Come eravamo - Campo de`fiori

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Come eravamo - Campo de`fiori
Campo de’ fiori
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SOMMARIO
Editoriale:.................................... ........2
Intervista:
Pablo e Pedro ................................ .....5
Marco Claderini Nannerini e i ludi
borgiani..................................................41
Ludovica Cenci......................................61
Collezionismo:
Collezionare Cravatte.................... ...6-7
Roma che se n’è andata:
L’osteria romana......................... . .....8-9
Suonare Suonare:
Rondellus “Sabbatum”................10-11-12
Cinema News:
Persona................................................14
Monumenti: vita, vicende, restauri:
L’arco di Costantino..............................19
Vita Cittadina.......................................53
Attualità:
Roncio d’Oro..........................................21
11° Mini Festival di Viterbo....................56
Calcata, città di Halloween....................25
Tarquinia, innaugurazione parco...........39
Alla memoria di Ivan Rossi...................57
Nasce a Vignanello l’Istituto Midossi....57
Ecologia e ambiente:
Chi produce le polveri sottili.................50
Neuropsichiatria, Psicologia,
Logopedia, Psicopedagogia:
L’abuso sessuale..................................30
Le guide di Campo de’ fiori:
Canepina..........................................22-23
Come eravamo:
Peppe Rossi - una voce, poco fa..........28
Civitonici illustri:
Arcangelo Carabelli...............................33
Info Pubblicità
Arte:
Maria Gabriella Coaccioli.......................18
Antonio Aballe........................................26
Francesca Giustini.................................27
Messaggi:.......................
34-35-36-37
Una “Fabrica” di ricordi:
Cinema Smeraldo..................................48
Il Fumetto:............................................42
L’angolo CIN CIN:................................45
Album dei ricordi.......................46-47-49
Le storie di Max:
Mina.......................................................40
Noel.......................................................52
Annunci Gratuiti.............................58-59
Selezione offerte immobiliari:............62
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Campo de’ fiori
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Caro pane
la casta degli onorevoli prìncipi
di Sandro Anselmi
Un pensionato sorpreso a rubare pane e
formaggio in un supermercato, perdonato
dal proprietario!
Questa notizia è rimbalzata su tutti i giornali e le televisioni, lasciando sgomenta
tutta quella gente che, ancora oggi, non
ha aperto gli occhi sulla situazione disastrosa in cui versa la nostra economia.
La manipolazione delle notizie trasmesse
dai mass media, per un buon novanta per
cento, svia l’attenzione del cittadino dagli
enormi problemi che affliggono oggi il
nostro paese e lo prepara ad una fine
indolore, rendendolo ignaro, quasi irresponsabile.
Il tempo è scaduto e stiamo vivendo
un momento epocale!
Le insoddisfazioni si sono cupamente
addensate e stanno oramai esplodendo!
C’è disagio, malessere, rabbia, insofferen-
za verso una classe politica logora, corrotta ed il popolo è sempre più fermamente antipolitico.
La satira è consunta, non produce più
effetti, ora occorre fare di più.
Non c’è mai stato nella storia, relativamente recente, un tale degrado, una così
evidente sperequazione sociale!
Si passa dai 242,00 Euro mensili della pensione di invalidità di un disabile, unico reddito con il quale dovrebbe vivere, agli
11.083 Euro al mese di un barbiere del
Senato, ai 19.833 Euro al mese di un
ragioniere della Camera, ai 35.000 Euro al
mese di un nostro deputato europeo, tra
stipendio, indennità aggiuntive e benefit
vari.Un dirigente prende circa 700 volte lo
stipendio di un operaio!!!
E’ l’indigenza per tanti, troppi, e la ricchezza smodata per pochi altri.
Sofferenze, sacrifici, guerre, sono solo serviti a consegnare il “bel
paese” a questi “signori”, a
questa “casta di principi”!
Sempre più persone non
arrivano alla quarta settimana. I discount fanno affari
d’oro e qualche pensionato
si è già organizzato per la
raccolta dei cartoni, per
arrotondare. Le mense della
Caritas sono sempre più
affollate ed il Banco alimentare sfama tanti altri poveretti.
Il problema è enorme e,
anche se sembra un paradosso, non è auspicabile che
questa classe politica vada a
casa in questo momento,
perché il popolo, che deve
essere legittimo detentore
di una sana democrazia,
non è pronto ed il potere
ora, andrebbe in mano ai
soli ricchi.
Non basta un Grillo a canta-
re per risolvere, anche se bisogna riconoscere che ha dimostrato, con inquietante
preoccupazione dei “prìncipi”, che si può
uscire dal circuito dell’informazione tradizionale, scavalcarla e, usando la rete libera di internet, arrivare rapidamente alle
masse.
Le sue accuse dirette, il suo linguaggio
colorito, piacciono molto, sono liberatori e
incontrano il favore incondizionato dei giovani che accorrono sempre più numerosi
alle sue adunate.
D’altronde basta leggere semplicemente
La Casta per avere idea di cosa non possa
accadere nei palazzi del potere.
Nel teatrino politico, ospiti di tutte le trasmissioni della TV serva di partito, gli onorevoli partecipanti hanno abbassato i toni
e si dichiarano, ora, tutti d’accordo a diminuire il numero di parlamentari, ridursi gli
stipendi, a rinunciare ai loro privilegi… ma
sarà vero?
Oppure sarà solo l’effetto Grillo?
Sta di fatto che nel 2006 la camera dei
Deputati costava 981.020.000 Euro, nel
2007 si è passati a 1.011.050.000 Euro e
sono previsti aumenti, nei prossimi tre
anni, del 9,2 %. Per il costo dei viaggi si è
passati dai 6.000.000 di Euro dello scorso
anno ai 7.500.000 di Euro di quest’anno.
Povera Italia sommessa e sottomessa, poveri giovani, quale futuro?
Rimando il pensiero a quel povero vecchietto che ha dovuto umiliarsi per
fame…lui, che magari ha consumato la
vita per dare un futuro migliore ai suoi figli
e che si sarà privato di tutto per arrivare a
prendere una pensione da fame… lui, che
non vuole chiedere niente a nessuno…
povero uomo come deve aver sofferto a
sentire il suo caso riportato su tutti i giornali e telegiornali!
Non t’avvilire, chissà quanti si trovano
nelle tue stesse condizioni!
Si vergognino coloro che ci hanno
ridotto così!
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Pablo e Pedro
di Sandro Alessi
La fantasia è una dote che non manca a
Nico Di Rienzo e Fabrizio Nardi,
meglio conosciuti come Pablo & Pedro,
veri dominatori dell’estate romana, che
abbiamo il piacere di incontrare proprio in
occasione della loro ultima serata, nella
suggestiva cornice della manifestazione
“All’Ombra del Colosseo”.
“Siamo molto soddisfatti perché, a partire
dal Luglio scorso, siamo stati tutti i martedì ospiti di questa splendida manifestazione riuscendo a realizzare quasi ogni sera il
tutto esaurito. La nostra comicità è stata
premiata dal pubblico che ci è stato sempre vicino. E pensare che eravamo un po’
titubanti quando l’organizzazione ci offrì
questa occasione, perché comunque sapevamo che poteva essere un rischio.
Rischiavamo di ripeterci e perciò abbiamo
improntato il nostro spettacolo, oltre che
su quello che è il nostro repertorio, anche
sull’improvvisazione, sul contatto col pubblico e con lui interagivamo creando ulteriori situazioni comiche.”
D: Ormai dal lontano 1994 il vostro repertorio è molto cambiato. Dai piccoli locali,
alla notorietà grazie al programma televisivo “Seven Show”, dove portavate in
scena numerosi personaggi e sketch, per
arrivare alle partecipazioni a “Scherzi a
parte”, “Beato fra le donne”,
“Maurizio Costanzo Show”…
R: “Siamo consapevoli che la strada è
lunga e bisogna lavorare molto per riconfermarsi anche nella prossima stagione.
Cercheremo di cambiare, di trovare nuove
cose, nuovi stimoli… Vi
anticipiamo che quest’inverno saremo a teatro
da gennaio a marzo… tre
mesi in una piccola sala,
il Teatro Testaccio, ma
molto carina ed accogliente e questo ci darà
modo di essere ancor più
vicini al nostro pubblico”
D: Sono passati tanti
anni e siete ancora insieme… le coppie scoppiano, ma voi ancora non ci
siete riusciti… qual’è il
segreto che vi tiene
uniti?
R: “Facile a dirsi: litighiamo tutti i giorni come
ogni coppia che si rispetti! …e quindi dopo aver
litigano facciamo pace e
così via tutti i giorni…”
D: Tanti programmi televisivi, piccoli e
grandi spettacoli, insomma qualche soddisfazione ve la siete tolta….
R: “Vorremmo ricordare una serata indimenticabile all’Olimpico per Papa
Woitylia… per noi romani tutto quel pubblico… stare insieme ad ospiti molto più
importanti di noi… un’emozione bellissima,
come quando, lo scorso anno siamo stati
ospiti a Osha’ di Claudio Baglioni, a
Lampedusa, un’altra esperienza meravigliosa…”
D: Uno dei vostri primi sketch era quello
in cui un contadino, tutte le volte, pensava di entrare in un club privè, ma invece
capitava sempre in un circolo
sportivo diverso: tennis, golf,
nuoto, ippica….
Cosa è cambiato
da
quei
tempi?
R: “A parte il
fatto che siamo
invecchiati….
Fabrizio
ha
perso i capelli,
ha messo la
pancia ed ha
avuto una bambina!
Devo
ammettere –
dice Nico - che
siamo maturati,
è cambiata un
pochino anche
la comicità e ci
siamo adeguati a quelli che sono i tempi.”
D: Fabrizio, se ti dico Roma che mi rispondi?
R: “Forza Roma! Siamo molto legati alla
nostra città e crediamo che la comicità
romana debba avere più spazio e crescere
anche un pochino di mentalità, perchè
abbiamo le doti per stare al passo dei
grandi comici di tutti i tempi
Insomma, crediamo nel gioco, nello scherzo, nel “rugantinaggio” romanesco… e poi
Roma rappresenta il tutto, è la famiglia, il
tifo calcistico, la mamma…”
Non sono uguali caratterialmente, Pedro
si definisce generoso, impulsivo, estroverso e permaloso, mentre Pablo è solare e
lunatico, ma li unisce la grande comicità,
che solo insieme riescono ad esprimere
con energia e generosità.
Invitiamo i nostri lettori a seguirli quest’inverno nei loro show e salutiamo i nostri
due amici con un forte abbraccio e l’augurio di ritrovarli in scena più forti e più grandi di prima.
103.900
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COLLEZIONAR
Raccolta fascinosa, stravagante, moderna ed
prerogativa di r
Fra le collezioni
esclusive, bizzarre o semplicemente curiose, non poteva
mancare quella
relativa alle cravatte, considerata fondamentale nella storia
del collezionismo ed in queldi Alfonso Tozzi
la del costume.
Gli studiosi del
settore concordano nel ritenere che fu Luigi XIV, il Re Sole,
ad “inventare” la cravatta. Il sovrano,
infatti, nella sua opera di riorganizzazione
dell’esercito, costituì, nel 1686, un reggimento di cavalleria, formato esclusivamente da mercenari croati: uomini di alta statura, valorosi, molto resistenti alle fatiche.
Dotò questi soldati
di una divisa marziale, ben curata e,
come contrassegno
innovativo, impose
una fascia di lino
bianca intorno al
collo fermata con un
nodo: emblema dell’unità militare.
I soldati combatterono con ardimento, si coprirono di
gloria nella famosa
battaglia di Steinquerke del 1692,
vinta dai Francesi
contro Guglielmo
III d’Orange ed il
re Luigi, per onorare il successo bellico dei suoi uomini,
si cinse il collo con
la fascia di lino
bianca.
Questo
episodio avrebbe
decretato la nascita ufficiale della
cravatta.
A proposito di
questa viene tramandato che, tra i
numerosi nobili cavalieri che frequentavano
la corte, figurava un certo monsieur di
Miramond “cravater” di Sua Maestà, il
quale aveva il compito di presentare quotidianamente una cesta piena di cravatte,
onde permettere al Sovrano di scegliere
quella da indossare.
Secondo un’altra versione, sostenuta dalla
giornalista Renata Molho, la cravatta
avrebbe origini ancora più antiche: sarebbe nata in Oriente e arrivata in Europa
grazie alle correnti migratorie che dalla
Mongolia, attraverso le steppe dell’Asia, la
fecero conoscere ai Daci, da cui i Romani
l’avrebbero presa a prestito, chiamandola
“focale”.
Qualunque sia l’origine, sta di fatto che la
cravatta fu considerata, nel corso dei secoli, come indumento indispensabile dell’abbigliamento maschile.
Inizialmente l’accessorio non subì modifiche
sostanziali,
solo
durante
il
Romanticismo esplose in tutto il suo splendore ed inizia ad essere considerato un
segno distintivo di eleganza, di raffinatezza, strumento di seduzione. Il
modo, poi, di annodare la
cravatta viene considerato, ancora oggi, una vera
e propria arte, sembra
addirittura che ne esistano oltre cento diversi per
poterlo fare. Eloquente,
a questo proposito, un
refrain degli anni “trenta”
che dice: “sapeva cavalcare / andare in bicicletta / ma il nodo alla cravatta / non lo sapeva
fare!”
In linea di massima, si
possono distinguere tre
tipi di cravatte: la
“lunga”, universalmente conosciuta, quella “a
farfalla”(papillon),
bianca per il frac, nera
per lo smoking, a “plastron”, senza nodo per
il tight.
Non è ben definita l’epoca in cui la cravatta
diventa oggetto di
collezione; tuttavia le
prime raccolte di cui si
ha notizia risalgono alla
fine dell’Ottocento e
si riferiscono, essenzialmente, alle cravatte reggimentali a
strisce, di colori alternati o a tinta
unica, con piccoli
fregi.
Questo tipo di collezionismo è seguito
soprattutto in Gran
Bretagna, dove ogni
reggimento reale è
contraddistinto da
cravatte con colori
diversi e particolari,
così come costituiscono anche un
segno distintivo ufficiale all’interno dei
vari club. Il più grande collezionista italiano di questo settore è Giuseppe
Sabini, il “conte” del
golf nazionale, con
oltre 200 simboli di
circoli diversi.
Con l’epoca moderna la cravatta si trasforma e domina,
spesso, in tutta la
sua
stravaganza.
Agli inizi degli anni
Quaranta si notano cravatte con soggetti
western, floreali, surreali, con pennini,
biglie, animaletti o richiamatesi all’arte primitiva africana, americana, indiana, con
pubblicità e via dicendo.
Anche il materiale con cui sono confezionate si diversifica: non solo più seta, ma
pelle, rafia, materie plastiche, raso, cotone, rayon, ecc.
Famose le cravatte americane del 19481950, con le meravigliose pin-up firmate
da Vanheusen, oggi molto ricercate dai
collezionisti e molto quotate, così come lo
sono quelle firmate da Salvador Dalì,
Veronesi, Jacchetti, Marinella, Moschino,
Anselmo Dionisio, Paolo Da Ponte, Hubert,
MacMillan, tanto per citarne alcuni.
Richiestissime le cravatte d’autore:
Hermés, Byblos, Montana, Balmain,
Pancaldi e quelle esclusive di Stefano
Ricci, autore della cravatta più costosa del
mondo, un pezzo unico valutato intorno
Campo de’ fiori
RE CRAVATTE
d elegante, eccentrica, ma sempre originale,
raffinati cultori
alle 500 mila delle vecchie
lire.
I maggiori “focalofilis” (dal
latino focale/focalis per
indicare i cultori di cravatte) sono gli americani,
seguiti dagli inglesi, i
quali riescono a trovare
“pezzi” per le loro raccolte non solo nelle numerose aste, ma in speciali negozi di Londra e di
New York. Anche il
nutrito stuolo di italiani
riesce ad approvvigionarsi presso negozietti
particolari e tiene
testa al collezionismo
internazionale.
Fra i maggiori del
nostro Paese ricordiamo Gianfranco Liverani di Ravenna, Vittorino Pia di Asti e Antonello
Grimaldi di Milano, il quale
ricerca cravatte molto lunghe.
E’ opportuno segnalare che Alberto
Moravia aveva oltre trecento cravatte e
sosteneva che “l’uomo moderno possiede
un solo accessorio che gli permette di rivelare la sua visione del mondo: la “cravatta”, mentre Luca Goldoni era convinto che
la cravatta “è la spia del nostro umore e
della nostra creatività. L’ultimo gesto di
follia che ci rimane”.
Per finire, qualche curiosità relativa alla
cravatta: quella più lunga del mondo
venne realizzata negli anni Novanta dagli
studenti dell’ Istituto Tecnico di Lilla
(Francia), misurava 195 metri e 74 cm e
venne annodata intorno al campanile del
comune.
Alla fine dell’Ottocento veniva pubblicato a
New York un particolarissimo quotidiano,
composto da un solo foglio stampato su
seta, “The World” che, al termine della lettura, poteva essere annodato al collo.
Dulcis in fundo: le Poste Croate, nel 1995,
emisero un foglietto filatelico per celebrare le grandi date della storia della cravatta.
1995 - Poste Croate
foglietto filatelico
celebrativo storia della cravatta
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Campo de’ fiori
Roma che se n’è andata: luoghi
L’OSTERIA ROMANA: un monumen
L’Osteria romana, a mio modesto e del
tutto trascurabile parere, è un luogo che,
riuscendo a trasmettere un messaggio di
cultura e buongusto, andrebbe tutelato
come fosse un monumento storico e, mentre continuano senza soluzione i troppi
discorsi sulla cucina e sui vini, è forse questa un’occasione per tentare un sia pur piccolo bilancio dell’Osteria romana che, nel
passato e ancora nel presente, comprendendo tutta una vasta gamma di locali che
vanno dalla semplice trattoria al ristorante,
costituisce uno straordinario punto di
osservazione dei costumi e delle abitudini
di questo popolo: è questa la fonte diretta
delle tradizioni più genuine.
Inizialmente in quelle Osterie, che potevano vantare almeno mezzo secolo di vita, gli
avventori andavano a bere un buon bicchiere di vino e giocare a carte.
Successivamente, bastò aggiungere un
fornello per autorizzare l’Oste ad esporre
un’insegna con la scritta Osteria con cucina.
L’Osteria romana, un luogo che da sempre
è riuscito a sedurre artisti, poeti e scrittori
ma non solo, tant’è che una semplice e
modesta Osteria, che sorgeva in prossimità del Teatro di Marcello, nel cuore del
Rione Campitelli, venne immortalata da
Wolfgang Goethe nelle sue “Romische
Elegien” e lo scrittore tedesco Hans Barth,
nell’ormai lontano 1910, dette alle stampe,
tradotta in italiano, una attenta “Guida
delle Osterie italiane da Verona a Capri”,
nella quale si soffermava, in particolare,
sulle Osterie romane, pubblicazione che,
come ricordato in altra occasione, ricevette l’incondizionata approvazione e ammirazione di Gabriele D’Annunzio.
L’Osteria romana è sempre stata il posto
d’incontro ideale per innumerevoli personalità della cultura, molte delle quali, furono costrette a separarsi a causa delle due
guerre mondiali del secolo scorso, ma,
subito dopo gli anni ‘50, puntualmente si
ritrovarono e nuovamente qui si riunirono,
sia pure nel contesto di una atmosfera
completamente sovvertita.
In quegli anni, correva il febbraio del
1958, per lodevole iniziativa di alcuni
redattori della rivista Fiera Letteraria, sorgeva il “Premio Tor Morgana”, con riferimento alla Piazza Morgana, nato con la
finalità di premiare, naturalmente in
Trattoria (quale luogo sarebbe stato più
adatto?), rappresentanti della cultura e
dell’arte, tra cui: Jean-Paul-Sartre,
Giuseppe Ungaretti, Anna Magnani,
Giacomo Manzù, Raphael Alberti, Eduardo
De Filippo e ancora Giorgio Strehler,
Severino Gazzelloni, Giorgio De Chirico.
Ti sembra poco?
In un’altra nota Osteria romana di
Trastevere, come già ricordato altrove, fa
bella mostra un ormai storico pannello
fotografico, che ritrae i “Romani della
Cisterna”, ossia i progenitori più spassosi e
maggiormente dotati fra i cosiddetti
“Romanisti”; qui siedono Trilussa e
Petrolini e ai lati, in piedi o seduti, altri noti
personaggi tra i quali spiccano Augusto
Jandolo, Ettore Voe, Ceccarius - al secolo
Giuseppe Ceccarelli - Silvio D’Amico e, fra
il poeta e l’attore, per acquisito diritto politico, Giuseppe Bottai, all’epoca Ministro,
Gerarca e Governatore di Roma.
Voglio ancora ricordare come nel 1949, in
un dopoguerra ancora ricco di fermenti e
speranze, in questa stessa Osteria si riuniva la sezione romana del “Comitato permanente per la pace”, a cui parteciparono,
tra gli altri, Pablo Picasso e Renato
Guttuso.
