un harem, ho pensato a come poteva veramente esse-
re e quali sentimenti animavano queste comunità. Mi sono immedesimata
in queste donne che vivono in un
posto dove ci si deve dividere lo stesso uomo, dove si convive in una
situazione di agio e di lusso ma, pur
sempre, in una “prigione dorata”. Ho
pensato di dar voce ad una vasta
gamma di personaggi.
D: Quanto tempo occorre per imparare la danza del ventre?
R: Dipende a quale livello si vuole
arrivare. Comunque, dopo un anno, si
fa il primo saggio e si eseguono cose
già gradevoli. Chiaramente, andando
avanti la tecnica si perfezione e si
ottengono risultati notevoli.
D: E’ la prima volta che fate questo
tipo di spettacolo?
R: Questo dell’harem lo abbiamo già
rappresentato a Giugno. Visto il
grande successo, abbiamo deciso di
riproporlo qui al Teatro dell’Orologio.
R: Magari ci invitassero! Il problema
è trovare gli agganci giusti.
D: L’8 Dicembre c’era la presenza di
due ospiti, ce ne parla?
R: Marie – Aude Cornuel è una ballerina di nazionalità francese che dal
1996 studia con maestri di livello
internazionale. Saad Ismail è il
nostro insegnante. E’ un grandissimo
coreografo e ballerino. E’ la persona
che ha portato in Italia la danza del
ventre. Quando è arrivato, diciotto
anni fa, della danza del ventre non si
sapeva assolutamente nulla. Lui ha
cominciato ad insegnarla. Noi impariamo sempre tecniche nuove da lui,
perché non si smette mai di studiare.
E’ proprio un bel percorso.
D: Quante volte a settimana vi allenate?
R: Con lui una volta a settimana. Fra
noi un paio di volte, per ottenere dei
risultati soddisfacenti.
D: Farete una tournèe?
Al Teatro dell’Orologio di Roma, un originalissimo spettacolo, tutto al
femminile, con un ampio spazio dedicato alla danza del ventre
Campo de’ fiori
42
Anche quest’anno ci risiamo. Nell’ultima
settimana di Carnevale, per intenderci
quella che và dal 20 al 26 febbraio (la
famosa settimana “Grassa”), dopo un
periodo di lungo silenzio durato più di due
anni, ecco ricomparire
“Inunseponnoguardà”.
La compagnia teatrale civitonica, che per
anni aveva divertito, nel periodo carnevalesco, i suoi concittadini, con “pièces” esilaranti ispirate alla semplicità dell’avanspettacolo popolare dell’immediato dopoguerra, ritorna con un lavoro completamente nuovo e con un genere diametralmente opposto: la “Commedia dell’Arte”.
Di che cosa si tratta? Presto detto:
“Inunseponnoguardà” si cimenteranno
nell’ “Arlecchino servitore di due padroni”
di Carlo Goldoni. Loro, su questo lavoro,
non si sbilanciano: - preferiamo far giudicare il pubblico – dice un componente
della compagnia – dovranno essere gli
spettatori i giudici e gli arbitri del nostro
operato! – E alla nostra richiesta di maggiori informazioni ci viene semplicemente
risposto: - venite a vedere. – Insistiamo
per cercare di tirar fuori un articolo più
vario, ma loro non si vogliono sbottonare.
Vogliono restare sul vago. Tentiamo
anche la carte delle lusinghe, ma loro
rispondono con fermezza : - Non vogliamo articoli pomposi, tutti all’insegna del
“grandioso, bellissimo, spettacolare, insuperabile..”. Noi vogliamo che il pubblico si
diverta, passi una serata diversa e all’insegna del buon umore, e che sia lui, alla
fine, l’autore di questi complimenti, se ce
ne saranno, o di spietate critiche, che
Intorno all’albero continua a
girare, ma dentro non riesce ad
entrare. Che cos’è.
I primi cinque che telefonando in redazione
daranno la soluzione dell’indovinello, riceveranno un simpatico omaggio offerto da
L’ANGOLO DEI DESIDERI
siamo già da adesso pronti a sopportare,
perché anche noi sappiamo di aver fatto
una cosa completamente nuova, fuori dai
soliti
schemi
della
compagnia
“Inunseponnoguardà”. A questo punto ci
arrendiamo. Prendiamo atto della loro
riservatezza, ma noi, qualche pettegolezzo
qua e la, lo abbiamo carpito e ve lo ripassiamo con piacere (altrimenti che pettegolezzo sarebbe).
