L`uomo che... - Campo de`fiori

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L`uomo che... - Campo de`fiori
Campo de’ fiori
AGOSTO
Sandro Anselmi
Il Coraggio
di
Costanzo
(NON) TUTTI
IN VACANZA
Le immagini proposte
dalla TV e dai giornali
in questi giorni, ci
fanno vedere un popolo di vacanzieri che
affolla località di mare,
di collina e di montagna in Italia e all’estero e comunica spensieratezza e voglia di evasione, ma se riuscissimo a fare una ripresa
panoramica su tutti i
nostri
connazionali,
vedremmo uno stuolo
enorme di esclusi, di
assenti ingiustificati.
Dove sono quei nonni che hanno corso
tutto l’anno dietro ai capricci dei nipotini,
quelle vecchie coppie sempre pronte ad
aiutare ora un figlio ora l’altro, le persone
indigenti, i ragazzi disabili che sono stati il
vessillo da sbandierare tutto l’anno e tutte
quelle persone che per molto meno sono
definite comunque diverse, bordline? Sono
proprio questi gli esclusi dalle interviste e
dalle statistiche!
Sono l’isola che non c’è! Nel mese del
divertimento ad ogni costo, anche i giovani più sensibili abbandonano gli amici
meno fortunati per non avere zavorra alla
loro euforica irrequietezza. Ecco allora che
un popolo di emarginati si cimenta con la
solitudine che li trascina nella disperazione, nell’apatia, nella depressione, con la
tristezza ed i disagi di un interminabile
Agosto e, tanto più vengono proposte
immagini di vacanzieri spensierati ed allegri, tanto più la frustrazione cresce e cresce la tentazione di arrendersi. Tra queste
categorie anomale, improduttive, quasi
ingombranti, i vecchi stanno probabilmente realizzando il sogno del Dott. Faust,
avendo allungato la vita media a settantotto anni, per l’uomo e ottantatre, per la
donna, ma non sono presi per niente in
considerazione e, nonostante la denatalità, che dovrebbe indurre ad un rapido
rimodellamento dello stato sociale, essi
entrano in una fase di limbo, senza peso,
senza scopo, vuota, che inizia dal giorno
del pensionamento e finisce con l’ultimo
viaggio. Gli altri undici mesi dell’anno non
promettono poi molto di più, ma Agosto è
il peggiore ed allora, anziché parlare solo
delle avventure rosa dei calciatori e delle
veline, di Briatore e del suo Billionaire, dei
matrimoni della Falchi, della De Grenet e
della separazione di Sabrina Ferilli, non
possiamo invece parlare dell’isola della
felicità dove tutti, proprio tutti, ricchi e
poveri, padri e figli, nonni e nipoti, ragazzi
diversi, scherzano, ridono e si divertono
insieme ?
Sandro Anselmi
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Tra tanti gossip
e favole d’estate, ho letto con
il magone un
articolo di Maurizio Costanzo
sul Messaggero
di Domenica 21
Agosto che titolava in prima
pagina: “Quanto
è duro Agosto
con un figlio
depresso”.
Premetto di essere affascinato dalla insuperabile professionalità del grande Costanzo, ma non
meno dalla sua profonda sensibilità nei
confronti dei diversi in genere. Ho sempre
seguito con interesse e commozione le
tante trasmissioni che ha dedicato interamente a loro. Ero stato anche tentato di
contattare le redazioni dei suoi programmi
per essere invitato assieme ai miei ragazzi dell’ A.N.F.F.A.S. e coronare così un loro
grande sogno, ma poi, un po’ per mancanza di coraggio, un po’ forse per la
povertà degli argomenti che avremmo
potuto portare, non l’ho ancora fatto.
L’articolo racconta della storia di una
madre che rivolge a Costanzo la sua
disperazione per il figlio caduto gravemente in depressione e verso il quale la poverina si sente impotente e, oramai sola per
aver perso anche il marito, cerca disperatamente aiuto.
Il coraggio di aver inserito un articolo così
profondo in mezzo a tanto “rosa” e “minestra riscaldata” di tutta la stampa vacanziera, fa molto onore alla testata giornalistica ed ancor più al grande
Maurizio Costanzo.
Sandro Anselmi
Non ho ancora
fatto la pubblicità
su Campo de’ fiori !!!
Campo de’ fiori è distribuito a Civita Castellana, Corchiano, Fabrica di Roma, Vignanello, Vallerano, Canepina, Vasanello, Soriano Nel Cimino,
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inviato ad Istituzioni Culturali e sedi Universitarie italiane e straniere, a personaggi politici, della cultura, dello sport e dello spettacolo.
Campo de’ fiori
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Gabriele Lavia: maestro del teatro italiano
Una vita “spesa” per l ‘ arte in ogni sua forma
Gabriele Lavia è nato
a Milano nel 1942.
Attore e regista di
straordinario talento,
tra i più importanti e
conosciuti, vivifica l’arte fisicamente, nella
recitazione del teatro
impegnato e drammatico. Bisogna ricordare
della Dott.ssa
la sua collaborazione
Loredana Filoni
con Giorgio Strehler
per “Edipo re” di
Sofocle e “Re Lear” di Shakespeare. Ha
diretto e interpretato testi di Schiller, Kleist,
Cechov e Dostoevskij. Il suo debutto cinematografico si è avuto con “Metello” nel
1970, mentre nel 1983 ha diretto il suo
primo lungometraggio “Il Principe di
Homburg” per il quale ha vinto il Nastro d’
Argento come migliore regista esordiente.
Il pezzo è stato, in seguito, trasposto anche
in teatro. Ultimamente recita, talvolta, a
fianco del figlio Lorenzo, talento recitativo
promettente. Seguo questo straordinario
attore dal lontano 1982, quando lo vidi, per
la prima volta, a teatro, con “I masnadieri”
di Schiller, affiancato da Monica Guerritore
e Umberto Orsini. Rimasi particolarmente
affascinata dalla sua interpretazione di un
personaggio, Franz Moor claudicante e
gobbo.
Da non tralasciare che il pezzo durava la
“bellezza” di quattro ore, che, peraltro, non
sentii affatto! Sempre incredibile ed eccezionale, il grande attore che diventa un tutt’uno con ogni suo personaggio. Ha una
spiccata capacità mimica e vocale, che lo
porta, di volta in volta, a “trasfigurarsi” nei
più svariati individui che popolano il mondo
letterario. Anime torve, lacerate nello spiri-
Monica Guerritore e Gabriele Lavia
to, malvagie, sofferenti, ciniche,
vendicative. E’
una sorta di resistenza fisica oltre
che di maestosità
recitativa. Una
delle caratteristiche dei pezzi
messi in scena da
Lavia è che sul
palco, spesso, ritroviamo i medesimi oggetti come
carillon, cavallucci, ed altri ancora, già usati in
precedenti rappresentazioni.
L’ultima “fatica”
della
stagione
teatrale
20042005, che lo ha
visto protagonista è stato “il
sogno di un uomo ridicolo” di
Dostoevskij.
Lavia ha deciso di
reinterpretare
questo soliloquio,
dopo essere stato
impossibilitato a
recitare con Mariangela Melato
in “Chi ha paura
di
Virginia
Woolf?”, per un
infortunio dell’attrice. Eccezionale
e grande questa
straordinaria rappresentazione, considerando che l’attore recita, per un’ora e quaranta, scalzo e legato con una camicia di forza.
“Il sogno di un uomo ridicolo” analizza
quelle che sono le tematiche del pensiero di
Dostoevskij, la lotta irrisolta tra “brama di
credere” e le “ragioni contrarie” un tormento verso la religione, un percorso introspettivo, umano e sociale.
Frattura fra realtà, spesso meschina e malvagia, e il mondo ai primordi, come l’attore
lo rivede, dominato dalla purezza, dalla
morale, dall’incanto per la bellezza della
natura. C’è un alone, una forza demoniaca
che contamina questo mondo surreale.
Lotta tra il bene e il male, privazione della
perfezione. Fisicamente dolore, sofferenza
e morte. Moralmente trasgressione e peccato. Il bene e il male è legato all’agire dell’uomo, alla sua capacità di scelta.
Il male è imputato all’uomo che lo favorisce
coscientemente, perché a prima vista è più
allettante del bene. Nell’opera ogni moto
dell’animo suscita il proprio opposto, ansia
di sublime e fascino dell’abiezione, orgoglio
e umiltà, volontà di ferire e brama di ferirsi. Lavia esalta in maniera sublime gli stati
di una coscienza lacerata. La scenografia
esalta il tormento: grigia, livida, tetra, dove
si aggira un essere umano straziato dalla
fatica di vivere.
E’ sempre un’emozione profonda assistere
alle sue interpretazioni! Ogni volta si ricevono sensazioni nuove da parte di questo
artista, che ha saputo dare, al teatro italiano, un grande “salto” di qualità. Ho, inoltre,
avuto modo di conoscere, personalmente, il
grande interprete e , seppur “provato” da
questo pezzo così singolare, aveva ancora
lo spirito e la voglia di scherzare con i suoi
numerosi ammiratori che erano ad attenderlo fuori dal camerino.
Nonostante il tempo a disposizione scarseggiasse, si è perfino fatto scattare una
foto in accappatoio!
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Campo de’ fiori
Antonio Giuliani
un comico dal cuore tenero
intervista con lo show-man romano in tourneè estiva con lo spettacolo “Sono stato nominato”
della Dott.ssa Loredana Filoni
Il “Villaggio Italia” si trova a Roma nei
pressi del Parco dell’ Aniene. E’ immerso
nel verde e possiede un grazioso laghetto.
E’ una delle tante strutture adibite ad ospitare le innumerevoli serate dell’ “estate
romana”. Qui, tra ristoranti etnici e stands,
si alternano, per il quarto anno consecutivo, cantanti, attori, cabarettisti. E’ durante
una di queste serate che incontro il noto
attore comico romano, Antonio Giuliani.
Da una quindicina di anni calca le scene
dei teatri, con un consenso sempre maggiore. A testimoniare questo, il “tutto
esaurito” dei suoi spettacoli e, in particolare di questo show “Sono stato nominato”
in uno spazio pensato per circa 5000 persone! Lui se lo merita! E’ un one-man
show di circa due ore e mezza , senza
intervallo.
Prima di iniziare lo spettacolo mi ha concesso questa simpatica intervista.
Signor Giuliani, dov’è nato?
Sono nato a Roma, l’ 11 Gennaio 1967.
E’ sposato?
Si. Da quattro anni, con Alessia e non
abbiamo ancora figli.
Come è iniziata la sua carriera?
Le rispondo come generalmente faccio con
tutti i suoi colleghi: con la verità. Fin da
bambino avevo questa sorta di predisposizione per la battuta, la comicità, i travestimenti. Poi, con il crescere, solo “d’età”,
perché la gente non vede, dato che è
un’intervista, che l’altezza è quello che è,
ho iniziato a lavorare in un cantiere. Ogni
tanto facevo delle imitazioni e, la cosa
curiosa è che la pausa, prevista dalle
12:00 alle 13:00, si era “allungata” dalle
12:00 alle 15:00., cioè non lavorava più
nessuno! Io mi mettevo lì, mi travestivo,
facevo delle gags, imitazioni, finché gli
architetti mi licenziarono. Allora ho dovuto
decidere se continuare quel lavoro, che
era diventato un po’ “difficile” dato che si
era sparsa la voce di questo ragazzo che
faceva il comico sul cantiere, nonostante
fossi molto bravo in quel mestiere. Così ho
deciso di fare il comico.
Si è ispirato a qualcuno?
Diciamo che io non ho avuto maestri. Non
per vantarmi, ma perché ho iniziato con
delle imitazioni di Alberto Sordi, Aldo
Fabrizi e Peppino De Filippo, i miei miti da
ragazzo. Crescendo però, penso che se hai
un maestro e cerchi di copiarlo, si faccia
poca strada, anche perché il pubblico lo
vede e lo capisce. Quando scrivi e inizi a
inventarti le battute, capisci se sei “surreale”, “demenziale” o altro. Così se imiti un
comico “surreale” e tu hai un diverso
genere di comicità, non ha senso. Questo
lo capisci con il tempo. Diciamo che i miei
maestri “virtuali” sono i tre che ho nominato.
Attualmente, oltre questa tournée
estiva, sta lavorando anche ad altro?
Questo è uno spettacolo che và in tournée
ogni estate, ma ogni anno viene completamente rinnovato. Sarò in tournée fino al
20 Settembre. Toccherò tutto il Lazio, la
Calabria, la Puglia, la Toscana e la
Sardegna. Inoltre sto girando un film, con
la regia di Pingitore, dal titolo “Domani è
un’altra truffa” con Leo Gullotta, Aida
Yespica, Eva Grimaldi, Paolo Triestino e
tanti altri, che uscirà a metà Gennaio. Poi
sto iniziando a scrivere una nuova commedia. A Novembre, per tre settimane, al
‘Parioli’, riprenderò la commedia dello
scorso anno “Bravi a letto” che è andata
molto bene.
Lei cosa preferisce, cinema o teatro?
Sicuramente il teatro, perché il contatto
con la gente è totalmente diverso. Io non
ho fatto tantissimo cinema, però quello
che metti sul set, la voglia di fare, o una
piccola battuta, uscita all’improvviso, che
ha fatto ridere tutti e ti ha reso contento,
tutto questo ha un tempo determinato. E
così quella battuta, nella quale avevi
messo l’anima, non c’è più, perché il film
deve durare non più di due ore. Questo è
il problema di cinema e televisione. In tea-
tro, invece, una commedia ha, si un inizio
ed una fine, ma, come si dice a Roma, ‘me
la canto e me la sono’, l’ho scritta io e
posso farla durare anche qualche minuto
in più.
Ha un aneddoto da raccontare?
Ricordo un episodio che ora, a ripensarci,
ci rido su, ma, all’epoca, fu molto imbarazzante. Nei primi tempi della mia carriera, le mie serate consistevano in una esibizione di venti minuti. Salivo sul palco con
una valigetta, nella quale c’erano occhiali e
parrucche per fare dei piccoli travestimenti. Al termine di una di queste serate, che
si era svolta a Passoscuro, vicino Roma,
quattordici o quindici anni fa, presi
l’Aurelia per tornare a casa. Era l’una di
notte. Ad un certo punto mi fermano i
carabinieri. Scendo e mi chiedono di aprire il cofano. Vedendo la valigetta mi dicono di aprirla. Notando quattro parrucche,
una decina di paia di occhiali scuri e, in
più, una pistola giocattolo, che usavo per
imitare un personaggio di Verdone, mi intimano di alzare le mani e mi perquisiscono.
‘Morale della favola’, per convincerli che
non ero un delinquente, ho dovuto fargli
venti minuti di spettacolo sull’Aurelia.
Questi due carabinieri che, inizialmente
avevano appoggiato me sul cofano della
macchina, si sono poggiati a loro volta
perché ridevano come pazzi.
continua a pag. 45...
la Dott.ssa Filoni con Antonio Giuliani
foto: Francesco Antenore
Campo de’fiori
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ALGOL 3
Il fascino della stella variabile
Il mese di Agosto è un periodo dell’anno
particolarmente propizio per l’osservazione
delle stelle….naso all’insù , dai primi al 20
del mese, il cielo è tracciato da traiettorie
luminose definite da frammenti di meteoriti in uscita dalla costellazione di Perseo
che la tradizione popolare appella in vario
modo ma ci piace ,in particolare,la descrizione romantica che le indica come le
“lacrime di San Lorenzo”. Nello stesso
cielo, a ore 3 minuti 8, gradi 40 e minuti
57, 93 anni luce da noi ( ! ! !) , compresa
nella costellazione di Perseo a sua volta
disposta tra quelle di Andromeda e
Cassiopea, c’è una “piccola grande stella”
o meglio due stelle che “giocano” ad
occultarsi creando un effetto di luminosità
variabile : ALGOL ,la “testa del demonio”,
la stella del “fantasma”, il “demone luccicante” , la “stella di satana”….una stella da
temere piuttosto che da osservare ! Un
astro che minava il radicato concetto dei
nostri avi relativamente all’ eterna staticità
dell’universo….oggi, è conclamato che
tutto l’universo è in evoluzione…Algol
resta nella sua “duale” composizione ,la
stella “variabile” per eccellenza ! Molto più
prossimi alla nostra quotidianità ci sono
cinque ragazzi provenienti dalla terra di
Basilicata,precisamente dalla provincia di
Matera,che hanno tratto ispirazione dal
suddetto astro per identificarsi nel firmamento musicale : ladies & gentlemen,
ecco a voi ,dunque ALGOL 3 !
“Il gioco è iniziato….il suono è arrivato ! ….è l’incipit d’assalto contenuto
nei primi secondi di “rotazione” del loro
esordio musicale……..gli ALGOL 3 principiano a “pulsare” la loro musica nell’universo discografico con la realizzazione,alla
fine del 2002, di un cd di 35 minuti dal
titolo “IL SUONO”, un lavoro costituito da
7 composizioni cantate in Italiano , registrato in regime di autoproduzione a bassissimo budget ed in tempi strettissimi,
anzi di più : soli 4 giorni per completare
tutte le fasi classiche di una produzione
discografica
(!) ……..ma
con evidenti
benefici effetti sulla prestazione artistica finale
della band!
Questi ragazzi
pestano
d u r o
….D a v v e r o
un
buon
debutto,
caratterizzato da una selezione composita, frutto di una “contaminazione creativa”, in fase di scrittura, generatasi dal
contributo delle idee provenienti da
tutti i componenti della band, titolari,ciascuno, di proprie esperienze in termini di
ascolti musicali e precedenti partecipazioni in altre formazioni…...in dipendenza
di ciò, una produzione rock “screziata” di
heavy rock/power metal -rock progressivo
ad ampio spettro , con segni di prog.
Italiano degli anni ’70 e accenni di “arie”
dall’aroma “folk”, tracce di pop
music, caratterizzano, con preziosi risultati, il “sideralproject”
ALGOL 3 ! La testa d’ariete
per l’inizio dell’ arrembaggio
degli “ALGOLIANI” alle nostre
orecchie è rappresentato dal
brano “IL SUONO”, introdotto
da un enfatico preludio di voce
con sottofondo di tastiera che
sfocia in un vigoroso attacco
che potrebbe ricordare “Tie
your mother down” dei Queen
(annata ’76) ………. ma il
brano prende altre strade, con
un alternanza di tempi, qualificati ora da brevi passaggi quasi alla
maniera di danza popolare
ora da un
ritmo pesantemente scandito da batteria e basso quasi fossero il complesso
meccanico di “ biella-,manovella e pistone” a pieno regime …. il tutto reso con
suoni ad alto contenuto “ferroso”, duri,
abilmente sovrastati dalla espressiva,
potente, melodiosa
voce di, o
meglio del
…GRANDE,
Mr. TONY MINERBA ,superbo
“segnale
vocale” di
ALGOL 3 ! “
Ormai è la fine “…
scandisce Tony nel
refrain
di
“ L E T T O
FREDDO ”
ma siamo solo
al secondo round di questo
interessante
cd
……ancora un
brano variegato nei
tempi, con una strofa sorretta da un
drumming serrato ed
un’ apertura anthemica sul ritornello che mi stuzzica un ricordo
di Carlo Cattani
degli “slanci” dei CULT /Ian Ashbury
….ma anche qui è solo un microepisodio,
perché il pezzo è interessante per la struttura d’insieme …..pre finale pirotecnico
con la chitarra solista spiegata e sorretta da una ritmica incalzante, finale arpeggiato dal tono malinconico . La varietà di
idee ed intriganti soluzioni negli arrangiamenti sono la caratteristica dei brani di
ALGOL 3 e, quindi ,giù ancora da “L’ISTINTO” (3.a traccia) in poi orecchie tese
a cogliere le “trame musicali “ tessute da
questi ragazzi che dimostrano una caratura tecnica e una forza compositiva di squadra…..rimarchevoli ! Mostratetevi, dunque, “ALGOLIANI”, abbassate le vostre
emissioni per il breve volger di 4 righe e
forniteci le coordinate …..Marcantonio
Quinto e Gianfranco Caruso, “addetti alle
pulsazioni”,rispettivamente
alla
batteria/percussioni e al basso, Gianluca Marcantonio e Tony
Miolla, “indefessi disboscatori cosmici”
con i loro “raggi stringati”, le loro ascie...
insomma chiamiamole semplicente…chitarre,
Ivano
Greco , “cerimoniere”, addetto
alla creazione – gestione-mantenimento delle “atmosfere musicali
d e l l ’ a s t r o ”
in
dipendenza
delle sue manipolazioni tastieristiche.
continua a pag. 22
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Campo de’ fiori
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SIN CITY
USA, 2005; regia di
Robert
Rodriguez,
Frank Miller; interpreti: Bruce Willis,
Jessica Alba, Cliwe
Owen, Benicio Del
di
Toro,
Rosario
Maria Cristina Caponi Dawson,
Mickey Rourke; sceneggiatura: Frank
Miller; fotografia: Robert Rodriguez; produzione: Frank Miller, Robert Rodriguez,
Elizabeth Avellan; produzione: Buena
Vista; durata: 2h e 4’.