Vero è che, per parecchio tempo ancora, in
quei mitici locali la principale attività continuò ad essere quella originaria, ma, è pur
vero che, un po’ per volta, cominciarono
ad affermarsi le varie specializzazioni culinarie, che avrebbero in seguito contraddistinto e caratterizzato ogni singolo locale.
Nascono così le fettuccine al sugo, all’amatriciana o alla carbonara; nasce la zuppa di
pesce preparata con maestria in alcune
Osterie di Trastevere; nasce quell’impareggiabile piatto, ricompreso tra le minestre,
che è la stracciatella, da consumarsi rigorosamente dopo gli antipasti e prima delle
paste asciutte, sul quale Elio Spasiano scriveva:
“ … a fa’ la stracciatella è come un gioco /
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i, figure, personaggi
nto storico da salvaguardare
pija du’ litri e mezzo de brodino … / sbatti
quattr’ova assieme ar semolino / e ar parmiggiano … un po de noce moscata … /
mò la pila arza er bollore / sverzece tutto,
mischia e falla coce / per tre minuti boni e
hai già finito. / La stracciatella è pronta e
un bòn odore / vedrai che te risveja l’appetito … “
Nascono ancora i maccheroni alla chitarra,
l’abbacchio al forno, i saltimbocca e la trippa alla romana, la coratella con i carciofi e,
volendo qui interrompere quella che
sarebbe una troppo lunga elencazione,
non posso non citare il pollo al tegame
che, pare fosse molto gradito a Trilussa:
“ … a la gallina, povera bestiola, / j’hanno
ammazzato er pollo. Un vecchio gatto, /
che s’è trovato ar fatto, / je porta la notizia e la consola: / nun ha fiatato, nun ha
detto un’à! / Da si che monno è monno,
nessun pollo / s’è fatto tirà er collo / co’
tanta dignità … “
“ … La vedova sospira e se commove: /
Chi è stato! Er coco? Sempre quell’infame!
/ e dove me l’ha cotto? Ner tegame co’ le
patate nove … “
Ma ripercorriamo il centro storico per
ricordare come, in epoca antecedente, gli
storici sventramenti, in una Roma ancora
papalina, si nascondevano in un ammasso
di vicoli e di casupole, tra le quali si trovava qualche piccola Osteria dalle caratteri-
di Riccardo Consoli
stiche stanze affumicate e le pareti
dipinte. Non è difficile immaginare
questi tipici locali,
provvisti di tavoli
e sedie di legno,
che
ospitavano
assidui frequentatori, i quali, dopo
aver consumato il
loro pasto, si
impegnavano al
gioco delle carte o
della passatella.
E’ esistito un
tempo durante il
quale le strade
che collegavano la città ai Castelli, piuttosto che alle località dell’alto Lazio e della
vicina Umbria, erano costellate da Casali Osterie, autentici caposaldi, luoghi dove si
potevano consumare ottimi pasti e che
assolvevano anche alla funzione di locanda.
Numerose le Stazioni di Posta, storici luoghi d’incontro, passaggi obbligati, sempre
affollati da mercanti e viaggiatori, locali
che per un lunghissimo periodo hanno
mantenuto intatti l’originaria insegna, il
portone d’ingresso delle carrozze, gli anelli fissati ai muri, le cosiddette cincinelle,
alle quali venivano attaccate le briglie dei
cavalli e, in alcuni di questi locali, potevi
anche trovare un’edificante insegna con la
scritta Albergo e Osteria per cavalli, vetture e carretti, con annesso spaccio di fieno,
un distributore di quell’epoca in buona
sostanza.
Cosa rimane ai giorni nostri di questi mitici locali? Molto poco per la verità!
Nella maggior parte dei casi quelle vecchie
Osterie, i Casali e le Stazioni di Posta
hanno subito radicali trasformazioni, divenendo moderni ristoranti che, adeguatamente attrezzati, riescono a sostenere gli
assalti domenicali di centinaia di persone.
Eppure, anche ai giorni nostri, sopravvive
qualcosa di quelle che furono le vecchie e
gloriose Osterie!
La figura dell’Oste, per esempio, che, quasi
sempre coadiuvato dalla propria moglie, è
riuscito a conservare quella tradizionale
riservatezza e simpatia, che gli consente di
mantenere una misura umana, pur in
un’epoca di notevoli cambiamenti. Alla sua
persona è affidata la gestione di questi
ancora mitici locali, al cui interno egli agisce in maniera esclusiva, come una sorta
di moderno castellano, autentico e perfetto amministratore di quello che costituisce
il suo piccolo regno.
La figura dell’Oste mi riporta alla memoria
la Sora Lella, ossia la Signora Elena
Trabalza, sorella di Aldo Fabrizi, che ha
tenuto la scena per più di mezzo secolo,
occupando, per più di venticinque anni, il
pianoterra della Torre dei Caetani,
sull’Isola Tiberina, quella stessa Torre
dove, nell’anno mille, soggiornò la
Contessa Matilde di Canossa, la quale, nell’adiacente Convento di San Bartolomeo,
riuscì a proteggere i Papi Vittore III,
Dauferio di Benevento, 1086 - 1087 e
Urbano II, Ottone di Lagery, 1088 - 1089,
che non se la passavano molto bene
essendo quello un periodo ricco di antipapi.
La Sora Lella ha rappresentato un pezzo
della storia di Roma del secolo scorso,
essendo stata una delle poche persone
che, assieme al fratello Aldo, è riuscita a
farci ancora rivivere quelle atmosfere del
tutto particolari, che spero di essere riuscito a descrivere, un’aria di dignitosa convivialità, destinata ormai a scomparire.
Quale il possibile legame con la famosa
Osteria
romana
del
passato?
Probabilmente soltanto qualche tipica
Fiaschetteria dove, ancora oggi, puoi consumare alcuni piatti della trazione accompagnati naturalmente dal vino dei Castelli.
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rondelluS SaBBatum
Strumenti e voci antiche co
“Col sapor di cioccolato rende il latte
prelibato!” C’era scritto ancora così sulla
consumata etichetta di un barattolo giallo
di plastica, nascosto, insieme ad altri recipienti di forme e grandezze varie, dietro
un “muro” di cd. Era stato il contenitore di
un famoso preparato in polvere al gusto di
cioccolato ed un coniglio “cartoon-style”,
suo testimonial per stampa e tv, mi faceva
“Ok” dalla sagoma impressa sul tappo.
Esaurita, molti anni fa la prioritaria missione di contenitore alimentare, quella scatola evitò la brutta fine nel bidone della
spazzatura, grazie al suo aspetto: la forma
di un mattoncino il minimo ingombrante,
dal colore sgargiante … un giallo senz’altro
“acchiappabimbi”, un odor residuo …
ancora invitante! Era fatta! All’epoca, parliamo del 1984/5, senza troppa burocrazia,
lo riciclai come “soffitta pocket”! E mi spiego. Ho da molti anni l’abitudine di conservare piccoli oggetti, ricordi di qualche viaggio o circostanze particolari, articoli interessanti e notizie curiose … ma dove riporli? Iniziai, per caso, forse spinto da un
momento di fretta, ad utilizzare barattoli
precedentemente usati … che so … per
contenere mozzarelle, salviette igieniche,
orzo, etc … e giù ad ammonticchiarli in un
nuovo, speciale “supermercato”: gli scaffa-
li della mia libreria! Riaperti a distanza di
anni (almeno 20!), quei contenitori hanno
il fascino che per un archeologo ha un terreno sul quale condurre un’indagine stratigrafica. Così, a partire dallo “strato” più
recente, quello più prossimo all’apertura
del barattolo per intenderci, andavo a
estrarre ritaglietti di giornali, una scheda
telefonica emessa dalla compagnia dei
telefoni Belga, un frammento di ammortizzatore di un vecchio locomotore, trofeo
derivato dallo smantellamento di una stazione ferroviaria, una vertebra umana … la
settima … ricordo di studi intrapresi e naufragati in medicina, ed ancora, un glorioso
gettone telefonico dell’era del bronzo della
Sip, una moneta con foro centrale dall’estremo Oriente … un biglietto di un concerto a Roma dei Black Sabbath …
AAALT, fermate quelle mani!!! E chi
se lo ricordava di averli visti? Qui lo
“scavo” nelle profondità del barattolo si
arrestava e scattava la fase di recupero
dei ricordi, in verità lacunosi! Con qualche
contributo dal web e un “gira e rigira” fra
le mani del biglietto repertato … profumato al cioccolato, potevo esser certo che
era stata la sera del 12 dicembre del 1987,
faceva freddo e pioveva a catinelle … ma
che dico a bidoni, quando ebbi la “visione”
dei mitici BLACK SABBATH, formazione
seminale dell’hard rock, attiva dalla fine
dei ’60 ed ispiratrice di tanti e tanti gruppi
nei decenni successivi. Per la verità del
glorioso quartetto di Birmingham era
rimasto solo il chitarrista Tony Iommi e i
grandi album, gli hits della band erano
stati già abbondantemente pubblicati nel
corso degli anni ’70, dalla formazione storica che allineava oltre al già citato Iommi,
il bassista Geezer Butler, il batterista Bill
Ward e il carismatico “Mr Madman” Ozzy
Osbourne alla voce (quello per intenderci
reso arcinoto a tutti dal reality show di
MTV “The Osbournes” … ma questa è
un’altra storia, davvero trascurabile per il
nostro
“benessere”
intellettuale!).
Nonostante i “ranghi ridotti”, il sol marchio
“BLACK SABBATH” bastò per far convergere duemila o poco più spettatori (così
riporta il ben fatto “fans sito” Italiano
www.blackbloodysabbath.it nella sezione
“curiosita”) in uno sperduto ed angusto
cinema–teatro di Casal Palocco (ndr: è
una zona residenziale tra Roma e Ostia),
scelto all’ultimo momento (davvero!), da
un improvvido promoter che scorrazzava
all’epoca sulla piazza romana, come alternativa al PalaEur, in considerazione dei dati
di prevendita, economicamente insufficienti per giustificare l’impiego della più
ampia struttura Romana! Ricordo uno spostamento “biblico” effettuato con i mezzi
pubblici stazionanti nei pressi del laghetto
dell’Eur, letteralmente presi d’assalto da
una folla giustamente inferocita per l’improvviso e poco assistito cambio di programma. Una “fossa infernale” all’interno
del locale, un concerto disturbato dallo
scompiglio, all’interno e all’esterno, causato dal malumore di tutti i convenuti che,
entrati o rimasti fuori per ovvi motivi di
capienza della nuova “location” (400/500
posti), facevano i conti con forze dell’ordine allo sbaraglio, prese alla sprovvista
dalla mala piega assunta dall’evento. Nel
pesante parapiglia di quella sera, la possente musica dei Black Sabbath costituì un
rumore di fondo al vero concerto inscenato dalle sirene, dal fuggi fuggi di strada e
dal frastuono determinatosi in sala.
“Sfrega di qua, sfrega di là” il biglietto
avrebbe continuato a “parlare” e la mia
testa a rimuginare sull’appassionata “militanza hard & heavy …. vabbè metallara” in
quegli anni ‘70 ed ‘80, quando due squillanti scampanellate all’uscio di casa mi
riportarono alla realtà … era l’abituale
postino che, con fare svelto, mi sottopose
il suo blocchetto e sollecitò <una firmetta
qui … qui… e qui …. ed ecco a lei i pacchetti signore … ci vediamo …>, dileguandosi in un batter d’occhio! Ripresomi
da quella fugace apparizione del portalettere, iniziai a scartare quei pacchetti
Campo de’ fiori
11
di Carlo Cattani
onvertono i Black SaBBath!
Uomini, donne e strumenti...
tipici del Rondellus
ancora a porta aperta, tanto era stata l’attesa del loro arrivo e, il pensiero del loro
contenuto, cds “of course”, organizzò i
successivi momenti di ascolto a “porte
chiuse”! Diverse nuove “attese” per le mie
orecchie, ma su tutte aspettavo al varco
con grande curiosità mista a perplessità,
un cd particolare … moltoooo particolare:
“SABBATUM” dell’ensemble Estone
“RONDELLUS”, un’opera concepita come
un tributo del tutto … ANTICO ai grandi
Black Sabbath! 12 imprescindibili brani
dal repertorio “Sabbathiano” degli anni
’70, denudati delle loro dirompenti sonorità, delle memorabili sequenze e ritmi,
sono stati scritti “a nuovo” immaginandoli
“antichi”, come fossero stati ispirati direttamente in piena epoca medioevale e rinascimentale, con i testi “Sabbathiani” tradotti in Latino e le linee vocali quali fondamentali ponti di relazione con gli originali!
“RONDELLUS” dalla Repubblica di
Estonia, creatura musicale dei “sister &
brother” pluristrumentisti Staak, Maria e
Robert, è una formazione sorta nel 1993 e
dedita alla divulgazione della musica
cosiddetta “antica”, quella prodotta nel
medioevo e nel rinascimento. Altri validi
musicisti collaborano, dal vivo e nelle registrazioni, con gli Staak, ampliando così le
possibilità sonore e vocali, gli arrangiamenti derivanti dagli utilizzi dei diversi
affascinanti strumenti d’epoca. In quasi 15
anni di attività professionale, “RONDELLUS” vanta molti concerti, anche a livello
internazionale, e diverse produzioni discografiche, talvolta edite in collaborazione
con la radio pubblica Estone: “CARMINA
SANCTORUM”, una raccolta di musica
medioevale di autori vari, di ispirazione
sacra dedicata al culto dei Santi; “SECULAR MUSIC IN FRANCE FROM THE
XIVth-XVth CENTURY”; “SANCTUM
ROSARIUM” - canzoni sacre medioevali
ispirate alle “decine” del Santo Rosario …
e poi, nel 2003, arriva “SABBATUM”, il
tributo musicale più originale che (non) si
poteva immaginare verso i grandi rockers
BLACK SABBATH! AFFASCINANTE, tanto
che, “sic et simpliciter”, ho raggiunto
“messer” Robert Staak per comprendere
meglio la genesi del progetto “SABBATUM”. ……..
e via con le “interrogatiunculas”.
Carlo: Ciao Robert, grazie per la tua
ampia disponibilità! Vorrei far conoscere ai
lettori di CAMPO DE’ FIORI come è scaturita l’idea di realizzare un tributo alla
vostra maniera nei confronti dei grandi
Black Sabbath?
Robert: L’idea, in verità, è da attribuire al
37enne produttore e musicista Mihkel
Raud, anche lui come noi Estone … inizialmente la sua proposta ci sembrò un po’
stramba e gli chiedemmo tempo per rifletterci; in quel periodo, era il 2002, non avevamo impegni particolari e insieme al resto
dei ragazzi dei “Rondellus” riflettemmo e
maturammo la decisione di accettare la
proposta di Mihkel, che avrebbe potuto
rappresentare un’interessante opportunità
a livello internazionale per il nostro
ensemble. Devo dire che, superato lo
shock iniziale, accettammo le “intenzioni”
di Mihkel con grande entusiasmo e il
nostro preventivo giudizio di un disegno
“folle”, si trasformò in una visione sicuramente originale della musica dei Black
Sabbath! Ecco, “SABBATUM” è stato, sin
dall’inizio, concepito e perseguito come un
progetto che doveva suonare originale,
seppure sarebbe stato etichettato come
un tributo!
Carlo: Illustrami i criteri di scelta dall’ampio repertorio dei Black Sabbath, che vi
hanno portato a “stringere” l’interesse sui
12 brani del vostro cd “SABBATUM”:
quali entusiasmi nelle scelte e quali difficoltà nella loro “investitura medievale”?
Robert: Avendo tutti noi molti anni di attività musicale professionistica alle spalle,
soprattutto nel settore della musica antica,
la scelta dei brani è stata orientata da due
motivi principali: la convinzione che alcune
composizioni dei Black Sabbath erano già
musicalmente predisposte ad una reinvenzione in chiave medioevale; l’analisi
dei testi originali delle 12 canzoni selezionate; poichè si prestavano al progetto di
un “back to the middleage” … mi spiego:
le melodie di diverse canzoni dei grandi
“Sabbath” si adattano a quelle tipiche nel
XIV secolo … nel lavoro di studio del repertorio della band di Birmingham il nostro
approccio è stato come quello che normalmente abbiamo con la “musica antica”: ci
siamo avvicinati ai brani immaginandoli
reperiti da antichi manoscritti dell’epoca
medioevale e, così operando, gli arrangiamenti ci sono venuti “spontanei”…
come il lavoro normalmente effettuato nel
nostro settore musicale specifico.
continua a pag. 12.......
Maria Staak
Campo de’ fiori
12
Robert Staak
C’è da aggiungere che nelle partiture
medievali non ci sono schemi rigidi per
quanto attiene i valori delle note e il ritmo,
cosicché è lasciato ampio margine di interpretazione quando si rappresentano queste melodie … per questo motivo, inizialmente, potrebbe esserci qualche attimo di
perplessità nel riconoscere il brano originale dei “Sabbath”, cito ad esempio la versione di “Symptom of the universe”, da noi
tradotta in Latino come “Symptoma
mundi” e di “After forever”, tradotta in
“Post aeternitatem” … ma per chi volesse
controllare, la linea melodica originale …
c’è tutta! Abbiamo scritto le
partiture definitive di queste
rielaborazioni “Sabbathiane” senza definire il ritmo e
valori alle note, interpretando i brani alla maniera
dei canti Gregoriani. Per
alcune composizioni, mi
riferisco a “WAR PIGS” - la
nostra “Verres militares”,
“AFTER FOREVER” / “Post
aeternitatem” e “WHEELS
OF
CONFUSION/”Rotae
confusionis”, abbiamo aggiunto dei controcanti, composti nello stile della musica
medievale. Per altre, abbiamo introdotto alcuni strumenti d’epoca per creare la
base alla linea canora. Di
volta in volta, nell’affrontare
la progettazione dei brani,
abbiamo dibattuto sull’impiego degli strumenti e sugli
specifici arrangiamenti, perché tutto suonasse naturale
e cogliesse, comunque, l’atmosfera emanata dai testi
originali dei Black Sabbath
… ma siamo stati attenti
anche a non standardizzare i “principi della
musica antica”, per conferire particolarità
ad ognuno dei brani presi in considerazione … insomma un lavoro di fine cesello per
seguire i canoni di scrittura musicale in
voga nel XIV secolo. …. Unica eccezione al
metodo descritto è stata fatta per “SPIRAL
ARCHITECT” /”Architectus urbis caelestis”,
dove la linea canora che riprende il verso
originale è stata sostenuta da un suono
ed un arrangiamento di liuto, tipico del XVI
secolo.
Carlo: Robert , vi ha contattato qualcuno
dei Black Sabbath per darvi un giudizio sul
lavoro pubblicato?
Robert: Si, terminato il lavoro, quando
eravamo prossimi alla pubblicazione ufficiale del cd “SABBATUM”, ne abbiamo
spedito una copia a ciascuno della formazione
storica
della
Band:
Ozzy
Osbourne,Tony Iommi, Bill Ward, Geezer
Butler … tutti ci hanno espresso il loro
favore al progetto, in particolare Bill Ward
ha scritto al produttore Mihkel Raud e ti
riporto fedelmente quelle righe, per noi, di
grande orgoglio … dunque, Bill Ward ci
scrisse: “Hey Guys/Ladies”: I love your
translations of the Sabbath songs. Please
excuse my tardy response. I feel you’ve
taken the music to a whole new place. Full
of surprises. I find your renditions very
interesting and excellently played. You
have a great sound. I will air a couple of
tracks on a radio show I do here in
Southern California, it’s Rock 50, available
on the Internet. All the best in the future,
Very sincerely, Bill Ward
mo progetti in tal senso ma “Never say
….never”
Carlo: Mi racconti un aneddoto legato a
questa realizzazione …
Robert: Vediamo un po’ … si, eccolo … ad
Helsinki durante l’esecuzione di “PLANET
CARAVAN”/la nostra “Planetarum vagatio”,
nel bel mezzo del brano, abbiamo sentito
provenire dal pubblico un distinto fischiettio della melodia del pezzo … senza ombra
di dubbio un “Sabbath fan” ... non ci era
mai accaduto un fatto del genere per brani
di musica antica … la forza del rock!!!
Carlo: Ritenete di aver ottenuto un incremento di pubblico a seguito di “SABBATUM”?
Robert: Senz’altro, abbiamo portato dalla
nostra parte più di un fan dei Black
Sabbath e il loro entusiasmo si sente ai
concerti!
Carlo: Avete mai suonato nel nostro
Paese?
Robert: Si, in due occasioni: un festival di
musica antica nella cittadina di Anagni e a
Roma per una manifestazione denominata
“European Day” dove rappresentavamo
l’Estonia quale uno dei paesi membri
dell’EU.
Carlo: Visto il successo di critica e di pubblico suscitato da “SABBATUM”, è ipotizzabile un vostro nuovo lavoro “osservando”
altre bands?