Dunque
dovete
sapere
che
“Inunseponnoguardà” per allestire questo
spettacolo hanno fatto….Beh, ma tutto
sommato hanno ragione loro. Se volete
sapere tutto sulla commedia… andatela a
vedere. Giovedì 23, Venerdì 24 e Sabato
25 Febbraio alle ore 21 al Cimena Teatro
Florida.
Non mancate e buon divertimento.........
speriamo!
Campo de’ fiori
...... continua da pag. 35
Con queste poche parole ci piacerebbe
dare visibilità al nostro affetto per i
Bambini di Tiruvanamalai! Magari, se vuoi,
puoi darci una mano anche tu, come stanno già facendo molte altre persone… come
la mamma di Barbara, che non vede l’ora
di ripartire… Sappiamo che non è sempre
facile provare affetto per chi non si conosce neanche, ma spero – speriamo – che
leggere queste righe ti abbia almeno fatto
trascorrere qualche istante di benessere, o
che ti abbia fatto sorridere, o che ti abbia,
magari, anche commosso! I sentimenti
possono essere una preziosa fonte di
energia positiva se si ha il coraggio di coltivarli, curarli e farli sbocciare senza vergogna... ma di soli sentimenti non si riempie la pancia!
Solo qualche cifra e informazione per
essere pratici:
-venti Bambini (liberi di tornare dai
parenti, se ne hanno, in qualsiasi momento: molti di loro lo hanno fatto nei primi
giorni di Novembre, quando in India si
celebra la grande festa di Dhiwali, una
sorta di Capodanno, per intenderci);
-3 - 11 anni: è la fascia di età dei
Bambini;
-15 euro appena, al mese, sono suffi-
Barbara De Danieli con i bambini di Tiruvanamalai
Roberto Lanzi
... per un sorriso
per ulteriori informazioni o per chi vuole partecipare attivamente al progetto:
Barbara De Danieli 347.2725122
sede legale: Via C. Troiani 35 (int. C19) - 00144 Roma
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L’annuncio sarà ripetuto per 3 uscite, salvo diversa decisione della redazione
TESTO
43
cienti per un Bambino (per cibo, vestiti,
igiene, cure, istruzione e, con qualche piccola aggiunta, anche per la costruzione di
una nuova casa in un piccolo appezzamento di terra regalato ai Bambini dal
papà, contadino, di Raja!);
-siamo in attesa che “Per Un Sorriso”
possa diventare una “Onlus”, il che ci faciliterebbe notevolmente il lavoro (tipo, un
conto corrente in banca sul quale poter
fare versamenti, o la possibilità di darti
una ricevuta di donazione se ce la richiedi…).
Noi ci crediamo… e speriamo che, nel tuo
piccolo, possa crederci anche tu! Se vuoi
metterti in contatto con noi e diventare
amico di “Per Un Sorriso”, la redazione
potrà aiutarti, oppure puoi scriverci direttamente a [email protected]:
risponderemo a tutte le tue domande e
curiosità, e ti faremo avere notizie dei
Bambini e delle iniziative che via via organizzeremo.
Fa’ che i SORRISI dei Bambini di
Tiruvanamalai continuino a brillare!!!
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44
Campo de’ fiori
Album d
Civita Castellana - Anno scolastico 1976/77 - Maestro Cancilla
1982 - Giovanissimi di Civita Castellana
Campo de’ fiori
dei ricordi
45
Fabrica di Roma - scuola media - anni ‘70
Anni ‘60 scuola elementare di Civita Castellana
46
Nel 1936 il Fascismo è al culmine del suo
potere: la Guerra d’Etiopa e la successiva
partecipazione alla Guerra di Spagna, consolidano il regime sia a livello internazionale
che nel Paese.
Civita Castellana è uno dei tanti comuni
Italiani: la popolazione conta circa diecimila
abitanti, il tessuto economico è costituito
dall’agricoltura attraverso le varie aziende
agricole presenti e dalle numerose ceramiche artistiche e di apparecchi igienico-sanitari attive ed operanti.
I rapporti e i documenti del tempo ci offrono
l’immagine di una cittadina tranquilla ed
operosa, con i suoi punti di riferimento come
le istituzioni religiose e comunali.
La realtà è comunque ben diversa.
Tra il 1934 e il 1935, coordinata dall’azione
politica del Senatore Enrico MINIO,
(1906-1973), opera una rete clandestina del
Partito Comunista di opposizione al regime
che contava in quel periodo un centinaio di
appartenenti.
Nel 1935 la rete viene smantellata da una
azione della polizia, coordinata dalla sede
centrale di Roma e lo stesso Senatore Minio,
con altri civitonici, viene arrestato e condannato.