Il background della truculenta metropoli
Sin City è contrassegnato da un iperbolico
chiaroscuro che sferra scudisciate di cruda
violenza verso lo sguardo voyeuristico
dello spettatore, inchiodato atterrito alla
sua poltrona. Lo stile contrappuntistico
dell’intero lungometraggio reca in calce la
firma del disegnatore americano Frank
Miller, autore dell’intera saga che dal 1991
miete successi di vendita nell’ambito del
mercato fumettistico. Nel seguente film
d’effetti speciali, il regista texano Robert
Rodriguez ha fatto confluire tre dei sette
volumi che compongono l’intera epopea di
Sin City (per la precisione Sin City, Big Fat
Kill, That Yellow Bastard. L’episodio
All’inferno e ritorno, in primis affibbiato
alla verve attoriale di Johhny Depp, è stato
successivamente cancellato dalla sceneggiatura e vedrà possibilmente la luce solo
nel sequel).
Nella fumosa città del peccato, perfetto
archetipo scenico di film noir anni ’40, seppure con succulenti spunti di derivazione
espressionistica, si aggirano le bieche esistenze di disillusi eroi, consapevoli della
loro condizione di perdenti. Infatti, il pubblico si trova di fronte: al poliziotto generoso afflitto da disfunzioni cardiache
(Bruce Willis), al playboy dal volto tormentato (Cliwe Owen), al galeotto deviato psichicamente, ma risoluto a vendicare l’unica donna che lo abbia amato (Mickey
Rourke), e, infine ad una banda di sadiche
prostitute rivestite di pelle.
Scintillante il cast costituito da star e starlette, in bilico fra un polveroso declino e
una rapida ascesa. Vibrante l’interpretazione del redivivo Mickey Rourke, che per
guadagnarsi la sua parte ha dovuto sottostare quotidianamente a due ore e quaranta minuti di seduta al trucco prima delle
riprese, in modo da valorizzare un profilo
più mascolino. Strabiliato dai miracoli del
make up, anche l’attore Benicio Del Toro si
è prestato allo stesso trattamento per l’applicazione dei due pezzi principali: la fronte-naso e la mascella-mento. Per quanto
riguarda le protagoniste femminili della
pellicola, queste donne si pongono decisamente agli antipodi rispetto alle angeliche
presenze decantate nella Vita Nuova di
Dante; anzi, sono per lo più attrici adolescenti appropriatamente poco vestite, in
modo da evidenziare le loro giunoniche
curve.
Decisamente efficace la tecnica utilizzata
dal filmaker Rodriguez per riprendere il
lungometraggio. Infatti, egli si avvale di un
digitale ad alta definizione, che oltre ad
essere in grado di assecondare la sua fantasia, gli permette di ridurre considerevolmente le spese di produzione (per altro,
immediatamente recuperate già a partire
dal primo week end di programmazione,
sugli schermi americani). Inoltre, bisogna
anche menzionare un altro artificio scenico a cui il regista ha fatto ricorso: bandendo le panoramiche sensazionali, ha diretto
la recitazione degli attori, imponendo ai
divi patinati di Hollywood di masticare le
loro battute, avendo alle spalle unicamente un green screen; vale a dire un anonimo telo monocromo, sostituito, in fase di
montaggio, da uno sfondo adeguato. A
rendere ancora più preziosa ogni filigranata inquadratura di Sin City ha concorso
anche un preciso gioco di luce-ombra, teso
ad isolare ogni oggetto, indispensabile nel
tratteggiare la psiche del personaggio,
come ad esempio le cicatrici di cui si fregia
il lurido volto di Mickey Rourke.
Naturalmente, sia la critica nostrana, che
quella d’oltreoceano ha puntato sull’identità iperviolenta di quest’opera, cercando
moralisticamente di mettere al bando il
seguente film; ma, sarebbe forse più utile
e indubbiamente più doveroso, verso l’autore Frank Miller, estrapolare il lungome-
traggio dal contesto dei tipici film d’intrattenimento a base di testosteroni e, calarlo
nella dimensione extratemporale e finzionale, tipica dei racconti a fumetti.
Certamente non è possibile catalogarlo
come un prodotto adatto a qualsiasi target; unico consiglio per lo spettatore che si
accinge a recarsi al cinema: munirsi di una
buona dose d’ironia e lasciarsi travolgere
dai personaggi del plot per due ore e quattro minuti. Tranquillizzatevi, vi aspetta poi
un sereno ritorno alla realtà.
Campo de’ fiori
Roma che se n’è andata: luoghi, figure,personaggi
13
Trastevere e la festa de noantri
Soltanto alla fine
dell’Era Repubblicana Trastevere comincia a
coprirsi di edifici e
case di abitazione
destinate, prevalentemente,
a
lavoratori e piccoli commercianti
quì attirati dalle
attività economidi Riccardo Consoli
che collegate al
Tevere ed è in
quest’epoca che il Rione si trasforma in un
immenso quartiere abitato da vasai, operai
delle manifatture del cuoio e dell’avorio, ebanisti, mugnai dei molini ad acqua, fornaciai
delle fabbriche di laterizi, facchini dei numerosi magazzini e depositi. La viabilità sulla
sponda destra del Tevere era garantita da
due strade assai antiche entrambe dirette al
Ponte Sublicio, il primo ponte che la Storia
dell’Urbe ricordi e, a partire da questo punto,
divergevano la Via Campana in direzione sud
e la Via Aurelia in direzione ovest.
La prima di queste strade dirigeva verso le
saline alla foce del Tevere per costituire, più
tardi, il primo tratto della Via Portuensis;
assai meglio riconoscibile è oggi il tracciato
della Via Aurelia poichè corrisponde esattamente all’attuale Via della Lungaretta.
Questo Rione ha conservato nel corso dei
secoli le sue originarie caratteristiche, ovverosia l’aspetto e il carattere di povertà e di
provvisorietà che lo ha sempre distinto dal
resto della città e che ne ha determinato
anche la tipologia delle costruzioni e la disposizione della rete viaria; un ammasso disordinato di case e casupole distribuite lungo un
groviglio di vie e viuzze con, in mezzo, le primitive Chiese di Santa Maria in Trastevere e
San Crisogono. Con l’avvento di Papa Giulio
II, Giuliano della Rovere, 1503 - 1513, vennero ultimati due assi viari la cui costruzione
era stata iniziata da Papa Alessandro VI,
Rodrigo Borgia, 1494 - 1503, corrispondenti
all’attuale Via della Lungara e Via della Scala;
con l’apertura di queste strade il Rione si trasforma e Santa Maria in Trastevere, su cui
esse convergono, diviene il centro dello stesso. Caratteristica questa,
che si accentua con la
costruzione di un ulteriore
asse viario corrispondente
Via
San
all’attuale
Francesco a Ripa voluto
da Papa Paolo V, Camillo
Borghese, 1605 - 1621.
Malgrado l’apertura di
queste nuove strade il
Rione mantiene, nel corso
dei secoli successivi, quel
carattere popolare poiché
non diviene mai residenza
di Cardinali, non vengono
edificate chiese sontuose
nè palazzi per la grande
aristocrazia papalina, tutto ciò fino a quando, nel
corso del XIX secolo, viene costruito Ponte Garibaldi e realizzato il
Viale di Trastevere per congiungere Via Arenula con la Stazione ferroviaria. In questo, che è uno dei
più bei quartieri di Roma, nel mese
di luglio si celebra una festa dedicata alla Madonna che, a partire
dagli anni venti del secolo scorso,
diventa la Festa de noantri in contrapposizione a voantri che abitate
in altri quartieri.
Le origini della festa sono avvolte
nella leggenda si racconta, infatti,
che dopo una furiosa tempesta nei
pressi della foce del Tevere alcuni
pescatori, a metà di luglio di un
anno imprecisato, pescando sulle
rive del Tevere, raccolsero nel fiume una
cassa al cui interno giaceva una preziosa
Statua della Madonna in legno di cedro ed
estasiati dalla bellezza della Vergine, si
affrettarono a trasferirla nella Chiesa di
Sant’Agata dove ancora oggi risiede.
Da quel giorno, il sabato successivo alla festa
del Carmelo, viene celebrata quella che è la
maggiore festa religiosa e popolare superstite a Roma; la Statua della Madonna fiumarola viene portata in processione dalla chiesa in
cui risiede attraverso le strade del Rione fino
a raggiungere la Chiesa di San Crisogono
dove rimane esposta per otto giorni per poi
fare ritorno, con un’altra solenne processione, nella Chiesa di Sant’Agata.
La processione era organizzata anticamente
dalla Compagnia dei Vascellari, artigiani che
plasmavano i boccali di coccio e le brocche
per servire il vino nelle osterie; oggi è appannaggio di trenta confratelli dell’ Arciconfraternita del SS. Sacramento e di Santa
Maria del Carmelo che, con un tradizionale
saio bianco, portano la Statua della Vergine
attraverso le strade del quartiere. L’impronta
festaiola della celebrazione, un tempo caratterizzata dalla presenza dei Vascellari e dai
loro boccali colmi di vino, non è andata perduta infatti alla festività della Vergine si
affianca la Festa de noantri alla quale partecipa tutto il quartiere con bancarelle, mercatini e Osterie che dispongono i tavolini lungo
le strade aperte a tutti i visitatori, manifestazioni e teatri ambulanti
capaci di attirare l’attenzione dei turisti molto
spesso ignari della ricorrenza cristiana, numerosi i
venditori di cocomeri e
grattachecche.
Un giornale inglese ha
recentemente pubblicato
un articolo con il quale
avverte il lettore che qualora avesse voglia di vedere qualcosa di eccitante ed
originale non può che assistere alla festa religiosa
che si tiene in un quartiere di Roma nota anche con
il nome di Festa de noantri; in questa occasione
Trastevere si trasforma in un gigantesca
Trattoria all’aperto dove si consumano quintali di alimenti ed ettolitri di bevande e dove
cantanti e stornellatori
forniscono l’intrattenimento. Peraltro, è
bene ricordare come
questo Rione sia passato alla storia anche
per la presenza delle
sue antiche Trattorie
divenute sempre più
conosciute e frequentate pur non potendo,
molte di queste, vantare illustri origini in quanto sorte come semplice ricovero per i marinai del vicino Porto di
Ripa Grande che vi si recavano per mangiare
qualcosa in tutta semplicità.
E’ ancora doveroso ricordare la figura
dell’Oste trasteverino che, con la sua costante presenza, l’innata simpatia e, naturalmente la sua cucina, ha contribuito non poco ad
incentivare la presenza di gran parte degli
Artisti la cui frequentazione, nello scorso
secolo, è testimoniata dai loro nomi che
fanno bella mostra sulle pareti di questi locali inorgogliendo, va da sè, gli attuali proprietari.
Dice il Poeta: “…qui è dove l’òmo se conosce,
ar foco / qui ar fornello un talento che scutrina / la prima scola in terra è la cucina / er
più stimato personaggio è er coco…”
Molte di questi locali hanno avuto l’onore e il
privilegio di essere citati da quell’innamorato
di Roma in generale e delle Osterie in particolare, che fu Hans Barth; dopo le alterne
fortune degli inizi del 900’, anche grazie alla
sensibilità e lungimiranza di quegli Osti queste Osterie perdettero via via quella loro particolare trasandatezza per acquisire nuova
dignità derivante, in alcuni casi, dall’essere
divenuti privilegiati luoghi di ritrovo di Artisti
e Intellettuali.
Peraltro questa festività, proprio per il modo
come è oggi gestita, si è nel tempo trasformata, tanto che, accanto agli eventi religiosi,
si alternano spettacoli, iniziative culturali e
passeggiate tra banchetti di dolciumi, giocattoli e piccole curiosità, viene criticata da una
parte degli stessi romani.
Si è osservato, che non interessa che la festa
sia una esposizione di bancarelle con i soliti
articoli da festa paesana, o che si tenga il pur
elettrizzante concertino della fanfara dei
Bersaglieri o che sia, insomma, una fiera di
paese piuttosto squallida. Piacerebbe, invece, che a tutto ciò si potesse unire la rievocazione delle belle feste romane di non molto
tempo addietro quali, per esempio, il Lago a
Piazza Navona o a Piazza Farnese oppure
qualche bella Processione con i Sacconi o il
Palio delle bufale o qualunque altra cosa che
possa servire per fare risorgere la Roma de
‘na vorta, sia pure per pochi giorni o, addirittura, per lo spazio di un mattino.
Campo de’ fiori
14
il
KARATE e i bambini
Il Karate-Do
offre al giovane praticante
l’opportunità
di raggiungere un armonico equilibrio
tra corpo e
mente;
in
esso ritroviamo
infatti
tutte le comil M.Carlo Mercuri
ponenti psicomotorie essenziali. La grande ricchezza del bagaglio
tecnico comprende, oltre alla razionale ginnastica preparatoria (taiso), esercizi individuali (Kihon e Kata) e a coppie (Kumite).
I primi insegnano al bambino come sfruttare al meglio le potenzialità del proprio corpo
e gli permettono di acquisire fiducia in se
stesso grazie al continuo superamento di
quelli che considerava limiti invalicabili. Con
i secondi il bambino impara a gestire i rapporti interpersonali, a riconoscere nel compagno una persona a lui uguale e diversa, a
creare con una combinazione di solidarietà
e collaborazione un clima di amicizia e profondo rispetto.
Con il passare del tempo la mentalità acquisita durante le sedute di allenamento viene
fortemente interiorizzata fino a diventare
regola di vita. E’ facile quindi comprendere
come i valori enfatizzati nella pratica di questa disciplina possano essere sfruttati in
ogni momento della propria vita per affrontare lo studio, i rapporti interpersonali e
ogni tipo di ostacolo con la serenità che
deriva dalla fiducia nei propri mezzi e con il
rispetto per se stessi e per gli altri, sicuro
indice di una profonda maturità interiore. La
lezione per bambini, si svolgerà in un clima
in cui tutte le opportunità di apprendimento sono inserite in un contesto di gioco e di
divertimento; il bambino in tal modo non è
forzato ad acquisire comportamenti che
non siano quelli propri della sua età, per cui
l’apprendimento è gioioso e solo in minima
parte indirizzato ad un fine strettamente
specifico.
Il bambino che pratica Karate percepisce gli
aspetti esteriori, gioca sostanzialmente, non
si pone particolari obiettivi, così noi utilizzeremo il Karate per fargli acquisire una perfetta padronanza del corpo, sviluppando la
propriocezione, le capacità coordinative, ma
soprattutto per favorire il rapporto con gli
altri e lo sviluppo della capacità di socializzazione. Il Karate è dimostrato da tempo
che allena le doti di autocontrollo, di volontà e di correttezza. E’ una disciplina che
valorizza i principi morali e fisici, affina l’educazione, l’irrobustimento del corpo e sviluppa le capacità di concentrazione e volontà. Ai bambini viene insegnata, inoltre, la
corretta postura del tronco, che previene e
cura processi di deformazione della colonna
vertebrale; non vengono forzate le articolazioni e, nonostante l’acquisizione di un’ottima elasticità, non vi è mai prevalenza di
alcuni gruppi muscolari su altri (premessa
indispensabile per una crescita fisica corretta).
Dal momento che le capacità di coordinazione e la rapidità si sviluppano fortemente
in questo primo periodo di vita, risulta di
fondamentale importanza favorirne lo sviluppo con programmi adeguati. Ciò acquista
un significato educativo primario
poiché è stato dimostrato che un bambino
ben coordinato ha un rapporto con l’ambiente molto più sereno ed equilibrato ed
una sicurezza e fiducia in se stesso, che
l’accompagneranno per tutta la vita.
CARTA DEI DIRITTI DEL BAMBINO SANCITA DALL’UNICEF
…il Bambino ha il diritto …
-Di divertirsi e giocare come un bambino
-Di fare sport
-Di beneficiare di un ambiente sano
-Di essere trattato con dignità
-Di essere allenato e circondato da persone qualificate
-Di eseguire allenamenti adatti ai propri
ritmi
-Di misurarsi con giovani che abbiano le
stesse probabilità di successo
-Di praticare sport nella massima sicurezza
-Di partecipare a competizioni adeguate
-Di avere tempi di recupero
-Di non essere un campione
DAL 1° SETTEMBRE SONO APERTE LE ISCRIZIONI PER L’ANNO 2005/2006
Campo de’ fiori
Capranica, antico centro del Viterbese sulla
Via Cassia, in direzione di Viterbo, conserva
poco fuori del centro urbano antico, una
chiesa di rara e suggestiva bellezza nota
come Madonna del Piano, perché l’area si
cui sorge fu sede di grazie e miracoli avvenuti nel lontano 1558.
Di tutte le realizzazioni poste nei vari
centri del viterbese e attribuite al
Vignola, la paternità dell’opera in
esame è stata scientificamente accertata grazie a dei documenti rinvenuti in
importanti archivi.
Il primitivo nucleo originario della chiesa
mariana, di impianto e derivazione francescana – una vasta aula rettangolare ad unica
navata
absidata
edificata
dalla
Confraternita Laica dei Cacciatori, diventa
famosa nel 1558 “per grazie e miracoli”,
tanto che il Cardinale Ranuccio Farnese,
governatore di Capranica, visita la chiesa e
la affida ai Padri Agostiniani, che decidono di
ricostruire l’edificio religioso con nuove
forme e vestigia, affidando il progetto al
celebre architetto Jacopo Barozzi detto il
Vignola, già al servizio dei Farnese.
Il 6 Agosto 1559, il priore della Confraternita
presenta alla comunità di Capranica il primitivo progetto del Vignola: una chiesa a pianta centrale, a doppia abside, con una grande cupola centrale e collegata ad un convento.
I lavori della chiesa iniziano nel 1560, mentre le opere di realizzazione del complesso
conventuale inizieranno soltanto nel 1589.
I lavori di edificazione si protarranno dal
1560 al 1585, non senza difficoltà tecniche e
di finanziamento, secondo una consuetudine
tipica della fabbriche del tempo.
Nell’Aprile del 1630, compaiono delle pericolose lesioni sulla volta della cupola e del
cornicione esterno, ma non vengono presi
alcuni provvedimenti.
Il 3 dicembre 1631, l’edificio vignolesco crolla definitivamente e la ciesa viene comunque
prontamente ricostruita nella forma attuale,
certo in tono e forme minori, ma conservando la facciata, l’unico elemento superstite della fabbrica vignolesca, rimasta
intatta nel crollo del 1631.
Nella composizione della facciata, il Vignola
utilizza tre campate, di cui quella centrale
più grande, intervallate da quattro paraste
joniche, sorreggenti un cornicione a doppia
fascia modanata, con scritta centrale, e sormontato da un timpano triangolare, di chiara derivazione classica.
Presenta, inoltre, il vano rettangolare con
timpano triangolare del portale di accesso
con finestra inginocchiata superiore e due
finestre cieche negli specchi laterali.
L’intero sistema poggia su di un modesto stilobate.
15
Capranica - la chiesa della
Madonna del Piano (1559)
Architetto Jacopo Barozzi detto Il Vignola (1507-1573)
Nel timpano sommitale troviamo un finestrone circolare, in asse con la croce superiore,
che conclude visivamente l’intero sistema.
Il Vignola utilizza, dunque, nella progettazione della facciata un modello classico, quello
del fronte di un tempio greco, secondo una
consuetudine tipica delle chiese del rinascimento maturo.
Nella stessa si rivela, inoltre, il magistrale
utilizzo del tufo a faccia-vista, composto a
blocchi rettangolari su letti di malta cementizia esigua e lineare.
Se la facciata, opera autografa del Vignola, è
l’elemento chiaro e leggibile, di difficile ricostruzione risulta l’impianto tipologico originario, purtroppo andato distrutto nel crollo del
1631.