Robert: Sinceramente, ad oggi non abbia-
(Riferimenti per contatti e acquisto
del cd al prezzo di $ 16,95 tutto compreso: www.rondellus.ee; e-mail:
[email protected])
La “singolare” realizzazione dei “RONDELLUS” può offrirvi un varco per accedere ad un periodo della storia della musica relegato ad una ristretta cerchia di cultori e scoprire strumenti dalle sonorità
affascinanti quanto distanti dai nostri
tempi … traghettati dai BLACK SABBATH,
perché no?
RONDELLUS in concerto
14
Per onorare la memoria di un genio della
cinematografia
moderna come Ingmar Bergman, morto lo scorso 30 luglio,
desideriamo analizzare una delle sue opere
più celebri e più controverse: Persona.
di
M. Cristina Caponi Per la prima volta nel
1966, il pubblico non
svedese poté finalmente apprezzare un
film di Bergman in versione integrale. Era
Persona. Tale opera non subì il linciaggio
dei censori, come invece era avvenuto al
precedente Il silenzio, implacabilmente
sforbiciato nell’edizione italiana (vedasi a
tal senso la manipolazione dei dialoghi).
In latino, il vocabolo dramatis persona rinvia ad un significato implicitamente collegato al mondo teatrale. Infatti, tale termine era in uso presso gli antichi per designare la maschera dell’attore, che copriva
tutto il volto dell’interprete e cangiava
secondo i ruoli e i personaggi. Ma, in altra
accezione, denotava altresì l’individuo
umano, il suo carattere e la sua parte. Il
tema della maschera è sempre stato caro
all’autore de Il settimo sigillo, sin dalla sua
prima infanzia. In Persona, Bergman si
giova della polisemia di tale lemma (precedentemente esaminata) per connotare il
suo film sin dal titolo, essendosi accorto
che il soggetto della sua opera è la
maschera che gli individui indossano quotidianamente1. Non stupisca, quindi, che
fra le protagoniste del suo ventiseiesimo
lungometraggio figuri un’attrice dalla fama
internazionale, ovvero Elisabeth Vogler
(Liv Ullmann). È proprio lei a reagire al
mondo esterno, brandendo, come arma, il
suo impenetrabile silenzio. Il tacere è la
sua personale forma di protesta. Invero, la
sua presa di coscienza radicale si manifesta in un’alienazione mostruosa, che
manda irrimediabilmente in frantumi qualsiasi forma di speranza e illusione.
Elisabeth perviene alla soglia di un egoistico nichilismo, esattamente nel momento
in cui calca le assi del palcoscenico nelle
vesti de l’Elettra di Sofocle; in quell’istante, la commediante interrompe le sue battute e si guarda intorno con aria spaesata.
Il giorno dopo non si recherà alle prove.
Ma un’altra recita, più intima e ostinata, la
giovane donna continuerà a portare avanti: la messinscena di un mutismo ostinato
ed intransigente. A costei Bergman oppone, accomunandone i destini, la disponibile infermiera Alma (Bibi Andersson).
Quest’ultima, seppur irrimediabilmente
pigra, è sempre disponibile ad evolversi, a
cambiare.
Intorno al tema del silenzio, il desiderio di
Campo de’ fiori
comunicare d’Alma si evidenzia in varie
battute del film: in una scena chiave, l’infermiera sollecita la sua paziente a bofonchiare qualche parola (“Vorrei che tu parlassi, non c’è bisogno che tu dica niente di
speciale. Non possiamo parlare alcuni
minuti, oppure solo un minuto?”) perché,
afferma, è snervante rapportarsi con chi è
chiuso nel proprio oblio. Alla fine con un
sussulto d’amarezza, lo spettatore potrà
udire Elisabeth pronunciare un solo, distinto termine: “Nulla”, a cui fa seguito quel
“Così va bene, così deve essere” detto da
Alma, che chiude il monologo. L’assunto
nichilistico finale è del tutto spiazzante.
La lezione che Bergman impartisce al pubblico europeo è quella liberazione del dialogo a vantaggio della rivelazione illimitata
della vita psichica segreta, per cui Alma
parla in prima, seconda e terza persona: è
insieme il soggetto parlante e l’oggetto di
cui si parla. Tutto si riduce a monologo, su
cui giganteggia l’immagine visiva, un’immagine studiata in maniera esemplare dal
cineasta svedese, che usa con gran maestria il bianco e il nero come se si trattasse di un film a colori. Dalla visione della
pellicola si arguisce come fra le due protagoniste si sviluppi un larvale legame
umano, tanto che Alma giunge addirittura
a confidare all’attrice un orgiastico
amplesso in riva al mare, insieme ad uno
sconosciuto. Da tale peccaminosa passione ne deriverà la minaccia di un’imprevista
maternità, presto dileguatasi grazie ad un
aborto spontaneo. In seguito a ciò,
entrambe proveranno una reciproca attrazione l’una verso l’altra, a cui faranno
seguito attimi di violenta repulsione:
Elisabeth giungerà a schiaffeggiare Alma,
mentre costei si graffierà sul braccio e le
farà succhiare il proprio sangue.
Totalmente inutile l’istantaneo rimorso dell’infermiera. Fra loro, quindi, non s’instau-
a
n
o
s
Per
ra un clima basato sul rispetto reciproco,
piuttosto un latente istinto di sopraffazione, scatenato dall’incidente della lettera
provocatoria. Nel corso del film, Alma
diverrà
la
proiezione
soggettiva
d’Elisabeth: le loro personalità si sovrapporranno, fino a fondersi in un unico eidos.
Con Persona, perciò, l’artista svedese
approda ad una cosiddetta drammaturgia
dell’Io, le cui radici risalgono ad autori teatrali del calibro di Strindberg e Ibsen.
Quello che il regista imprime sulla pellicola non è altro che lo scontro dialettico fra
due aspetti di una stessa personalità, concretizzatisi in due differenti personaggi.
Per indicare il rapporto che si sviluppa tra
le due protagoniste del lungometraggio
datato 1966, la critica ha coniato l’espressione: “Vampirismo intellettualizzato”.
Nella sua lunga carriera di cineasta,
Bergman ha dapprima confezionato prodotti filmici in cui si alternano i destini di
numerosi soggetti, per poi passare ad
opere con pochissimi characters (l’esempio più eclatante è Il silenzio), fino a giungere con Persona ad un unico protagonista; ad un unico grande volto che fagocita
in sé la parte destra del viso d’Elisabeth e
quella sinistra d’Alma. A tale astratta effigie, tende invano la mano il bambino del
prologo. Egli è il figlio non amato della
grand’attrice Elisabeth Vogler.
Gli esterni di Persona, insieme ad uno sparuto gruppo di film quali: Come in uno
specchio, L’ora del lupo, La vergogna e
Passione, sono stati tutti girati sull’isola di
Fårö. L’atmosfera selvaggia e solitaria che
questa landa emana si uniforma perfettamente allo stato mentale e sentimentale
delle due donne; in tal guisa il merito di
Bergman è stato quello di ritagliare uno
spazio scenografico adatto ad amplificare
la loro condizione di profonda solitudine e
irrealtà.
Per concludere, le emozioni che il regista
svedese ci ha trasmesso attraverso i suoi
film rimarranno sempre vive nei nostri
cuori e di ciò lo ringraziamo.
Un marchio registrato anche presso l’ufficio brevetti della camera di commercio, proprio per tutelare la professionalità dell’unica vera scuola
di danza a Civita Castellana e nella provincia di Viterbo, e per la necessità di sottolineare la profonda differenza strutturale e didattica che fa
una vera scuola di danza. In una scuola di danza, per statuto, si insegna solo ed esclusivamente la danza. L’unico scopo di una scuola di danza
è quello di promuovere l’arte della danza, in maniera professionale, in tutte le sue varianti e discipline. Tutte le risorse, sia economiche che commerciali, sono rivolte a questo unico e mirabile obiettivo.
L’ambiente deve essere riservato e silenzioso, perché la danza comporta disciplina. I pavimenti debbono essere tecnici, atti allo studio della
danza: IN LEGNO DI BETULLA, RIALZATI DA TERRA E MOLLEGGIATI PER ASSORBIRE LE VIBRAZIONI ED IMPEDIRE IL RIPERQUOTERSI DELLE STESSE SULLE OSSA, SULLA MUSCOLATURA E SULLA SPINA DORSALE. Devono essere, altresì, antiscivolo, con un particolare trattamento che va, di norma, ripetuto ogni anno. Specialmente quando si parla di bambini piccoli, che non hanno ancora la muscolatura completamente sviluppata, ogni mamma dovrebbe informarsi a riguardo del pavimento, perché potrebbero insorgere dei problemi molto
seri.
Inoltre in una vera scuola di danza insegnano Maestri Professionisti, in possesso di diplomi o lauree rilasciate da Accademie della Danza italiane o straniere. Questo dimostra e attesta una profonda conoscenza, oltre che della disciplina della danza e della storia della danza, dell’anatomia del corpo umano, importantissima quando si parla di bambini, i quali hanno una muscolatura diversa ad ogni fascia di età e ad ogni
tappa del personale sviluppo fisico. Dimostra, inoltre, una profonda conoscenza della grammatica musicale e del solfeggio, necessari nello studio della danza perché insegna a capire il tempo ed il ritmo della musica, creando nell’allievo la capacità di muoversi ed esprimersi sulla musica, diventando musica, senza il diseducativo bisogno di contare i passi…. Una scuola di danza deve avere un Direttore Artistico e Tecnico che
segua costantemente il percorso didattico degli allievi, decidendo e variando il percorso di studio nella lezione, e svolgendo il delicato compito di controllare periodicamente l’impostazione della postura. Il Direttore Artistico deve avere un curriculum che ne dimostri il valore artistico
per poter presenziare questa importante carica. Oggi è molto facile controllare la veridicità dei curriculum proposti grazie ad internet e agli Enti
della danza preposti allo scopo della tutela dei meriti professionali. L’insegnante affidato al corso deve seguire il percorso dell’allievo per tutto
l’anno accademico, avvalendosi anche, se si ritiene necessario e formativo per l’esperienza dell’allievo, di stage di approfondimento delle tecniche acquisite. Lo stage è importante (infatti esso stimola, appassiona e arricchisce la curiosità dell’allievo) ma non quanto la professionalità
del Maestro che ne segue l’insegnamento costantemente.
La formazione è un percorso di studio molto delicato. La danza classica ha tempi lunghi e lunghi anni di studio.
Oggi, nella società che ci contraddistingue, per facilitare le iscrizioni di inizio anno, si fanno calzare alle bambine le scarpe da punta in modo
prematuro. Le scarpe da punta sono il sogno di ogni bambina, ma le lesioni alle ossa del piede, se non ancora formate in ogni sua parte, possono essere molto gravi e perenni. Dubitare delle offerte è sempre lecito, quindi basta informarsi da un ortopedico di fiducia per ovviare sgradevoli sorprese. La Scuola Superiore Di Danza Honey, nell’interesse primo degli allievi, rispetta tutte le norme didattiche e professionali, sopra
elencate, nell’insegnamento vero dell’arte della danza. Il programma didattico segue parallelamente quello dell’Accademia Nazionale di Danza.
Per quanti desiderino fare della danza la propria professione, nella Scuola di Danza Honey è possibile frequentare corsi giornalieri e sostenere l’esame di fine corso. Per la grande serietà della Scuola, la Commissione chiamata a valutare il lavoro dell’allievo a fine anno accademico è
sempre una Commissione Esterna, cioè composta da Maestri che non praticano l’insegnamento nella scuola. L’insegnante del corso viene chiamato solamente a tenere la lezione durante l’esame. Questo garantisce enormemente l’allievo, in quanto la valutazione sarà obiettiva e non di
comodo o per conoscenza personale dell’individuo; Garantisce le famiglie che possono controllare personalmente, in base ai giudizi ricevuti, se
l’allievo è veramente portato per la danza. Garantisce, inoltre, la scuola che può attestare se il lavoro svolto dagli Insegnanti è stato buono e proficuo, facilitando il compito di decidere, di conseguenza, la rinomina all’insegnamento all’anno successivo. Per gli allievi dei corsi più avanzati, nella Scuola Superiore di Danza Honey, esiste, inoltre, la grande possibilità di fare esperienza formativa e lavorativa con la Compagnia di
Balletto “La Maschera D’avorio”, che debutterà, nel mese di Ottobre, nei teatri romani con lo Spettacolo “Nenius”, con le coreografie di Jvan
Bottaro e la regia di Sara Re. Per questo spettacolo sono state selezionate, con nostra grande soddisfazione, due giovani allieve Honey. Per gli
allievi Honey, questa tangibile possibilità, è di importanza estrema, perchè lavorare in una Compagnia, a stretto contatto con ballerini professionisti, coreografi e scenografi, oltre che essere molto costruttivo a livello formativo, risulta essere gratificante per tutti gli anni di studio e di
sacrificio che comporta lo studio della danza . Tutto lo staff degli insegnanti è di elevatissimo livello artistico ed in possesso di laurea o diploma di insegnamento, conseguiti in accademie nazionali o straniere.
La Direzione Artistica e Tecnica è affidata al Maestro Fabrizio Bartoli, considerato uno dei più grandi Maestri di danza che abbiamo in Italia.
Proprio per il suo valore e per la sua autorità artistica, è stato scelto dall’ANAD a scrivere e redigere un manuale sull’insegnamento della danza
rivolto, esclusivamente, agli insegnanti. Un libro che verrà pubblicato in questi giorni e che delinea e cataloga il metodo di insegnamento della
danza dal 1° all’ 8° corso. La Scuola Superiore di danza Honey è fiera di poter dare un servizio così prestigioso e completo ai propri allievi, con
un percorso di studio monitorato costantemente sia dai Docenti Honey, che dai Maestri Ospiti che vengono chiamati, periodicamente, a tenere
lezioni di perfezionamento e approfondimento delle varie tecniche della danza.
…. Per questo è importate affidare i propri figli ad una vera scuola di danza, dove nulla è lasciato al caso e all’improvvisazione….
È così difficile dire ad una giovane ballerina desiderosa, che non è pronta per andare sulle punte, ma a volte è necessario. Le
ossa del piede non sono pienamente sviluppate, rinforzate ed indurite fino all’adolescenza. Naturalmente c’è moltissima variazione tra una bambina e l’altra. Se una giovane ballerina tenta il lavoro sulle punte senza la forza e la tecnica adeguata, è
possibile che danneggerà permanentemente quelle ossa non sviluppate. Il movimento e il peso corporeo generano moltissima
forza. Se l’allieva ha abbastanza resistenza e tecnica, e se l’introduzione al lavoro sulle punte è graduale, e fatto sotto il controllo dell’insegnante, tutto andrà nel migliore dei modi. Per essere sufficientemente allenata per affrontare il lavoro, deve studiare con disciplina e costanza. Deve sapere mantenere la corretta postura e avere forza nell’en dehors. Dovrebbe sapere usare
il plié, fare relevées in quinta in centro e mantenere l’equilibrio in relevé passé sulle mezze punte. L’anno prima che le allieve andranno sulle punte, un insegnante attento, dedicherà un certo tempo all’interno della normale lezione di danza classica
agli esercizi specifici per i piedi e le punte. Servono per fortificare le caviglie e il metatarso. Una volta che le allieve hanno
imparato perfettamente gli esercizi, calzano le scarpe da punta ed effettuano alcuni brevi e lenti esercizi alla sbarra. Quando
hanno acquisito più sicurezza useranno le scarpe da punta per l’intera lezione. Quando s’inizia ad andare sulle punte, è molto
meglio lavorare nella sala di danza sotto la supervisione dell’insegnante. Altrimenti è facile prendere delle abitudini sbagliate che sono difficili da correggere, oppure farsi male. La cosa più importante da ricordare è: al New York City Ballet non dicono “punta il piede”, dicono “punta la caviglia”. Per fare la mezza punta si muove solo la caviglia, e quando passi in punta,
soltanto le dita del piede si muovono, se lo fai correttamente.
Campo de’ fiori
18
Associazione Artistica Ivna
Artisti di Vignanello, Vallerano, Corchiano, Civita Castellana
condividono l’arte
Quiete e bellezza interiore nell’arte di Maria Gabriella Coaccioli
L’esperienza artistica di
Maria Gabriella Coaccioli risale all’adolescenza. Negli anni
assume la fisionomia di
pittrice figurativa, la cui
tecnica è olio su tela e
su tavola. La realtà che
della Prof.ssa
la circonda la attrae ed
M.Cristina
ella, con abilità, riproBigarelli
duce paesaggi immersi
in uno spazio dalle variate armonie evanescenti, che impallidiscono e combaciano
con gli attimi di vita echeggianti una malinconica gioia di abbandonarsi alla calma
delle giornate estive, in un’ esplosione ben
marcata del colore.
Quando ella dipinge i fiori, gli alberi intuisce
l’intensa bellezza del creato, percependo
quasi il senso Divino, supremo principio di
unificazione con la natura, dando eloquente voce interiore alle “membra” floreali, ai
filamenti, ai pistilli, ai petali, alle fronde, ai
rami, ai tronchi e alle cortecce, ad una intima struttura esuberante e nel contempo
mite, vivacizzata da fremiti spirituali, in
una continua scoperta della varietà della
bellezza. Così ella, abilmente, assurge i
suoi fiori a gioiose meraviglie nello sbocciare del verde e del colore, identificandole
con la purissima intimità della grazia, che
va al di là del tangibile, tentando di ergersi,
infatti, verso una poetica celestiale in una
sublimazione dei meritevoli sentimenti
umani.
Come ogni artista autentico, ciò che conduce Maria Gabriella Coaccioli a dipingere è
l’esigenza di rappresentare i fiori, i paesaggi, i vicoli ed i soggetti a lei familiari, spinta
da una intensa energia, sviluppatasi, adeguatamente, nel tempo e nello spazio.
Guardando le sue tele e le sue tavole, sulle
quali stende i colori plasmando il suo
ambiente d’arte, si può rimanere contagiati
dall’entusiasmo della vivacità dei toni cromatici, che la contraddistingue, dalle composizioni gioiose e solari, che le appartengono e che sono proprie di chi vuole trasmettere la freschezza della natura e il piacere di affidarla alla composizione artistica.
La sua pittura ci incoraggia a guardarci
dentro e intorno con benevolenza e mitezza, afferrando l’aspetto umile e dolce della
realtà umana e naturale come fonte di conforto e di rinascita, attraverso il folto verde
dei suoi viali alberati, dove la figura umana
non appare, perché rappresenta il simbolo
del mondo nascosto dentro ciascuno.
La necessità di comunicare il “bello delle
cose” è rivolto a sé stessa ed agli altri con
spontaneità, supremo momento di trasformazione e rifiorimento interiori, con lo slancio vitale che la identifica come rappresentante di un’arte silenziosa, ma emotivamente coinvolgente.
Maria
Gabriella
Coaccioli
Campo de’ fiori
19
L ARCO DI COSTANTINO:
gLI eLemeNTI DeCORATIvI
...continua dal n. 41
Ciò che più colpisce
dell’Arco di Costantino
è la genialità con cui
elementi architettonici
e scultorei, appartenenti a periodi storici e
stilistici differenti e
di
distanti nel tempo,
Cristina
vengono inglobati e
Collettini
accostati ad altri, fatti
realizzare appositamente, secondo una
logica decorativa unitaria, basata sull’accostamento di tematiche omogenee e su
voluti rimandi simmetrici e simbolici. Il lato
meridionale dell’arco rappresenta episodi
bellici, mentre quello orientale riporta
scene di pace e di vita pubblica.
E’ probabile che, per realizzare il suo arco
trionfale, Costantino abbia utilizzato un
monumento preesistente, ovvero un arco
ad un solo fornice di età presumibilmente
flavia, trasformato poi a tre fornici e decorato con elementi scultorei provenienti da
monumenti di epoche precedenti, dell’età
di Traiano, di Adriano e di Marco Aurelio.
La parte centrale di ambo i lati dell’attico è
occupata dall’iscrizione dedicatoria, ai cui
lati sono inseriti 8 rilievi rettangolari, di
circa 3 metri di altezza, rappresentanti
scene delle battaglie di Marco Aurelio contro i Quadi ed i Marcomanni, in cui le teste
dell’imperatore sono state riadattate con
quelle di Costatino e di Licinio, benché
quelle attualmente visibili, frutto di un
restauro del XVIII secolo, raffigurino l’imperatore Traiano, alla cui epoca erano stati
attribuiti i rilievi in questione. Le scene
della facciata settentrionale, da sinistra a
destra, rappresentano l’arrivo in trionfo a
Roma dell’imperatore, la sua partenza da
Roma, la distribuzione di donativi (pane e
denaro) al popolo romano e la sottomissione di un capo barbaro. Sulla facciata
meridionale: la presentazione all’imperatore di un capo barbaro vinto, dei prigionieri di fronte all’imperatore, un discorso ai
soldati ed un sacrificio nel campo. I rilievi
dell’età di Marco Aurelio probabilmente
facevano parte dell’Arcus Pani Aurei, un
arco posizionato sul Campidoglio, commemorativo delle vittorie dell’imperatore
Marco Aurelio sulle popolazioni germaniche, o forse appartenevano al complesso
fatto erigere dal figlio Commodo, nel
Campo Marzio, in onore del padre.