L’O.V.R.A., organizzazione per la vigilanza e
la repressione dell’antifascismo, organizza
allora una fitta rete di agenti e confidenti
attiva dal 1931 al 1943, che accuratamente
registra ogni episodio della vita sociale e
politica cittadina e i cui rapporti offrono uno
spaccato della vita a Civita Castellana negli
anni della Seconda Guerra Mondiale.
Il 9 Settembre 1936 ad opera del civitonico
Alfredo FOGGI, (1904-1985), viene fondata e costituita la sede della CROCE ROSSA,
con una ambulanza pubblica per i servizi di
assistenza e la cui sede era posta nell’attuale via Ulderico Midossi al piano terra di uno
stabile poi distrutto in un bombardamento
del Giugno del 1944.
La costituzione della Croce Rossa cittadina è
un evento epocale per Civita Castellana: un
mezzo, l’ambulanza, fondamentale per il
presidio ospedaliero cittadino e che durante
il periodo bellico si rivelerà cruciale.
Il 10 Giugno 1940 l’Italia entra in guerra:
numerosi cittadini vi partecipano e per alcuni sarà un viaggio senza ritorno.
Africa Settentrionale, Mar Mediterraneo,
Russia e isole dell’Egeo: in questi contesti
territoriali numerosi sono i giovani civitonici
che vi hanno perso la vita.
Tra il 1942 e il 1943 la vita a Civita Castellana
è particolarmente dura per le numerose
restrizioni alimentari e per il conseguente
razionamento alimentare, di cui i bambini
sono i primi a soffrirne.
Dopo il 25 Luglio 1943, caduta del fascismo,
cade il Podestà a Civita Castellana e si insedia una amministrazione retta da esponenti
badogliani e nominata dal Prefetto di
Viterbo.
Il 25 Settembre 1943 entrano in città le
Campo de’ fiori
1936 Ambulanza della Croce Rossa di Civita Castellana
prime truppe naziste: dalla lettura dei rapporti militari si tratta di una compagnia del
65° Reggimento di Fanteria della Divisione
Corazzata “Ermann Goering”, proveniente dal
fronte russo e dislocata sul Lago di Bolsena e
di Vico.
I documenti non riportano la presenza di
reparti “SS”.
L’unità tedesca aveva il comando in una villetta, tuttora esistente, in via Vincenzo
Ferretti e poco distante dalla Chiesa di
Sant’Antonio.
La popolazione tollera la presenza militare e
non si registrano episodi di violenza.
Tra il Gennaio e Giugno 1944 la vita si presenta particolarmente dura.
Civita Castellana era, ed è tuttora, uno snodo
viario di fondamentale importanza in quanto
al centro di due importanti vie consolari
come la Cassia e la Flaminia.
I nazisti realizzano a Sant’Oreste il grande
centro logistico e militare nelle gallerie del
Monte Soratte, realizzato grazie al lavoro
coatto di numerosi cittadini, inglobati
nell’Organizzazione “Todt”.
Tra il Settembre-Dicembre 1943, grazie alla
rete di agenti segreti alleati presenti nel territorio, la R.A.F. inglese compie numerosi voli
su Civita Castellana, monitorando accuratamente il territorio e in particolare il Ponte
Clementino, che doveva essere distrutto, l’ex
Convento Francescano al cimitero trasformato in deposito bellico e la ferrovia della Roma
Nord.
Le incursioni aeree su Civita Castellana e i
comuni
limitrofi
come
Ronciglione,
Caprarola, Fabrica di Roma, Vallerano, si
registrano nelle date del 1 Gennaio, 6
Febbraio, 11 Marzo, 8 Maggio e 3/6 Giugno
1944.
I bombardamenti a Civita Castellana distruggono l’ex Convento ai Cappuccini, alcuni edi-
fici in Via Midossi, in Via Regina Margherita,
l’attuale Don Minzoni, in Via Rosa, in Piazza
San Gregorio e in Via della Corsica.
Particolarmente interessate furono le aree di
Via dello Scasato, dove aveva sede il comando tedesco, e della Via Flaminia, dove nei
giorni del 2 e 3 Giugno 1944 era particolarmente intenso il passaggio delle truppe tedesche dirette verso nord.
Nei bombardamenti perdono la vita i
Civitonici:
CALAMANTI OSVALDO (1923-1944),
CECCANI GIUSEPPE (1906-1944),
COLAMEDICI OTTORINO (1888-1944),
CONTENTI GIOACCHINO (1878-1944),
DEL FRATE FRANCESCO (1867-1944),
FEDERICI
DECIO
(1889-1944),
MASCIOLI ANTONIO (1878-1944) e
ZUCCHETTI ERCOLE (1931-1944).