Nell’articolazione tipologica originaria,
secondo alcuni rilievi della chiesa eseguiti nel
XVI secolo, il Vignola utilizza una pianta centrale ad asse longitudinale, chiaramente
costituita da un quadrato di base con due
absidi semicircolari poste lungo una delle
mediane e con lo spazio architettonico interno che si caratterizza all’esterno con quattro
pronai nelle facciate, formati da quattro e sei
paraste joniche, rispettivamente sui lati corti
e lunghi.
Altra caratteristica formale della facciata è la
presenza di due piedistalli rettangolari, posti
in corrispondenza delle due paraste laterali,
tanto da far pensare a un Attico superiore,
forse andato distrutto nel 1631 e non più
ricostruito, oppure basi di sculture dedicate a
Santi della chiesa.
Con il crollo della chiesa nel 1631, la pianta
circolare viene sostituita con un impianto,
quello attuale, ad un’unica navata con sei
cappelle rettangolari, non comunicanti – tre
per ogni lato – con un’abside terminale su
cui si colloca l’altare maggiore.
L’unica navata presenta il mirabile soffitto
ligneo a cassettoni, con rilievi in oro e riquadri dipinti con motivi a grottesca.
La chiesa della Madonna del Piano è con
Palazzo Farnese, il massimo capolavoro del
Vignola, che tante opere ha lasciato nel
viterbese che attendono di essere scientificamente studiate.
Simbolo di devozione religiosa, con il
Santuario della Madonna del Ruscello a
Vallerano, e’ il più importante centro mariano dell’area dell’ Alto Lazio.
Prof. Arch. Enea Cisbani
Via della Repubblica, 6
Civita Castellana (VT)
Tel e Fax
0761.51.32.17
e-mail:
[email protected]
Campo de’fiori
E
arrivata una scuola di danza
Tuccio
Rigano
Con l’entusiasmo di dare ai giovani la possibilità di studiare la danza, nelle varie tecniche e discipline, in modo professionale e
qualificato, il 15 Settembre aprirà a Civita
Castellana la Honey Dance, un’autentica
scuola di danza, diretta dal Maestro Tuccio
Rigano e che vedrà, come insegnanti, nomi
illustri del mondo ballettistico, quali lo stesso
Tuccio Rigano, Fabrizio Bartoli,
Annamaria Perilli e Roberto Procaccini.
La scuola ha come scopo di promuovere la
vera danza, arte del movimento e dell’espressione del corpo, e di insegnare agli
allievi i valori della perseveranza, concentrazione e disciplina, sempre fondamentali e
necessari in ogni campo. L’ambiente scolastico è nato e pensato esclusivamente per la
danza, con una pavimentazione tecnica adatta al tipo di studio, con grandi sale climatizzate, angolo biblioteca e cineteca, dove gli
allievi potranno studiare teoria guardando
video di repertorio ballettistico e discutendo
le varie fasi e le varie tecniche con l’insegnante. Nel corso dell’anno lavoreranno al
fianco degli insegnanti e degli artisti ospiti,
come i ballerini professionisti dell’ AID –
Roma. All’interno della scuola è stata, inoltre, costituita una compagnia di balletto,
Comapagnia di Balletto Honey, formata
da insegnanti ed allievi dei corsi avanzati,
che porterà in scena rappresentazioni ed
opere di danza e che darà la possibilità agli
allievi di danzare con ballerini professionisti,
con lo scopo di dar loro una valida formazione professionale. La scuola Honey Dance,
associata con la FEDERDANZA A.I.D.A.F.
AGIS, potrà rilasciare regolari diplomi, validi
anche per un eventuale futuro lavoro. Ogni
anno verrà inoltre assegnata una borsa di
studio. Dal 19 al 30 Settembre la Honey
Dance offrirà lezioni gratuite di prova di
classico, pas de deux, moderno, Hip Hop e
propedeutica. Il fatto che a Civita Castellana
nasca una vera scuola di danza, con docenti
professionisti e di chiara fama, è affascinante
e stimolante soprattutto per quei bambini
che vogliono incontrare, per la prima volta, il
mondo della danza e che, con un’ottima formazione e disciplina, scopriranno, nei virtuosismi dei loro corpi, l’eleganza dei movimenti
e le più intime emozioni che solo questa
disciplina può dare. Ci auguriamo che la
scuola possa ottenere un forte consenso e
che, negli anni, porti lei stessa un contributo
alla cittadina di Civita Castellana: … la nascita di una stella della danza.
Calendario lezioni dimostrative:
-Lunedì 19 e 26 Settembre Lezione di
Classico e Popedeutica
-Martedì 20 e 27 Settembre Lezione di Pas
de Deux
-Mercoledì 21 e 28 Settembre Lezione di
Modern Jazz
-Giovedì 22 e 29 Settembre lezione di Hip
Hop
si è diplomato ballerino professionista nel 1970
dopo aver frequentato corsi
alla scuola di danza
del Teatro dell’Opera di Roma.
A soli quattordici anni già esordiva in ruoli
solistici nel corpo di ballo dello stesso
Teatro e a diciannove anni diveniva Primo
ballerino. Dal 1972 ha sempre interpretato ruoli da protagonista in tutto il repertorio ballettistico del Teatro della Capitale.
Tra i balletti interpretati con grande successo di critica e di pubblico ricordiamo:
Don Chisciotte, Schiaccianoci, Il Lago dei
Cigni, Carmen, Giselle, La Bella
Addormentata, Cenerentola, La Fille mal
gardée, Romeo e Giulietta, Coppelia, Les
Silphides, Excelsior. Inoltre ha danzato
ruoli principali anche in balletti del repertorio Blanchiniano: Apollon Musagete,
Sinfonia in Do, I 4 Temperamenti e in
tutto il repertorio moderno, neoclassico e
contemporaneo. Dal 1977 ha iniziato la
carriera di libero professionista danzando
in quasi tutti i teatri italiani e come Etoile
ospite in grandi compagnie straniere, tra
le quali: London Festival Ballet (19761977), American Ballet Theatre of New
York (1978). Tuccio Rigano ha lavorato
con grandi coreografi e maestri come
A.M. Molloss, L. Massine. S. Lifar, Y.
Grigorovich, M. Renault, Y. Kalijusny, Z.
Prebil ed altri. Ha danzato in coppia ed in
cast con grandi danzatori di fama mondiale: R. Nurejev, V.Vassiliev, F. Bujones,
E. Maximova, N. Makarova, C. Fracci, P.
Bortoluzzi, E. Terabust e tanti altri. Per la
sua carriera ha ricevuto svariati premi e
riconoscimenti, tra i più importanti:
Premio A. De Curtis, Premio Davide di
Donatello, Il Sagittario d’oro, Il Premio
Positano per la danza ed altri. Dal 1981 si
dedica all’insegnamento ed alla coreografia e nel 2000 ha ottenuto la cattedra di
Pas de Deux all’ Accademia
Nazionale di Danza a Roma.
Roberto Procaccini
ha studiato danza
all’Accademia Nazionale di
Danza a Roma, alla Scuola
di Ballo Teatro dell’Opera, alla
Scuola di Ballo di Franco Miseria ed infine
si dedica ad un lungo perfezionamento di
Hip-Hop. Partecipa a trasmissioni televisive come Casaraiuno, Mattina in Famiglia
e Nessun Dorma (un programma con
Paola Cortellesi); è presente in Videoclip
per Paola Cortellesi e in un Video per
Celine Dion; è solista nel corpo di ballo in
Tour con Massimo Ranieri e in serate con
la cantante Anna Betz. Gira dei Video
negli Stati Uniti per il cantante Lionel
Ritchie con coreografie di Luca
Tommasini, partecipa a tour di Claudio
Baglioni, Mara Venier e Fiorella Mannoia.
Ottiene il primo posto in diversi concorsi
nazionali ed internazionali di Hip-Hop ed
è vincitore del premio “Migliore promessa
2004 settore professionisti”.
17
Fabrizio Bartoli intraprende gli
studi di danza classica, dall’età di
undici anni, presso l’Accademia
Nazionale di Danza di Roma. Nel
1987 incontra il Maestro Victor
Litvinov che ne intuisce le potenzialità e, sotto la sua guida, lo
induce a proseguire gli studi ed il
perfezionamento presso il
National Ballett of Canada.
L’esperienza canadese e l’insegnamento del Maestro
Litvinov consentono a Fabrizio
Bartoli di entrare a far parte del Ballett de
Marseille diretto da Roland Petit, che in quegli anni
presentava la sua nuova versione della Bella
Addormentata che venne poi rappresentata in tutta
Europa. Vince il premio del Concorso
Internazionale Vignale Danza, entra a far parte
della compagnia Teatro Regio di Torino, in qualità
di primo ballerino. Nel 1993 viene chiamato dal
coreografo Franco Miseria e partecipa al programma televisivo di RAI 2 “Serata d’Onore” dove
riscuote un grande successo. Per tutto il 2004,
viene invitato da Lorca Massine, autore e coreografo del celebre balletto Zorba il Greco, a far parte
della compagnia Teatro Wielki dell’Opera di
Varsavia. Nella compagnia Bartoli interpreta in
qualità di “etoile” tutti i ruoli del repertorio classico
e partecipa al tour internazionale di “Zorba il
Greco”, interpretando il ruolo di “John” a lato di
figure come lo stesso Massine, Raffaele Paganini e
una serie di storiche performances a Parigi (Palais
de Congres), Rio de Janeiro (Teatro Municipal),
San Paulo (Teatro Central) e Buenos Aires (Luna
Park Palacio) con Vladimir Vassiliev e la conduzione
del grande Maestro e Direttore Mlkis Theodorakis.
Nel 1995 riceve il premio “Danza Si” come nuova
promessa della danza italiana. Nel 1997 entra,
come primo ballerino stabile, al Grand Theatre de
Genève, dove rimane per tre stagioni. Nel 2000
Fabrizio Bartoli inizia la sua attività di insegnante di
danza classica e apre, a Roma, un suo spazio del
quale è Direttore e responsabile del settore classico. Nelle ultime due stagioni è stato maestro ospite della compagnia “Notre Dame de Paris” durante
il periodo di permanenza a Roma della compagnia
stessa. Dal 2005 è impegnato come primo ballerino in coreografie di Tuccio Rigano ed insegna presso l’ AID di Roma (corsi per professionisti).
Anna Maria Perilli ha studiato
danza classica e jazz presso la scuola
di danza “Balletto Oggi”, diretta da
Mariella Rana. Ha poi perfezionato i
suoi studi con Bryan Poer e Tuccio
Rigano per la danza classica,
Susanna Feltrami per il contemporaneo e Silvio Oddi per la danza
jazz. Ha partecipato a diversi stages
con maestri di dichiarata fama mondiale.
Vince il premio per il miglior livello tecnico nella
categoria jazz al Concorso Nazionale “Star of
Tomorrow” a Bari ed una borsa di studio presso il
Music Art & Show di Milano. Nel Dicembre 1998
ha vinto il Concorso Nazionale “Stars-Print” a
Fiuggi ed il premio per la migliore Coreografia da
lei eseguita al Concorso Nazionale “Trofeo Stefania
Rotolo” a Palermo. Ha partecipato ad alcuni programmi televisivi tra i quali “Uno Mattina”, su Rai
Uno, è stata solista nella Compagnia di Silvio Oddi
nello spettacolo “Odissea” nelle stagioni 20012002, nella Compagnia Euroballetto nel 2003-2004,
nella Compagnia Nazionale del Balletto dal 2003 ad
oggi e nella Compagnia Danz’Art diretta da Franco
Franchi nella stagione 2004-2005. Anna Maria
Perilli si dedica all’insegnamento in alcune importanti scuole di danza, tra le quali l’ AID di Roma.
18
Campo de’ fiori
Amarcord
In una delle tante forre che circondano Civita
Castellana, nel punto in cui si congiungono i
due piccoli fiumi Rio Purgatorio e Rio
Maggiore, dove ora a far da padrona è una
ricca ed intrecciata vegetazione, che custodisce gelosamente i ricordi ed i vissuti di un
tempo lontano, esiste una vecchia mola, una
volta fonte di vita di una grande famiglia.
Per accedervi bisogna uscire dal centro storico, scendere per Via Porta Posterula, una
delle quattro vecchie porte d’accesso alla
città e, superata la stessa, percorrere una
breve “tagliata” etrusca, fino alla congiunzione dei due fiumi.
L’antica mola apparteneva alla famiglia
Midossi, ma era più nota come “La mola de’
Biscotto”, soprannome attribuitogli dagli abitanti civitonici a riprendere quello della fami-
‘a mola de’ Biscotto
glia stessa.
Essa
era
composta dai
fratelli Francesco e Umberto e dalle
loro rispettive
famiglie.
I figli di Francesco erano
Ilio, Celeste e
Liliana, quelli
di Umberto
erano Felice
(che da sempre, insieme
ai suoi figli,
esercita l’attività di panettiere nel centro storico),
Ulderico
e
Edgarda
e
per tutti, indistintamente, perfino per i figli di quest’ ultimi, esiste un
segno di riconoscimento … … quello di
appartenere alla “casata dei … Biscotto”. La
mola sembra sia stata costruita dai nonni di
Francesco e Umberto ed aveva varie funzioni. L’attività principale era quella della macina del grano, ma esisteva un’altra piccola
mola in cui venivano macinati i colori che
sarebbero serviti per i prodotti ceramici delle
industrie civitoniche. Infine veniva svolto il
lavoro di torchiatura delle olive per la produzione di olio.
Lungo la forra che ospitava la “mola de’
Biscotto” si aprivano profonde grotte che, in
tempo di guerra, furono il rifugio di questa
famiglia per scampare ai bombardamenti.
Il ricordo della guerra è ancora vivo nella
mente di Ilio, il figlio di Francesco. Egli ricor-
da benissimo quando le bombe riuscirono a
raggiungere la forra e la paura gli stringe
ancora il cuore nel ripensare al giorno in cui
una di esse, scoppiandogli vicino, lo riempì di
terra e ne restò quasi soffocato.
I fiumi che alimentavano la mola, seppur piccoli, erano ricchi di pesce e questo, insieme
al ricavato della mola e a quello che riuscivano a scambiare con la farina, era il sostentamento di tutta la famiglia.
Spesso le famiglie più povere del paese,
distrutte dalla miseria e dalla guerra, si recavano presso la mola a chiedere un po’ di farina, che non veniva mai negata, nonostante
ci fossero già tante bocche da sfamare all’interno della famiglia stessa.
Ma il componente più importante della famiglia Midossi era l’ asino. Questo serviva a
svolgere tutti i lavori di fatica e, per la lunga
salita che conduce al paese, veniva caricato
di sacchi pesantissimi di farina, tanto che la
povera bestia si fermava spesso, ostinandosi
a non voler più proseguire il suo cammino,
nonostante fosse sollecitato continuamente
per mezzo di un frustino. Ancora oggi, quando si vede una persona piagata per qualsiasi
motivo gli si dice “hai 99 piaghe come l’asino
di Biscotto”, proprio in riferimento alle sollecitazioni fisiche che l’asino doveva subire.
Lungo questa forra si viveva la vita quotidiana, i bambini vi andavano a giocare, gli uomini vi coltivavano i loro orti. Oggi non esiste
più niente di ciò che era un tempo, la forra è
divenuta ricettacolo di immondizia e sporcizia. Eppure in questi luoghi c’è tutto il nostro
passato, tutta la nostra cultura.
Peccato che non si sia mai pensato di recuperare questi bellissimi spazi immersi nella
natura, per creare percorsi che potrebbero
essere molto educativi, anche per le nuove
generazioni, per evitare che la nostra storia
rimanga sepolta nel passato.
Cristina Evangelisti
Campo de’ fiori
19
Una vacanza particolare
Ma si, nella vita quotidiana quante
volte vorremmo dare un calcio a
tutto e a tutti, liberarci dai “lacci” che
ci costringono (co…stringono) ad
una esistenza sempre più programmata, lontana da quell’improvvisazione che la renderebbe più appetibile alle papille gustative così nascoste, ma così presenti nella nostra lingua. E allora, giunti alla tracimazione
inevitabile di questo contenitore
arrugginito, raccogliamo tutte le
rimanenti energie, ed apriamo le
paratie di quella diga così particolare
nella sua struttura, che è la nostra
vita. Voglio andar via, andarmene per
una settimana, lontano dalla pazza
folla, riscoprire me stesso, fare come
mi pare. Chi di noi non lo ha mai pensato? Tutti, ma chi lo ha fatto veramente? Pochi… Non è facile, perché il
trovarsi all’improvviso fuori dai canoni che da sempre regolano e scandiscono il ritmo della nostra quotidianità, ci fa sentire impauriti e spaesati.
Ma ecco che, dopo l’incertezza iniziale, prendi il coraggio a due mani, ti
abbandoni al tuo istinto e……, cominci a guardarti intorno. Metti uno
zoom davanti ai fenomeni che la
natura ti propone: ti emozioni all’alba, quando vedi spuntare la palla di
fuoco che viene ad illuminare la tua
giornata che si era persa nel buio
della notte. Ti rattristi al tramonto
quando quella palla, calando all’orizzonte, lascia spazio alle antiche
paure di ogni essere vivente. Ti stai
liberando dall’ingranaggio che per
troppo tempo ha stritolato i tuoi sentimenti, stai riscoprendo (ri…scoprendo) il valore della tua vita. Una
vita finora etichettata, marchiata dal
codice a barre del consumismo, come
un prodotto da supermercato, che
prelievi direttamente dallo scaffale.
Poi, vai direttamente alla cassa veloce, dove non fai la fila, e non paghi
nulla perché porti tra le mani un prodotto senza prezzo.
Alessandro Soli
Il personaggio misterioso
Vi invitiamo ad indovinare il personaggio misterioso riprodotto nella foto sotto.
I primi cinque che lo identificheranno e ne daranno comunicazione in redazione, avranno diritto a ricevere un premio
offerto dalla Profumeria Paolo e Concetta:
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20
Campo de’ fiori
Una gloriosa tradizione gastronomica chiamata
Il Ferro di Cavallo
Nel varcare la soglia del
delizioso ristorante di
Monterosi (VT), sorto il
1° Agosto 1994, si ha la
sensazione di essere a
casa propria. Candele
su ogni tavolo, un
meraviglioso camino,
un bar, vari “ricordi” di
viaggio dei signori
Roberto Lippi e Maria
Gabriella Aita (i proprietari), la cura di ogni
minimo particolare ce
la rendono davvero
a cura di
amabile. La cosa che
Loredana Filoni e
più aggrada il nostro
Francesco Antenore
palato è il tipo di cucina
che la signora M.Gabriella cura personalmente, in ogni suo aspetto, sia dal punto
di vista salutistico, sia da quello “visivo”,
che non guasta. Qui si servono piatti sempre nuovi, di volta in volta ed a seconda
del periodo dell’anno. E’ una cucina di alta
qualità e genuinità. I prodotti sono tutti di
primissima scelta: pomodori, olio extra
vergine di
oliva, sale iodato. Inoltre, i signori Lippi,
hanno eliminato le tradizionali friggitrici,
sostituendole con il forno a raggi infrarossi (da non confondersi con il forno a
microonde): si bagnano i prodotti con l’olio e si cucinano in questo forno. Il risultato è ottimo! Le varie specialità hanno
spesso, come
base, i funghi porcini dei vicini Monti
Cimini ed il tartufo
di Norcia. Da provare i “cuori, baci e
abbracci”: ravioli di formaggio con aggiunta di miele e gorgonzola, il tutto guarnito
con spinaci freschi. E che dire delle
“Spianarelle del Ferro di Cavallo” con funghi porcini e pancetta affumicata…!?! Una vera delizia!
Per quanto concerne le carni,
sono tutte nazionali, maremmane per la precisione, eccezion fatta per l’entrecote
che
è
argentina (ottima
anche questa).
Chi optasse per la
pizza qui trova il
suo regno! Vari tipi,
ma, soprattutto, “taglie forti”: la pizza “normale” è già più che abbondante, se poi si vuole “esagerare” c’è la maxi-pizza (tre volte il
peso di quella normale). Da sottolineare che i piatti vengono
preparati tutti al momento!
Ottima carta dei vini, circa settanta, per tutti i gusti e tutte le
tasche.
L’ambiente è tranquillo
e fresco, d’estate.
I signori Lippi molto cordiali e ospitali.
Si cena al lume di candela. I coperti sono
sessanta. Il riposo settimanale si effettua
di Mercoledì e Giovedì.
Il ristorante è provvisto, a pochi metri, di
un ampio parcheggio.