Incorniciano i rilievi dell’età di Marco
Aurelio 8 statue di Daci, in marmo pavonazzetto, su basamenti di marmo cipollino,
le cui integrazioni in marmo bianco risalgono al restauro settecentesco e si ritengono provenire dalla Basilica Ulpia, nel
Foro di Traiano, così come i 4 pannelli, due
internamente al passaggio centrale e due
sui prospetti minori dell’arco, rappresentanti scene di battaglia. Tali lastre di
marmo pentelico facevano parte di un
unico fregio, ben più grande, raffigurante
le imprese dell’imperatore Traiano nelle
campagne della Dacia. Anche qui le teste,
originariamente rappresentanti l’imperatore Traiano, sono state adattate alle sembianze di Costatino.
Gli 8 tondi nella zona mediana sopra i due
fornici minori, sui prospetti frontali, disposti a due a due ed alti circa 2 metri, appartengono all’epoca di Adriano e alternano
scene di caccia a scene di sacrificio in
onore di divinità pagane, ognuna collegata ad una delle cacce. Nel lato settentrionale si alternano la caccia al cinghiale ed il
sacrificio ad Apollo, la caccia al leone ed il
sacrificio ad Ercole; invece nel lato meridionale la partenza per la caccia ed il sacrificio al dio Silvano, la caccia all’orso ed il
sacrificio a Diana. Curioso è il fatto che,
nella facciata meridionale le teste dell’imperatore Adriano sono state adattate alla
fisionomia di Costatino, nelle scene di
sacrificio, e di Licinio e Costanzo Cloro
nelle scene di caccia, mentre nella facciata settentrionale i riadattamenti delle teste
sono invertiti nelle rispettive scene.
Incerta è la provenienza di questi tondi:
inizialmente si supponeva che provenissero dall’arco di accesso di un santuario
dedicato al culto di Antinoo, il giovane prediletto dall’imperatore Adriano morto in
tenera età, ma alcune indagini sui materiali di reimpiego hanno dimostrato come i
tondi presenti sulle facciate sembrerebbero appartenere al monumento stesso e
non inseriti in età costantiniana, ma forse
risalenti ad una seconda fase dell’arco originario, presumibilmente di età adrianea.
I due tondi presenti sui lati corti dell’arco
sono stati, invece, scolpiti appositamente
per questo monumento commemorativo:
la scena sul lato orientale rappresenta il
dio Sole Apollo che sorge dal mare guidando una quadriga; sul lato occidentale è
invece la dea Luna Diana che, guidando
una biga, si immerge nel mare. I due rilievi sembrano dare alla figura dell’imperatore Costantino una dimensione cosmica.
Ma l’elemento scultoreo più significativo
della decorazione di età costantiniana è,
indubbiamente, il bellissimo fregio continuo, alto circa 1 metro e che corre sopra i
due fornici laterali, al di sotto dei tondi
adrianei, e che prosegue sui lati corti.
Scolpito direttamente sui blocchi della
muratura, il fregio racconta gli episodi più
significativi della vittoria di Costatino su
Massenzio. Partendo dal lato corto ad
ovest e girando in senso antiorario lungo
l’arco, le scene rappresentano: la partenza
dell’esercito da Milano; l’assedio di Verona
e la battaglia di Ponte Milvio; il ritorno in
trionfo a Roma; il discorso tenuto dall’imperatore alla folla dai rostra del Foro
Romano e la distribuzione di denaro al
popolo. I monumenti rappresentati nelle
scene sono quelli esistenti all’epoca, ma
sono allineati sullo sfondo, senza rispettare la loro effettiva collocazione spaziale.
Nella sua logica di narrazione continua, il
fregio si lega alla tradizione romana del
rilievo storico, ma, sostituendo al naturalismo ellenistico un forte simbolismo, presenta comunque dei caratteri marcatamente innovativi, che saranno poi caratteristici dell’arte tardo-antica. All’interesse
per la figura centrale, isolata, tipica dell’arte greca, si sostituisce quello per le
scene di massa, con le figure più tozze dai
tratti leggermente sproporzionati, con una
gerarchizzazione delle figure rappresentate non secondo la loro effettiva posizione
nella scena, ma in relazione alla loro
importanza ed al messaggio che si vuole
comunicare.
All’età costantiniana si fanno risalire anche
i rilievi sui piedistalli delle colonne; i busti
relativi a figure imperiali e di divinità, presenti nelle pareti interne dei fornici laterali, non molto ben conservati; le Vittorie
alate e le Stagioni sui pennacchi del fornice centrale e le personificazioni di fiumi su
quelli dei fornici laterali; le figure di divinità scolpite sulle chiavi degli archi, purtroppo molto rovinate.
Nel XII secolo, proprio come il Colosseo,
anche l’Arco di Costantino fu inglobato
nella fortezza dei Frangipane, fino al 1804.
E’ con il Quattrocento che iniziano gli studi
su questo emblematico monumento dell’arte tardo-antica e conseguentemente i
relativi restauri, particolarmente quello del
Settecento, che si sono susseguiti fino ai
giorni nostri.
Una piccola curiosità: sembra che nel 1530
Lorenzino de’ Medici sia stato cacciato da
Roma, per aver tagliato, per puro divertimento, alcune teste dei rilievi dell’arco, in
parte reintegrate nel restauro del XVIII
secolo!!!
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Campo de’ fiori
e
n
o
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l
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Ronc
21
Incontro tra storia e
presente: il Roncio D’Oro
Anche quest’anno le
rovine dell’ ex Chiesa
di Sant’Andrea sono
state impreziosite dal
più importante evento
culturale ronciglionese: il Roncio D’Oro,
che, grazie all’impegno
del
Centro
di Erminio
Ricerche e Studi di
Quadraroli
Ronciglione,
alle
istituzioni locali e all’insostituibile
dedizione della Signora Maria
Cangani è giunto oramai alla quattordicesima edi-zione. Questo momento,
in cui la storia e la tradizione si mescolano
al presente, è seguito ogni anno da un
numero sempre crescente di persone, che,
tra fragorosi applausi e compiaciute risate,
fanno da colonna sonora alle opere lette
da artisti locali e non...
Davanti al Sindaco di Ronciglione Massimo
Sangiorgi, all’Ass. Trappolini ed altre autorità, rappresentati delle diverse associazioni paesane, Armando Cianchella ha dato
voce alle migliori opere in lingua italiana.
Tra queste ricordiamo: per la sezione giovani Anastasia Rizzo, che ha vinto il Roncio
d’oro con “Che bontà” e il Roncio d’argento assegnato a Elisa Verduchi per l’opera “Lettera di una preadolescente”.
Nella sezione in italiano riservata agli adulti si sono distinti Tommaso Torsello, che ha
vinto il Roncio D’oro per l’opera “Alla vita”
e Tania Piferi, che con “Risvegli” si è
aggiudicata quello d’argento.
Mario Palozzi e i Ragazzi del Collegio
hanno poi dato vita a dei veri e propri
momenti di puro divertimento, leggendo le
opere in dialetto. In questa categoria, che
riporta indietro con gli anni gli anziani presenti e dà consapevolezza di qualche cosa
che oramai sta scomparendo ai giovani
intervenuti numerosi, sono emerse le
opere di Quinto Chiricozzi, che con il componimento “’O patentino” ha vinto il
Roncio d’oro e Giuseppe Lorusso, che si è
aggiudicato quello d’argento con “Via
Monticavallo nummoro 24”.
Anch’io ho ricevuto una mensione speciale
per il testo in dialetto, “’O futuro che nun
avaria mmai da essa”, interpretato con
bravura dai Ragazzi del Collegio. In questa opera tragicomica ho voluto far riflet-
tere il pubblico presente sui cambiamenti
radicali che la nostra società sta subendo,
portando così all’estinzione di molte piccole attività commerciali.
Questo mescolarsi tra passato e presente
sembra essere la formula giusta per un
successo sempre crescente di una manifestazione che sta assumendo la connotazione di un evento portante della cultura e
della tradizione ronciglionese.
Info
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0761.513117
Campo de’ fiori
22
a
n
i
p
e
Can
STORIA Il piccolo
paese
di
Canepina, con i
suoi 2.096 ettari
di superficie e i
3.095 abitanti, nel
cuore dei Monti
Cimini, è incastonato nei secolari
castagneti,
sul
declivio di una
di Ermelinda Benedetti
foto Mauro Topini
conca boscosa,
dove confluiscono
due dei numerosi corsi d’acqua che solcano il territorio.
E’ a 501 m sul livello del mare.
Alcuni ritrovamenti archeologici, fanno
presumere che il territorio sia stato abitato già in epoca etrusca, ma la vera storia
della Canepina che è giunta fino ai nostri
campanile comunale
giorni risale al Medioevo ed è, per lo più,
legata alle vicende dello Stato Pontificio, a
cui apparteneva già dall’VIII secolo.
Nell’XI secolo, passò alla famiglia Di Vico,
Prefetto di Roma, che dominava diversi
altri paesi della zona. Vi fecero costruire,
su di un dirupo inaccessibile, un castello,
per tenere sotto osservazione la piana del
Tevere, soggetta ad attacchi nemici. Ben
Le guide di C
presto, intorno ad esso, si formò un nucleo
abitativo di pastori e contadini, che, per
evitare i soprusi di briganti e soldati che
passavano di lì, chiesero protezione ai
comandanti del castello. Nel 1154 divenne, nuovamente, patrimonio di San Pietro,
acquistato, insieme ad altri territori locali,
da Adriano IV. Nel 1170 i viterbesi, che
avevano vinto su Ferento, Corneto e
Orvieto, si assicurarono la dedizione di
alcune rocche e castelli, tra cui la stessa
Canepina, che, nel 1332, cedono, come
garanzia di fedeltà, alla Santa Sede, senza,
tuttavia, rompere quel rapporto di imposizione che avevano stabilito più di due
secoli e mezzo prima. Nel 1544 il paese
entrò a far parte del Ducato di Castro, il
nuovo stato costituito, per i suoi discendenti, dal Cardinale Alessandro Farnese
nel 1537, dopo essere divenuto Papa, col
nome di Paolo III, nel 1534. Il figlio Pier
Luigi fece costruire un palazzo nobiliare
(oggi sede comunale), ma l’odio delle altre
famiglie locali, portò Ferrante Gonzaga,
appoggiato da Carlo V e da alcuni traditori, ad assalire il palazzo nel 1547 e uccidere Pier Luigi, gettandolo dalla finestra. Nel
1649, dopo poco più di un secolo di dominio farnesiano, il Ducato di Castro venne
distrutto per ordine di Papa Innocenzo X,
con il conseguente ritorno di quei territori
sotto la diretta giurisdizione della Camera
Apostolica.
Canepina seguì, poi, le sorti del resto del
territorio viterbese.
ITINERARIO TURISTICO Passeggiando
per le vie del centro storico si può ammirare ancora intonsa impronta medievale.
A testimonianza di ciò è possibile visitare il
Castello degli Anguillara, risalente al
XIV secolo, ai cui angoli furono poste delle
belle e robuste torri cilindriche e il
Palazzo Farnese, del XVI secolo, che,
continuamente rimaneggiato, ospita
attualmente gli uffici comunali.
Per quanto riguarda gli edifici religiosi, se
ne annoverano diversi, spesso incastonati
tra una abitazione e l’altra. La chiesa di
Santa Maria Assunta risale, nella sua
forma attuale, divisa in tre navate da archi
e colonne, al 1517. Fu costruita su una
preesistente chiesa di dimensioni assai
inferiori e, in epoca barocca, fu profondamente trasformata con l’aggiunta di pilastri, di volte e del campanile.
L’armoniosa facciata è caratterizzata da
Campo de’ fiori
23
Campo de ’ fiori
li, la statua del Santo viene trasportata
processionalmente per tre volte intorno al
paese e assegnata ad un tutore, che dovrà
occuparsene per un intero anno.
Carnevale Canepinese Sfilata di carri
allegorici e mascherate, al ritmo di musica
e lancio di coriandoli colorati.
Festa di Santa Corona Festeggiamenti
in onore della Santa Patrona del paese. La
parte religiosa, con la processione e il trasporto della macchina di Santa Corona, è
affiancata da quella più folclorica, ricca di
giochi popolari, gastronomia e spettacoli
musicali che animano la serata, il 17 di
maggio.
Sagra della castagna Festa per il prodotto più significativo dell’economia di
Canepina. Ogni fine settimana del mese di
ottobre vengono aperte cantine per la
degustazione della cucina locale e offerti
gratuitamente i marroni. Manifestazioni
musicali, culturali, sportive e folcloristiche
vengono organizzate per l’importante
occasione.
San Michele Arcangelo
una finestra centrale affiancata da due fori
circolari.
I blocchi di pietra rosa, con i quali è
costruita, al calar del sole danno una
variazione cromatica di spettacolare bellezza. La sua costruzione è da attribuire
alla scuola di Antonio Cordini da Sangallo,
detto il Giovane, nipote di Antonio il
Vecchio. La chiesa di San Pietro e
Paolo, in Via XX Settembre, di fronte al
Comune, dal quale è separato per mezzo
dell’antistante piazzetta, fu fatta erigere,
probabilmente, in ricordo di Pier Luigi
Farnese, morto defenestrato. La chiesa
della Madonna delle Grazie è una
caratteristica chiesetta di campagna,
addossata allo scosceso pendio, che si
trova di fronte all’abitato. Risale ai primi
anni del XVII secolo e fu edificata con il
materiale ricavato dall’ormai decadente
roccaforte dell’Arcella. Molto insolita risulta
essere la sua architettura a pianta quadrata, sormontata da una cupola con sovrapposto un cilindro. La chiesa del Carmine
è riccamente decorata con stucchi, dipinti
e affreschi del XV secolo.
La chiesa di San Michele Arcangelo fu
costruita, nella metà del XVII secolo, come
prolungamento della suggestiva chiesetta
di Santa Maria della Fossatella, che rispecchiava le acque del Rio Grande, a cui fu
fatto demolire il muro di sinistra, lasciandola come spazio dell’altare maggiore e
del coro, diviso da una ampia transenna,
in posizione più elevata e raggiungibile
grazie ai gradini.
Il Museo delle tradizioni popolari, allestito nei locali del vecchio convento dei
Carmelitani, dal Gruppo Interdisciplinare
per la Cultura dell’Alto Lazio, attraverso l’esposizione di oggetti del quotidiano,
attrezzi, manufatti e immagini, vuole recuperare la storia e tutto il complesso modo
di vivere della comunità canepinese, da
più di un secolo a questa parte.
TRADIZIONI E FESTE Festa di
Sant’Antonio Festeggiamenti in onore
del Santo Protettore degli armenti, il 17
gennaio. Dopo la benedizione degli anima-
SAPORI TIPICI Le specialità culinarie
tipiche della zona sono il fieno, un particolare tipo di pasta lunga e piuttosto sottile
e i ceciliani, pasta lunga e bucata all’interno.
CURIOSITA’: Ma lo sapevate che…
L’origine del nome è legato alla lavorazione di canapa, che in passato rappresentava una fonte di ricchezza per la comunità.
Dall’iniziale Canapina, probabilmente per
un errore di trascrizione su antichi documenti, nel XVIII secolo si passò all’attuale
Canepina.
Campo de’ fiori
Settembre 1997, una
sera qualsiasi in cui
un gruppo di soci
della “Grotta dei
Germogli” si chiedeva come vivacizzare
la vita di Calcata.
Fummo io e Pancho
Garrison, il gestore
del circolo, a pensare
di
Debora Attanasio che Calcata sembrava
l’ambientazione adatta
a girare un film gothic: da lì, decidemmo di
lanciare la prima festa di Halloween. Oggi,
Halloween è una moda che tutti seguono,
ma allora in pochi conoscevano le origini di
questa festa che affonda le sue radici nei
miti pagani degli antichi romani, in particolare il mito di Cerere e della figlia
Proserpina, rapita da Ade il dio degli inferi, con la licenza di tornare dal mondo dei
morti una sola volta all’anno, alla fine di
Ottobre. Il mito, da allora, ha viaggiato per
tutta Europa e si è arricchito strada facendo, soprratutto nel paesi celtici come
l’Irlanda, e poi ha preso la connotazione
attuale negli Stati Uniti, dove i pionieri
avevano zucche in abbondanza e le sfruttavano per farne delle lampade festive
(originariamente venivano invece svuotate
delle grosse rape). Gira che ti rigira, la tradizione è tornata a casa sua. Sbagliano
quelli che la snobbano pensando che si
tratti di un’ “americanata”, e Calcata, abitata da un gran numero di stranieri, ha il
vanto di essere stata la prima città italiana
a celebrarla di nuovo. Quella prima festa,
nel ’97, superò ogni aspettativa degli organizzatori: nel piccolo locale si avvicendarono oltre trecento persone, perfettamente
truccate e mascherate da mostri di tutti i
generi e non fu possibile chiudere i battenti del circolo se non all’alba, l’ora in cui
si ritirano anche i vampiri più tenaci.
L’anno dopo, l’affluenza era praticamente
raddoppiata, ma per fortuna anche altri
locali diedero la loro adesione all’iniziativa.
Nel ’99, le centinaia di ragazzi arrivati da
Roma e dintorni cominciavano ad avere
problemi di parcheggio, ma tutto andò,
come al solito,
per il verso giusto.
Nessun
disordine, tutti
semplicemente
felici di immergersi in un’atmosfera che sembrava creata da
scenografi cinematografici, ma
che è invece
quella che offre
spontaneamente
Calcata, suggestiva ogni giorno
dell’anno. Nel 2000, grazie ad un lungo ponte
festivo, la festa durò ben
tre notti e, grazie al passaparola, iniziarano a fare
capolino le prime celebrità in incognito. Ma è
stato nel 2001 che anche
i mass media hanno
cominciato ad accorgersi
di questo fenomeno
spontaneo: le troupe di
Raitre e di Rete 4 realiz-
25
zarono due ampi servizi sul paese, che si
trasformava in un tunnel degli orrori per
una notte e le mandarono in onda il giorno dopo. Nel frattempo, all’apertura notturna dei locali si era aggiunta quella di
molti negozi e l’organizzazione di mostre
d’arte a tema. Ma una delle edizioni più
belle è stata quella dello scorso anno, per
la prima volta con il patrocinio del
Comune. Molte iniziative: proiezioni di film
horror, cene a tema e il concorso per la
maschera più bella, vinto da una coppia di
residenti, che si sono presentati vestiti di
tutto punto come due demoni, uno nero e
uno rosso, con tanto di ali larghe tre metri.
Quest’anno la magia si ripete, ed è un peccato non esserci. Un solo, vivissimo consiglio: se volete anche cenare nel paese,
prima di godervi i festeggiamenti, prenotate un ristorante altrimenti, in coda per un
tavolo, potreste patire una fame… da
paura!
26
Scopri l’Arte
Campo de’ fiori
Antonio Aballe
Antonio Aballe
Antonio Aballe nasce e vive a Civita
Castellana e anche lui, come altri in passato, è stato per noi una grossa rivelazione
nel campo dell’arte.
Antonio, per gli amici Tonino, ha sempre
svolto il lavoro di ceramista ma, nel tempo
libero, si è dedicato, negli anni, a coltivare
una sua grande passione: il disegno.
Pur non avendo frequentato scuole specifiche, Tonino scopre in sé questa magnifica
dote e, nel tempo, realizza disegni man
mano sempre più perfetti nel tratto e nel
chiaroscuro.
I suoi strumenti sono la matita e la china e
da questi nascono vere e proprie opere,
copie di cartoline o di disegni famosi.
Fra tutti i disegni mostratici da Tonino,
quello che più mi ha colpito è quello che
ritrae la bellissima Piazza Matteotti di Civita
Castellana. La minuziosa cura dei particolari, la padronanza del chiaroscuro e la
delicatezza del tratto, rendono così vivo e
pulsante il disegno da poterlo paragonare
ad una foto d’epoca.
Oggi, la grande aspirazione di Tonino è
quella di poter colorare i suoi disegni e, per
il momento, ne sta realizzando alcuni con
le matite colorate. Noi gli auguriamo, in
futuro, di poter compiere il grande passo:
quello di impugnare un pennello.
Cristina Evangelisti
Cattedrale di Norimberga
Piazza Matteotti - Civita Castellana
Ponte Clementino - Civita Castellana
Campo de’ fiori
27
Francesca Giustini
echi di poesia Greca
Francesca Giustini
di Ermelinda Benedetti
Conosco la signora Francesca Giustini solo
telefonicamente, a causa della distanza
fisica che ci separa, io qui, a Corchiano, lei
a Milano.
E’ il padre, Edmondo, mio vicino di casa,
nonché appassionato lettore ed estimatore di Campo de’ fiori, insieme alla moglie
Giusy, a parlarmi di lei e delle sue poesie.