Il 15 Giugno 1944, “in una calda ed assolata
giornata”, una pattuglia di ricognizione della
82^ Divisione Aviotrasportata Americana,
dalla Via Roma, entra in città arrivando in
Piazza del Duomo.
di Enea Cisbani
Campo de’ fiori
47
Una “Fabrica” di ricordi
A Carnevale ogni scherzo vale......
I vecchi Carnevali e le maschere povere
Se conduco il
mio pensiero
agli anni della
mia fanciullezza, riaffiorano,
tra vecchi ricordi, anche quelli
legati al periodi Sandro Anselmi
do carnevalesco e così si
materializzano, pian piano,
immagini sbiadite e un po’ confuse, di fatti e personaggi di allora.
Il Carnevale, in quei tempi, veniva festeggiato poveramente, e
poche erano le persone che si
mascheravano, perchè non c’erano neanche le possibilità materiali per poter sfoggiare costumi
particolari, e così, rimediando un
abito vecchio e tingendosi il viso
con il carbone, i più coraggiosi
animavano il Martedì grasso.
Passavano, verso l’ora di cena, Nella foto: Ermanno Rattini, Enrico Capitoni, Fernando Cianchi, Otello Narduzzi, Remo Morelli, Francesco Alessandrini
per le case per rimediare due
Valerio Giovagnoli, Guerrino Capitoni
frittelloni caldi ed un buon bicchiere di vino e, per non farsi riconoscere,
vano, ma erano comunque tanto buoni. I
D’altronde “a Carnevale ogni scherzo
camuffavano buffamente la voce per chiedolci caratteristici erano gli “strufoli”: delle
vale”. Veniva organizzato il veglione nell’udere “chi sono io?”. Domanda scontata
palline dolci condite con il liquore e fritte
nica sala grande del paese e cioè quella
che faceva, per il tono con cui veniva
nella padella, ed erano, per i tempi, una
della sezione locale dei Combattenti e
posta, impaurire i bambini e divertire i
vera prelibatezza. Un tenero ricordo va a
Reduci e, poche coppie coraggiose, si
grandi.
mio padre, al quale veniva, immancabilcimentavano nelle polke e mazurche che
Erano necessariamente tutti ragazzi e fra
mente servito per cena, il frittellone finto
uscivano dalla fisarmonica di zio Paolino e
loro non c’erano mai donne, perché la sera
e cioè, un frittellone doppio, con dentro un
dal mandolino di Matteo “o palefierro”. La
non sarebbero di certo potute uscire.
foglio di carta. L’abilità di mia nonna
sera del Martedì grasso, ad un’ora per l’eSpesso i frittelloni che le donne avevano
riusciva a beffarlo ogni anno ed allora, al
poca tarda, cioè intorno alle nove e mezzo,
cotto nella padella, poco unta per risparprimo boccone, erano risa a non finire nel
una piccola folla girava intorno alla piazza,
miare il lardo, si bruciacchiavano e bucavedere la faccia del malcapitato.
per accompagnare il re carnevale al rogo.
Il fantoccio di paglia, sdraiato su una
barella, vestito con un abito vecchio, veniva portato a spalla dalle maschere e l’orchestrina, allora, intonava l’inno del carnevale e la gente cantava: “carnevale è
morto, carnevale è morto, carnevale è
morto, chi lo sotterrerà?”. Questa nenia
andava avanti finchè le ultime scintille del
fuoco di paglia, avevano consumato il fantoccio. La soddisfazione di aver partecipato a questo rito pagano, che veniva dai
secoli dei secoli, era tanto inutile, quanto
l’essenza stessa del carnevale.
Protegge i tuoi valori
Silvia Malatesta - Via S. Felicissima, 25
01033 Civita Castellana (VT)
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Campo de’ fiori
48
... e le città respirano meglio
Immaginate di essere a Roma, in una giornata di intenso traffico. Dovete raggiungere
il vostro ufficio e, non trovando il posto per
la macchina, arriverete sicuramente in ritardo.
Le auto incolonnate, lo smog che si stringe
attorno alla gola con una morsa asfissiante,
i parcheggi sempre occupati.
Per contribuire a risolvere il problema della
mobilità e dell’inquinamento nei centri urbani, un team di cinque persone, nei primi
mesi del 2005, a Fabrica di Roma (VT), ha
pensato di dover lavorare alla realizzazione
di un progetto per un prototipo di un veicolo ad energia solare.