Per una cena romantica, fra amici, di affari, ricorrenze varie, è un luogo da “gustare” fino in fondo!
i signori Roberto e Maria Gabriella
Campo de’ fiori
21
Una stella appena nata è già piena di luce
di Sandro Anselmi
L’associazione Una mano al tuo ospedale
onlus, è nata il 10 Marzo 2005 su lodevole
iniziativa di alcuni promotori medici di base,
medici ospedalieri, personale paramedico e
semplici cittadini.
I suoi soci fondatori sono: Donato Di
Donato, Gino Giuseppe Giuri, Comincio
Faggiani, Marco Granatelli, Andrea Brunelli,
Calogero (Carlo) Drogo, Enrico Simoni, Mara
Sprega, Adalgisa Ricci, Rocco Fersini,
Fabrizio Pinardi, Gaspare (Guido) Milazzo,
Costante Patrizi, Mario Sardi, Ugo Baldi,
Luciano Caregnato.
Il Presidente è Luciano Caregnato, il
Presidente Onorario Sua Eccellenza Mons.
Divo Zadi Vescovo, il Vicepresidente
Carlo Drogo. Gli scopi dell’associazione
sono:
1) promuovere ogni tipo di iniziativa finalizzata a migliorare l’assistenza degli utenti che
si rivolgono all’ospedale di Civita Castellana;
2) promuovere iniziative per il miglioramento della struttura alberghiera, della diagnostica strumentale e di laboratorio.
Come mi riferisce l’amico Carlo Drogo, attivissimo vicepresidente, la campagna di sensibilizzazione verso la cittadinanza, fra l’altro
arricchita da riuscitissimi eventi-spettacolo,
ha dato già numerosi e tangibili risultati, e la
prodigalità di diverse aziende locali ha già
arricchito l’ospedale di preziose attrezzature.
E’ doveroso ricordare nella catena di solida-
rietà, il primo e secondo circolo didattico, la
Coop Tirreno, L’UPAV-CNA, la Ceramica
Cielo, la Ceramica Sanitas, la Mobil10, la
ditta Zeppilli Luciano, la Ceramica Catalano
con la sua donazione di ottantaquattro
comodini porta vivande, la Ceramica Simas
con i ventiquattro letti a snodo regolabili e la
ditta Colavene con i quarantotto letti sempre
a snodo regolabili completi di accessori.
Vanno aggiunte le centinaia di cittadini che
hanno contribuito all’acquisto di varie attrezzature ed arredi per alcuni reparti dell’ospedale. Drogo aggiunge che la disponibilità e la
collaborazione degli operatori dell’Andosilla,
ha reso fin d’ora possibile un miglioramento
dell’assistenza ai malati ed agli utenti dell’ospedale stesso e mi confida che le prossime
sfide saranno l’acquisto dell’apparecchiatura
per la risonanza magnetica, l’istallazione di
condizionatori d’aria nel pronto soccorso e
degli apparecchi TV nelle sale di attesa nei
vari reparti, oltre il completamento dell’arredo delle camerette (costo di un solo letto €
830,00 più IVA !!).
Tutti questi miglioramenti possono scongiurare la chiusura o il ridimensionamento del
nostro ospedale, attorno al quale ruotano
ben tredici comuni che, perciò, dovranno
essere coinvolti.
Una mano al tuo ospedale continuerà a
lavorare per raggiungere sempre importanti
obiettivi grazie alla solidarietà delle aziende,
delle istituzioni, delle attività economiche e
di tutti i cittadini.
La sede è a Civita Castellana Piazza Matteotti
n. 26, nei locali gentilmente concessi da Sua
Eccellenza Mons. Divo Zadi Vescovo e aperta nel pomeriggio dalle ore 18 alle ore 20 ,
Tel. 0761.513273. Auguriamo tutto il meglio
ad Una mano al tuo ospedale e ringraziamo il suo vicepresidente Carlo Drogo.
22
...continua da pag. 9
Con “OSSESSIONE” ……..la “Stella” accentua la
sua emissione ; un brano di presa ,che si “infila”
nelle circonvoluzioni cerebrali , con un riff iniziale di chitarra ben affilato ,la successiva entrata
dell’ugola, dal tono graffiante, di Mr .Minerba ,
emittente di un immaginario arco vocale in dissolvenza sull’entrata della “cavalcata forsennata “
che caratterizza l’intero brano ,
chitarre a sostegno ritmico ,
tastiere a diffondere profondità
,batteria e basso
a pieni giri
…….visualizzo, come fosse un
video clip , un Tony Minerba
,capelli al vento ,abile “surfer spaziale” , intento a virare stretto e a
dribblare asteroidi : bella discesa….. sonora ! Seguono “UOMINI”
, un brano dall’avvio lento e severo , dalla sofferta introduzione
della parte vocale , che ,a breve,
decolla ed è , al solito , sospinto da tutta la “mercanzia creativa multitempo ” strutturata dalla
“formazione Lucana” ! Un apertura affidata al
piano –chitarra e voce, un’atmosfera tesa ,in crescendo , segna l’avvio della penultima traccia ,
“SALITA” . Conclude la prima fatica di ALGOL 3,
una nostalgica ,intensa,minimale ballad , piano e
voce , “JANNEY “ , dedicata a una “LEI” persasi
nelle orbite del “pianeta droga” . Di seguito all’uscita de “IL SUONO ” aumentano le occasioni per
ascoltare dal vivo la band ma si inseriscono
situazioni di crisi a destabilizzare la line-up che
sarà soggetta a degli avvicendamenti . La vigilia
delle registrazioni del secondo capitolo musicale di
ALGOL 3 , si presenta , pertanto , inquieta
.Tuttavia , in pochi giorni ,tra settembre e ottobre
del 2004, i ragazzi risolvono i loro problemi di for-
L’Angolo misterioso
Nella foto sopra è riprodotta una via
di Civita Castellana. I primi tre che la
identificheranno e ne daranno comunicazione in redazione, avranno diritto a ricevere un premio offerto dalla
Vinicola Mancini
Via M.Masci,19
Civita Castellana (VT)
T.0761.513182 Ab.T.0761.517601
Campo de’ fiori
mazione e si chiudono in studio per effettuare le
sessions di registrazione di quello che sarà il nuovo
cd dal titolo “EMOTIVAMENTE” …… sempre
all’insegna di un’autoproduzione e autofinanziamento. La realizzazione che ne consegue , conferma ed amplia i motivi di interesse del loro progetto musicale .Cinque brani ,30 minuti di “nuove
emissioni” , che stigmatizzano la qualità dell’esecuzione strumentale , le capacità canore di Tony
Minerba , la meticolosità profusa
negli arrangiamenti, gli influssi di
generi già avvertiti nel “SUONO”
, la descrizione di melodie a
“presa rapida” che consentono
un più facile approccio anche da
parte di un pubblico a “ gradazione
metallica moderata ” ma
voglioso di “sollecitazioni sonore”
dalla dinamica più ardita e di classe ….. testi ….. da “gente con la
testa” che,come nel precedente cd
testimoniano un impegno della
scrittura da parte di Tony Minerba , verso i territori del disagio e del malessere sociale ,con racconti
“sui generis” o riferibili a situazioni “vicine” . Come
diceva SENECA …”non c’è una via facile dalla terra
alle stelle” ……. ma i ragazzi di ALGOL 3 hanno
piazzato ,con la loro “sporca dozzina di brani” ,
degli ottimi catarifrangenti ai bordi della “long
way to the top” !
Formazione attuale : Tony Minerba : voce.
Gianluca Quinto : chitarre. Marco Santarcangelo :
basso. Ivano Greco : tastiere
Marcantonio Quinto: batteria
Per contatti : belf [email protected]
Cd pubblicati :
“IL SUONO” – 2003 (autoproduzione)
“EMOTIVAMENTE” – 2005 (autoproduzione)
Pillole di sapienza popolare
Perché si dice: “…consolarsi con l’aglietto” ?
Questo detto è di chiaro
stampo contadino e…le sue
origini sono da ricercarsi
nel medioevo, quando
peste e carestie scandivano
il trascorrere del tempo.
Alle porte dell’anno mille, i popoli italici
vivevano per lo più di pastorizia ed agricoltura e non era raro vedere i raccolti
devastati dalle intemperie o dalle feroci
scorribande dei predoni, molto frequenti
in quel periodo.
I contadini, a causa della loro naturale
vulnerabilità, erano i primi a pagare le
conseguenze di questa “epoca buia” e,
spesso, ridotti alla miseria, non avevano
nulla da mangiare. Gli unici prodotti di
cui la terra non risultava essere avara,
erano il grano, da cui ricavavano il pane
e l’aglio, pianta molto resistente alle
condizioni meteorologiche estreme.
Questa povera gente, spesso, per rendere gustoso quel pane che non lasciava
tracce del suo sapore nei palati affamati, usava strofinarlo con dell’aglio.
In questo modo sembrava di mangiare
qualcosa di “diverso”. Anche oggi questo
detto indica il rassegnarsi ad una disgrazia pensando che sarebbe potuto andare peggio.
Dott. Ing. Erminio Quadraroli
Campo de’ fiori
23
Cari amici
la storia di Noel si arricchisce sempre più di nuove avventure.
Conservate gli inserti e... buona lettura
dai vostri Cecilia e Federico
Soggetto e testo: Sandro Anselmi
continua sul prossimo numero ... ...
Campo de’ fiori
24
Due grandi scienziati italiani
di origine civitonica
Gli studi pionieristici
nel settore della farmacologia in Italia
devono molto a due
illustri figli di Civita
C a s t e l l a n a :
Giuseppe
Colasanti ed Attilio
Bonanni. Il primo è
a cura del
stato uno scienziato
Prof. Michele Abate
di chiara fama, un
grande studioso e ricercatore, un docente
universitario di prestigio, il fondatore e il
Direttore dell’Istituto di Farmacologia
Sperimentale dell’Università di Roma. Il
secondo, prima di diventare anche lui uno
studioso e un ricercatore di notevole rilievo e un prestigioso docente universitario,
è stato un’allievo tra i più promettenti di
Giuseppe Colasanti.
Ma Attilio Bonanni, oltre ad essere un suo
validissimo allievo, era anche un suo concittadino, provenendo come il suo maestro
da quella stessa terra falisca. Giuseppe
Colasanti fu anche il fondatore della rivista
“Archivio di Farmacologia Sperimentale “
sulla quale pubblicò un numero altissimo
di studi, sia suoi quanto dei suoi allievi, tra
i quali figurava per l’appunto quel brillante
giovane originario come lui di Civita
Castellana. Di quest’ultimo, a differenza
del suo maestro, forse tra i civitonici c’è un
qualche ricordo maggiore, in quanto sulla
Piazza del Duomo, in pieno centro storico,
si affaccia Palazzo Bonanni, mentre una
strada, situata in una delle primissime
zone di espansione urbana, porta da oltre
mezzo secolo il suo nome. Invece di
Giuseppe Colasanti i civitonici, con tutta
probabilità, hanno un ricordo più sbiadito
o, addirittura fino a qualche tempo fa, nessun ricordo . Infatti, se non fosse stato per
un suo profilo biografico, scritto dal dottore Valerio Conti di recente per il grande
pubblico e perché alcune Scuole Superiori
di Civita Castellana sono state a lui dedicate, quasi sicuramente la grande maggioranza dei civitonici avrebbe continuato ad
ignorare l’esistenza di questo suo illustre
concittadino. Per tali ragioni, pertanto,
vediamo di tracciare un breve profilo di
questo, in parte, ancora sconosciuto
Giuseppe Colasanti, mentre di Attilio
Bonanni, ne parla, in questo stesso numero, il Prof. Arch. Enea Cisbani.
Giuseppe Colasanti vide i suoi natali a
Civita Castellana il 20 Gennaio 1846. Ad
appena ventidue anni si laureò in medicina e chirurgia ed iniziò subito con successo la sua attività medica, diventando presto aiuto in ambito ospedaliero. Nel 1871,
a soli venticinque anni, divenne assistente
di Anatomia Umana. Dal 1874 al 1880 fu
assistente di Fisiologia Comparata sotto la
direzione del Professor Francesco Boll che
divenne suo grande estimatore ed amico.
Come sottolinea Valerio Conti nel suo interessante profilo biografico del grande
scienziato, “la sua vera passione era la
ricerca scientifica e in particolare gli studi
biologici”. Infatti, fu proprio in questo
campo che acquistò una grande fama non
solo in Italia ma anche all’estero. La farmacologia sperimentale compì grandi
passi in avanti dalla metà dell’Ottocento ai
primi decenni del Novecento. Non a caso,
questo era il periodo in cui egli perfezionò
i suoi studi e si impegnò a fondo in ricerche e attività di alto livello scientifico.
Soggiornò per diversi anni a Vienna, a
Bonn ed a Strasburgo e la sua opera ed i
suoi studi ben presto, nel settore della farmacologia sperimentale, si rivelarono di
grande importanza.
Notevole fu l’attività di studio e di ricerca
compiuta a Strasburgo nei suoi due anni di
permanenza
presso
l’Istituto
di
Farmacologia Sperimentale, nel quale fu a
lungo direttore il grande scienziato e ricercatore Osvald Schmiedeberg.
Qui venivano studiosi da tutto il mondo e
quando ritornavano nelle sedi di loro
appartenenza, vi portavano i risultati preziosi delle sue idee e delle sue intuizioni.
Tra questi c’era Giuseppe Colasanti che,
attraverso i suoi studi sperimentali e le sue
ricerche, ben presto divenne famoso nel
mondo scientifico a livello internazionale.
Indubbiamente, la sua permanenza a
Strasburgo fu decisiva per i suoi lavori di
ricerca. Tra questi grande risonanza ebbe
la sua scoperta della formazione dell’acido
urico nell’organismo umano. Quando rientrò in Italia Giuseppe Colasanti diventò
Giuseppe Colasanti
Professore Ordinario di Fisiologia e
Farmacologia a Camerino e, successivamente, primo Professore Straordinario di
Biochimica, allora denominata “Chimica
Fisiologica”, una cattedra nuova ma rilevante che tenne per oltre un decennio.
Tutte le sue ricerche furono originali e
creative e segnarono una tappa importante nell’evoluzione della scienza farmacologica. Grande suo merito fu quello di sperimentare i nuovi farmaci di sintesi con
metodologia moderna. Nel 1900 veniva
chiamato ad inaugurare l’anno accademico
all’Università di Roma, privilegio riservato
solo ai professori più famosi ed illustri.
Questo stava a dimostrare gli alti traguardi raggiunti come scienziato.
Giuseppe Colasanti morì a Roma il 2
Gennaio 1903 e lasciò tutti i suoi beni ai
giovani ricercatori dell’Istituto da lui fondato e diretto per poter continuare gli
studi da lui iniziati. Giuseppe Colasanti
nutrì un grande affetto per Civita
Castellana, la sua città natale dove ritornava nei momenti liberi dai suoi tanti
impegni di studio, ricerca ed insegnamento. A volte vi veniva in compagnia di
quell’Attilio Bonanni, anche lui originario di
Civita Castellana, suo allievo di grandi
capacità e talento che – a sua volta – sarà
un notevole ricercatore e un apprezzato
docente universitario, nonché maestro di
Pietro Di Mattei, scomparso nel 1994 all’età di novantotto anni, un altro grande
scienziato nel campo della farmacologia in
Italia.
Campo de’ fiori
25
L’angolo ... cin cin
..continua dal n. 19 di Campo de’ fiori
Sangiovese di Aprilia Questo vino è un
caratteristico “rosato” della zona Pontina che
deriva da uve Sangiovese per il 95%, con
piccole aggiunte di vitigni complementari
locali.
La zona di produzione comprende l’intero
territorio di Aprilia e, in parte, di Cisterna,
Latina e Nettuno. Nel bicchiere il vino si presenta di colore rosato limpido, l’odore è
caratteristico dell’uva Sangiovese, il sapore è
secco ma alcolico e di buon corpo. E’ un vino
assai duttile, largamente usato, da tutto
pasto. E’ consigliabile in particolare sugli
antipasti anche robusti e sulle minestre in
brodo o asciutte, ma va anche sul pesce in
umido, oppure sui fritti di mare.
Trebbiano di Aprilia Questo piacevole
bianco completa la triade dei vini di Aprilia. Si
ottiene da uve Trebbiano Toscano e
Trebbiano Toscano Giallo, più altre qualità di
uve minori. Al bicchiere si presenta di
colore giallo paglierino piuttosto scarico, l’odore vinoso è caratteristico del
trebbiano laziale. Al gusto è delicato,
armonico e alcolico, tendente talvolta
all’amabile. E’ indicato con i frutti di
mare e le insalate di pesce, con le
zuppe di pesce, le uova e le omelettes;
si adatta inoltre alle minestre asciutte
non troppo salate.
Castelli Romani Ci troviamo nella
zona attorno a Roma e parte della provincia di Latina.
Questi vini incarnano la tipica produzione di queste zone che ci regalano vini
piacevoli e freschi. Le tipologie che
possiamo trovare sono i Castelli
Romani Bianco, Rosso e Rosato,
l’Amabile e il Frizzante, che servono per
esaltare al meglio le doti del vino semplice e serbevole, con profumi fruttati
abbinati quindi, a preparazioni di cucina locale, magari durante una spensierata gita fuori porta con l’occhio che si
perde tra le bellezze dei Castelli
Romani.
Colli Albani Ci troviamo in provincia di
Roma. Le tipologie sono Secco,
Abboccato, Amabile, Dolce, Novello,
di Letizia Chilelli
Spumante e Superiore. Quindi come vediamo
la produzione avviene su larga scala. Al bicchiere si presenta di colore giallo paglierino,
al naso è poco intenso e fruttato, con gusto
fresco, poco caldo e debole di corpo. Lo possiamo abbinare ad antipasti di mare, fritto
misto e lumache di San Giovanni.
Colli Lanugini La zona di produzione comprende il comune di Genzano e parte di
Lanuvio in provincia di Roma. Le tipologie
sono Secco o Amabile e Superiore.
Il colore è giallo paglierino, intenso e fruttato. Al gusto è fresco, di buona struttura che
lascia sul finale un retrogusto ammandorlato
che lo rende adatto ad abbinamenti con
primi piatti della cucina di mare, verdure e
pesci di lago o a ravvivare la colorata e famosa festa dell’Infiorata.
Frascati La zona comprende il comune di
Frascati e zone limitrofe, tutte in provincia di
Roma.
Questo vino è tra i più famosi del mondo ed
è stato rivalutato negli ultimi anni. Ha un
colore giallo paglierino più o meno intenso
con sfumature dorate.
Al naso è fruttato e floreale. Al palato è equilibrato con note di freschezza, discreta struttura ed adeguata persistenza gusto olfattiva.
Si abbina a piatti della cucina locale.
Marino Si produce a Marino, Castel
Gandolfo e Roma. Questo vino è famoso poiché durante la festa dell’uva che si tiene proprio a Marino, la prima Domenica di Ottobre,
esce dalla Fontana dei Mori come se fosse
acqua.
Al bicchiere si presenta di un colore giallo
paglierino, al naso mostra profumo poco
intenso, floreale e fruttato. Al palato è abbastanza fresco, poco caldo e di media struttura. Si abbina ai carciofi alla giudia, filetti di
baccalà fritti e crostini con provatura e alici.
Velletri Ci troviamo nei comuni in provincia
di Roma e di Latina.
In questa denominazione si trova il Rosso più
importante delle zone dei Castelli Romani,
ottenuto da Sangiovese e Montepulciano. Il
colore è rosso rubino, tendente al
granato nel tipo Riserva, con profumo intenso e fruttato che con l’invecchiamento raggiunge note speziate.
Al gusto è secco, caldo e abbastanza
tannico e di corpo, con una lunga
persistenza gusto olfattiva.
Il Velletri Rosso si abbina con salumi
MELONE GOLOSONE
vari, abbacchio e capretto, sia al
forno che brodettati e fegatelli di
Quando il caldo è opprimente,
maiale.
mangia frutta per il corpo e per la mente.