Me la descrive immediatamente con una
parola: nuvola. “Francesca è una nuvola,
senza spigoli, leggera, con la testa per
aria, al contrario della sorella Federica, che
è sicuramente più quadrata. Ma entrambe
sono molto intelligenti”, mi dice sorridendo. Il paragone con una nuvola fa pensare a tante cose, ma, quando parlo al telefono con lei, capisco cosa voleva intendere. La nostra chiacchierata, infatti, è una
serena passeggiata.
Le chiedo, prima di tutto, come sia nata
questa sua passione e mi risponde dicendo che, in realtà, è sempre stata orientata
verso la scrittura. Ama comporre in versi,
ma le riesce spontaneo scrivere anche
degli splendidi stralci di prosa poetica,
soprattutto in particolari stati d’animo.
Non se l’è mai prefissato e mai pensava di
raccogliere e far conoscere questi scritti
così personali, fino a quando non le capita
tra le mani un quotidiano milanese, sul
quale legge l’annuncio di un concorso per
nuovi poeti, bandito nel viterbese, la terra
della sua infanzia, ma dove è tanto che
non mette più piede. Una strana coincidenza, quasi un segno! Nonostante le
pressioni dei familiari, infatti, che la spingevano a fare di questa inclinazione una
professione, lei è rimasta con i piedi per
terra e si trova, oggi, ad essere una donna
in carriera.
Numerose sono le sue poesie, delle quali
però, lei predilige le ultime, perché più
autobiografiche, più vicine a sentimenti e
situazioni che ha appena vissuto o che sta
vivendo. Del resto, si sa, il tempo offusca i
ricordi passati e non lascia loro molto spa-
zio.
Crede profondamente in un’esistenza universale, in una forza cosmica, e questo,
forse, spiega il fatto che molti dei suoi
componimenti traggono spunto o si rivolgono ad entità astratte, immaginarie:
L’irripetibile, Il silenzio, Sguardo, Memorie,
L’impossibile,
Il
vuoto,
Irrealtà,
Incantesimo, La voce del mare, Assenza,
Libertà, Carta di luce, Interiorità, Sogni e
realtà, Pensiero, Un istante e tante, tante
altre ancora. A tale proposito, le chiedo se
sente di potersi classificare in una precisa
corrente poetica e letteraria. “No, non
saprei proprio, anche perché non mi sono
mai troppo dedicata alla lettura di poesie”,
è la sua risposta. Così, io azzardo una mia
personale valutazione, definendola una
“Saffo del duemila”. Lei rimane meravigliata e compiaciuta dalla mia osservazione,
che le fa ricordare che, effettivamente, l’unico volume di poesie che abbia mai letto
è stata l’Antologia Palatina, la quale, involontariamente, ma con tutta probabilità,
ha influito sul suo modo di scrivere, piuttosto ricercato ed erudito, ma allo stesso
tempo molto intimo, tipico del mondo clas-
FANTASIA
Sei qui signora aliena!
Io ti aspettavo…
Negli spazi di una lunga fantasia
emersa dai tuoi occhi rosa…
e cresci, ti formi
oltre l’attesa strana…
e appari, scompari
lenta e veloce come una fame…
eccoti, ed io ti chiamo casa,
e mentre bruci, brucio in un giorno
tutti i miei giorni, “somma”!
eccomi, sono in un flash
ma tu signora, dove?
SGUARDO
SIAMO UN RACCONTO
Siamo un racconto
ciò che si scrive
La copia di un pensiero ripetuto,
il destino che ci unisce.
Tutti quelli che hanno amato,
il riflesso dello specchio.
Il sogno dell’amore
il tempo che proviene dal futuro,
E materia del nostro passato,
siamo il presente!
Siamo quello che noi siamo,
realtà e illusione.
Desiderio e volontà!
Siamo quello che già ci appartiene
Siamo il bene ed il male,
siamo il sussurro lontano
che ci racconta!
Sguardo che avvolge,
che imprigiona con accenti di luce!
Riflessi iridati giocano
Per divenire sensazioni sulla pelle;
Sguardo che diviene, a un tratto,
l’eco d’inaspettati, seducenti accordi!
Eco fatta di sogno e desiderio
Di silenzio e bellezza,
Quella che è lì
In attesa di essere rivelata,
quella che dona la passione
quando è condivisa,
Quella che genera un’intreccio
Ricco di sfumature ed inflessioni;
la tua bellezza semplice
che stupisce il mio sguardo e l’immaginario!
Posso arrendermi alle sue visioni
Fantasticando in questo stato di suggestione
Generato dai tuoi occhi!
Nel tuo sguardo intenso, si realizza la
luce
Che permane nel mio,
evocando immagini
cariche di fantastiche evoluzioni!
Campo de’ fiori
28
Come eravamo
Peppe Rossi: una voce, poco fa
Sono passati pochi
giorni dalla sua
scomparsa, eppure
la sua voce, cupa e
profonda, riecheggia
nella mia mente, unitamente alla sua
risata solare, aperta,
in mezzo ai suoi
“baffetti”, e a quel
di
“pizzetto” che ogni
Alessandro Soli
tanto riproponeva.
Come faccio, caro
Peppe, a far capire ai lettori le sensazioni
che insieme abbiamo provato negli
ambienti i più disparati: dalla preistorica
RADIO PUNTO ZERO, alla floreale RADIO
ORCHIDEA STEREO, dal sito internet, che
tu hai fortemente voluto, alla tribuna dello
Stadio Madami, dove tifavi per il tuo
paese, pur avendo la Roma nel cuore.
Quante volte, molti anni fa, specialmente
nelle fredde serate invernali, precisamente
al Martedì sera, sono stato tuo ospite nella
trasmissione radiofonica “Sotto ar cielo de
Roma”.
Eravamo in diretta, tu ad accontentare le
dediche delle persone che telefonavano, io
con le mie poesie. Che bello il contatto con
la gente!
Si parlava, si dava voce a chi, in quei
momenti, aveva bisogno di comunicare, a
persone anziane, sole, malate.
Forse non ce ne rendevamo conto, ma
avevamo a disposizione un mezzo unico,
un mezzo irripetibile, che dispensava “briciole di felicità”.
Ti rivedo con la cuffia e il microfono a dialogare con Egidia, che proponeva in continuazione le sue lunghe poesie, o a canticchiare, fuori onda, gli stornelli del “divino”
Claudio Villa, quando mettevi sul piatto il
long play o i vinilici 45 giri (a quei tempi i
cd erano ancora fantascienza).
Poi, quando toccava il mio turno ed iniziavo a declamare le mie poesie, riuscivi, ogni
volta, a mixare un sottofondo musicale
appropriato, che arricchiva la mia esecu-
Civita Castellana 1995
Presentazione IX torneo calcistico giovanile Romani Stradonico.
Da sx Fedele La Sorsa (redattore TG1 SPORT), Alessandro Soli e Peppe Rossi
zione. Che dire della Domenica mattina,
sempre con dediche e sempre in diretta.
Mi ospitavi saltuariamente, e quando venivo, ti trovavo immerso nell’evidenziare le
notizie dei quotidiani locali, che tu, da
buon “giornalaio” e non giornalista (come
preferivi etichettarti), proponevi nel tuo
radiogiornale.
Ti rivedo seduto sulla tribuna dello Stadio
Madami, qui a Civita Castellana, armato di
tutto punto: taccuino, penna, agenda,
radiolina e auricolare. Quando arrivavi ti
salutavo scherzosamente, dicendo: “Ecco
la voce della Tuscia”, e allargavo così i confini del tuo raggio di azione, ben sapendo,
però, che collaboravi con vari giornali di
Viterbo.
Eri il punto di riferimento, per i risultati
parziali che arrivavano dagli altri campi,
perché il tuo auricolare era sempre inserito alla radiolina.
Poi, al pomeriggio, quando ti incontravo in
giro per Civita, tu indossavi sempre qualcosa di “giallo-rosso”, allora giù battute e
sfottò tra la tua grande Roma e la mia, non
tanto piccola, Fiorentina.
Sei sempre stato in mezzo alla gente, sei
stato la voce della gente, amato e odiato,
perché il tuo mestiere di vigile urbano e di
uomo pubblico ti imponeva un certo comportamento.
Non ti dimenticheremo mai, anzi ci mancherai, mancherai a tutta Civita Castellana,
ma mancherai soprattutto a me, caro
amico!
Ciao Pe’ ...
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Campo de’ fiori
Ciao Peppe
Mi sento in dovere di aggiungere anch’io un
pensiero per Peppe, che è stato mio amico e
valido collaboratore di questa rivista, quando
essa era ancora agli inizi.
Ho apprezzato la sua passione, la sua puntualità ed il suo modo semplice di calarsi in mezzo
alla gente, per catturare quelle impressioni
che traduceva nel suo linguaggio chiaro ed
immediato.
Ricordo quando fungeva da centralinista nelle
mie vecchie, gloriose trasmissioni quotidiane
in diretta sul canale televisivo di Tele Radio
Punto Zero.
Ma l’aspetto di Peppe che più ho apprezzato,
nonostante i suoi modi esuberanti e la sua fragorosa ed inconfondibile risata, era l’attenzione ai problemi dei più deboli. Insieme con altri
amici abbiamo organizzato e condotto serate
di beneficenza a favore di organizzazioni di
volontariato, come quella presso la parrocchia
di San Lorenzo e il teatrino della Chiesa di San
Giuseppe per l’A.N.F.F.A.S., o presso la Sala
Cicuti per la Croce Rossa Italiana, a Civita
Castellana o, ancora, a Vignanello in occasione della festa del vino.
Mi commiato da Peppe con un saluto corale di
tutti i suoi amici di Campo de’ fiori.
Sandro Anselmi
In alto: Peppe Rossi (secondo da sx) in una
manifestazione al Campo Madami di Civita
Castellana, insieme al giocatore Bruno Conti.
Di lato: Sandro Anselmi, Peppe Rossi e Tonino
Menichelli in una serata di beneficienza per la
Croce Rossa Italiana
Ciao big Luciano
Non potevamo non ricordare una figura così imponente della “musica” e, credendo di interpretare
il volere dei nostri lettori, sottolineiamo solo alcuni dei tanti pregi del grande maestro.
Dopo l’ondata emotiva seguita alla sua morte, l’attenzione si è spostata sui problemi della vita personale ed i rotocalchi hanno rovistato, senza rispetto, nella vita coniugale e negli interessi patrimoniali dell’artista, unicamente per far crescere la tiratura delle copie dei giornali e l’odiens televisivo.
A noi poco importa che, anche lui, come gran parte degli uomini, possa avere avuto problemi nei
rapporti familiari, ma vogliamo mettere in evidenza la grandezza, l’unicità dell’artista, che ha dato
lustro, con la sua voce immensa, all’Italia nel mondo.
Non solo la sua voce imparagonabile, ma anche la sua forte personalità, la sua autoironia, il suo
sorriso sempre aperto, la sua giovialità ed il suo buon cuore, visto l’impegno profuso a favore dei
popoli disagiati, con i suoi Pavarotti and friends, hanno fatto di lui un grande uomo, un uomo indimenticabile, che ha sempre guardato con ottimismo ad ogni situazione, ripetendosi, molto probabilmente, proprio come quando cantava, vincerò.
La vita presa come un do di petto, sempre e comunque.
Arduo sarà trovare un erede, non del suo patrimonio materiale, ma di quello artistico, essendo stato
lui il tenore più grande di tutti i tempi.
29
Campo de’ fiori
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CENTRO DI CONSULENZA
Neuropsichiatrica, Psicologica, Logopedica,
Psicopedagogica
Via T. Tasso 6/A - Civita Castellana (VT)
Tel. 0761.517522 Cell. 335.6984281-284
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L’abuso sessuale
a cura della
Dott.ssa
Nada Loffredi
Psicoterapeuta,
Esperta in
Sessuologia
Clinica
Ormai tutti, purtroppo
conosciamo cosa significa il termine “pedofilia”.
Non passa settimana in
cui i giornali o la televisione non riportino casi
di abuso sui minori. Un
aspetto che, però, fatica
ad entrare nella nostra
percezione sociale della
violenza sui bambini è il
fatto che la maggior
parte degli episodi violenti avvengono entro le
mura
domestiche.
Questo significa che il
pedofilo nella maggioranza dei casi non è un
estraneo per il bambino.
Il pedofilo che assale il bambino sconosciuto per la strada esiste, senza dubbio (in una
percentuale di 2 su 10), e in quel caso
abbiamo a che fare con comportamenti
molto frequentemente di tipo “psicotico”.
Quando ci troviamo di fronte a casi in cui il
bambino è stato seviziato, ferito o addirittura ucciso abbiamo a che fare con una struttura di personalità di tipo psicotico dove il
senso del suo agire può trovare spiegazioni
riferendosi ad altre categorie diagnostiche
psichiatriche specifiche. In una ricerca francese degli anni Sessanta, su una trentina di
persone imprigionate per atti di pedofilia,
risultò che il 76% erano psicotiche e soffrivano di un disturbo schizofrenico. Si trattava, quindi, di un atto criminale, imprevedibile e casuale, dato che l’agire psicotico poteva prendere altre strade e l’oggetto della
violenza sessuale avrebbe potuto essere
anche un adulto. Esistono quindi diverse
tipologie e comportamenti pedofilici. In
linea di massima, il pedofilo sceglie accuratamente le sue vittime tra i bambini più soli,
tra quelli che non dispongono di relazioni
con adulti basate sulla benevolenza, sulla
comunicazione e sulla fiducia. All’autore dell’abuso è indispensabile il silenzio e per questo deve conquistarsi la fiducia del bambino,
anche perché l’abuso non è quasi mai un
episodio isolato, ma continuo e ripetuto nel
tempo. Spesso è proprio la persona di cui il
bambino si fida di più ad abusare di lui; ecco
allora che, al di là della violenza subita, il
bambino si trova in quell’empasse emotivo
devastante che lo condizionerà tutta la vita,
in quell’associazione tra amore e violenza,
dato che, chi abusa di lui, è anche la stessa
persona che lo ama, che segnerà tutte le
relazioni future. Ecco perché è molto più
plausibile che gli abusi vengano compiuti da
persone conosciute dal bambino.
Ed ecco perché ci spostiamo sulle famiglie.
Ma c’è anche un altro elemento che ci orienta di nuovo verso la famiglia. Un elemento
che ritorna spessissimo nel momento in cui
si ha la possibilità di conoscere la storia dei
pedofili, una storia difficile da ricostruire, in
quanto il pedofilo molto difficilmente cerca
un aiuto, essendo il suo comportamento
‘egosintonico’, ossia non gli crea nessun
senso di colpa e nessun conflitto interno.
Queste azioni vengono di solito giustificate
sostenendo che esse hanno valore educativo per il bambino o che il bambino ne ricava piacere. I pedofili che utilizzano “l’arma”
della seduzione hanno creato, come sappia-
mo, delle associazioni per difendere “il diritto alla libertà sessuale” del bambino, a loro
dire, oppresso da una società sessuofobica
e moralista. In realtà, la convinzione di procurare piacere all’altro consente di non
prendere coscienza delle componenti conflittuali e distruttive del proprio comportamento sessuale, attraverso un processo di
totale negazione della realtà. Leggendo gli
scritti dei pedofili si può constatare come
essi si considerino completamente dalla
parte dei bambini, in una visione aproblematica del rapporto adulto-minore, riuscendo, grazie al ricorso di meccanismi difensivi
della scissione, della proiezione e della
razionalizzazione, ad imputare alla società
qualsiasi possibile conseguenza negativa
per il minore coinvolto nel rapporto pedofilo. Viene affermato che gli unici effetti dannosi per il bambino, attirato in un’esperienza sessuale con un adulto, sono esclusivamente provocati dal dover mantenere il
segreto e dalla reazione di stigmatizzazione
sociale, che si verifica all’eventuale scoperta
della relazione pedofilica. Il male quindi è
tutto attribuito agli altri.
L’unico motivo per cui un pedofilo si può
rivolgere ad una terapia riguarda esclusivamente le conseguenze sociali del suo atto:
la paura di essere lasciato dalla moglie, il
perdere prestigio, ecc., ma non per una
motivazione interna, che, invece, è alla base
per una buona riuscita terapeutica. Un ele-
mento, quindi, che ritroviamo indagando la
storia personale del pedofilo, la sua infanzia, è quello di aver subìto traumi o abusi
sessuali, di essere stato oggetto sessualizzato da parte dei genitori e che, una volta
adulto, ripeta il trauma subito, diventando,
a sua volta, ‘abusatore’, con l’obiettivo di
trasformare la sua sconfitta in vittoria e di
attivare la fantasia di recupero di una vitalità perduta o mai posseduta del mondo
infantile. E’ come si ci fosse una ciclicità,
una specie di trasmissione di questo trauma
che passa da una generazione all’altra.
Anche se nella pedofilia spesso non c’è violenza fisica, l’oggetto sessuale viene comunque deumanizzato, diventando attraente ed
eccitante, non tanto per quello che è, ma
per quello che rappresenta, cioè un oggetto
su cui prendersi la rivincita, rispetto al trauma subìto nell’infanzia. Il bambino diviene
l’oggetto sessuale solo se mantiene le caratteristiche proprie dell’infanzia: innocenza,
giovane età, corpo impubere. Il pedofilo
non ha nessun interesse che il bambino cresca e cercherà di mantenerlo nella più completa dipendenza emotiva; nel momento in
cui il bambino cresce viene abbandonato
per cercare partner sessuali che corrispondano alle caratteristiche richieste per soddisfare l’atto perverso. Nelle parole dei
pedofili traspare una tendenza a reificare il
bambino, cioè a trattarlo come se fosse una
cosa. Le uniche qualità apprezzabili sono la
bellezza fisica e la giovane età, qualità
appartenenti quindi ad un oggetto più che a
una persona. E’ lecito ipotizzare quindi che
la perversione pedofilica possa originare
nella prima infanzia in bambini abbandonati, carenziati e isolati che hanno subito un
trauma. E’, a questo punto, che vittima e
carnefice si trovano spesso all’interno di una
stessa spirale, che è difficile spezzare.
Quindi capire come si struttura la relazione
violenta, o meglio la famiglia violenta,
diventa determinante per chi si occupa di
abuso sessuale, in quanto propone una
visione della violenza non più parcellizzata
in episodi specifici, ma molto più ampia e
articolata, che non si esprime come ‘acting
out’ isolato, ma piuttosto come modalità di
relazione. Crescendo in una famiglia violenta, subendo abusi continui, è come se si
imparasse una modalità di relazione fortemente asimmetrica, dove uno dei due ha un
potere e l’altro subisce, e si associ affettività e violenza, come variabili indiscindibili di
una stessa modalità di relazione, e, appresa
tale modalità, si ripete nelle relazioni future,
riproponendo lo stesso schema relazionale
anche da adulti.
Campo de’ fiori
33
Civitonici Illustri
Arcangelo Carabelli
di Enea Cisbani
Operai della ceramica Sbordoni
Arcangelo CARABELLI, tecnico e ceramista
civitonico di chiara fama ed importanza,
nasce a Civita Castellana il 4 Aprile 1921,
nel palazzo di famiglia in Via della Tribuna.
Ripercorrere la vita e le vicende umane di
questo illustre concittadino, significa ripercorrere un secolo di storia della ceramica
locale, dalle primordiali origini per arrivare
alle moderne industrie attuali.
Una famiglia di ceramisti di rara abilità: il
capostipite FRANCESCO CARABELLI
(1892-1981), i figli ARCANGELO e CORRADO, e FRANCESCO, il figlio di Arcangelo,
attualmente tecnico in una importante
ceramica.
Il capostipite Francesco Carabelli, dal 1932
al 1960, è il direttore tecnico della
Ceramica Sbordoni, sita in via della
Repubblica,
fondata
nel
1906
dall’Ingegnere ALESSANDRO SBORDONI,
personaggio di spicco, insieme con
Casimiro MARCANTONI, dell’imprenditoria
locale e nazionale in genere.
La “Sbordoni” e la “Marcantoni” sono le
grandi industrie che hanno fortemente
condizionato la storia economica di Civita
Castellana.
Compiute le scuole elementari presso la
Regia Scuola Elementare “Tommaso
Tittoni” in via Antonio Gramsci, Arcangelo
Carabelli nel 1935 si iscrive presso il Regio
Istituto Tecnico Industriale di Viterbo, per
il conseguimento del diploma di perito
meccanico.
Nel Giugno del 1940, allo scoppio della
Seconda Guerra Mondiale, come tanti giovani della sua generazione, viene chiamato per il servizio militare, interrompendo,
purtroppo, gli studi superiori.
Italia, fronte orientale e russo, sono alcune delle sue tragiche tappe che culminano
nel 1943, quando viene fatto prigioniero
dai tedeschi e condotto nel campo di prigionia di Berlino-Spandau, dove nel
Maggio del 1945 viene liberato dagli americani, per poi fare ritorno a Civita
Castellana.
I momenti più significativi della carriera
professionale di Arcangelo: 1945-1966,
tecnico presso la Ceramica Sbordoni;
1966-1977, direttore tecnico della
Ceramica Vincenti in via Roma; 19771981, tecnico della manifattura Ilca-Globo.