Del gruppo, capeggiato dall’ideatore e coordinatore del progetto, Giovanni Francola,
fanno parte l’Ingegnere Ambientale
Domenico Iacurto, che si occupa delle
energie rinnovabili e delle relative applicazioni; il Dott. Domenico Riucci, che si
occupa di tutto il materiale informativo e
della parte commerciale; il Sig. Manolo
Cogoni, responsabile dell’assemblaggio e
della messa a punto del prototipo del veicolo di cui parleremo; il Sig. Gianni Testa,
supervisore di tutte le parti elettroniche.
SUNNY è il nome che i cinque hanno dato al
prototipo; si tratta di un mezzo di locomozione alternativo con motore elettrico, con
una velocità massima di 20 km/h e un’autonomia sufficiente per affrontare un giornata
di spostamenti cittadini.
Con SUNNY ci si muove all’interno dei centri
urbani e, una volta arrivati a destinazione, si
chiude e si traina (proprio come un trolley),
in quanto dotato di comode maniglie, per
poi essere riposto in un angolo del proprio
ufficio o della propria casa, o all’interno del
portabagagli della propria auto.
Immaginate quindi ora di essere a Roma, in
una giornata di inteso traffico. Dovete raggiungere il vostro ufficio e … anziché entrare nel cuore della città, parcheggiate la
vostra auto in un parking di interscambio,
tirate fuori SUNNY dal portabagagli, lo apri-
te e vi
recate
comodamente in
ufficio,
oltrepass a n d o
tutte
le
file ed in
perfetto
orario.
Inoltre
SUNNY ha
costi
di
mantenim e n t o
inesistenti e, soprattutto è non inquinante
essendo alimentato dal sole per mezzo di un
modulo fotovoltaico curvo, inserito nel frontale, che permette di caricare i due accumulatori sistemati nella sua scocca, sia quando
è fermo, che quando è in marcia.
Ridurre l’inquinamento nelle città, gli spazi
riservati ai parcheggi a beneficio di parchi e
zone verdi, le malattie conclamate gravi o
episodiche, o le affezione periodiche a vari
sistemi e apparati, dovuti all’inquinamento
atmosferico è possibile … … …
Cristina Evangelisti
basta volerlo.
Campo de’ fiori
49
La rubrica dei perchè
Perchè quando va tutto bene si dice che è tutto OK ?
Ormai “tutto ok”
è
diventata una espressione che è entrata
completamente
nei
nostri modi di dire.
Anche gli ultranovantenni la capiscono perdi Arnaldo Ricci
fettamente. È una
espressione di lingua
inglese ma di nascita USA.
In Italia, questo modo di dire americano,
si è diffuso solo dopo la 2° guerra mondiale per ovvie ragioni.
Quando questo modo di dire “ tutto ok”
iniziò la sua diffusione da noi, negli Usa si
utilizzava già da una ottantina d’anni.
Tutto nacque durante la guerra di secessione americana, dove gli stati del nord,
entrarono in conflitto con quelli del sud in
una guerra sanguinosa e spietata, senza
esclusione di colpi che il cinema dì oltre
oceano ci ha raccontato minuziosamente
in numerosi film. Le vittime di entrambi gli
schieramenti furono numerose come lo
furono le battaglie combattute. Quando i
soldati del nord, rientravano nei loro
accampamenti dopo la battaglia, venivano
immediatamente contate le perdite per
ordine del comandante in capo.
Una volta che si era accertato il numero
dei morti, veniva esposta una lavagna
dove si scriveva a grossi caratteri, visibili in
tutto l’accampamento, la cifra riscontrata.
Quando la fortuna era favorevole , episodio che si verificava raramente, sulla lavagna si scriveva zero killed che tradotto in
italiano significa zero uccisi.
Quando compariva questa dicitura, ovviamente vi era un grido unanime di gioia.
Gli americani come tutti sanno cercano di
abbreviare tutte le parole, così trasformarono” zero killed” in” ok “ utilizzando solo i
caratteri iniziali.
Si deve sapere poi che molto spesso gli
americani utilizzano il carattere ò come
Otranto per pronunciare zero.
Praticamente il carattere numerico zero lo
trasformano nella lettera vocale o come
Otranto.
Concludendo, questo modo di dire è entrato poi nel linguaggio comune di tutti gli
USA e trasferito anche in Italia ed Europa
dopo le vicende della 2° guerra mondiale
che tutti conosciamo.
Ecco, perché per dire “tutto bene” si dice
“ tutto ok”.
La redazione di Campo de’ fiori si associa agli auguri
Tantissi auguri
a S.E. Mons.
Divo Zadi
Vescovo, che ha
compiuto gli anni il
25 Gennaio dalla
redazione di
Campo de’ fiori
Tanti auguri di Buon
Compleanno a Cecilia
Anselmi che compie
gli anni l’11 Febbraio
dalla mamma, il
papà, Federico e da
tutti gli amici della
redazione di
Campo de’ fiori
Tantissimi
auguri alla
piccola
Giulia
Stinchelli
che il 15
Gennaio ha
compiuto 4
anni. Da
tutta la
famiglia e
dal cuginetto
Giuliano.