Il Velletri Bianco ha scarsa personaliE per renderla più gradita,
tà con profumo poco intenso, floreanoi gli diamo una condita.
le e fruttato. Il gusto è fresco, poco
Or ora un melone affetta,
caldo, di medio corpo che rende quee puliscilo senza fretta.
sto vino gradevole in abbinamento a
In un frullatore mettilo a dadini,
minestre di verdura, carciofi alla mataggiungi di marsala pochi cucchiaini.
tuccela e zucchine ripiene. Come ho
Unisci del latte e ghiaccio senza abbondare,
detto all’inizio del nostro incontro,
metti due fragole e inizia a frullare.
elencare tutti i vini è impossibile,
Dopo che qualche minuto è passato,
spero però di avervi dato dei buoni
versa in un bicchiere tutto il preparato.
suggerimenti per andare alla scoperta di queste meravigliose bottiglie e
Tu sei rapito dal suo odore,
perché nò, di “sperimentare” tutti i
prova a sorseggiare e sentirai che sapore!
vini che sa offrirci la nostra regione.
Ora che lo stomaco è allietato e pieno,
(per la descrizione dei vini, bibliograchiudi gli occhietti e dormi sereno.
fia: “Il Vino Italiano” Edizioni
Associazione Italiana Sommelier”)
Dott. Ing. Erminio Qaudraroli
Associazione Accademia Internazionale D’Italia (A.I.D.I.)
www.campodefiori.biz www.campodefiorionline.it
www.accademiainternazionaleditalia.it
ATTENZIONE
ci è stato segnalato, da alcuni operatori commerciali di essere stati
contattati per l’inserzione pubblicitaria delle loro attività su Campo
dè fiori, da persone a noi sconosciute. Comunichiamo pertanto che le
persone incaricate a qualsiasi titolo, da Campo dè fiori, dovranno
essere munite di autorizzazione su carta intestata, debitamente firmata dal direttore e contenente i dati anagrafici dell’incaricato stesso.
L’incaricato dovra inoltre esibire un documento di riconoscimento.
Campo dè fiori
è la più grande vetrina per i tuoi
affari. La pubblicità su Campo dè
fiori arriva e “porta bene” ed entra
nelle case di milioni di lettori.
TEL. 0761/513117
[email protected]
Sede, Direzione e Redazione: Piazza della Liberazione n° 2 - 01033 Civita Castellana (VT)
28
Campo de’ fiori
La depressione post partum
Centro di Diagnosi e Terapia Neuropsichiatrica,
Psicologica, Logopedica, Psicopedagogica
Via T.Tasso 6/a - Civita Castellana (VT)
Tel. 0761.517522
Nel vissuto di una
donna la maternità è un evento di
enorme portata
psicoaffettiva, dal
momento che in
maniera permanente modifica la
sua vita aumentandone
le
responsabilità
a cura della Dott.ssa
(Cox,1996)
e
Emilia Grassetti
comporta grandi
Psicologa
cambiamenti dal
punto di vista fisico, emotivo e sociale. In particolare con la nascita del primo figlio, questa
fase della vita implica una revisione della propria identità e la necessità di rispondere alle
costanti richieste del neonato. Nella nostra cultura la maternità è considerata un evento esclusivamente gioioso; la madre è felice per definizione e in questo stato trova la forza per reagire ai problemi grazie all’amore verso il neonato
e il suo compagno. E le immagini della maternità che ci vengono proposte sono immagini di
madri sorridenti e riposate con in braccio un
figlio angelico. I miti della nostra cultura sulle
gioie della gravidanza perfetta hanno una forte
influenza sulle donne, creando spesso aspettative irrealistiche sul parto e sulla maternità. Le
madri che vivono questo tipo di aspettative si
sentono delle “fallite” quando sono in difficoltà
e questo facilita l’insorgere della depressione.
Nella nostra cultura non c’è una grande preparazione, né sostegno per le neomamme; in altre
culture, al contrario, il diventare madre viene
sancito anche con riti di passaggio che assicurano il sostegno sociale e rinforzano l’autostima,valorizzando lo status di genitore e dando
un riconoscimento a questa fase di transizione
della vita:il più significativo cambiamento di
ruolo che la donna vive. Perché quando nasce
un bambino, nasce anche una mamma che
necessita di sostegno e di contenimento affettivo allo stesso modo del piccolo che ha generato.
Dal momento che si vengono a trovare in un
momento molto delicato, molte donne dopo il
parto attraversano momenti di scoraggiamento
e di demoralizzazione e il 10-20% delle donne
cade nella Depressione post partum. I sintomi di quest’ultima si possono presentare fin
dalle prime settimane dopo il parto o nei 5-6
mesi successivi e la depressione pervade tutta
la giornata. Ecco che allora accudire il proprio
bambino sembra un compito immane per il
quale non si è mai sufficientemente adeguati e
ogni pianto del bambino è la conferma della
propria incapacità.
La depressione post partum si compone di una
gamma di sintomi, ai quali le madri spesso non
riescono a dare un significato, ma che trovano
opprimenti. In generale esse riportano i
seguenti sintomi: *instabilità o sbalzi emotivi *
pianti frequenti * lamentele somatiche * mancanza di energie * senso di inadeguatezza e
pensieri pessimistici * dubbi e timori circa le
capacità di prendersi cura del bambino * sentimenti ambivalenti verso di esso * senso di
colpa, autobiasimo * ansia * sentirsi prive di
valore * disturbi del sonno e dell’alimentazione
* paura dei contatti esterni,chiusura * perdita di
interesse sessuale * pensieri sulla morte e a
volte sul suicidio
sintomi che cosi vengono descritti dalle donne:
“ogni cosa ha perso il suo colore!…piangerei
sempre….agli altri interessa solo il mio bambino, non come mi sento io!…..perché mi sento
cosi male adesso che ho questo bellissimo bambino?….Sono stanca,cosi stanca, tutto quello
che faccio è una fatica…..non voglio vedere
nessuno… non voglio che nessuno mi
tocchi…sono confusa e annebbiata, sento che
sto per esplodere!”
E’ importante sottolineare la distinzione fra
Depressione post-partum, Maternity blues e
Psicosi Post-Partum, cioè gli altri due disturbi che si collocano dopo la nascita del bambino,
differenti per tipologia e gravità dei sintomi
manifestati. Il Maternity blues è la cosiddetta
“malinconia della puerpera”, un periodo transitorio e frequente: l’80% delle donne presenta
infatti una certa instabilità emotiva durante le
prime due settimane dopo il parto. Anche il
maternity blues è caratterizzato da tristezza,
crisi di pianto,stanchezza, irritabilità, ansia nei
confronti del bambino e inadeguatezza, ma la
tristezza non permane per l’intera giornata,
lasciando spazi liberi di sollievo. Il maternity
blues è del tutto fisiologico e passeggero e nel
giro di pochi giorni i sentimenti negativi passano e la donna può godere appieno della vicinanza con il suo piccolo.
La Depressione Post Partum, invece, presenta
una maggiore gravità e durata dei sintomi
depressivi tanto che la depressione può essere
riscontrata ben oltre i 12 mesi dopo il parto e va
affrontata con l’aiuto di uno specialista. La
Depressione risulta, invece, essere meno grave
della Psicosi post-partum che richiede un immediato intervento psichiatrico. La Psicosi postpartum insorge nella prima settimana dopo il
parto e risulta essere più rara:2 casi su 2000
nascite. Le donne con psicosi post-partum
hanno un umore e comportamenti gravemente
disturbati e presentano in genere confusione,
agitazione, allucinazioni, disorganizzazione
estreme e pulsioni infanticide.
Ma quali sono le cause della depressione postpartum? Che segnali fanno prevedere quali
sono le donne più a rischio?
Il modello eziopatogenetico della depressione
post-partum proposto dal professore Milgrom e
dai suoi colleghi è di tipo biopsicosociale: include infatti fattori biologici, come una predisposizione ai disturbi premestruali e marcati cambiamenti ormonali;fattori psicologici,come
esperienze familiari infantili e lo stile di coping e
i fattori sociali ,come il ruolo della relazione di
coppia e le aspettative della società. Vengono
identificati cosi numerosi fattori che entrano in
gioco contemporaneamente, rendendo più probabile l’insorgere della depressione post partum:interagiscono fra loro fattori di vulnerabilità e fattori scatenanti. I fattori di vulnerabilità che rispecchiano il fatto che alcune donne
sono più soggette di altre alla depressione post
natale, possono essere identificati in episodi
precedenti di depressione maggiore e|o nella
sindrome premestruale,nelle esperienze familiari, in eventi di vita negativi (aborti, perdita di un
genitore..), in una relazione di coppia inadeguata.
Relativamente ai fattori che scatenano, facilitano l’insorgenza della depressione post partum,questi sono di tre tipi: fattori biologici
come un improvviso e considerevole calo nei
livelli di estrogeni dopo il parto, livelli di stress
collegati a eventi difficili (quali travaglio durato
a lungo o parto cesareo, eccessive variazioni di
peso, problemi finanziari) e variabili moderatrici dello stress (sostegno sociale e abilità di
coping). E’particolarmente importante tener
presente il contributo della valutazione cognitiva ovvero della percezione e della risonanza
che si ha degli eventi di vita. I fattori socioculturali relativi alle credenze irrealistiche e ai miti
sulla maternità agiscono sulla depressione post
natale anche loro come fattori scatenanti e
aggravanti.
Una delle caratteristiche più impressionanti
della depressione post partum è l’impatto che
essa ha non solo sulla donna, ma anche su suo
figlio e sul padre. Dal momento che di fondamentale importanza risulta essere la prima relazione fra madre e bambino per il successivo sviluppo del bambino stesso, la depressione
materna interferisce con gli scambi comportamentali ed emotivi.
E’ grazie a un ambiente basato sull’affidabilità e
su un adeguato adattamento della madre ai
suoi bisogni che il figlio sviluppa un senso di sé
positivo (Winnicott, 1974;Davis e Willbridge,
1981).
Continua a pag. 51
Campo de’ fiori
29
Come eravamo
‘a tombola giù ‘n piazza
Sono passati gli anni, il consumismo e il progresso hanno ormai cambiato anche le abitudini della gente, ma ci sono alcune tradizioni, per
fortuna, che continuano imperterrite a radicarsi
anche nelle nuove generazioni. Una di queste è
l’estrazione della tombola nella piazza principale del paese durante le feste patronali. La tombola, qui a Civita Castellana è inserita da sempre nel programma dei festeggiamenti, unitamente alla processione delle reliquie dei SS
Martiri Marciano e Giovanni, alla Fiera di merci
e bestiame, ed allo spettacolo pirotecnico finale. Essa veniva estratta come da tradizione il
giorno della fiera, il 17 Settembre, giorno scelto
ad hoc, perché frequentato da una moltitudine
di gente giunta nella nostra cittadina per quell’appuntamento di acquisti, che poche volte si
potevano fare durante l’intero anno. Lo scenario è rimasto lo stesso : Piazza Matteotti , il
palco sotto il Palazzo Comunale, il cartellone di
legno con i numeri dipinti da 1 a 90, l’urna contenente le palline di legno con incise le cifre che
la mano innocente di un bambino estrarrà e
porgerà al funzionario comunale, che a sua
volta incaricherà “la voce” che avviserà il pubblico. E qui iniziano ad affiorare i ricordi: primo
fra tutti la
“voce” che per
decenni ha caratterizzato le
estrazioni delle
tombole civitoniche.
Quella possente, chiara e
argentina del
sor Umberto
Ciucani, titolare del ristorante “ Il bersagliere”, che senza microfono ,
dalla loggetta
del
comune
scandiva i numeri in un modo così originale da renderli quasi unici e vivi
nello stesso tempo. Anni addietro, circolava una
leggenda metropolitana riguardo alla sua estensione vocale: che i numeri venivano addirittura
sentiti fino giù all’Ospedale Andosilla, dove i
malati potevano seguire l’evento, anch’essi
muniti della fatidica cartella. Certamente non
c’era il traffico caotico di oggi, la gente era tutta
in piazza, e allora questa, credo, sia più che una
leggenda.Ho finora tralasciato, quasi volutamente le emozioni del momento, perché le trovate nella poesia pubblicata accanto, da me
composta in occasione della tombola del 2004,
ma permettetemi di aggiungerne altre: la caotica compilazione a mano con tanto di carta carbone delle cartelle (ora sostituita dalla carta chimica, che le copia direttamente), la spasmodica
attesa della folla, impaziente per l’estrazione
che ritarda sempre a causa di errori manuali sui
registri, consegnati in comune e riverificati, le
giocate dell’ultimo minuto, che ritardano la consegna degli stessi. Insomma è sempre stato e
sarà sempre così, perché questa è la tombola, è
una cosa viva, non è la solita, moderna lotteria,
che ti regala forse premi più ricchi ed interessanti, ma non ti fa vivere l’emozione e la rabbia
di
Alessandro Soli
tipica di chi ha mancato una cinquina o una
tombola per un numero, di chi ha urlato insieme
ai vicini di piazza, per farsi sentire di aver vinto,
prima dell’estrazione del numero successivo. E’
difficile anche per me descrivere quello che si
prova, però mi auguro che anche le nuove
generazioni, trovandosi magari per caso in un
piccolo paese, durante l’estrazione di una tombola, pensino a quanto è bello divertirsi senza
ricorrere ad un video o ad una tastiera, e comunicare la propria gioia urlando e non digitando il
freddo messaggino sull’ormai superaccessoriato
cellulare.
‘A TOMBOLA GIU’ ‘N PIAZZA
‘A tombola più che andro è ‘n’occasione
pe’ festeggià, Giovanni co’ Marciano
pe’ rivedè giù ‘n piazza le persone
qui pronte co’ ‘e cartelle ‘n mano.
‘O cartellò de legno è sempre quello,
co’ i numeri perfetti, scritti ‘n nero,
sarà ‘n po’ vecchio, ma è sempre bello,
‘o guardi fisso e pensi: io ce spero!
Poi, se ‘ncomincia, se va pe’ la cinquina:
te ‘rrabbi si te scappa quello doppo,
fai lo stesso si te scappa quello prima,
-Forza, smucìna, te pijasse ‘n corpo!
E’ stata fatta la cinquina…
ce speravi e te dispiace ‘n po’,
fiducioso guardi l’ottantina:
-Mò co’ ‘a tombola, me rifò!
Hanno fatto pure tombola, che jella,
mò c’è rimasto solo ‘o tombolino,
quasi quasi, vorresti buttà via ‘a cartella,
poi ce ripensi, e butti via ‘o stecchino.
Poi’a condanna: senti ‘no strillo de qualcuno,
‘a gente che se move da lundano,
te ‘ncazzi, perchè ‘nnavi pe’ uno,
evviva Giovanni co’ Marciano!
Alessandro Soli- 5 Settembre 2004
Album d
Campo de’ fiori
30
Anni 50-60 Giovani civitoniche in gita a Tivoli insieme a Frate Mariani
1932- Terzo Campeggio Dux anno X
foto del Sig. Oscar Ammannato
1950 civitonici in vacanza a Passoscuro
foto del sig. Bruno Fontana
Civita Castellana 23.03.1963 - foto della Sig.ra Ivana Soli
1954 Fabrica di Roma - foto della Sig.ra Lucia Gisella Bianchini
dei ricordi
Campo de’ fiori
31
32
Campo de’ fiori
parte qualche incidente
di percorso sempre in
agguato, si è cercato di curare tutto nei minimi
particolari, a partire, ad esempio, dal nome
stesso. Il termine sinfonia, infatti, indica l’insieme dei suoni che si compenetrano per formare
un’unica melodia e,
in questo caso,
vuole richiamare
metaforicamente
un insieme di persone che collaborano per un unico
obbiettivo: l’essere
solidali. Si è cercato
di coinvolgere tutti
attraverso iniziative
giornaliere come
tornei di calcetto e
ping pong, visite ad
anziani e ammalati, pranzi di solidarietà, spettacoli di animazione per i più piccoli,
oltre alle serate in musica, che hanno costituito,
tuttavia, il fulcro della festa.
I festeggiamenti hanno preso il via giovedì 23,
con la presentazione dell’ultimo cd, “La vela e il
vento”, di don Giosy Cento, che non ha potuto portare la sua graditissima presenza tra l’affezionato pubblico corchianese, per problemi
personali. A Raffaella D’Ubaldi e Massimiliano
Isidori, suoi stretti collaboratori, è toccato l’arduo compito di sostituirlo. L’affiatata coppia è
stata, senza dubbio, in grado di tener alto il suo
nome, con brillanti interpretazioni.
Ad impreziosire la manifestazione è stata la
prima rassegna del premio “Cuore d’oro
d’Etruria”, di cui sono stati insigniti numerosi
volti noti, che si adoperano da sempre ad offrire il loro aiuto ai meno fortunati. Presentatore
ferito a personaggi di un certo calibro. Il primo
a ricevere il riconoscimento, sotto gli applausi
scroscianti del pubblico, è stato Pino Ferrara,
attore e regista di varie commedie teatrali e di
film accanto ai grandi del cinema italiano:
Peppino de Filippo, Aldo Fabrizi, Antony Quinn e
da ultimo Lino Banfi nella fiction “Un medico in
famiglia”, dove grazie al ruolo di Fausto, amico
di vecchia data di nonno Libero, interpretato per
l’appunto da Banfi, è stato nominato vice nonno
d’Italia. A seguire l’attrice regista di opere teaufficiale della rassegna è stato Fabrizio
Bracconeri. Molti lo ricorderanno nei panni di
Bruno Sacchi nel telefilm italiano “La III C”, che
gli diede la popolarità. Da qualche anno, invece,
è impegnato nella trasmissione televisiva di
Rete Quattro “Forum”, accanto all’instancabile
giudice Sante Licheri. I lettori di Campo de’ fiori
lo ricorderanno per una rubrica che lui stesso
curava, qualche tempo fa, al suo interno.
Una serie di personaggi famosi si sono susseguiti nelle tre serate.
Erika del Grande fratello 5 è stata la prima
a salire sul palco per ricevere il premio e raccontare qualche curiosità sui suoi ex coinquilini.
Dopodichè la Alex’s Big Band ha concluso questa seconda serata di venerdì.
La serata di sabato invece è stata animata dalla
compagnia teatrale dell’Oratorio di Bracciano,
alle prese con il musical tratto da “Forza venite
gente”, che ha accolto largo consenso tra il pubblico. Il premio “Cuore d’oro d’Etruria”, ormai
collaudato, ha visto
protagonisti altri personaggi
famosi.
Primo fra tutti il direttore del nostro giornale
Sandro
Anselmi, accompagnato sul palco dall’inseparabile figlia
Cecilia. Secondo premiato della serata è
stato Billo, direttamente dalla trasmissione televisiva di
Teo
Mammuccari
“Mio
fratello
è
Pakistano”. A chiudere in bellezza la passerella
Anonimo italiano, famoso per la sua forte
somiglianza con Baglioni, in ottima forma, che
ha voluto ringraziare e salutare il pubblico con
due i brani cantati dal vivo.
Durante l’ultima serata “Cuore d’oro d’Etruria” è
stato affiancato da un altro prestigioso riconoscimento: “Cuore d’oro d’Italia”. A ricevere il
consueto premio, assegnato anche nelle sere
precedenti, sono stati due colleghi e amici di
Bracconeri: Marco Senise, anche lui nella trasmissione televisiva “Forum”, dove appoggia
Rita Dalla Chiesa nella conduzione e gira fra gli
spettatori a raccogliere giudizi e Fabio Ferrari,
con cui Fabrizio ha iniziato la sua carriera nel
telefilm “La III C”, dove l’attore interpretava
Chicco, compagno di classe e di avventure di
Bruno Sacchi.
Dulcis in fundo, “Cuore d’oro d’Italia”, con-
trali che spaziano dal teatro classico al teatro
contemporaneo, compagna nella vita da 19 anni
di Carlo Croccolo, Daniela Cenciotti.
E ultimo in ordine di tempo, ma non di certo di
importanza, l’attore Carlo Croccolo, che ha
fatto divertire più di due generazioni con una
miriade di film che lo hanno sempre visto protagonista a fianco di interpreti straordinari come
Totò, di cui fu anche ottimo doppiatore, Aldo
Fabrizi, Nino Taranto, Peppino de Filippo, Walter
Chiari. Tutti questi vip, incantati dalla tranquillità che si respira a Corchiano, si sono ripromessi di capitare più spesso a far visita al paese. I
corchianesi sono ben disposti ad ospitarli.
Veramente divertente, subito dopo le premiazioni, il breve spettacolo di cabaret del Mago
Alivernini, che ha fatto ridere proprio tutti, già
conosciuto da molti per la sua partecipazione in
tv con la Compagnia del Bagaglino.
Il gruppo musicale Generazione Musica, con il
concerto “Prospettive di Pace”, ha avviato la
serata conclusiva, ricca di ospiti d’onore, alla
chiusura.