Muore a Civita Castellana il 23 Dicembre
1993.
Oggi, il tecnico di una moderna manifattura ceramica è, generalmente, un Ingegnere Chimico o Industriale, coordinatore di tutta l’attività produttiva, con particolare riguardo alla formulazione degli impasti e degli smalti, che si avvale dell’aiuto di
una equipè interna, fornita di un laboratorio chimico, per mettere a punto ogni
aspetto o fase particolare del processo
produttivo. Fino agli anni ’60, prima dell’avvento dei moderni manager, in ogni
ceramica civitonica operava il tecnico
interno, la cui formazione era stata conse-
guita sul campo, attraverso l’esperienza e
con un bagaglio formativo maturato dal
contatto continuo e diretto con i problemi
tecnici, che la lavorazione ceramica pone
continuamente.
E’ una figura tipica della ceramica locale:
un tecnico versato in ogni fase della lavorazione ceramica, che risolve i “problemi”
attraverso la personale esperienza formativa e la cultura tecnica conseguite sul
campo.
La figura di Arcangelo Carabelli si ricollega,
dunque, a quella fase “pioneristica” della
ceramica locale, che tanto ha contribuito
all’evoluzione industriale della zona.
L’archivio privato di Arcangelo e della famiglia Carabelli è di fondamentale importanza, in quanto costituito da una serie di
quaderni dove, con calligrafia attenta e
minuta, sono riportate e classificate ricette di smalti e impasti ceramici, annotati sia
dal capostipite Francesco che dai figli
Arcangelo e Corrado, con estrema precisione.
Un bagaglio di formule e conoscenze ceramiche di grande importanza e valore storico e documentario.
Un’attività di famiglia che tuttora prosegue: Viola Carabelli, figlia di Francesco, nel
Luglio del 2007 si è diplomata in Arte della
Ceramica presso il locale Istituto d’Arte di
via Gramsci e, subito dopo, è stata impiegata presso una azienda locale che si
occupa di impasti e smalti ceramici.
34
Campo de’ fiori
Tanti Auguri a Aurora
Antonelli che l’8
Settembre ha compiuto
1 anno, da: mamma
gabriela, papà Claudio,
sorella viola, i nonni, gli
zii e cugini.
Tanti auguri di Buon
Compleanno a Silvia e Sofia
Piacitelli di Corchiano che
compiono 4 anni il 16
Ottobre, da mamma, papà, gli
zii e i nonni.
Tanti auguri a
Giovanni Munzi e
Natalina Mosolo che
il 23 Ottobre compiono 60 anni di
matrimonio, dai figli,
i nipoti e la piccola
Giulia.
Tanti auguri di Buon Compleanno
a Francesco Marchetti che il 28
Settembre ha compiuto 11 anni.
Tanti baci dalla sorella Ilaria.
SORPRESA !!! Un augurio speciale a Piero, da parte di
Melissa, che il 21 Ottobre compie gli anni e il 3 Ottobre
festeggiano 4 anni insieme. Ti
amo tanto.
Tanti auguri a Marco e
Tanti auguri
Lorella di Caprarola che il 24
di Buon
Compleanno a Ottobre festeggiano il loro
14esimo anniversario di
Claudio Tullo che ha compiuto gli
anni il 21 Settembre, da Maria, matrimonio, dai figli Serena,
Mirko e Luca.
Assunta e tutti gli amici.
Tanti auguri a Alessandro
Guglielmo che il
20 Ottobre compie 5 anni,
dai genitori,
i nonni e la zia Patrizia.
La redazione di Campo de’
Campo de’ fiori
35
Tantissimi auguri a Roberta Anselmi che ha compiuto
gli anni il 2 Ottobre, dai figli Cecilia e Federico, dal marito
Sandro, dai parenti e tutta la redazione di Campo de’ fiori.
25 anni!!! Di storia, d’amore, di
lotte, di liti, di letto, di presenze, di assenze, di cose dette e
non dette, di gioia, di sorrisi, di
lacrime, di musi, di pace, di
carezze. E’ tutto qui?
Altri 25… di viaggi, grandi alberghi, gioielli, macchine, pellicce, e
un letto di seta… in cui resti
intatta sempre la vostra giovinezza.
Con affetto sincero a Paola e
Franco Sciarrini, da Loredana,
Ferdy, Rita, Nicola.
Auguri a Lia Brocchi che il
21 Ottobre compie 16 anni...
... il tempo passa troppo in
fretta ma tu sei e rimarrai
sempre la nostra
bambina. Buon Compleanno
piccola, mamma e papà !!
Tanti auguri a nonno Giovanni
e nonna Laura di Civita
Castellana che il 22
Settembre hanno festeggiato
il loro anniversario di matrimonio, da Mirko e dalle famiglie Valeriani e Mariangeli di
Caprarola.
Auguri a Laura Toni che il 2
Ottobre festeggia il
compleanno, da Mirko.
Tanti auguri a Ilaria Lucentini
che il 20 Ottobre compie 6
anni, dalla mamma, il papà, il
fratellino Fabio,
i nonni e gli zii.
fiori si associa agli auguri
Auguri !!!
Il 25 Ottobre spegne 4
candeline Viola.
Tanti baci dai nonni Peppino
e Pina, zio Giorgio, papà
Adriano, mamma Simona e la
sorellina Flavia
Tanti auguroni per i suoi primi 10
anni a Eleonora Alberini, con tantissimo amore dalla mamma
Tamara, il papà Andrea e i nonni
Maria, Adriana e Giovanni. “Smak”.
Campo de’ fiori
36
Tanti auguri a
Elena
Tanti
Crescenzi che
auguri al
riceverà
nostro il battesimo il
grande amore Massimo Zia
6 Ottobre,
che il 2 Ottobre ha compiuto
dalla
9 anni, da papà Andrea,
sorellina Elisa,
mamma Vittoria, dai nonni, lo papà Candido
zio, le zie e dai cugini
e mamma
Stefano e Federico.
Daniela.
Tanti auguri
al piccolo
Federico
Berto che il
29
Settembre
ha compiuto
1 anno, da
papà Luca,
mamma
Simona,
nonno
Franco,
nonna
Iolanda, zio
Andrea, zia Vittoria,
zia Antonella e dai
cugini Stefano e
Massimo.
19 Ottobre
1957 –
19.10.2007
Tanti auguri a
Vincenzo Nardi
e Pasqualina
Grossi per i
loro 50 anni di
matrimonio da
parte delle
figlie Loris e Cristina, dei generi Claudio e
Luciano e dei nipoti Raffaele e Marcello.
Tanti auguri a
Chiara Piacente
che il
30 Settembre
ha compiuto 5
anni, da mamma
Cinzia, papà
Marco, i nonni,
i cuginetti, gli
zii e da
Martina.
Tanti Auguri a
Daniele
Bevilacqua che il
17 Ottobre
compie 18 anni.
Auguri da
mamma, papà,
Valentina,
Fabrizia,
Stefano, dagli
zii, i nonni e un bacione grande grande
da Manuel.
Tanti auguri a Chiara
Santini che ha
compiuto 6 anni il 2
Ottobre, da mamma,
papà e tutti coloro
che le vogliono bene.
La redazione di Campo de’ fiori si associa agli auguri
Campo de’ fiori
37
Tantissimi auguri a
Maila Pistola
(Letta) che il 9
Ottobre compie 18
anni, da Ares e i
suoi genitori.
Tanti auguri di
Buon
Compleanno a
Giorgio Dei che
ha compiuto 3
anni il 14
Settembre,
dalla mamma, il
papà, i nonni, gli
zii e i cuginetti.
Civita Castellana
La classe 1947 festeggia i suoi “primi” 60 anni
I nonni Giuseppe e
Mirella, le zie
Valentina e Federica
festeggiano il 2°
anniversario del
nipotino Lorenzo
Stefanelli di
Corchiano.
38
Campo de’ fiori
o
n
a
i
h
c
Grazie
Cor
Mister, addio...
di Ermelinda Benedetti
Luigi Bernardini e i suoi piccoli campioni
Spesso si dice che ad una gioia segue un
dolore, forse perché è proprio la vita ad
essere fatta di un continuo susseguirsi di
gioie e di dolori, e questa volta, credo, sia
proprio il caso di dire così. Il 6 settembre
scorso, infatti, la squadra di calcio dell’oratorio San Luigi Gonzaga di Corchiano,
dopo aver brillantemente vinto il campionato regionale A.N.S.P.I., parte per
Bellaria, cittadina in provincia di Rimini,
dove sfida le squadre vincitrici delle altre
regioni, diventando Campione d’Italia. I
tredici ragazzi, tutti tra i dieci e i dodici
anni, accompagnati dai loro genitori e
seguiti passo passo dall’allenatore
Maurizio Prosperi e dai suoi collaboratori
Alessandro e Enrico Cioccolini e Enrico
Menicacci, si sono impegnati molto e ci
hanno creduto fino in fondo. Emozione,
gioia, euforia, hanno
caratterizzato il
momento della tanto desiderata vittoria.
Grida, salti, abbracci, queste sono le
immagini che, il 15 settembre, in occasione dei festeggiamenti in onore della
Madonna delle Grazie, sono state proiettate sul maxi schermo, prima che i ragazzi
ricevessero un attestato di riconoscimento
da parte del Comune di Corchiano, che
hanno ben rappresentato. Parte del merito
di questa vittoria, però, è da attribuire al
responsabile del settore giovanile della
U.S. Corchiano, di cui i ragazzi fanno
parte, che li allenava con grande passione:
Luigi Bernardini. C’era anche lui sul palco
quella sera, benché non li avesse accompagnati in quell’ultima trasferta, e nessuno
poteva immaginare che, solo qualche giorno dopo, li avrebbe lasciati, ci avrebbe
lasciati. Martedì 25 settembre, dopo aver
allenato i suoi ragazzi, come ogni settimana, decide di andare a Vignanello per
seguirne altri, mai stanco di vedere i giovani giocare a calcio, ma improvvisamente
si accascia, lasciando confusi e attoniti i
presenti. La notizia corre immediatamente
a Corchiano, dove tutti rimangono increduli, senza parole. Un velo di tristezza e di
amarezza copre il paese. Tutti lo conoscevano, chi per un motivo chi per un altro.
Centinaia di persone si sono radunate in
chiesa per l’estremo saluto, a testimonianza dell’affetto, della stima e della riconoscenza per Luigino. C’è stata grande commozione quando la bara ha fatto il suo
ingresso. Tutti hanno versato almeno una
lacrima, perché tutti avevano un buon
ricordo di lui. Altrettanta commozione nel
momento finale della celebrazione, quando sono state lette alcune testimonianze
che hanno fatto scoppiare dei lunghi, sentiti applausi. Sull’altare, da un lato i suoi
ragazzi, in divisa, con una rosa bianca in
mano, ciascuna con un petalo su cui era
stato scritto in rosso “grazie mister”, dall’altro i suoi compagni ex bersaglieri, con il
cappello di piume in testa, e lo stendardo
della Contrada Castiglione, alla quale
apparteneva con orgoglio. Il suo negozio
era diventato un punto di riferimento
importante per coloro che, ogni mese, cercavano il nostro Campo de’ fiori. Proprio lo
scorso anno, pubblicammo l’articolo di una
conferenza sullo sport e la famiglia, da lui
stesso organizzata, tanto credeva nell’at-
tività sportiva e tanto si adoperava per i
suoi ragazzi. Quanti ne ha allenati in questi anni!
Sarà difficile non vederlo più dietro il bancone della sua macelleria, dove si dava
tanto da fare, insieme con la moglie, veloce per gli anni di esperienza, dove si parlava sempre del più e del meno, dove si
scherzava e lui sorrideva sotto quei folti,
immancabili baffi, che iniziavano, appena,
a tingersi di argento.
Tanto aveva fatto, in questi anni, in particolar modo per la società sportiva di
Corchiano e tanto, ancora, nel pieno delle
sue forze, energico ed atletico, avrebbe
voluto fare. Una morte precoce e soprattutto inaspettata.
Sono certa che da lassù continuerà ad
allenare i suoi ragazzi, incitandoli, come
sapeva fare lui. Mi auguro che anche loro
siano in grado di ascoltare la sua voce,
perché di certo non lo dimenticheranno
mai, non lo dimenticheremo mai.
Campo de’ fiori
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Inaugurazione del nuovo parco giochi
per ragazzi diversamente abili
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Il 12 Ottobre alle ore 15,30 presso la
“Cittadella dei Giovani” a Tarquinia, verrà
inaugurato il Parco Giochi Per Ragazzi
Diversamente Abili, realizzato grazie ai
proventi della “Partita del Sorriso” disputata il 17 Marzo dalla Nazionale Italiana
Cantanti contro la Regione Lazio
Solidarietà.
Saranno presenti S.E. Mons. Carlo Chenis,
Vescovo di Tarquinia e Civitavecchia, il
Sindaco di Tarquinia, Mauro Mazzola,
assessori ed autorità politiche del comune
di Tarquinia, del comune di Tuscanica e
della provincia di Viterbo, rappresentanti
delle Forze dell’Ordine, nonché una delegazione della Regione Lazio e Marco
Morandi in rappresentanza della Nazionale
Cantanti.
L’evento vorrà sottolineare l’importanza di
questa nuova struttura, all’interno della
Cittadella, unica sul territorio di Tarquinia,
non solo per i ragazzi diversamente abili,
ma per tutti i bambini.
La Cittadella si trasformerà, come del resto
già è, in un punto di incontro gioioso per
grandi e piccoli, dove non si baderà al
colore della pelle o alla diversità, ma sarà
un’armoniosa unione di pensieri.
Durante il corso della manifestazione i
bambini verranno intrattenuti da diverse
attività promosse dall’Associazione Ludica
“Dado da sei” di Civitavecchia, attraverso
giochi da tavolo, caccia al tesoro, uno spazio dedicato all’illusionismo con la magia
del Mago Frank.
Sarà messo a dimora un albero, come
forma di ringraziamento per la Nazionale
Cantanti, che tanto si è adoperata per giocare la Partita del Sorriso.
Orari treni CO.TRA.L.
Orari autobus CO.TRA.L.
Civita Castellana - Viterbo
6:33 - 7:00 - 8:30 - 14:53 - 15:50 - 17:40 - 18:58 - 20:28
Civita Castellana - Viterbo
6:35 - 7:10 - 10:45 - 12:20 - 14:05
Viterbo - Civita Castellana
6:40 - 8:50 - 13:45 - 18:00
Civita Castellana - Roma Lepanto
4:10 - 4:40 - 4:55* - 5:20 - 5:35* - 5:50 - 6:00 - 6:05* - 6:25 - 7:40 9:05 - 10:30 - 14:45 - 16:10 - 17:40 - 18:45
Civita Castellana - Roma Saxa Rubra
4:55 - 5:10* - 5:45 - 6:20 - 6:30 - 8:00 - 9:25 - 10:35 - 13:30 - 13:45 14:20 - 14:25 - 16:35
Roma Lepanto - Civita Castellana
6:00 - 6:45* - 7:05 - 7:25 - 8:10 - 9:00 - 9:15* - 9:45 - 11:00 - 13:00 13:15 - 13:50 - 14:10* - 14:30* - 14:45 - 17:05* - 17:35 - 17:50* 18:55 - 20:30 - 21:45
Roma Saxa Rubra - Civita Castellana
6:45 - 7:50 - 9:35 - 10:40 - 11:25 - 12:15 - 14:25 - 15:20 - 20:30 - 21:35
Viterbo - Civita Castellana
5:00 - 6:00 - 11:20 - 13:45 - 14:20 - 16:30 - 19:20 - 20:25
Civita Castellana - Roma
4:50 - 5:15 - 5:40 - 6:07 - 6:40 - 7:07 - 7:35 - 12:28 - 14:53
- 16:20 - 17:40 - 20:28
Roma - Civita Castellana
12:25 - 12:55 - 13:25 - 13:50 - 14:18 - 16:10 - 17:30 - 18:12
- 19:00 - 19:55 - 20:30
Orari autobus VITERTUR
Linea 1 Borghetto - P.za Liberazione - P.za
Matteotti - Fabbrece - Via Masci - P.za
Liberazione - Borghetto
Borghetto 6:00 - 6:15 - 7:05 - 7:50 - 9:15 10:05 - 11:10 - 11:55 - 12:55 - 13:50 - 14:10 15:00 - 16:10 - 17:00 - 17:55 - 19:10 - 20:00
P.za Liberazione 6:05 - 6:25 - 7:15 - 8:00 - 9:25
- 10:15 . 11:20 - 12:05 - 13:05 - 14:00 - 14:20
- 15:10 - 16:20 - 17:10 - 18:05 - 19:20 - 20:05
P.za Matteotti 6:30 - 7:20 . 8:05 - 9:30 - 10:20
- 11:25 - 12:10 - 13:10 - 14:25 - 15:15 - 16:25
- 17:15 - 18:10 - 19:25
Fabbrece 6:35 - 7:25 - 8:20 - 9:40 - 10:30 11:30 - 12:25 - 13:25 - 14:35 - 15:25 - 16:35 17:30 - 18:20 - 19:35
Via Masci 6:40 - 7:30 - 8:25 - 9:45 - 10:35 11:35 - 12:30 - 13:30 - 14:40 - 15:30 - 16:45 17:35 - 18:45 - 19:40
P.za Liberazione 6:05 - 6:45 - 7:35 - 8:30 - 9:50
- 10:40 - 11:40 - 12:35 - 13:35 - 14:45 - 15:35
- 16:50 - 17:40 - 18:50 - 19:45
Borghetto 6:15 - 7:05 - 7:45 - 8:45 - 10:05 10:55 - 11:55 - 12:55 - 13:50 - 15:00 - 15:45 17:00 - 17:55 - 19:10 - 20:00
Linea 2 Capati - P.za Liberazione - P.za
Matteotti - Fontana Quaiola - Via Masci P.za Liberazione - Capati
Capati 7:25 - 8:15 - 9:05 - 9:50 - 10:20 - 11:10
- 12:10 - 13:05 - 13:50 - 14:40 - 15:20 - 16:00
- 17:00 - 17:50 - 18:55 - 19:45
P.za Liberazione 7:30 - 8:20 - 9:10 - 9:55 10:25 - 11:15 - 12:15 - 13:10 - 14:10 - 14:45
- 15:25 - 16:10 - 17:05 - 17:55 - 19:00 - 19:50
P.za Matteotti 7:35 - 8:25 - 9:15 - 10:30 - 11:20
- 12:25 - 13:15 - 14:05 - 14:50 - 15:30 - 16:15
- 17:10 - 18:00 - 19:05 - 19:55
Fontana Quaiola 7:55 - 8:40 - 9:30 - 10:45 11:30 - 12:40 - 13:30 - 14:10 - 15:00 - 15:40 16:25 - 17:25 - 18:15 - 19:20 - 20:05
Via Masci 7:55 - 8:45 - 9:35 - 10:50 - 11:40 12:45 - 13:35 - 14:15 - 15:05 - 15:45 - 16:30 17:30 - 18:35 - 19:25 - 20:10
P.za Liberazione 8:00 - 8:50 - 9:40 - 10:15 10:55 - 11:45 - 12:50 - 13:45 - 14:20 - 15:10 10:50 - 16:35 - 17:35 - 18:40 - 19:30 - 20:15
Capati 8:15 - 9:05 - 9:50 - 10:20 - 11:10 12:00 - 13:05 - 13:50 - 14:40 - 15:20 - 16:00 16:50 - 17:50 - 18:55 - 19:45 - 20:30
Linea 3 Quartaccio - Via Mazzini Ospedale - Via Mazzini - Quartaccio
Quartaccio 8:05 - 8:55 - 9:40 - 12:25 -13:05 13:50 - 16:00 - 18:10 - 18:50
Via Mazzini 8:15 - 9:05 - 9:50 - 12:35 - 13.15 14:00 - 16:10 - 18:20 - 19:00
Ospedale 8:25 - 9:20 - 10:00 - 12:40 - 13:30 14:10 - 16:20 -18:30 -19:10
Via Mazzini 8:40 - 9:30 - 10:10 - 12:50 - 13:40
- 14:20 -16:30 - 18:40 - 19:20
Quartaccio 8:55 - 9:40 - 10:20 - 13:05 -13:50 14:30 - 16:45 - 18:50 - 19:30
Mina
Campo de’ fiori
40
di
e
i
stor
e
x
L
Ma
Origini artistiche dei nostri cantautori e cantanti più famosi
(seconda parte)
Subito
dopo
il
primo extendedplay della Italdisc,
sempre nel 1959,
compare il 45 giri
che contiene La
febbre
dell’Hula
hoop, da un lato, e
Ho scritto col fuoco,
dall’altro.