Auguri di Buon Compleanno
a Mauro Anselmi che ha compiuto gli anni il 7 Gennaio, dai suoi familiari.
Buon Compleanno a Giada Mariantoni che l’8 Febbraio compie 12 anni. Da
mamma Roberta, papà Mario, la sorellina, i nonni, gli zii e le cugine
Congratulazioni a Alessio
Foglietta che il 21 Dicembre ha conseguito la laurea in biologia. Tantissimi
auguri per una brillante carriera da
mamma Marcellina, papà Franco, il fratello Andrea e la fidanzata Stefania.
Tantissimi auguri di Buon
Compleanno a Elisa Ridolfi di
Corchiano, che il 16 Gennaio ha compiuto 23 anni, da tutta la famiglia e dai
ragazzi del coro e del teatro.
Tanti auguri a Giulia Genovesi che
compie gli 12 anni il 1 Febbraio da
Giada e Beatrice
Tantissimi auguri di Buon
Compleanno a Agnese Chilelli
che compie 15 anni il 26
Gennaio dalla sorella Letizia,
che le vuole un mondo di
bene e dai genitori
Tantissimi auguri a
Chiara Bruzziches che il
9 Gennaio ha compiuto 3
anni, dalla mmamma, il
papà, gli zii e i nonni.
Tantissimi auguri di Buon Compleanno
al nostro amico Sandro Soli che compie gli anni il 4 Febbraio. La redazione
Auguri di Buon Compleanno a
Emanuela e Elisabetta Martini
che compiranno gli anni il 18 e il 22
Febbraio, dalla loro amica Cristina.
Tantissimi auguri
di Buon Compleanno
a Roberta Armagno
che ha compiuto gli
anni il 16 Gennaio,
dai genitori,
Alessandra, Luca e
le amiche
Tantissimi auguri e congratulazioni ai fratelli
neo laureati Valentino e
Chiara Fantera, rispettivamente in Economia
Aziendale (14 Ottobre)
e in Biotecnologie
Industriali (20
Dicembre) dalla mamma
Rita, le nonne e gli zii.
Edoardo
Vettori, di Ronciglione, il 6
Dicembre scorso ha spento la
prima candelina. Agli auguri del
papà Maurizio, della mamma
Caterina Sardi, si uniscono
quelli dei nonni Stefano e
Edda, Mario e Franca,
della zia Monica e
della cuginetta
Elettra.
Con immensa gioia
il 3 Dicembre 2005 è
nato il piccolo
Pier Francesco Rossi
che ha colmato di
felicità mamma
Roberta e papà
Dante.
Auguri dai nonni e
dalle nonne.
guri a
simi au
ennaio
Tantis
e il 4 G l piano
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a
e
c
Vizzac
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Serena gli anni, dagli
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no
La redazione si scusa con il piccolo Valerio
Sebastiani perché, nei “Messaggi” di
Campo de’ fiori n. 23, è stato erroneamente chiamato Alessio.
Tantissimi auguri di
Buon Compleanno a Leonardo
Righini, che ha compiuto 12 anni
il 7 Gennaio, da mamma, papà,
nonni e cuginetti
Tantissimi auguri di Buon
Compleanno a Letizia Chilelli che compie gli anni il 21 Gennaio, da parte dei
genitori, dalla sorellina e da tutti i
colleghi di Campo de’ fiori
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€ 15.000,00 ivato
fatturabile
52
Campo de’ fiori
MAGIA
G era stanco di vedere sua moglie darsi pena
per quella triste storia. Per non parlare del
muso lungo della suocera, anche se, a onor
del vero, quest’ultimo aspetto lo preoccupava molto meno. Certo che sua cognata
Roberta l’aveva combinata grossa: si era
separata dal marito e, convinta di essere perseguitata dalla sfortuna, si era convertita ad
una religione curiosa, gli Hare Krishna. Hare
Krishna, difficile persino a pronunciarsi.
Viveva in una comunità, indossava una specie di saio avvinghiato alla cintola come un
enorme pannolone, si dipingeva piccole strisce colorate su naso e guance, profumava di incenso
che potevi sentirla sopraggiungere. Quell’odore, in
realtà, era nauseabondo e
attraente
nello
stesso
tempo: aveva un potere
vagamente inebriante per
cui, fatalmente, ogni volta
che
Roberta varcava la
porta di casa una lieve sensazione di benessere sembrava impadronirsi dei presenti. G era intimamente
convinto che fosse mischiato
a “cannabis” ma si guardò
bene dal confidarlo a chicchessia: lo divertiva pensare
a quella bigotta di sua suocera inalare beata uno spinello mentre si cimentava ai
fornelli.