Fuochi d’artificio a decretare la fine e suggellare la buona riuscita della manifestazione. Più
che soddisfatti, sono rimasti tutti gli organizzatori ed i collaboratori che si augurano di poter
ripetere ancor più brillantemente l’esperienza il
prossimo anno.
Ermelinda Benedetti
foto Giulio Bianca
4^
a
inaspettato,
giornat Unmasuccesso
sicuramente sperato, ha riscosso la
di
manifestazione
“Sinfonia di Soà
t
e
lidarietà”, che si è
i
r
a
svolta, per la prima
solid
volta, a Corchiano tra
a
n
u
il
23 e il 26 giugno,
r
pe
organizzata dal grupa po Caritas-Unitalsi,
dal parroco
sinfoni donguidato
Claudio Monarca. A
Ospiti d’onore, uniti da un
solo intento, trasformano Corchiano in una
piccola Cinecittà.
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34
Questo
mese
tratterò dell’eruzione dei primi
dentini, un traguardo significativo nello sviluppo
del bambino. La
fuoriuscita
dei
dentini del piccolo, che si chiamadella Dott.ssa Loredana
no decidui, può
Filoni
arrecare dei piccoli disagi al bebè e può quindi essere vissuta, dai genitori, con un po’ di inquietudine. Ma non c’è da drammatizzare, perché
la dentizione è un processo fisiologico. E’
normale che il bimbo manifesti dei disagi,
dovuti al dolore. Ogni bambino possiede
dei ritmi personali: i primi dentini possono
rimanere nascosti sotto le gengive per settimane, prima di spuntare, in altri casi possono fuoriuscire repentinamente senza
alcun segnale premonitore. In linea generale, il primo dentino appare fra i tre mesi
e l’anno di età, con una frequenza maggiore intorno ai cinque-sei mesi. Quando il
dentino sta per spuntare, la gengiva cambia aspetto: si gonfia ed è arrossata e, toccandola, si sente una piccola protuberanza
dura, di colore biancastro. L’irritazione è
fastidiosa per il piccolo e causa dolore, rendendolo irritabile. In questa fase il piccolo
può diventare inappetente, presentare una
salivazione abbondante che è causata da
una sensazione fastidiosa ed un senso di
prurito, dovuti allo stiramento delle mucose gengivali e sente quindi il bisogno di
Campo de’ fiori
L’angolo del bebè
La dentizione
masticare e mordere per lenire il disagio. I
dentini da latte sono 20: 4 incisivi, 2 canini, 4 molari per arcata dentaria. Si inizia
con l’eruzione degli incisivi centrali, poi
quelli laterali. Tra i dodici e diciotto mesi
spuntano i primi molari e fra i diciotto e
ventiquattro mesi i canini. La dentizione è
completa fra i ventiquattro e trenta mesi
con l’eruzione dei secondi molari. I denti si
formano già nel feto, nei primi mesi di gravidanza, e alla nascita sono già tutti presenti. Per alleviare un po’ i fastidi ci sono
diversi rimedi. Innanzitutto, in questo
periodo, è importante giocare molto con lui
e coccolarlo in modo da distrarlo un po’.
Deve inoltre avere sempre qualcosa da
mordicchiare. Si può, inoltre, massaggiare
delicatamente, le sue gengive, dopo essersi lavate molto bene le mani, oppure, in
alternativa, offrirgli un anello gengivale in
gomma, posto precedentemente in frigorifero a raffreddare, dato che la bassa temperatura ha un’azione disinfiammante. Se
è già capace di tenere in mano il cibo, possiamo dargli, d’estate, un pezzetto di anguria fresca e, in altri periodi un po’ di banana. In casi gravi si può applicare sulle gengive del piccolo, una crema od un gel dentale, da acquistare in farmacia. Questi preparati hanno il compito di anestetizzare lievemente la zona e favorirne la normalizzazione. Le cose, invece da NON FARE, in
questo periodo sono le seguenti: limitare al
massimo il consumo di zuccheri, le tisane
zuccherate ed i dolci sono quindi, nei limiti
del possibile, da evitare. Anche il miele
rosato, unguento che un tempo si spalmava sulle gengive irritate, è oggi considerato cariogeno per i denti. Per favorire la
dentizione non vi sono alimenti più indicati
di altri, l’importante è nutrire il piccolo con
buon senso ed equilibrio. Quando il bambino ha già qualche dentino, è necessario
lavarli tutti i giorni. Si può passare sui dentini e sulle gengive con una garza, sulla
quale è stato spalmato un po’ di dentifricio
per bambini. E’ utile somministrare una
certa quantità giornaliera di fluoro, in
gocce o compresse. Intorno ai tre anni,
quando la dentizione decidua è completa,
portiamo il bambino dal dentista. Prima di
portarlo, possiamo rendere l’evento meno
traumatico, giocando insieme ad esaminare le rispettive bocche. Infine, abituatelo,
quando è in grado di farlo da solo, a lavarsi i denti dopo mangiato. Il modo migliore
per iniziare, è quello di dare voi l’esempio,
lavandovi più spesso possibile i denti
davanti a lui. Certamente lui cercherà di
imitarvi facendo gli stessi movimenti e, in
questo modo, si abituerà velocemente, ad
usare lo spazzolino. Comprategliene uno
con le setole morbide ed arrotondate.
Campo de’ fiori
35
L’uomo che... “d’Amore Visse”
“C’era una volta…”
recitano le favole del
tempo che fu. Eppure
posso
raccontarne
anch’io una contemporanea, ma non
troppo.
Era il lontano 1923,
di Erminio Quadraroli l’estate bussava oramai alle porte e a
Ronciglione stava per sbocciare un fiore
meraviglioso: il 17 maggio nasceva
Francesco Marini, da tutti i ronciglionesi
ricordato come Checco.
Un uomo semplice ma di spiccati sentimenti che ha saputo coniugare il duro
lavoro con il dolce piacere di “verseggiare”.
La sua prima poesia intitolata “Ronciglione
sotto la neve”, scritta nel 1929 fu un successo. Questo componimento valse al giovane Checco un diploma e medaglia d’oro
per meriti di Avanguardista.
Sin dalla sua infanzia ebbe la gioia di dedicarsi alla scrittura, ma ben presto conobbe
il crudo significato delle parole “sopravvivenza” e “ incomprensione”.
Costretto dagli eventi a lasciare la scuola,
dopo aver conseguito il diploma di quinta
elementare, abbandonò il mondo fanciullesco fatto di divertimento e spensieratezza per iniziare a lavorare.
All’età di quindici anni lasciò la sua cara
Ronciglione e i suoi genitori, che da sempre si erano opposti alla sua passione per
Francesco Marini all’età di 16 anni
lo scrivere, per fare fortuna, insieme al fratello maggiore, nell’isola di Pantelleria. Da
questa isola così vicina all’Africa, il giovane
Francesco con cadenza giornaliera, mandava i suoi versi ai familiari.
Il tempo che inesorabile continuava il suo
corso, gli fece conoscere la fatica, il distacco dai cari, e soprattutto l’Amore nei confronti di una fanciulla a cui, per timidezza,
comunicò i suoi sentimenti solo
con fiochi sguardi e…con quasi
tutte le sue poesie di gioventù
e…non solo.
Ben presto diventò uomo, e il
suo estro creativo lo portò a
scrivere una poesia per un
caro amico: “ Il treno se ne
va”.
La fatica, il lavoro e la guerra
non indebolirono la sua passione di creare dolci versi, unico
strumento a sua disposizione
per alleviare le sofferenze.
Ritornato a Ronciglione, si
sposò con Giuseppa Anitori che
gli donò quattro gioielli:
Mauro, Bruno, Norma e
Olimpia.
Arrivò il momento della pensione e la sua
voglia di scrivere conobbe una nuova
forza, amplificata da un avvenimento
molto importante: nascosti in soffitta ritrovò dei rotoli legati con degli spaghi contenenti tutte le sue poesie, scritte nel periodo di lontananza da Ronciglione. In uno vi
era un biglietto scritto con una calligrafia
amica: “ Come vedi, ti ho conservato tutto!
Tua madre”.
Quella donna che tanto lo aveva ostacolato, l’aveva reso la persona più ricca del
mondo dimostrandogli che non era stata
lei ad opporsi alla sua passione, ma gli
eventi di quegli anni che non avrebbero
potuto regalargli una sorte migliore.
Questo fu un periodo molto felice per la
sua penna. Usando come studio un giardino e come poltrona una sedia di giunco
intrecciato,
scrisse
poesie
come
“Cormorano del Golfo” e “Un giorno” con
le quali vinse rispettivamente il “Premio
del ceppo” a Pistoia nel 1991 e il “Premio
Giacomo Leopardi” a Roma nel 1994.
Nel periodo compreso tra il 1991 e il 1998
i successi si moltiplicarono, vincendo il
“Roncio D’oro”, il “ Premio Grazia
Deledda”, il “Premio Alessandro Manzoni”
e ricevette menzioni per altri premi internazionali tedeschi e spagnoli.
Poi un giorno…quel treno sul quale purtroppo nessuno può rifiutarsi di salire,
portò via il nostro concittadino Checco che
scrisse d’Amore per la sua donna, per i
suoi cari, per la sua città natia Ronciglione
e…. d’Amore visse.
Vogliamo ricordare
Francesco Marini
riportando la sua prima poesia, scritta
all’età di 7 anni. Ad essa seguirono altre
seimila poesie circa e undici libri:
Ridon dall’alto i merli della rocca
Ormai vecchi dai suoi carnevali
Non scordano la sorte che gli tocca
Cader nel vuoto, in tempi originali
Il verno ora l’è giunto, ecco le nevi
Graziosi strati, canditi elementi
Le torri tinte da quei manti lievi
Invitano a mirar con passi lenti
Ovunque è bianco, i balconcini, i vasi
Nel freddo intenso, ormai seccati e spenti
E immacolata nel candor ti posi.
Campo de’ fiori
36
Le (dis)avventure del Sig. G.
Il Casalingo
I bambini si erano già addormentati dopo
aver scorrazzato tutto il pomeriggio in bicicletta. Il cielo conservava un barlume di chiarore, roseo, che resisteva stoico all’incedere
del buio, regalando pochi ulteriori minuti a
quella lunga giornata primaverile, calda
quanto basta per potersi definire piacevole.
Le finestre aperte lasciavano entrare il profumo del primo sfalcio d’erba dalle campagne
vicine e il silenzio nei dintorni veniva rotto, a
tratti, dallo sfrecciare delle auto che si perdeva in lontananza, o dalle grida dei ragazzini che giocavano a pallone nel cortile della
palazzina. Tra qualche minuto avrebbero trasmesso una partita di calcio che si preannunciava tiratissima. Il Signor G. guardava
distrattamente la tv allungato sul divano con
le mani incrociate dietro la nuca: la sua posizione di massimo relax. Era una bellissima
serata di maggio, di quelle che prediligeva in
modo particolare: gli ricordavano i tempi
della scuola e la spensieratezza che accompagnava le ultime interrogazioni dell’anno,
nell’imminenza delle lunghe, liberatorie,
vacanze estive. C’erano tutte le condizioni
per renderla speciale: non ne ricordava una
simile da almeno due anni a questa parte, da
quando era arrivato A., l’ultimo nato. Pensò
di mettersi le cuffie, tanto per isolarsi dal
resto del mondo e far capire all’ unica persona ancora in grado di spezzare l’idillio di quei
momenti (sua moglie), che non aveva assolutamente voglia di rinunciarci. Stava proprio,
furtivamente, infilando il cavetto alla televisione quando, dalla stanza limitrofa, una
voce sbucò da dietro una montagna di panni
spiegazzati, lamentando stancamente:“ Mah!
Certo che… una volta era diverso..... eri
diverso !” <<Porca………!>> bisbigliò G. per
non farsi sentire: gli si era gelato il sangue.
Alzò gli occhi al cielo biascicando sommessamente altre imprecazioni indicibili, ma si rendeva conto che ormai solo un miracolo poteva salvarlo da un’ incombente diatriba casalinga. Ogni tanto la Signora D. tentava di
rimettere in discussione i ruoli che si erano
andati definendo con l’evolversi delle esigenze famigliari, specialmente dopo la nascita
dei figli: d’altronde a rimetterci era stata
quasi esclusivamente lei. Il Signor G. lo sapeva bene, ma non l’avrebbe ammesso neppure sotto tortura, continuando a negare l’evidenza ogni volta che l’ argomento tornava
inevitabilmente in gioco. Usava sempre la
stessa dialettica: inizialmente la assecondava, riconoscendo le possibili difficoltà del
compito di impiegata-moglie-mamma, poi
però portava il ragionamento sulle peculiarità fisiche e caratteriali che distinguono i
sessi. Divagava tra l’ antropologico e l’adulatorio, argomentando :<< Da che mondo è
mondo sono le donne ad accudire la casa….
se non lo facessero cosa sarebbe della società, dei valori, della famiglia.....lo ha detto
anche il Papa...... >> e via dicendo. Poi la
buttava sull’esortazione, sull’incoraggiamento:<<Vedrai, tornerai in splendida forma >>
Alla fine, solitamente, concludeva il patetico
predicozzo con un perentorio richiamo al
dovere: loro (lui e i figli) avevano bisogno di
lei, non c’erano grosse alternative, bisognava
tirare dritto. Questa volta però era diverso:
non aveva proprio alcuna voglia di ricominciare la commedia, sforzandosi intimamente
di escogitare uno stratagemma qualsiasi perché le affermazioni della moglie potessero
non avere seguito. Inizialmente pensò di
non risponderle. Se voleva essere certo di
non finire a litigare (la discussione poteva
sfuggirgli di mano), se voleva che la moglie
continuasse tranquillamente a stirare i panni
(il completo buono gli serviva assolutamente
per il giorno successivo), ma anche - soprattutto - se voleva vedere in santa pace la finale di Coppa Uefa, doveva tacere. Forse.
Fare finta di niente e sperare che lei, non
ricevendo risposta, percepisse la sua ritrosia
al dialogo evitandogli ulteriori menate ? Nò,
non se la sentiva di rischiare, non poteva affidare le sorti della serata alla -presunta- perspicacia di sua moglie. Decise di prendere
tempo, il pavido, facendogli eco con un innocuo quanto ipocrita: “Che… ?!” Lei rincarò, a
voce più alta: “Una volta era diverso. Anche
tu eri diverso. Nò, anzi, per alcune cose sei
cambiato e per altre nò: ad esempio sei sempre il solito egoista. Sì, per certi versi sei
sempre lo stesso.” <<Porca………!>> impre-
di Gianni Bracci
cò nuovamente, sempre sottovoce. Era un
colpo al cuore. Un pugno nello stomaco. La
Signora D. aveva alzato il tiro e avrebbe dunque, veramente, sviscerato tutto il suo malanimo di lì a qualche minuto. G. sbirciò di sottecchi tra i panni spiegazzati per controllare
se avesse già sistemato il completo che gli
serviva: niente, non c’era ancora arrivata.
Guardò l’orologio: mancava ancora qualche
minuto all’inizio dell’incontro. C’era abbastanza tempo per una risposta che non doveva suscitare astio (altrimenti poteva scordarsi giacca e pantaloni stirati) ma, soprattutto,
non doveva dare spazio a repliche (in caso
contrario addio finale di coppa). La situazione era disperata, ma il Signor G. non si rassegnò, aggrappandosi alla pur remota possibilità di salvare la serata, rimise velocemente
in moto il cervello appannato dalla pubblicità
e chiese alla sua sagacia il meglio di sé. Capì
subito che la complicata questione non poteva risolversi solo razionalmente, ci voleva di
più: un mix esplosivo tra arguzia, creatività e
malizia. In quei pochi millesimi di secondo
nella sua mente un turbinio di parole, immagini e pensieri si arrovellarono finchè istintivamente gli scappò detto: “Anche tu sei cambiata per alcune cose e per altre no, ma ti
voglio bene proprio per questo !” Incredibile!
Neanche lui capiva bene come cavolo avesse
fatto a partorire una scempiaggine simile: gli
era venuta così, di getto, anche se, dalla reazione della moglie, capì subito che doveva
essere stata una battuta di grande effetto.
Lei non rispose continuando a ripassare meccanicamente il ferro rovente, mettendoci anzi
maggior vigore. << L’ho distrutta !>> si
disse G., sempre guardandola di traverso per
non farsi scorgere. La Signora D. era evidentemente lusingata dall’implicito complimento
che, tra le righe di quella frase, era eccezionalmente sfuggito al marito, non se lo sarebbe mai aspettato così diretto, spontaneo,
disarmante. Lo salutò prima di andare a dormire. << E’ di buon umore >>, gongolava
lui, stravaccato sul divano. Avrebbe voluto
saltare per la gioia, ma non aveva senso
farlo, per due motivi: primo, perchè aveva
solo temporaneamente segnato un punto a
suo favore; secondo, più importante, perchè
avrebbe senzaltro tradito i motivi più reconditi che sottendevano l’azzecatissima risposta. Preferì godersi beatamente quei
momenti, che comprendevano il completo
stirato per il giorno dopo e la finale di Coppa
Uefa, commentando tra sé e sè:<<Per questa volta è andata, domani chissà !>>
Campo de’ fiori
37
Anna Rita Montanari,
estetista specializzata
nella cura del corpo e
del viso, da anni
mette la propria professionalità al servizio della clientela.
Apre in questo
numero una rubrica dove troverete
piccoli consigli e
informazioni sulle
novità nel campo
dell’estetica.
L’estetica oggi
riveste un ruolo
sempre più importante. Stare
bene con se stessi, curare la propria immagine,
è il biglietto da visita con il quale ci presentiamo agli
altri. Per questo è di fondamentale importanza sentirsi bene e essere visti con un accento positivo.
Ovviamente per far si che questo avvenga c’è bisogno dell’aiuto di persone qualificate che sappiamo
sempre valorizzare la nostra immagine e che sappiano dare i giusti consigli. L’estetista è colei che sa
migliorare l’aspetto della persona che ha davanti, a
volte, con un piccolo gesto, magari cercando di valorizzare quei piccoli inestetismi, fino a farli diventare
punti di forza. Al ritorno dalle vacanze, per esempio,
l’abbronzatura perde vitalità e spesso ci ritroviamo
con il corpo squamato. Per evitare ciò c’è bisogno di
sfatare alcuni miti.
Non è assolutamente vero che lo scrub toglie l’abbronzatura, anzi, la mantiene e la rende più brillante. Dovrebbe essere fatto al ritorno, sempre con i
giusti prodotti e nel modo specifico. La cosa che
bisognerebbe sempre fare è rivolgersi a persone
qualificate che sappiano dare una risposta sensata e
concreta ai dubbi, senza incappare nei credo popolari, che nella maggior parte dei casi sono falsi. Lo
stesso discorso vale anche per le giovanissime. Non
dovrebbero mai affidarsi al prodotto pubblicizzato
che promette di risolvere ogni problema, per loro ci
sono prodotti specifici, in base al tipo di pelle.
Anche per questo dovrebbero rivolgersi a persone
esperte che, prima di consigliare un prodotto, sappiano fare un’attenta valutazione della pelle. E’
importante, in questi casi, diffidare da chi promette
un’immediata soluzione, non esiste un prodotto
miracoloso. E’ l’insieme di tante piccole cose che,
con i trattamenti, fanno si che il risultato finale sia
più vicino a ciò che la cliente si aspetta.
La pulizia, la detersione della pelle sono fondamentali, non è giusto lasciarle al caso o sotto l’azione di
prodotti non adatti. Ultimamente nel campo dell’estetica stanno cadendo molti tabù, forse perché le
donne, ma anche gli uomini, si prendono cura del
proprio benessere. La cura del viso e del corpo, finora ritenuta prerogativa delle donne, sta prendendo
piede anche fra i maschi.
Sotto l’influenza della pubblicità, anche gli uomini
hanno iniziato a rivedere il rapporto con il proprio
corpo e con il proprio aspetto. Gommages, autoabbronzanti, copriocchiaie, tinture, sono prodotti che
ormai gli uomini usano senza complessi.
Il look e l’aspetto fisico hanno molta importanza
nella società di oggi e i tabù, connessi all’idea di virilità al naturale, stanno vacillando, in particolare fra i
giovani.
Anche se i peli sono simbolo di mascolinità, quando
sono eccessivi creano un’immagine negativa sia per
gli uomini che per le donne. Oltretutto la depilazione
maschile presenta tre vantaggi da non sottovalutare:
è utile nella pratica sportiva, riduce gli odori corporei
e solletica il lato narcisistico celato in ogni uomo. In
fondo il piacersi, il sentirsi bene, è sempre stato un
punto di forza di tutte le società e culture. Il simbolo del bello e del salutare è stato presente in ogni
espressione artistica giunta fino a noi.