Mina canta
di
strapazzando
le note
Sandro Anselmi
e americanizzando i
testi, ma solo questi primi due dischi le
bastano per farsi amare dai giovani, che la
ascoltano spesso nei juke-box e ancora
poco alla radio, visto che a dare spazio ai
nuovi cantanti c’é solo il programma di
Vittorio Zivelli, Il Discobolo. Anche lei,
come altri “urlatori” del tempo, tra cui
Adriano Celentano e Giorgio Gaber, si
lascia contagiare dalla moda dell’Hula
hoop, dove il movimento del bacino, che
serve a tenere in equilibrio orizzontale il
cerchio di plastica, attorno ai fianchi, é
solitamente accompagnato dal ritmo di un
rock’n’roll. Ma questo e il successivo
Proteggimi, presentato alla manifestazione
milanese La Sei Giorni della Canzone, del
1959, non riscuotono così grande successo e il suo discografico David Matalon le fa
incidere tre brani, scelti tra quelli del
Sanremo di quello stesso anno: Nessuno,
una canzone melodica, interpretata
da Betty Curtis e Wilma De Angelis
e trasformata da Mina in un rock’n’roll all’italiana, Tua, a cui la giovane
cantante fa perdere la sensualità e
l’audacia del testo originario, che
avevano sollevato polemiche da
parte della censura e Io sono il
vento, resa famosa da Arturo Testa.
La buona riuscita del disco spinge
Mina a continuare su questa linea.
Sono, però, i programmi televisivi di
Walter Chiari, con Il Teatrino di
Walter Chiari, di Mario Riva, con Il
Musichiere, e di Mike Bongiorno,
con Lascia e raddoppia, a farla
conoscere a tutti gli italiani, che si
dividono tra favorevoli, soprattutto
giovani, e meno favorevoli, in particolare genitori e critici, abituati ad
uno stile musicale più classico.
Queste apparizioni televisive non le
danno solo grande notorietà, ma le
permettono anche di dettare la
moda, diventando un modello per
molte ragazze: capelli cotonati,
scarpe con il cinturino all’altezza del
collo del piede e sopracciglia completamente depilate.
Il 1960 è l’anno della sua vera consacrazione, grazie, principalmente,
alla canzone Il cielo in una stanza, dell’ancora sconosciuto Gino Paoli,
nonostante Mina avesse già
ottenuto soddisfacenti risultati
con Folle banderuola di Gianni
Meccia, E’ vero di Umberto
Bindi, Coriandoli, Pesci rossi e
Una zebra a pois di Lelio
Luttazzi. Tradotta anche in lingua inglese, spagnola e tedesca,
Il cielo in una stanza le permette di dimostrarsi interprete raffinata di canzoni melodiche e di
rimanere per undici settimane in
cima alla classifica dei dischi più
venduti. Spopola anche in
Giappone, dove si reca per varie
tournèe, fino ad essere premiata nel ’64 per aver venduto il
maggior numero di dischi, sca-
valcando addirittura i Beatles. Mina é
ormai un idolo in Italia e fuori.
Nel 1962 Mina lascia la Italdisc, sua prima
casa discografica, con la quale aveva inciso ben cinquantanove 45 giri, sei 33 giri
ufficiali, dieci extended-play e flaxy realizzati come gadget per varie iniziative commerciali (Il Musichiere, la Nuova
Enigmistica Tascabile, la Cera Gray, la
Cera Fax), su etichetta Airone. Nelle
copertine fotografiche delle prime uscite
Italdisc, Mina è stranamente presente solo
nel retro copertina, insieme ad altri artisti
del catalogo (Colin Hickx e Franco Vicini),
mentre sul fronte vi erano le foto di cantanti come Ray Scott, The Flairs e Benny
Joi. Fatto particolare e piuttosto singolare.
continua sul prossimo numero ...
Campo de’ fiori
41
Ludi Borgiani
Palio degli anelli XII edizione
Durante i festeggiamenti dei Santi
Patroni Giovanni e Marciano di Civita
Castellana, si è disputato il XII Palio
degli Anelli che ha visto vincitrice
per la quarta volta consecutiva la
Contrada Porta Lanciana capitanata
da Marco Calderini Nannerini, detto
il Marchese, contro le altre tre contrade: Porta Borgiana, Porta Rupi,
Porta Posterula.
In verità la contrada ha vinto in
totale 6 pali, proprio quanti sono i
cavalieri che la rappresentano: Luigi
Peri, detto ‘o faggiano, Roberto
Amoroso detto Mazza, Fulvio Floridi
detto l’indiano, Paolo Gai detto ‘o
buono, Stefano Mancini, detto fifì.
Abbiamo intervistato Marco, il capitano, per conoscere i segreti di questo successo.
“A parte lo spirito che anima i componenti del gruppo, il risultato è
dovuto anche all’allenamento specifico
che
curiamo
presso
l’Agriturismo Forre del Treja, dove
ha sede l’omonima associazione
sportiva”.
Quanto, secondo te, è sentita
questa manifestazione dalla
popolazione?
“Nonostante i notevoli sforzi del
Generale Pietro Pistola, vero inventore dei Ludi Borgiani, in sinergia
con Anacleto Antonelli, presidente di
Civita Cavalli, che di fatto organizza
il palio, si potrebbe avere un maggior riscontro, se solo nelle contrade
ci fossero più occasioni di incontro,
maggior vita sociale e si facesse
leva, principalmente, sulle nuove
generazioni”.
In quale altro modo pensi si
possa arricchire la manifestazione?
“Vorrei poter coinvolgere i bambini
delle scuole di equitazione per realizzare figure e caroselli equestri.
Azzarderei anche l’ipotesi della realizzazione di un duello simulato fra
diverse contrade… Insomma, tutte
quelle cose che attrarrebbero i “contradaioli” e richiamerebbero, anche,
un pubblico extra cittadino”.
Ci auguriamo che i buoni propositi di
Marco possano realizzarsi, per dare
sempre più lustro ai Ludi Borgiani,
giunti già alla XII edizione.
foto M. Topini
Marco Calderini Nannerini
UN SALUTO A
FRANCO AZZARO
Gli arcieri civitonici dell’Associazione Borgiana, vogliono ricordare un amico sempre presente nei
cortei storici e nei tornei di tiro
con l’arco, di cui è stato vincitore nella scorsa edizione.
Vogliamo ricordarlo, soprattutto,
come un amico socievole e
discreto e come una persona
sempre disponibile nel suo lavoro.
Scocchiamo una freccia in suo
onore… … un saluto nel vento…
… CIAO FRANCO, TI RICORDEREMO SEMPRE CON AFFETTO.
Alberto, Angelo, Ferdinando,
Ferruccio, Luciano, Piero, Ugo.
Cogliamo l’occasione per ricordare affettuosamente Peppe
Rossi, sempre partecipe ai cortei
storici dell’Associazione.
Campo de’ fiori
42
Il Fumetto
LETTERATURA PER IMMAGINI CHE EMOZIONA
VIDEO GIRL AI
Questo manga o si
ama o si odia, non ci
sono vie intermedie.
Io lo ritengo uno dei
più bei fumetti che
abbia mai letto per
gli intrecci amorosi
che si incastrano al
suo interno, per i
di
continui colpi di
Daniele Vessella
scena che si susseguono con un ritmo frenetico e per la graziosa veste grafica che si esalta nel dipingere le fanciulle. Infatti, il tratto di Katsura
conquista per la sua morbidezza e delicatezza, ma è la poesia della trama a far
innamorare tutti i lettori del mondo… una
poesia dal sapore dolceamaro che, pur
partendo da un presupposto fantastico,
installa tutto il fumetto sulla quotidianità;
questo ci fa sentire più vicino ai personaggi, facendoci ridere e commuovere con le
loro vicende. A differenza di altre serie,
qui i personaggi crescono e maturano sia
psicologicamente che fisicamente; viviamo o riviviamo, grazie a loro, il passaggio
più delicato di ogni essere umano: l’adolescenza. Ma lo godiamo con intensità
sopraffina e in maniera estremamente
potente. Infatti, i personaggi soffrono,
sbagliano, imparano dai propri errori, si
fanno mille paranoie per amore, come
delle persone vere e questo ci regala emozioni fortissime, grazie a una sceneggiatura impeccabile capace di destreggiarsi tra
di Masakazu Katsura
i pensieri degli adolescenti. Preparatevi,
quindi, a gustare una storia che trasuda
sentimenti da ogni tavola che saranno la
gioia per i vostri occhi. I primi numeri
danno l’idea di un fumetto incentrato sulla
spensieratezza e sulla comicità, ma con il
proseguimento della serie Katsura cambia
registro e impronta la sua opera sulla
drammaticità, facendo compiere un notevole salto di qualità all’intero fumetto. Sin
dal primo numero, si entra subito nel vivo
della trama: Yota Moteuchi è un timido e
goffo ragazzo, segretamente innamorato
di Moemi, sua compagna di classe, che gli
confida di amare Takeshi, il suo migliore
amico. Un amore a senso unico che fa star
male, anche perché Takeshi non è interessato alla ragazza. Nonostante ciò, Yota,
che ha un animo gentile e altruista, si propone come confidente personale di Moemi
per consigliarla e aiutarla a conquistare il
cuore dell’amico. Ma un giorno accade
l’imprevedibile: Yota, tornando da scuola
con l’anima innamorata in frantumi, si
imbatte in uno stranissimo videonoleggio,
dove prende una VHS dal titolo “Ai Amano
– Io ti consolerò”. Appena inserisce la
cassetta nel suo VCR, Ai, la protagonista
del filmato, sembra parlare proprio a lui…
nel tentativo di consolarlo. Immancabile
stupore da parte del ragazzo, ma le sorprese sono appena iniziate: la ragazza del
video esce dallo schermo e prende vita,
suscitando grande meraviglia in Yota. Ai
Amano è una “videogirl”, una sorta di
angelo con il compito di consolare i puri di
cuore (in questo caso, Yota) dalle delusioni d’amore. Ma la piastra del videoregistratore di Yota è rovinata e Ai ne esce
modificata fisicamente e, pur mantenendo
una dolcezza unica atta a consolare il
ragazzo, nel carattere da videogirl… Da
qui, le vicissitudini dei protagonisti porteranno a un finale emozionante e toccante
che resterà nei cuori dei lettori e farà commuovere i più sensibili...
44
Campo de’ fiori
La rubrica
dei perchè
Perchè quando si starnutisce si dice: Salute?
L’origine, secondo alcuni esperti, và ricercata al tempo dei Romani
secondo i quali uno starnuto eliminava dal corpo tutto ciò che era
impuro.
Secondo altre fonti, invece, l’origine risale al 1300 quando l’Europa fu
devastata dalla peste che, come primo sintomo, dava quello del raffreddamento. In quel periodo si usava dire “salute” per esorcizzare la
paura del male.
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Campo de’ fiori
L’angolo ... cin cin
45
di Letizia Chilelli
Lo stato di conservazione delle bottiglie
Buona abitudine è quella di effettuare, di
tanto in tanto, dei controlli sullo stato di
conservazione delle bottiglie.
Particolare attenzione va riservata alla
tenuta dei tappi e al livello del vino.
Se scende al di sotto del suo livello normale, si dice che il vino si sta “spogliando”,
o per eccessivo invecchiamento, o per altri
difetti.
Se si dispone di una partita consistente di
una certa qualità di vino, consiglio di stapparne una bottiglia ogni tanto, ed effettuare una degustazione di controllo.
Queste prove vanno fatte con più frequenza per i vini bianchi, che sono, come
abbiamo più volte detto, i più delicati:
salvo alcune eccezioni, infatti, ricordiamo
che vanno bevuti da giovani e il prima
possibile.
Già in base all’osservazione del colore, c’è
la possibilità di stabilire quanto tempo
rimane a disposizione per un ulteriore
invecchiamento.
A meno che non sia un Marsala, un Porto,
uno Sherry o un Moscato Passito, il vino
bianco deve mantenersi sempre su toni
chiari, o giallo brillante.
Se presenta riflessi ambrati o marrone che
prima non aveva, significa che sta maderizzando, cioè sta invecchiando troppo
rapidamente rispetto alla sua tipologia e
alla sua predisposizione naturale: in questi
casi conviene, anzi è necessario berlo il più
presto possibile.
Chi ha una cantina modello, grande o piccola, deve aver l’accortezza di “far girare”
il più rapidamente possibile le scorte di
vino.
E’ un grande errore (ma avviene più spesso di quanto si possa pensare) comprare
una partita di Champagne o di Spumante
a Natale per trovarsela in casa per le feste
di fine anno successive: ricordate che
quando le case mettono in commercio
questi tipi di vino, significa che sono pronti da bere subito.
I vini rossi di norma si conservano più a
lungo, ma ce ne sono ugualmente alcuni
da consumare rapidamente; Qualche
nome: il Bardolino, il Merlot del Piave, il
Dolcetto d’Asti, il Freisa, il Grignolino, il
Sangiovese di Aprilia….
Stesso discorso per i vini rosati.
Cosa importante, comunque, è sapere
quando un vino ha raggiunto l’optimum e
quando comincia a tramontare.
Va anche tenuto presente che i vini cambiano da una vendemmia all’altra, anche
se provengono da una stessa zona: un
anno possono essere più resistenti, un
altro meno.
Perciò è meglio tenersi al corrente dell’andamento stagionale delle vendemmie sui
luoghi di produzione e seguire le valutazioni delle annate fatte dagli esperti.
I vini rossi possono anche invecchiare
presso chi li ha acquistati, ma il risultato,
cinquanta volte su cento, non è mai brillante.
Il vino adatto alla lunga conservazione va
fatto invecchiare presso il produttore.
In realtà, l’aria natia si addice di più al
vino, anche se già imbottigliato.
Inoltre bisogna dire che le cantine delle
grandi città, o dei centri intensamente abitati, sono poco favorevoli alla lunga conservazione dei vini.
Le ragioni le abbiamo già dette: troppo
smog, poca circolazione d’aria pura, troppo riscaldamento delle case.
Anche le cantine ubicate lungo le coste
marine sono poco propizie alla conservazione dei vini.
L’aria di mare è nemica del vino, a causa
della sua salinità; per non risentire di questi effetti, occorre che la cantina, se ci troviamo in un centro marino, sia scavata in
profondità nel sottosuolo.
Prima di acquistare una certa partita di vini
e di portarsela a casa per farla maturare,
occorre essere ben sicuri di disporre di un
ambiente idoneo, per non rischiare uno
spreco di denaro.
I grandi vini da invecchiamento, ad esempio il Barolo e il Barbaresco, quando escono di cantina hanno già superato i requisiti minimi di invecchiamento, sono anche
quelli che presentano meno rischi e si possono tenere in una buona cantina senza
particolari problemi, per qualche anno: ma
non per decenni!
LA POSIZIONE DELLE BOTTIGLIE
Le bottiglie con il tappo di sughero è
meglio siano tenute coricate, per essere
conservate nelle migliori condizioni possibili: il tappo rimane in tal modo a contatto
col vino ed essendo inumidito continuamente non si restringe, garantendo quindi
una perfetta tenuta.
Mito da sfatare è che in questo modo il
vino venga a “sapere di tappo”: sa di
tappo, anche se non è a contatto con il
sughero, il vino che è stato mal tappato o
che è stato sigillato con un sughero di cattiva qualità.
Con le bottiglie coricate si ha anche il vantaggio di poterne accatastare, in poco spazio, una maggior quantità.
Non mi sento, comunque, di “rimprovera-
re” coloro che conservano le bottiglie in
piedi: in effetti questo sistema permette di
leggere subito (in caso di ambienti bui o
semi-bui) le etichette delle bottiglie.
Questo facile metodo, permette la suddivisione “a vista” delle bottiglie e ne consente una facile maneggiabilità dei recipienti,
anche se, come detto, è facile che il tappo
si asciughi, specie se la temperatura della
cantina tende a superare i limiti del “fresco,”cioè più di 12-14°C.
Il tappo, seccandosi, si restringe e permette all’aria di filtrare, prima in modo
impercettibile, poi sempre di più e questa
non voluta ossigenazione, mette in atto un
graduale processo di acetificazione: così
c’è il rischio di mettere a tavola un vino
“spunto”, cioè che sa di aceto.
A questo punto, anziché indagare su
cause remote (come ad esempio dare la
colpa al produttore) conviene esaminare la
dimensione del tappo e correre al riparo,
cioè provare a mettere quella partita di
bottiglie dalla posizione verticale a quella
coricata, sperando che il tappo, bagnandosi, torni a rigonfiarsi di quel tanto che
basta, in modo da impedire all’aria di continuare a filtrare.
46
Campo de’ fiori
Albu
Civita Castellana
1947 - foto del
Sig. Bergamasco
Varone Fiore
(Gustavino).
In piedi da sx:
Alfredo Ricci,
Enzo Caprioli,
Luigi Rita.
Seduti da sx:
Zermiro Costanzi
Varone Fiore
Bergamaschi
Civita Castellana
1947 - famiglia
Mancini.
In piedi da sx:
Bruno, Armando,
Erminio, mamma
Marie, papà Angelo,
Erminia e Antonio.
Accasciati da sx:
Giovanni, Teresa,
Rodolfo.
Se vi riconoscete in queste foto, venite in redazione e riceverete un simpatico omaggio. Se desiderate vedere
Campo de’ fiori
um dei ricordi
Carbognano 12 Maggio 1956 - processione in onore di San Luigi
foto del Sig. Luca Carosi
Civita Castellana anni ‘70 - foto del Sig. Giuseppe Brandi
e pubblicate le vostre foto, portatele presso la redazione di Campo de’ fiori, esse vi verranno subito restituite.
47
Campo de’ fiori
48
Una “Fabrica” di ricordi
Personaggi, storie e immagini di Fabrica di Roma
Cinema Smeraldo
Era il 1956 e, dopo il
disgelo tardivo della
famosa nevicata, finivano, nell’estate, i
lavori del cinema Smeraldo. A settembre
dello stesso anno apriva al pubblico, con la
proiezione del colossal
di Sandro Anselmi
I dieci comandamenti.
Alla inaugurazione venne invitata come
ospite d’onore Emma Danieli, presentatrice della Rai, che aveva un’abitazione a
Faleri Novi. Quella sala cinematografica,
nuova, ampia, con addirittura il bar accanto alla biglietteria, diventava un vanto per
un piccolo paese qual era allora Fabrica. Il
locale era su due livelli, c’era la platea e la
galleria, con prezzi d’ingresso diversi.
Tutte le poltrone erano di legno e il soffitto, alto, era coibentato in faesite per
migliorare l’acustica. Appena aperto c’era,
alla biglietteria, Marna Puri, Paesani
Antonio strappava i biglietti e fungeva da
maschera, e alla cabina di proiezione c’era
Giovanni Costantini (Giovannino). Dopo un
anno e mezzo circa, Marna partì per
l’America e lasciò il posto alla sorella Tilde
che lo tenne fino alla chiusura del locale.
Nel frattempo ad Antonio si era avvicendato il figlio Simone. Le proiezioni avvenivano il martedì e giovedì sera, ed il sabato e
la domenica anche il pomeriggio. Nello
spettacolo pomeridiano della domenica,
che era sicuramente il più affollato, una
frotta di ragazzini, seduti sul muricciolo
che dava sulla strada della Variana, aspettava già dal dopopranzo che arrivasse la
bigliettaia per aprire.
Altri, più vivaci, si stancavano a correre e
giocare nei pressi della fontana all’ombra
del grande pino. Alla domenica, poco
prima dell’inizio dello spettacolo, arrivavano i proprietari a bordo della loro Citroen
grigia, i signori Eraldo e Lino Scarpetta e
l’avvocato Gastone Filippi, che, insieme al
ragionier Licinio Valeri, sedevano abitualmente ad un tavolo del bar della sora
Peppa, per giocare interminabili partite a
carte. Io incominciai ad andare al cinema,
bambino, con mio padre ed in seguito,
però, non divenni mai un assiduo frequentatore, per non dover chiedere i soldi del
biglietto ai miei, ma ogni volta che avevo
occasione di farlo, restavo affascinato
dalle storie, dagli attori, dalle musiche, dai
colori, e quei film pian piano riempivano
buona parte dei sogni e delle fantasie che
affollano l’universo dell’infanzia e della gioventù. Quante volte, usciti dal cinema con
i miei cugini Ivo e Roberto, andavamo su
alla Rocca per imitare le scene dei film,
come quando, dopo aver visto Kirk
Douglas nel film Spartacus, fingevamo di
combattere alla spada l’ultima tragica
scena del film, quando l’eroe muore.
I film che andavano per la maggiore, in
quegli anni, erano storici e mitologici: I
cavalieri della tavola rotonda, Ben Hur,
Kirk Douglas
Sansone e Dalila… e ci offrivano tanti
modelli da imitare.
L’interprete insuperato di tutti i film di
Ercole era Steve
Reeves (Le Fatiche
di Ercole, Il Figlio
di Spartacus, Gli
ultimi giorni di
Tutti
Pompei).
volevamo assomigliarli e, per farlo,
incominciammo a
fare
culturismo,
copiando gli esercizi fisici dal libro di
Jhon Vigna.
Questo volumetto,
Giuseppa Crescenzi (sora Peppa)
con la copertina nera e l’autore in bella
mostra, in una
posa plastica,
ce lo prestavamo e girava
a turno fra
tutti noi, convinti che, con
tanto allenamento,
avremmo, poi,
assomigliato
ai protagonisti
dei film.