Il signor G fondamentalmente dispezzava la televisione,
ma amava fare zapping nella solitudine della
tarda serata. Saltava velocemente da un
canale all’altro, soffermandosi qualche minuto solo su programmi apparentemente interessanti, per ricominciare a pigiare il telecomando non appena una pausa pubblicitaria o
una caduta di stile (per quello che erano i
suoi gusti) facessero la loro comparsa. Una
sera si imbattè in una cartomante, tale
Osiride, che riceveva telefonate in diretta per
risolvere i problemi esistenziali dei telespettatori. Svegliò immediatamente la moglie
che, ancora assonnata, riprese a dormivegliare sul divano mentre lui componeva velocemente il numero della maga. Dopo aver
atteso diversi minuti da due euro e mezzo
l’uno, finalmente ottenne risposta. Poteva
sentire l’eco della sua voce provenire dal
televisore:“Dunque… è una cosa un po’
imbarazzante…siamo veramente preoccupati. Mia cognata, Roberta…. si è separata, è
convinta di essere in preda alla sfortuna, ha
abbracciato una religione stranissima ….
insomma, a casa di mia moglie è scoppiato il
caos ”. “Bene ! ” disse lei perentoriamente
dallo schermo con l’autorevolezza di chi sa
prendere in mano la situazione:“Mi dica la
data di nascita di questa nostra amica”, continuò in tono confidenziale anche se non si
erano mai visti e conosciuti prima.
G guardò in modo interrogativo la signora
Carla, che ancora faticava a capire bene cosa
stesse succedendo. Mise una mano sul ricevitore del telefono, le rigirò sottovoce la
domanda e, ottenuta risposta, diligentemente riferì il dato anagrafico alla cartomante.
Questa prendeva appunti e sembrava scrivere un sacco di cose, anche se loro veramente non gli avevano ancora detto granchè,
quindi chiese: “Sua cognata ha figli ?” “Nò !
Nò, non ha figli”
La cartomante Osiride con grande padronanza del mestiere cominciò a mischiare i taroc-
chi, li girò sul tavolo, quindi sentenziò: “Ah !
Me lo aspettavo ! Sembravano una bellissima
coppia, proprio due piccioncini, ma poi, dopo
qualche anno di matrimonio, gli entusiasmi e
la passione si sono spenti per cui adesso faticano a ritrovarsi in un progetto di vita comune. E’ vero ?”
“Beh… in effetti è andata proprio così, anche
se penso succeda più o meno a tutte le coppie” scappò detto a G, un po’ deluso dalla
banalità di quella considerazione, un pò per
giustificarsi, dato che anche per il suo matrimonio poteva dirsi la stessa, identica, cosa.
Ma l’interlocutrice tagliò corto:“Guardi, lei è
pregato di non commentare, io sto solo leggendo le carte: deve solo dirmi se corrisponde al vero o no ! Quindi: è andata così o no?”
“Sì !” esclamò rassegnato.
Il tempo passava e due euro e mezzo al
minuto, per quanto volesse bene a sua
cognata, erano pur sempre tanti.
“Vedo un elemento di disturbo: uomo dall’aspetto intrigante nella vita di Roberta, le
risulta ?”. G non poteva proprio saperlo.
Guardò quindi speranzoso la moglie che però
stava scuotendo sconsolata la testa. Gli sussurrò nervosamente: “Allora, vuoi sforzarti o
no! Stiamo al telefono con questa cavolo di
santona a due euro e mezzo al minuto per
salvare tua sorella, fatti venire in mente qual-
di Gianni Bracci
cuno, che ne so: un amico, un conoscente,
un parente, un tipo qualsiasi che potrebbe
essersi messo in mezzo”
La signora Carla provò a pensarci su, ma
niente, Roberta aveva una vita apparentemente irreprensibile.
“ Signora maga, scusi tanto può darmi un
aiutino ?” provò a chiedere timidamente il
signor G.
“Buonanotte…..!” esclamo Osiride in modo
irriverente. “Non sono mica Mike Bongiorno !
Vedo un uomo elegante, dai tratti somatici
scuri, direi di colore, nella vita di sua cognata. E’ lei che deve darmi
ulteriori elementi !”
Silenzio. I due interlocutori si
guardavano sempre più
smarriti.