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Campo de’ fiori
38
CIAK SI GIRA
di Roberto Moscioni
L ’armata Brancaleone
...continua da Campo de’ fiori n. 18
“Scudiero, l’ascia...” chiedeva il cavaliere
BRANCALEONE al piccolo TACCONE in una
delle scene piu’ divertenti del film, ovvero
quella del combattimento tra Brancaleone
(V.Gasman) e il Bizantino Teofilatto dei
Leonzi (Gian Maria Volonte’) ai piedi di uno
splendito Monte Soratte. Qui si svolse uno
dei duelli più divertenti della storia del cinema, quello in cui un intero campo di grano
veniva falciato dai maldestri colpi di spada
Luigi Sangiorgi con Alfio Cantalbiano
inferti dai due duellanti, provocando anche
l’abbattimento di un povero albero di quercia, a colpi d’ascia. Come promesso nella
prima parte di questo articolo, consultabile
su “Campo de Fiori” numero 18, voglio soffermarmi su uno dei personaggi del film,
ovvero sul piccolo scudiero TACCONE, alias
LUIGI SANGIORGI, cittadino di RONCIGLIONE (VT), che venne scelto quasi per caso,
per interpretare questo ruolo. Mi sarebbe
piaciuto fargli un’intervista personalmente,
ma purtroppo non è stato possibile a causa
della sua prematura morte, avvenuta nel
da sx Luigi Sangiorgi (Taccone) - Folco Lulli
(Pecoro) - Ugo Fangareggi (Mangold) - Carlo
Pisacane (Abacuc)
1996. Cosi’ per ricordarlo ho incontrato sua
figlia CRISTINA che gentilmente mi ha concesso una piccola intervista. Arrivato all’incontro con lei ho subito notato lo stesso
sguardo profondo del piccolo “Taccone”, che
ha suscitato in me un pò di imbarazzo, poi
lei, timidamente, con gli occhi un pò arrossati dall’emozione, mi dice di essere felice
di questa intervista e che per lei, tutte le
volte che parla di suo padre, l’emozione si
rinnova; come dargli torto.
Allora Cristina, mi puoi dire come scelsero tuo padre per questo ruolo? Fu un
caso, era il 1965. Mio padre in quel periodo,
lavorava come cameriere in un ristorante
vicino al lago di Vico; un giorno, si trovò a
sua insaputa a servire al tavolo del regista
Mario Monicelli e dello scenografo Piero
Gherardi che si fermarono a mangiare in
quel ristorante, durante i sopralluoghi per il
film Brancaleone. Mio padre era un bambino molto vivace e quando nel pomeriggio,
finito di lavorare, Monicelli lo vide saltare su
un cavallo, senza l’ausilio della sella e delle
redini, ebbe la conferma che quel ragazzino
era proprio adatto per interpretare quel
ruolo. Diventò così la mascotte del film.
Dopo questo lavoro, tuo padre recitò
per altri film? No, qualche anno dopo gli
venne offerto di nuovo il ruolo dello scudiero, per il film “Brancaleone alle Crociate” ma
la cosa non andò in porto.
Ti raccontava spesso della sua esperienza di attore, oppure preferiva non
parlarne? Si, era molto orgoglioso della
sua esperienza di attore, basti pensare che
ogni qual volta trasmettevano il film in TV
lui era solito chiamare me e mia madre a
qualsiasi ora del giorno; l’importante era
sintonizzarsi sul film e raccontarci nuovamente le sue emozioni.
Tuo padre, una volta finito il film,
mantenne rapporti di amicizia con gli
altri atttori? Si, mantenne contatti soprattutto con l’attore UGO FANGARECCI che nel
film interpretava Mangold. Mi ricordo che
veniva a trovare mio padre molto spesso,
poi un giorno, arrivato qui a Ronciglione
come di consuetudine, apprese dai miei
famigliari, la notizia che il suo vecchio amico
di” ventura” Luigi (Taccone) Sangiorgi, purtroppo era morto; fu un giorno molto triste.
Mario Monicelli seppe della morte di
tuo padre? Credo di no. Inconfondibili
furono anche le musiche, firmate dal maestro Carlo Rustichelli il quale compose per
questo film uno degli inni più famosi della
storia del cinema, ovvero :BRANCA BRANCA
BRANCA...LEON LEON LEON seguito da un
forte fischio e un colpo di grancassa…
impossibile non ricordarlo. Dovete sapere
che il fischio che sentiamo nelle musiche
del film, è il fischio uscito dalla bocca di
Luigi Sangiorgi (Taccone). Voglio chiudere
questo articolo immaginando quel piccolo
gruppo di scalmanati, guidati da
Brancaleone da Norcia in sella al suo ronzino Aquilante color giallo limone, destinato
ancora oggi a vagare per sempre alla conquista di chissà quale altro feudo!!!
Chissà se un giorno udiremo ancora urlare:
.....AVANTI MIEI PRODI......
Campo de’ fiori
39
MESSAGGI
Il 5 Agosto, per la gioia di mamma Cristina
e di papà Sandro Fantini, è arrivata
CHIARA
tantissimi auguri dalle vostre famiglie e dalla
redazione di Campo de’ fiori
Tantissimi auguri
di Buon Compleanno a
Clementina Ricci
che ha compiuto
gli anni il
27 Agosto
dal marito Giancarlo,
la figlia Jessica
e da tutta la redazione
di Campo de’ fiori
Mamma Clementina e
papà Giancarlo augurano
Buon Compleanno a
Jessica Cosimo che ha
compiuto
gli anni il 14 Agosto.
Anche noi della redazione
ti facciamo tanti auguri
Tantissimi auguri ad
Alessandra Armagno che il
5 Agosto ha
compiuto gli anni.
Auguri da mamma, papà,
Luca e Roberta
e dalla redazione di
Campo de’ fiori
Sabato 6 Agosto 2005,
presso la Basilica del
Santuario della Verna,
ha dato la Sua
Professione di Fede
Suor M.Elisa Spettich.
Con gli auguri più grandi della famiglia, conoscenti ed amici
e da tutta la redazione
di Campo de’ fiori
Tanti auguri da
tutti i nipoti a
zio Ermanno
che il
2 Settembre
ha compiuto il
suo primo
mezzo secolo
di vita.
Auguri a zio
Ermanno da tutta la redazione
Tantissimi auguri a Mario Raponi e Maria
Zeppilli che l’11 Agosto hanno festeggiato 60
anni di matrimonio dai figli, il genero, la nuora, i
nipoti e dal pronipote Stefano. Auguroni da
tutta la redazione.
40
Campo de’ fiori
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Campo de’ fiori
42
La Rubrica
dei Perchè
Perchè la fuori strada jeep...si chiama jeep?
Tutti sanno che la jeep
è un mezzo di trasporto nato durante la 2°
guerra mondiale ed è
stato progettato molto
intelligentemente per
soddisfare tutte le esigenze che si possono
immaginare in un conflitto. Trasporto di soldi Arnaldo Ricci
dati, di armi, di materiale e chi più ne ha
più ne metta, insomma di tutto. Addirittura
fungeva da locomotore ferroviario con il supporto di un particolare carrello. La jeep è
stata prodotta ( durante la 2° guerra mondiale) in centinaia di migliaia di esemplari;
non si conosce la cifra esatta ma si aggira
intorno ai seicentomila! Ma veniamo alla
nostra domanda: perchè a questo mezzo è
stato dato il nome di “Jeep”? La parola jeep
non è nient’altro che la pronuncia in slang
americano della sigla composta dalle lettere
GP; se pronunciata in italiano diventerebbe
gipi.
Il dialetto civitonico l’ha poi trasformata in
gippe. Adesso cercherò di spiegare perchè si
è adottata la sigla GP.
Fino a tutti gli anni settanta si è creduto che
l’acronimo GP derivasse dalle specifiche di
produzione del mezzo, dettate dal governo
statunitense, le quali ordinavano che il
mezzo militare doveva essere prodotto per
scopi generali. Siccome in Inglese “ scopi
generali” si traduce in “ general pourpose” la
sigla GP è l’acronimo relativo.
Da studi più approfonditi, emerse invece che
le cose non stavano così. Infatti, a metà degli
anni ottanta si scoprì la verità sull’origine
della sigla in questione. Innanzitutto bisogna
premettere che la Jeep non fu costruita da
una sola casa automobilistica ma da tutte le
industrie allora di una certa consistenza e
negli USA se ne potevano già contare una
decina. Tutte le case costruttrici si dovevano
però attenere scrupolosamente alle specifiche dettate dal governo.
All’occhio inesperto le jeep della 2° guerra
sembrano tutte uguali, per gli esperti invece vi sono dei particolari che le distinguono.
Non è difficile immaginare che l’industria
automobilistica che ha prodotto più jeep sia
stata la FORD, semplicemente perchè era la
più grande negli USA. Ed è stata proprio la
Storia e Geografia
Qual’è il fiume più
lungo d’Europa?
i primi tre che la indovineranno
e ne daranno comunicazione in
redazione, riceveranno un simpatico omaggio offerto da
SAMU Informatica
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FORD che ha battezzato questo veicolo con
la sigla GP. Ma perchè GP? Siccome la
FORD costruiva veicoli per tutte le categorie
di utenti, utilizzava delle sigle per identificare
queste categorie.
La sigla era composta da due lettere, e la
lettera “G” era dedicata ad identificare i veicoli ordinati dal governo, “G” sta per GOVERNAMENT
mentre la 2° lettera indicava le specifiche
tecniche del veicolo. Il veicolo in questione
veniva identificato con una “P” ecco pèrchè
GP. Ovviamente anche le case costruttrici
minori si dovettero uniformare al nominativo
in sigla battezzato dalla FORD.
Campo de’ fiori
Omaggio ai bambini
di Beslan
Gentile redazione di Campo de’ fiori,
chi vi scrive è una mamma di quattro
bambini che si sta preparando ad
affrontare un nuovo anno scolastico
che comincerà tra un mese circa, ma
non è per questioni scolastiche che vi
scrivo.
Lo scorso anno, il primo giorno di scuola, è stato rallegrato, per quanto riguarda le
scuole elementari, da una festicciola con giocolieri e giochi
per bambini, ricordo che l’atrio
della scuola XXV
Aprile era stracolmo di bambini sovreccitati,
di genitori, di
maestre e di
animatori mascherati. In quel clima di festa, però, il
mio pensiero è volato tristemente ad
uno stesso primo giorno di scuola che
pochi giorni prima si era svolto, o
meglio si sarebbe dovuto svolgere, in
una cittadina come la nostra, con dei
bambini come i nostri, con una festa
come la nostra, ma così non è stato a
Beslan.
Quel primo giorno di scuola si è trasformato in quella strage che tutti noi,
atterriti,
abbiamo
seguito attraverso la
televisione
con immagini strazianti
di
bambini
seduti su
esplosivi,
sotto
gli
occhi dei
genitori
disperati
che li avevano accompagnati a scuola.
Come andò a finire, purtroppo, lo sappiamo tutti: fu una strage. Non vorrei
continuare a girare il coltello nella
piaga, ma non posso non ricordarmi di
quei piccoli angeli, ed è per questo che
ho scritto questa piccola poesia per
loro.
Se vorrete pubblicarla sarà un omaggio
per quei piccoli innocenti e per i loro
parenti che, in questo periodo, sicuramente ripenseranno ancor più intensamente ai lori angeli scomparsi.
43
CI VOLEVA UNA MAMMA
Ci voleva una mamma quel mattino
che ti svegliasse presto e ti stirasse il grembiulino.
Ed il profumo del dolce pronto per la maestra
perchè era il primo giorno, un giorno di festa!
Ci voleva una mamma che ti stringesse la mano
che per strada sorridesse e ti portasse piano
a ritrovare le facce dei tuoi amici sorridenti
anche loro pronti, anche loro contenti...
Ma poi tutto è cambiato, sono arrivati all’improvviso
con le armi in mano e coperti sul viso,
tutti vestiti di nero, vestiti di morte
e urlavano tutti, troppo forte.
Poi le lacrime, il caldo, la paura, il pianto
e sperare che presto finisca tutto quanto,
ma hanno portato le bombe e hanno chiuso le
porte
mentre il cuore batteva, batteva troppo forte
Non è bastata una mamma a ripararti dall’urto
mentre schegge impazzite spaccavano tutto
bloccando la vita in quell’ultimo abbraccio,
non è bastata una mamma, non è bastato il
coraggio!
Ci voleva una mamma per abbracciarli tutti
liberarli dal male, liberarli tutti
per portarli su in cielo, dove insieme agli angeli
ora giocano felici i bambini di Beslan.
F.POLEGGI
Un grazie di cuore.
F. Poleggi
Indovina l’Artista
Di lato è riportata una famosa
scultura denominata “Mosè”.
Sai dire chi l’ha scolpita? I primi
tre che indovineranno e lo
comunicheranno in redazione,
riceveranno
un
simpatico
omaggio offerto dal Centro
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44
Campo de’ fiori
Civitonici illustri
Il Prof. Attilio Bonanni (1869 - 1937)
del Prof. Arch. Enea Cisbani
Repubblica
nella I^ legislatura che ha
scritto
la
Costituzione.
Un ruolo centrale e di primo
livello spetta,
senza dubbio,
al
Prof.
Attilio Bonanni, nato a
Civita Castellana il 31 Ottobre 1869, allievo del Colasanti, insigne
scienziato
e
direttore dello
Istituto di Farmacologia di
Roma dal 1903
al 1937, anno
della sua morte, allora collocato nella vecchia sede di via
Panisperna a
Roma.
In quell’ideale Pantheon cittadino, semmai
un giorno dovesse costituirsi, tante sarebbero le personalità che hanno dato lustro
ed importanza a Civita Castellana:
Mons. Francesco Maria Tenderini, promotore nel 1739 dei restauri del Duomo dei
Cosmati, Mons. Roberto Massimiliani,
Vescovo dal 1948 al 1976 in una fase politica delle più difficili come fu il dopoguerra, il Notaio Ulderico Midossi, il Prof.
Giuseppe Colasanti, fondatore nel 1893
dell’Istituto di Farmacologia a Roma ed
Enrico Minio, Sindaco di Civita Castellana
dal 1948 al 1960 e Senatore della
Nella figura del
Prof. Bonanni è
necessario distinguere due
momenti:
quello pubblico
e cittadino vissuto a Civita
Castellana nei
momenti
di
pausa e riposo
nel suo palazzo
di Piazza del Duomo, antistante la
Cattedrale e quello scientifico, come
docente di Farmacologia Medica presso
l’Università di Roma.
Nei primi anni del novecento, insieme con
il Notaio Midossi, è una figura morale e
politica di riferimento per la vita cittadina.
In particolare durante la Prima Guerra
Mondiale, in una fase sociale cruenta e
pericolosa, seppe sempre interpretare le
istanze della popolazione e farsi portavoce
dei problemi seppur notevoli presso le
autorità governative del tempo.
Quando sempre più numerose perveniva-
no le lettere di scomparsa dei giovani civitonici nei fronti di guerra, il Prof. Bonanni
era vicino alle famiglie e a tal proposito è
necessario citare quanto scrisse alla famiglia del giovane Francesco Conti, morto a
18 anni nella I^ Guerra Mondiale: ……”la
cara e dolce immagine di Francesco
Conti sarà indelebile nella memoria
di quanti sentono la gravità dell’ora
che volge ed hanno il culto dell’ideale.
Per i suoi concittadini oramai è il simbolo di quella forte e generosa gioventù italiana che si batte per la
suprema vittoria della più alta umanità e lietamente muore con il nome
dell’Italia sulle labbra, con la fede
d’Italia nel cuore.
Nei giorni belli, che i mille e mille eroi
con romana virtù preparano, Civita
Castellana non dimenticherà Francesco Conti, la cui nobile vita tutta
dedita al dovere ed all’amore della
famiglia fu troncata il 2 Giugno sul
Grappa, il monte sacro degli italiani.”
Fu il promotore del Comitato Cittadino per
la realizzazione del monumento ai caduti
della Prima Guerra Mondiale in via
Gramsci, chiamando per la sua realizzazione tecnica ed artistica Silvio Canevari, uno
dei più importanti scultori italiani del
tempo.
Il palazzo di Piazza del Duomo, con la sua
ricca biblioteca era convegno di letterati,
scienziati ed artisti, specie in estate, quando cessata l’attività accademica, rientrava
a Civita Castellana per poi ritornare a
Roma in Ottobre.
Come scienziato, il Bonanni fu l’allievo
prediletto del Professore Giuseppe
Colasanti, nato a Civita Castellana il 20
Gennaio 1846, laureatosi a soli 22 anni in
medicina e fondatore dell’Istituto di
Farmacologia Sperimentale a Roma (vedi
articolo Prof. Michele Abate a pag.24).
Alla morte del Colasanti avvenuta nel
1903, il Prof. Bonanni ne raccolse l’eredita
tecnica e scientifica come direttore dello
istituto nella vecchia sede di Via
Panisperna prima del definitivo passaggio
alla città universitaria.
Con la sua morte, avvenuta l’ 8 Marzo
1937, Civita Castellana perse una delle sue
figure centrali e di maggior spessore, civile e culturale.
Campo de’ fiori
...continua da pag. 6
Vuole dirci qualcosa riguardo lo spettacolo “Sono stato nominato”?
Sono tre anni che punto molto sul contatto umano, sull’interagire fra le persone,
che spesso manca. Non è che voglia fare il
‘Padre Pio’ della situazione, ma, facendo
questo lavoro con successo, mi reputo un
fortunato, un privilegiato, potendo avere
questa “comunicazione” continua. Vedo
che nella vita di tutti i giorni questo contatto si è un po’ perso. Con l’avvento dei
telefonini, inizialmente, si interagiva, ora,
con la moda degli sms ci “sbarazziamo” di
tutto e di tutti. E’ come un “liberarsi” delle
cose. Poi, noi italiani, popolo molto intelligente, parliamo con la televisione! Siamo
assorbiti dalla TV in maniera allucinante.
Qualunque reality o soap-opera ‘sforni’ la
televisione, viene vista. Poi esce un tipo di
film come “Imperia”, al quale ho partecipato, ambientato nel ‘500 e fa solo quattro
milioni di spettatori. Questo sta ad indicare che la TV, fra una decina d’anni, verrà
fatta esclusivamente dalle persone a casa.
Già oggi, i telespettatori, hanno la possibilità di telefonare per far vincere o eliminare un personaggio. In un prossimo futuro
non esisteranno più autori, né sceneggiatori. L’unica trasmissione che non avrà
messaggini, né telefonate, sarà il telegiornale. Immaginatevi come tutto questo
preoccupi un’artista, perché se non rientri
in questo “calderone” e non passi da un
reality ad un altro, non puoi lavorare in
televisione. Me ne rendo conto quando
faccio le “ospitate” in TV: mi dicono che
ho tre minuti a disposizione, ma in tre
minuti neanche si fa in tempo a presentarsi! Io mi sono fatto conoscere da Costanzo
con quattro minuti a disposizione, ma in
ogni puntata avevo tre monologhi, in totale dodici minuti. Conclusione: alla gente
piace ascoltare i problemi degli altri nei
reality-show, perché chi partecipa a questi
programmi ha dei ‘problemi’, non lavora
più, è finito, la gente non và più a vedere
i suoi spettacoli. Emergono tutti i problemi
di un’artista. Quindi, ‘tanto di cappello’ al
teatro.
Ho sentito dire che parte dei suoi
guadagni vanno in beneficenza, a chi
li devolve?
Non è del tutto esatto. Io parlerei più di
uno “scambio di merci”. Io mi faccio dare
delle cose da alcune persone, senza
pagarle, e io do la mia immagine. In una
radio locale dò in prestito la mia voce per
pubblicizzare un’azienda molto conosciuta,
e con i soldi che gli dovevano, ho preso
trecento panettoni, trecento pandori, trecento chili di zucchero e caffè e li ho mandati a Rebibbia nel periodo natalizio, perché i detenuti non vengono aiutati molto.
Inoltre mi occupo di alcune associazioni
infantili alle quali dono giocattoli, pasta,
omogeneizzati. Una volta, casualmente,
ho visto che, in un magazzino, gettavano
degli alimenti per bambini sette mesi
prima della scadenza, per rinnovare gli
scaffali. Li ho presi e li ho portati a bambini bisognosi. Io sono testimonial
dell’Associazione Peter-Pan da tre anni. A
casa ho riempito un intero magazzino di
giocattoli, che mia moglie non ne può più.