Osiride allora provò a “decifrare” ancora i tarocchi,
soprattutto per movimentare
la diretta televisiva:“Aspetti
un po’…. sì… sì…. vedo la
costellazione del Toro che
punta Pesci e tutti gli ascendenti: sua cognata ha ragione a ritenersi sfortunata, è
stato un periodo nero e continuerà almeno per altri due
anni”
La signora Carla stava per
svenire: non solo sua sorella
si era separata e convertita
ad una setta, ma molto probabilmente tradiva il marito
con una specie di negro e,
dal momento che il Toro era
infuriato con i Pesci, sarebbe stata accompagnata dalla sfiga fino al 2008: un disastro. Un
disastro annunciato in diretta televisiva.
I minuti trascorrevano inesorabili. G non
sapeva più cosa dire, affranto da quelle notizie e dallo sguardo inebetito della moglie. Fu
colto da un lampo di orgoglio:” Signora
maga, scusi ancora, ma si rende conto di
quello che mi sta dicendo ? Secondo lei questa povera ragazza che non ha ancora quarant’anni ha fatto e farà una vita che è uno
schifo: suvvia, le dia almeno una possibilità !”
Osiride, visibilmente risentita, ribattè :“Non
faccia la figura del sempliciotto in diretta ! Io
non posso farci niente: è quello che dicono i
tarocchi. Comunque non ha quarant’anni, ma
cinquanta , è nata l’11 settembre del ‘58 !”
“E no, è del 1968 !” “E allora guardi, ho capito male. Scusi tanto. Dunque: 1968, ricomincio la lettura delle carte”. Se l’avesse avuta a
portata di mano l’avrebbe strozzata: non solo
gli aveva raccontato un sacco di scemenze
mettendo a dura prova la stabilità psichica
della moglie, ma, soprattutto, l’aveva tenuto
al telefono a due euro e mezzo al minuto per
niente. Non era servito a niente. Attaccò
immediatamente la cornetta, spense il televisore, guardò la signora Carla ancora stravolta commentando serio: “E’ meglio portare
tua sorella da uno psicologo !”
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miserioso riprodotto
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primi cinque che lo identificheranno e ne daranno comunicazione in
redazione, riceveranno
un simpatico omaggio
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Paolo e Concetta
54
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Album d
Civita Castellana 1937 - alunni dell’Istituto Tecnico Rosa Maltoni
Mussolini in gita a Faleri - foto del Sig. Vittorio Menichelli
1957 giovani civitonici al Campo I Maggio
1967 scuola media femminile con l’insegnante Don Giuseppe Bodini - foto della Sig.ra Rita Sorge
Scuola elem. Don Bosco alle micro olimpiadi del 1966
foto del Sig. Alberto Chiricozzi
18 Maggio 1975
Lago di Turano - civitonici in una gara di pesca
Campo de’ fiori
55
dei ricordi
1955 veglione presso l’Unione Sportiva Forti e Veloci di Civita
Castellana - Foto della Sig.ra Romanina Camerlengo
Anno 1964 - Civita Castellana - foto della Sig.ra Scavone Clara
Civita Castellana anni ‘30
Fabrica di Roma - anni ‘40
Corchiano anni ‘60 - foto della Sig.ra Severina Iannoni
Pranzo di battesimo
nelle campagne di Corchiano
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Campo de’ fiori
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BRUNILDE ROSSI nata l’11 Giugno 1905
Il giorno 6 Gennaio
il Signore l’ha chiamata nella sua casa...
ha abitato sulla terra per lunghissimi anni...
resterà per tutti noi la dolcissima zia Bruna.
Campo de’ fiori
Ricordarla sarà sempre una gioia e pregare per lei
un dolce dovere.
Periodico Sociale di
Arte, Cultura
ed Attualità edito
dall’Associazione
Accademia
Internazionale
D’Italia
(A.I.D.I.)
senza fini di lucro
Un arrivederci da tutti noi che ti abbiamo conosciuta
e ti abbiamo voluto bene.
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Fondatore:
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Campo de’ fiori n. 23 :
- pg. 50 “Messaggi”, è stato sbagliato il nome del piccolo Valerio Sebastiani riportando
erroneamente il nome di Alessio.
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dell’ Avv. Aldo Piras
Patrocinante in Cassazione
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Campo de’fiori con la quale, tutti i lettori, avranno diritto
a n. 3 consulenze gratuite.
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Campo de’ fiori è distribuito a Civita Castellana, Corchiano, Fabrica di Roma, Vignanello,
Vallerano, Canepina, Vasanello, Soriano Nel Cimino, Vitorchiano, Bagnaia, Viterbo,
Montefiascone, Carbognano, Caprarola, Ronciglione, Sutri, Capranica, Cura di Vetralla, Blera,
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