A Natale li regalo ai bambini. Onestamente
devo dire che, per i piccoli, tutti sono propensi ad aiutarmi, mentre per i carcerati
no. Tutti mi hanno detto no ! Così ho colto
l’occasione della pubblicità radiofonica di
cui parlavo poco fa, per portare un po’ di
sollievo anche a chi si trova in carcere. Noi
45
artisti guadagniamo abbastanza per poterci permettere una vita agiata, toglierci
qualunque ‘sfizio’, acquistare anche due
telefonini al mese, è un’assurdità, ma è
così. Per chi queste cose non ce l’ha, per
chi viene dalla ‘strada’ come me, da una
zona un po’ particolare come Primavalle,
che trenta anni fa era invivibile, uno come
me può fare molto. Faccio queste cose
perché mi vengono naturali. Sono un fortunato, nel senso che l’ottanta per cento
dei miei amici ce l’ho ‘sotto terra’, è un’espressione brutta ma è così. Chi per AIDS,
chi si è suicidato, chi si trova in galera, chi
è stato ucciso. Io ed altri pochissimi, ci
siamo salvati! Per questo non dimentico
MAI le origini! Tutt’ora abito ancora in
periferia e tanti mi dicono “perché non ti
compri una villa fuori?” E’ vero, dico, sarà
pure più bello e rilassante, magari senti gli
uccellini cinguettare al mattino, ma io ho
visto miei colleghi isolarsi completamente
nella loro villa e ritrovarsi in un bar a dire:
“mamma mia che casino in questo bar!”
Ma se è un bar, si sa, è movimentato!
Questo ti porta a cambiare un po’. Io, a
Roma, ho persone che mi citofonano a
tutte le ore, perché sanno che vivo li, le
incontro per strada e tutto questo MI
SERVE, non potrei mai cambiare.
L’oggetto Misterioso
Vi invitiamo ad indovinare l’oggetto misterioso riprodotto nella foto di lato. I primi cinque che lo indovineranno e ne daranno
comunicazione in redazione, avranno diritto a ricevere un premio offerto dal negozio IL QUADRIFOGLIO di Foggi Antonella.
Campo de’ fiori
46
Una “Fabrica” di ricordi
storie e immagini di Fabrica di Roma
Il lago di Vico - la nostra Copacabana
no e, con la timidezza propria dei tempi e
dell’età, si guardava di nascosto il corpo
sognato delle amiche, finalmente in costume. Poi la voglia di divertirsi prendeva il
sopravvento e, rigorosamente divisi, ma
poco distanti dalle ragazze, incominciavamo a fare tuffi, piramidi umane, e poi, tutti
in cerchio, si cantavano insieme gli ultimi
successi.
Al calar del sole si rientrava rossi e bruciati, perché non si usavano ancora le creme
solari e nessuno sapeva dei raggi UV e del
buco dell’ozono, e ti portavi a casa quel
profumo di lago e lo sguardo rapito a quella ragazza che magari ti eri illuso t’avesse
notato.
Sandro Anselmi
Qualche decennio fa, la maggior parte del
tempo libero delle giornate estive si passava nel giardino dell’edificio scolastico,
quello di Viale Iannoni Sebastianini dove
c’è il monumento ai caduti. Era allora l’unico giardino del paese e lì non mancavano mai i ragazzi per parlare o giocare. La
sera poi si riempivano tutte le panchine,
ed anche quei muretti che dovevano essere stati probabilmente la base per una
recinzione mai realizzata, venivano usati
come comodi, lunghissimi sedili.
Si suonava la chitarra e si cantava ed arrivavano ragazzi anche da altri paesi, cosa
non usuale all’epoca per la scarsità di macchine o motorini disponibili. Si arrivava
sempre a far tardi infastidendo quelle persone che abitavano lì intorno e che, all’indomani, si sarebbero alzate di buon mattino per recarsi al lavoro.
Molte volte doveva intervenire personalmente il maresciallo Mario Tirittera che,
grande amico dei giovani, assisteva per un
po’ allo “spettacolo” e poi ci invitava a
smettere. Ricordo che mi chiamava poi da
parte per dirmi, in maniera scherzosa: “Se
non smetti tu, non se ne va nessuno”.
Delle storie dell’ “edificio”, dei tanti personaggi e degli amori nati e finiti, ne parlerò
ancora, ma adesso voglio ricordare i bagni
al Lago di Vico.
Non vi si poteva andare spesso perché,
quasi sempre, c’era da assolvere agli
impegni di casa, ma quando era possibile,
si organizzava magari con la Fiat 600 di
Peppe, che portava almeno sette o otto di
noi, e si partiva con le raccomandazioni dei
genitori:
“State attenti che il Lago di Vico ogni anno
si fa un amico” , e poi “Attenti ai mulinelli”, e poi ancora “Aspettate di fare il bagno
che avete mangiato adesso”. Si arrivava
con l’immancabile chitarra ed un fisico
nuovo da esibire, allenato per tutto l’inver-
Campo de’ fiori
47
a Viterbo con
Amore e Nostalgia
La “macchina” di Santa Rosa
Il 4 Settembre è
la festa di Santa
Rosa da Viterbo,
patrona
della
città e, fra tutti
gli eventi organizzati per i
giorni dei festeggiamenti, c’è
il più importante
di Sandro Anselmi
di tutti, il trasporto
della
“macchina” con la statua della Santa che si
tiene il 3 Settembre. Questa processione
di lunghissima tradizione, è una delle più
singolari, importanti e belle del mondo alla
quale hanno assistito negli anni varie personalità italiane ed estere, tra i quali anche
i Reali d’Inghilterra e di Svezia, oltre a vari
Pontefici.
La “macchina” di Santa Rosa è un’altissima
torre mobile, meravigliosa simbiosi tra arte
e tecnologia, portata rigorosamente a
spalla per tutto il centro storico dai devoti
“facchini”. Sono questi degli uomini forti e
robusti, per tradizione solo cittadini di
Viterbo e Vitorchiano che, dopo essere
stati selezionati con durissime prove di
forza e resistenza, riescono, anche con
l’aiuto della fede, a superare i limiti delle
loro possibilità. L’onore di partecipare a
questo “corpo speciale” li rende fieri ed
uno dei sogni più grandi, è quello di poter
tramandare ai loro figli il glorioso posto.
Questo sodalizio nasce secoli e secoli fa ed
ancora oggi conserva le stesse usanze e gli
stessi costumi dell’origine. Dopo la benedizione in Articulo Mortis , s’infilano di corsa
sotto il basamento della “macchina” e al
“sollevate e fermi” si issano sulle spalle un
peso non inferiore ai cinquanta chili pro
capite e così percorrono le salite e le discese del centro storico viterbese, da Porta
Romana alla chiesa di Santa Rosa. Da sottolineare l’enorme altezza e la flessibilità
della “macchina” che contribuiscono non
poco ad aumentare il carico ed il relativo
sforzo. La parte più spettacolare ed anche
la più pericolosa, è la salita che porta alla
chiesa della Patrona che viene percorsa
senza sosta e di corsa.
Enorme l’emozione degli spettatori che
sono ammassati ai piedi della salita, nel
vedere correre questa torre piena di luci,
che sembra cadergli addosso. Le spaventose oscillazioni mettono a dura prova la
progettazione e l’esecuzione dell’opera che
flette paurosamente ed
alfine la “macchina” arriva nel piazzale antistante
la chiesa con il boato dei
facchini e l’applauso scrosciante della folla.
Io nel 1957 ero proprio li,
ai piedi della salita, cercando di farmi varco fra
le teste della gente, vista
la mia bassa statura per
la giovanissima età, e
rubare quell’emozione
per sempre. Era la prima
volta che vedevo il trasporto della “macchina”
di Santa Rosa e potei
farlo perché zio Mario,
allora fidanzato con zia
Urania, era venuto in
licenza a Fabrica. Faceva
allora il carabiniere a
Montepescali, piccolissimo e bellissimo paese in
provincia di Grosseto e lì
si era fidanzato con mia
zia, tuttora sua amatissima moglie.
Io avevo passato quell’estate
proprio
a
Montepescali, ospite dei
genitori di mia zia, ed
andavamo tutti i giorni,
con il pulman, al mare a
Castiglione della Pescaia.
Tornerò a parlare di questi luoghi fantastici e di
questo periodo meraviglioso della mia vita. Il
mio viaggio di ritorno da
Montepescali aveva coinciso con l’inizio della
licenza di mio zio, così
quei giorni di Settembre
furono un’ inaspettata
appendice
alle
mie
vacanze. Mi ricordo che
eravamo andati a Viterbo dalla mattina,
per visitare la città in festa e, nel pomeriggio, c’eravamo già avvicinati a Piazza del
Teatro, per prendere i posti proprio lì in
fondo alla salita, da dove poter veder correre la “macchina”.
Alla sera venne spenta l’illuminazione pubblica ed allora, provenendo dal Corso, il
“campanile” comparve all’improvviso in
tutta la sua maestosità e lo stupore fu
enorme. La folla restò attonita e cercava
con lo sguardo in alto, la sommità della
“macchina”, per scorgere Santa Rosa.
Dopo una breve pausa, i facchini affrontarono quell’ultimo sforzo e, con l’aiuto di
corde e di spallette aggiunte, sembravano
volare con la loro Piccola Santa in cielo.
Campo de’ fiori
48
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Campo de’ fiori
49
Storia di una banda ultracentenaria
o
n
a
i
orch
continua da Campo de’ fiori n. 19...
C
Eccoci di nuovo a parlare dell’antica banda
“G. Verdi” di Corchiano, la cui storia si
perde nei ricordi. La volta scorsa, dopo
aver nominato Storaro, maestro fondatore
e il suo immediato successore Giovannetti
Baffo, mi ero fermata alle soglie del
Novecento, con la speranza di suscitare
curiosità nei più giovani e stimolare il ricordo dei più anziani. È da lì che voglio ripartire. A prendere il comando dell’ormai collaudato gruppo, fu il maestro Santini
Marcello (1867–1933), corchianese doc,
come quasi tutti i suoi successori. La sua
figura è molto sentita anche da coloro che
non l’hanno conosciuto direttamente, ma
lo ricordano come il padre di Eutizio, per
meglio dire di “Biagio, il bidello della
banda”, scomparso da poco più di due
anni e a cui tutti ripensano con grande
affetto per la sua simpatia e la sua semplicità. Contemporaneo di Santini fu il maestro Leoniddi Leonino (1876-1935). Le
parole di coloro che lo hanno conosciuto lo
ritraggono come un uomo solingo e piuttosto irascibile, ma molto colto e profondo
conoscitore di teoria musicale. Nel suo
periodo di carica compose un famoso
Valzer, che volle intitolare “Maria
Babanda”.
Tra i due, causa la contemporaneità, iniziò
subito a non scorrere buon sangue. Un
forte spirito di competizione animò le pro-
di Ermelinda Benedetti
prie carriere di direttori musicali e si trovarono più volte l’uno contro l’altro. A tale
proposito c’è un aneddoto molto curioso
che vale la pena di raccontare. Nelle loro
sfide i due non erano certo soli. Il maestro
Santini era affiancato dalle sue agguerrite
sorelle, disposte a tutto pur di difenderlo e
farlo eccellere in bravura. Schierate accanto al maestro Leoniddi le sue di sorelle,
pronte a tener testa. Quest’ultime, in
preda alla vena satirica, caratteristica dei
fescennini, non riuscirono a placare i loro
animi e composero dei versi ironici molto
pungenti, dove mettevano in ridicolo alcuni componenti del gruppo bandistico locale senza, ovviamente, dimenticarsi del
maestro Santini.
‘Ntesi un tafano e mi parea un concerto
Quello municipale di Corchiano
E Prosperoni li sonava er piatti
E la caturba la sonava Ernesto.
Figlio di Pio lo sonava ‘rbasso
Ersando amore co’ lo scallaletto.
E mo parlamo di Santini er maestro
Che più struvito di Torquato Tasso.
Lasciando da parte questi simpatici episodi, Santini e Leoniddi vanno senz’altro
ricordati per i loro insegnamenti che
hanno permesso la formazione di numero-
si allievi, grazie ai quali il prestigio della
banda aumentava di anno in anno. Tra di
loro si possono fare nomi di ottimi solisti
per mezzo dei quali, sostenuti dall’aiuto
degli altri bravi colleghi, è stato possibile
eseguire pezzi, anche d’Opera, piuttosto
difficoltosi: Crescenzi Vincenzo detto
“Cencio”, suonatore di trombone tenore e
per tanti anni capobanda; Sberna
Marcello, flicorno soprano; Leoniddi
Innocenzo, detto “Cifoletto”, suonatore di
ottavino e anche lui capobanda per diversi anni; Spiriti Olivo, detto “Lecca”, addirittura suonatore di clarinetto, chitarra e
mandolino e compositore di numerosi ballabili, giudicati dei veri gioielli.
Dalla scuola dei maestri Santini e Leoniddi,
dopo la Prima Guerra Mondiale, uscirono
altri abili e preparati allievi: Benedetti
Remo e Bigarelli Guglielmo, entrambi suonatori di flicorno basso; Piccioni Oscar,
tromba solista e Giuseppe Giustozzi, flicorno baritono solista.
Tutti seppero mantenere alto l’onore della
“G. Verdi”, fino a che intorno agli anni
Trenta, i due maestri in là con gli anni e
ammalati, a distanza di poco tempo l’uno
dall’altro, passarono a miglior vita, lasciando il gruppo orfano di un direttore. La
mancanza venne però ben presto colmata.
A rivestire la carica di nuovo direttore fu
chiamato un Missionario, Padre Giovanni
Piergentili, nativo di Corchiano. Lui, in
realtà, si occupava principalmente di organizzare spettacoli teatrali di carattere religioso, ma allo stesso tempo era un ottimo
organista, per cui capace di ricoprire quel
ruolo. Il suo lavoro in ogni caso non durò
molto poiché il suo primo dovere, quello di
missionario, lo chiamò in Terra Santa. A
quel punto Eraldo Massucci, un eccellente
pianista proveniente da Roma, decise di
prendere il posto di Padre Giovanni. Fu un
ottimo direttore e si affezionò profondamente a questo paese, tanto da dedicargli
una serie di marce e una canzone divenuta piuttosto popolare: ”Quando che si vendemmia l’uva bella”. Sotto la sua guida si
formarono numerosi altri allievi che andavano a sostituire i loro colleghi ormai
anziani o comunque ad incrementare il
numero dei musicanti: Achilli Romano,
Fiordelmondo Romolo, Spiriti Giuseppe,
Giustozzi Dario, Crescenzi Torello e
Arrincoli Biagio, per citarne solo alcuni.
Ma ci fu lo scoppio della Seconda Guerra
Mondiale e il conflitto non lasciò certo spazio alla musica!
Qui mi voglio fermare, e saprete chi fu a
rimettere in piedi tutto, dopo questa spiacevole interruzione, nella terza ed ultima
parte, sul prossimo numero.
Campo de’ fiori
‘a Carraccia
Non è certo Central
Park, dove i newyorkesi
fanno il footing mattutino, o lo splendido scenario di Villa Borghese,
presa d’assalto dai romani obesi, per smaltire
grassi e tossine, ma è
semplicemente la località
di Alessandro Soli
Carraccia di Civita
Castellana.
Personalmente ho riscoperto questo luogo
dopo tantissimi anni, spinto anch’io dalla
necessità di fare un po’ di movimento e, perché no, regalarmi un’ora di salutare relax. E’
un percorso agibile di circa 4 Km, immediatamente a ridosso del centro abitato.
Ancora in aperta campagna, una campagna
fatta di piccoli appezzamenti di terra coltivata con viti e ulivi, dove i proprietari sono via
via passati dal casaletto per gli attrezzi agricoli a piccole casette, figlie di vari condoni, o
a sobrie villette, privilegio di quanti possiedono aree più estese. Negli anni ‘60/’70 era un
percorso sterrato, polveroso nel periodo estivo e solcato da rigagnoli e pozzanghere
durante l’inverno. Ma per chi praticava atletica, come me, rimaneva pur sempre un posto
dove potersi allenare, data la mancanza di
piste ed impianti sportivi, a parte il campo
Madami, da sempre tempio del calcio. Allora
eravamo in pochi, quella zona era quasi disabitata e non recintata, e, correndo, dovevamo difenderci dai latrati minacciosi di innumerevoli cani sciolti che, vedendoci correre,
ci si avventavano contro. Ora i tempi sono
cambiati, un discreto manto di asfalto ricopre
questo anello così caratteristico, che si snoda
tra appezzamenti recintati e curati, ora l’abbaiare dei cani relega le nostre paure al di là
delle reti e dei cancelli da cui proviene. E’ un
footing, o meglio, una camminata ‘casereccia’, perché, a differenza dei cittadini di New
York, o dei nostri vicini romani, qui ci conosciamo un po’ tutti e lo scambio dei saluti
durante gli incroci, lungo il percorso, assume
un valore particolare. Infatti ecco arrivare la
casalinga mattiniera con le sue amiche,
tutte appesantite da maternità a ripetizione,
LA DEPRESSIONE POST PARTUM
... continua da pag. 28
La madre “sufficientemente buona” reagisce in
maniera sensibile ai segnali del suo bambino,
fornisce quindi uno spazio per giocare e per
comunicare in maniera creativa e un “ambiente
di contenimento” sicuro. Il bambino ha bisogno
di sentire che la sua figura di riferimento principale è stabile e affidabile e cosi, mentre il bambino con attaccamento sicuro è curioso e socialmente competente, quello con attaccamento
insicuro è ansioso. Un bambino sicuro è in
grado di esprimere la rabbia, il dolore, la gelosia, il risentimento, fiducioso di ricevere dalla
madre una risposta comprensiva. Il bambino
insicuro non ha questa fiducia, perché ha avuto
spesso esperienza di una madre incapace di
gestire i suoi stessi sentimenti negativi e che
spesso reagisce in maniera esagerata. Una
madre presa dalla sua tristezza non riesce a
rispondere in maniera pronta alle esigenze del
51
La pista di tutti
Campo de’ fiori
Periodico Sociale di
Arte. Cultura
ed Attualità edito
dall’Associazione
Accademia
Internazionale
D’Italia
(A.I.D.I.)
senza fini di lucro
Presidente
Fondatore:
Sandro Anselmi
Direttore Editoriale:
Sandro Anselmi
con problemi di cellulite non indifferenti, poi
qualche giovane che invece di camminare,
corre agile, con il suo look rigorosamente firmato e, grazie alla sua giovane età, desta
l’invidia di chi invece correre non può e
arranca trascinando il suo peso. Addirittura
non è difficile incontrare qualche amministratore comunale, al quale vorresti sempre chiedere qualcosa, ma poi ci rinunci per rispetto
al suo momento di relax e, in cuor tuo, speri
che quei movimenti che fa all’aria aperta, gli
giovino nelle decisioni che poi prenderà dietro la scrivania. Con passo lento e incerto
avanza il cardiopatico per la sua camminata curativa, l’asmatico e il silicotico,
costretti a interrompere il loro incedere per
fare le varie compensazioni. Insomma è un
mondo variegato, è un vero e proprio rito
metropolitano, è, come si dice oggi, un avvenimento cult, che è entrato nella mentalità
di noi civitonici, forse vedendo proprio le
immagini di Central Park o di Villa Borghese,
dove tutti corrono e fanno ginnastica in
modo quasi maniacale, mentre noi, frequentatori della Carraccia siamo rimasti e ci sentiamo fieri di essere “ruspanti”.
suo bambino, a instaurare un’interazione gioiosa e a stimolarlo adeguatamente.
E’ importante che la neomamma, qualora si
trovi in difficoltà, riceva insieme al suo compagno aiuto psicologico, consigli pratici e materiale educativo, in modo cosi da poter avere un
sostegno fondamentale in questo momento
estremamente delicato e per lei e per lo sviluppo del suo bambino. La neomamma deve essere guidata ad aumentare le attività piacevoli,
apprendere le abilità di comunicazione, le tecniche di rilassamento, a contrastare le convinzioni erronee e i pensieri disfunzionali e identificare punti di forza e risorse.
E’ possibile, comunque, porre quesiti relativi
agli interventi terapeutici e diagnostici e ricevere chiarimenti in proposito, scrivendo all’indirizzo e-mail [email protected] o visitando il
sito www.centroceral.com
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