Steve Reeves
Campo de’ fiori
Album dei ricordi
Civita Castellana - squadra di calcio 1970 - foto del Sig. Vasco Menichelli
In piedi da sx: Roberto Fortuna, Mario Fantera, Franco Scarpetta, Sergio Gelanca, Domenico Tomei, Piero Capozucchi, Alfredo Marini,
Riccardo Gentili, Nunzio Gazzellone, Sante Baglioni, Claudio Bruzziches.
In basso da sx: Nando Mariani, Vincenzo Rossi, Claudio Fiori, Ugo Baldi, Vasco Menichelli, Ranucci, Mauro Giovannetti
Civita Castellana 1982 - pranzo per i cinquant’anni
49
Campo de’ fiori
50
Ecologia e Ambiente
Chi produce le polveri sottili?
di Giovanni Francola
Tutte le attività antropiche producono talmente tante di quelle polveri sottili difficili
da quantificare, pur essendo vero che attività vulcaniche, e altri fenomeni naturali,
contribuiscono all’emissione nell’atmosfera
di tali polveri.
Nonostante ciò l’uomo continua a bruciare
un quantitativo di petrolio pari a circa 3,5
miliardi di tonnellate l’anno, 4,8 miliardi di
tonnellate di carbone e altri 2,6 miliardi di
metri cubi di gas naturale.
La situazione si aggrava in prossimità di
centrali elettriche, raffinerie, inceneritori,
distretti industriali o dove c’è una intensa
presenza di traffico veicolare.
E’ ovvio che le attività dell’uomo devono
pur continuare, ma occorre che questo
avvenga nel pieno rispetto dell’ambiente.
Conferenze, incontri tra Paesi industrializzati, servono a poco se non c’è una chiara
e unitaria voglia di fare meglio, anche per
la salvaguardia delle generazioni future.
Infatti con la conferenza di Stoccolma, nel
1972, si passa da un “ambientalismo emozionale” ad un “ambientalismo razionale”,
orientato più verso aspetti globali e politici.
Anche in Italia inizia la fase del “CONSERVAZIONISMO-ECOLOGIA-POLITICA-
AMBIENTALISMO”.
Il primo si incentra sulla difesa delle risorse umane, il secondo sulla salute nelle fabbriche e in tutti i luoghi di lavoro e nei
quartieri, il terzo su campagne di informazione mirate a specifici obiettivi. Negli anni
’80 si passa alla modernizzazione ecologica, crescita economica e tutela ambientale; infatti, i materiali più inquinanti vengono rimpiazzati con quelli più ecologici e inizia anche il riciclaggio dei rifiuti.
Purtroppo, in questi anni, incidenti industriali hanno causato migliaia di morti, ad
esempio: a Seveso, nei pressi di Milano
(1976), ci fu una fuga di diossina; a Love
Canal (1979), gli abitanti furono allontanati perché vivevano sopra una discarica di
pesticidi; a Bhopal (India 1984), da una
fabbrica di pesticidi una nube tossica provocò circa 2.500 morti, per non parlare dei
disastri che hanno provocato reattori
nucleari come quello di Chernobyl (1986).
Inizia ad esserci una comunicazione del
“rischio”, ma ciò non basta per fermare i
più grandi emettitori di polveri sottili, perché, il più delle volte, dietro a queste realtà industriali ci sono poteri forti, duri da
sconfiggere e tanto meno sensibili ad un
radicale cambiamento imposto.
Sarà proprio l’opinione pubblica a far forza
su certi sistemi, ma occorre l’informazione
per sensibilizzare più persone possibile,
perché il fatto di tutelare e mantenere una
qualità dell’aria accettabile fa parte di un
diritto costituzionale, dal quale nessuno
può essere escluso.
Campo de’ fiori
51
Tommaso Gismondi e Civita Castellana
di Enea Cisbani
TOMMASO GISMONDI, importante scultore italiano, nasce ad Anagni, in provincia di
Frosinone, nel 1906.
Nel 1921 si trasferisce con la propria famiglia a Roma, dove entra in contatto con i
cenacoli artistici della Capitale e scopre il
meraviglioso mondo dell’arte e della scultura, con una passione e fervore artistico,
che nel volgere di pochi anni, lo fanno
diventare uno dei più importanti scultori
della Capitale.
Una grande figura di scultore “classico”,
legata a Civita Castellana, in quanto nel
1978 realizza un monumentale portale
bronzeo, originariamente previsto per la
Cattedrale e non più collocatovi a causa di
una serie di ingiustificati veti dell’allora
Ministero per le Belle Arti, e posizionato
nella chiesa di San Franceso, in Piazza
Matteotti.
Il portale bronzeo, con episodi della vita di
San Francesco, è stato realizzato per volere di due importanti concittadini:
Monsignor Goffredo Mariani e il Maestro
Domenico Mancini, a cui si deve il grande
merito artistico e culturale di aver portato,
nel nostro centro, un grande e celebrato
scultore come Tommaso Gismondi.
La produzione scultorea di Gismondi è
vasta e monumentale: portali per le chiese di Alatri, Sora, Paola, Lanciano,
Sgurgola e Morolo, nel frusinate; una statua della Madonna a Venado Tuerto in
Argentina; il grande Leone di San Marco a
Città del Messico (1982); una statua del
Papa Giovanni Paolo II (1985); una statua
della Madonna a Roma (1980); una statua
di Andrè Latrille in Costa d’Avorio (1986);
una statua del Beato Luis Ruiz nelle
Filippine (1981).
Tommaso Gismondi
Madre Teresa di Calcutta
Il nome di Gismondi è legato alla sua attività per la sede del Vaticano per la cappella “Europa” in San Pietro, del 1980, con la
monumentale Pala d’Altare bronzea con i
Santi Benedetto, Cirillo e Metodio Patroni
d’Europa; il Portale della Biblioteca e
Archivio Segreto Vaticano; la Cattedra di
Giovanni Paolo II; la Via Crucis e il cofanetto bronzeo per le chiavi delle Porte
Sante di San Pietro, San Giovanni e Santa
Maria Maggiore; la grande statua di San
Giuseppe, posta nel Cortile della
Biblioteca Vaticana, e infine le
numerose monete, realizzate per sette anni consecutivi, per celebrare il Pontificato di
Paolo VI.
Le opere di Gismondi si trovano anche a
Parigi, nella chiesa di Montmartre, dove
nei tre Portali della più antica chiesa parigina sono raffigurati episodi della vita di
Maria Madre di Gesù, la storia di San
Dionigi Patrono di Francia e la storia di San
Pietro.
Ad Assisi, nella Basilica Francescana inferiore, realizza quattro formelle bronzee
dedicate alla Madonna e con episodi significativi della sua vita.
Nel 1992, prima della sua morte, realizza
la statua in bronzo di Madre Teresa di
Calcutta, ritratto in dimensioni naturali
della Santa e omaggio alla sua opera di
umanità e amore universale.
Non soltanto il bronzo, ma anche il marmo
statuario: nel 1971 realizza l’Ultima Cena
per la Chiesa dei Servi a Marina di Massa.
Nel 1988 realizza, per la Cattedrale di
Nostra Signora Maria, il portale bronzeo di
circa 40 metri quadrati di superfice, senza
dubbio l’opera più monumentale realizzata
dal Maestro. Le sue opere si trovano, inoltre, negli Stati Uniti, in Russia, conservate
nel
Museo
dell’Ermitage
a
San
Pietroburgo, in Polonia, in Romania, nel
Perù, in Olanda. Una produzione scultorea
sterminata, senza contare i ritratti in
argento e oro massiccio realizzati negli
anni ’80 per alcune importanti famiglie di
Anagni. Tommaso Gismondi è, dunque, il
grande artista e scultore che onora Civita
Castellana.
Porta
della
biblioteca
Vaticana
Santo Domingo
Cattedrale de nuestra Sinora
de la alta Gracia
52
Campo de’ fiori
Noel
torner dal prossimo
numero con tante
nuove, affascinanti storie,
per portarci ancora una
volta nel suo
fantastico mondo.
Ciao da Cecilia e Federico
Campo de’ fiori
53
Vita Cittadina
22 Settembre - Civita Castellana
intitolazione della Piazza, antistante l’Ufficio
Postale, ai martiri di Nassirya foto M. Topini
23 Settembre - Civita
Castellana
intitolazione dei
giardini pubblici
in Via Santi Marciano
e Giovanni a Sir
Robert Baden Powel,
fondatore degli Scout.
foto M.Topini
16 Settembre - Civita Castellana - feste Patronali SS Martiri Marciano e Giovanni - Ludi Borgiani - foto M. Topini
21 Settembre - Fabrica di Roma - corsa dei
carrettini durante i festeggiamenti dei
SS Matteo e Giustino - Foto Eleven Focus
15 Settembre - Corchiano - sfilata della “Frustica” di Faleria e concerto di Mariella Nava
durante i festeggiamenti della Madonna delle Grazie - Foto Eleven Focus
Campo de’ fiori
54
In punta di piedi
Romolo se n’è andato
ma
o
R
i
d
Fabrica
genza, tramandavano a tutti noi i più
grandi valori della
vita.
Lasciata quella realtà adolescenziale, ci
si rende conto che
quei primi insegnamenti sono sempre
vivi in noi.
Ti accorgi che un
uomo come Romolo,
in un paese che cresce velocemente, è
sempre un punto
il suo inseparabile cappellino, che soltanto
lui sapeva calzare in quel modo.
In tutti quei linguaggi d’arte, Romolo metteva la vera passione, ed è per questo che
io, come tanti altri, gli dico grazie, grazie
per averci dato la capacità di guardare le
cose da un altro punto di vista.
Qualche tempo fa incontrai Romolo sulla
strada del cimitero, dove era solito recarsi
a far visita a sua moglie, e sotto l’ombra
di un grande cipresso parlammo a lungo e
mise in luce tutta la sua saggezza e conoscenza. Peccato che te ne sei appena
andato in punta di piedi, ma non c’è dubbio che hai lasciato un immenso patrimo-
di Giovanni Francola
Fabrica di Roma inizia ad essere un paese
in cui le cose, ogni giorno, vanno sempre
più veloci, la gente non ha più tempo, si
respira un malessere di quotidianità che è
diventato quasi “normalità”.
Nello stesso tempo rimane sempre un
paese dove le persone sanno un po’ tutto
di tutti.
Quando muore qualcuno, la cosa difficilmente passa inosservata, soprattutto
quando viene a mancare una grande persona come Romolo Malatesta.
Un personaggio dai mille contorni, è
indubbio. Chi ha avuto la fortuna di conoscere Romolo sa di aver ricevuto un’
impronta indelebile del suo carisma.
Nei primi anni di scuola non era il mio
maestro, ma il maestro dell’aula accanto.
Il ricordo va a quando suonava la campanella della ricreazione: il mio maestro
Silvano Polidori si incontrava sempre con
Romolo, inseparabili amici, e sui loro volti
trapelavano tutte le loro disavventure scolastiche.
La cosa che è rimasta sempre viva nella
mia memoria, è il fatto che quei due amici
amavano insegnare e, con grande intelli-
Fabrica di Roma - La maestra Linda con i ragazzi della I elementare del 1961 davanti ai
lavori di Natale eseguiti dal maestro Romolo
fermo, una risposta a tanti perché.
Ancorato saldamente ai puri valori della
vita, è riuscito a dare a dare alla comunità, tutta la sua creatività, manifestandola
in vari campi artistici.
Davanti a tale entità non rimane altro che
ascoltare, osservare e apprendere.
Ci mancherà molto quel personaggio, con
nio artistico e umano, hai lasciato il ricordo
di chi ha vissuto la propria vita con lealtà e
umiltà, come fanno i grandi uomini.
Si è dato inizio alla raccolta di firme per
dedicare una via di Fabrica di Roma al caro
Romolo. Per informazioni rivolgersi al Sig.
Sandro Di Pietro presso la Coop di Fabrica
di Roma.
Campo de’ fiori
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Info Pubb.
0761.513117
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Campo de’ fiori
Viterbo 11° Mini Festival “Città di Viterbo”
Tornano i piccoli grandi cantanti del Mini Festival “Città di Viterbo”!
La manifestazione, giunta alla sua undicesima edizione, avrà il suo epilogo
– a Viterbo – domenica 2 dicembre p.v., dopo aver svolto le semi finali a Ronciglione (18 novembre p.v.) e Marta (25 novembre p.v.).
Come il solito, l’organizzazione è a cura dell’Associazione “Omniarts”, in
collaborazione con Corriere di Viterbo, Etrurialand, Il Messaggero,
Melting Pot, Nuovo Viterbo Oggi, Radio Verde, Tuscia in Jazz
Festival e www.viterbowebtv.info.
Quest’anno la manifestazione avrà il patrocinio ed il contributo della
Provincia di Viterbo e dei Comuni di Viterbo – Assessorato alle
Politiche Giovanili –, Marta e Ronciglione, nonché della Pro Loco di
Marta.
Anche nel 2007, inoltre, il Mini Festival diventerà un grande contenitore di
solidarietà, in quanto farà parte delle manifestazioni promosse da “Viterbo
con Amore”.
I vincitori del Mini Festival 2006
Circa 40 bambini/e e ragazzi/e, d’età compresa tra i 6 ed i 18 anni e provenienti da Viterbo, da paesi della provincia ed oltre, hanno partecipato alla
passata edizione, i cui vincitori sono stati:
Cat. 6 – 10 anni: Gian Marco Piccini (Blera), con il brano “Vorrei avere il becco”; Cat. 11 – 14 anni: Chiara Anselmi (Villa San Giovanni
in Tuscia), con il brano “Lei ha la notte”; Cat. 15 – 18 anni: Francesca Romana Gabrielli (Monte Romano), con il brano “Fa che non sia
mai”
Fino al 20 ottobre p.v. è possibile iscriversi al Mini Festival; ogni partecipante sceglie il brano da cantare e, se non lo ha già, ne riceve
il testo e la base musicale.
Per le iscrizioni basta telefonare a Pierluigi Alberti (tel. 0761/305486 – 320/1435180) o Paolo Moricoli (tel. 0761/345610 –
328/7188646); a fine ottobre ed inizio novembre si svolgeranno le selezioni per le semifinali, presso il Porter Tavern di Viterbo.
I partecipanti saranno, ovviamente, giudicati da una giuria di assoluta qualità che, quest’anno, sarà presieduta dal giovane tenore viterbese Antonio Poli – vincitore del Mini Festival 1998 – già apprezzatissimo cantante lirico in Italia e, soprattutto, all’estero.
È possibile prendere visione del regolamento sul sito www.omniarts.it.
Oltre ad un simpatico omaggio per tutti i partecipanti e ai premi per i primi tre classificati di ogni categoria (cat. 1 per i nati tra il 1997
e il 2001, cat. 2 per i nati tra il 1993 e il 1996, cat. 3 per i nati tra il 1989 e il 1992), il vincitore della sezione dedicata ai più grandi
avrà la possibilità di incidere un CD in una sala di registrazione professionale.
Inoltre, www.viterbowebtv.info offrirà, ai primi tre classificati di ogni categoria, un CD che darà la possibilità di effettuare un viaggio per
due persone al prezzo di una; Tuscia in Jazz Festival, invece, offrirà ai primi tre classificati della cat. 3 la possibilità di partecipare, gratuitamente, ai suoi stage formativi estivi.
Il nostro concorso canoro sta crescendo edizione dopo edizione; in questi anni abbiamo lanciato talenti come le già famose Anna
Tatangelo (vincitrice della Sez. Giovani del Festival di San Remo nel 2002 e della categoria “donne” nel 2006: ormai è una star in ambito internazionale!) e Alina (seconda classificata della Sez. Giovani del Festival di San Remo nel 2003), abbiamo fatto fare una proficua
esperienza internazionale ai migliori cantanti (nel 2004), inviato i partecipanti più giovani allo “Zecchino d’Oro” (terzo classificato) e,
quest’anno, Beatrice Burchiani al Festival di Saint Vincent, dove è stata tra i pochissimi premiati.
Altri giovani interpreti si stanno già mettendo in mostra (la qualità degli stessi cresce ogni anno di più) e, con un po’ di fortuna, contiamo di poterne annoverare altri – tra non molto – nella lista dei “viterbesi bravi e famosi”.
p. Ass. OMNIARTS
Paolo Moricoli
Protegge i tuoi valori
Silvia Malatesta - Via S. Felicissima, 25
01033 Civita Castellana (VT)
Tel.0761.599444 Fax 0761.599369
[email protected]
Campo de’ fiori
57
Etica nello sport - alla memoria di Ivan Rossi
Il 28 Settembre 2007 si è svolto presso l’Aula Magna
dell’ITIS, organizzata dalla sezione provinciale del
CONI la prima edizione di “Etica nello sport – alla
memoria di Ivan Rossi”.
Alla manifestazione erano presenti: il sindaco di Civita
Castellana Giampieri, il presidente della provincia
Mazzoli, l’assessore provinciale allo sport Trappolini,
l’assessore provinciale per la pubblica istruzione
Fabbrini, il consigliere provinciale Miccini, il dirigente
del CONI Treta, il dirigente della lega nazionale dilettanti sezione di Viterbo Lucarini, il Vescovo della diocesi di Civita Castellana Mons. Divo Zadi, la campionessa di motociclismo Letizia Marchetti e naturalmente i genitori e amici di Ivan Rossi.
Durante la manifestazione è stata consegnata, da
Letizia Marchetti, una targa ai genitori di Ivan Rossi e
sono state premiate, inoltre, le seguenti società sportive: Basket ASD Ghost Tuscania, pallavolo femminile
di Civita Castellana, calcio Valentano, Civita Rugby
settore giovanile, Rugby Oriolo settore giovanile.
Alla fine della manifestazione sono state premiate le
prime quattro squadre del primo torneo Ivan Rossi.
La mamma di Ivan Rossi e Letizia Marchetti premiano la squadra vincitrice
del Torneo Ivan Rossi
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Nasce la sede dell’Istituto Artistico Ulderico Midossi
L’11 Settembre è stata inaugurata, a Vignanello, la sede distaccata dell’Istituto Artistico Superiore
Ulderico Midossi, presso i locali dell’edificio scolastico di Viale Vignola.
Il Vicesindaco, Vincenzo Grasselli, e numerosi rappresentanti dell’amministrazione comunale hanno
fatto gli onori di casa ai rappresentanti istituzionali (il Povveditore Dr. Romolo Bozzo, gli Assessori
provinciali Angelo Cappelli e Aldo Fabbrini, il Preside Dr. Franco Chericoni), al personale docente e
non docente e agli studenti che formano due classi.
La sede di Vignanello è stata realizzata a seguito di un decreto emanato nel 2006 dal Ministero della
Pubblica Istruzione; il comune di Vignanello ha concesso alla provincia di Viterbo (che ha investito
circa 50.000,00 € per adattare i locali) il piano primo dell’edificio scolastico, dove sono allocate le
classi, gli uffici amministrativi ed i laboratori.
L’apertura della sede è importante per la zona perché lega una scuola di arti visive ed espressive
al territorio, inoltre, la costituzione di due classi determina un segnale forte per l’interesse dei giovani verso il mondo artistico e della comunicazione.
da sx: Angelo Cappelli, Vincenzo Grasselli,
Romolo Bozzo e Aldo Fabbrini
Farmacie Civita Castellana aperte nei giorni festivi di Ottobre 2007
07 Ottobre - Farmacia Filizzola
14 Ottobre - Farmacia Municipale Via Ferretti
21 Ottobre - Farmacia Municipale Via Santa Felicissima
28 Ottobre - Farmacia Filizzola - Farmacia Versace Sassacci
Farmacie Corchiano e Fabrica aperte nei giorni festivi di Ottobre 2007
21 Ottobre - Farmacia Liberati di Fabrica di Roma
28 Ottobre - Farmacia Sangiorgi di Corchiano
Benzinai Civita Castellana aperti nei giorni festivi di Ottobre 2007
07 Ottobre - Shell Via Flaminia - Erg Via Nepesina - Q8 Via Terni
14 Ottobre - Esso Via Flaminia - Total Via Terni
21 Ottobre - Tamoil Via Flaminia - IP Circonvallazione - Api Via Belvedere Faleri
28 Ottobre - Api Via Flaminia Borghetto - Enerpetroli s.s. 311 Nepesina - Api Via Corchiano
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San Matteo cambia look
I cittadini di Fabrica di Roma, vedendo il programma dei
festeggiamenti in onore dei Patroni S.S. Matteo e Giustino,
sono rimasti basiti e si sono chiesti se, l’immagine pubblicata
in copertina, fosse quella del loro amato Patrono,
se non altro per l’aureola che somiglia ad un turbante.
Il San Matteo che loro conoscono è quello della vecchissima
statua lignea, posta al lato dell’altare maggiore del Duomo.
Chi ha scelto la foto, avrà pur fatto una ricerca inografica
approfondita, ma, per i fabrichesi, San Matteo resta
comunque l’altro
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INDOVINELLO
Se lo vedi è molto brutto, se lo senti puzza tutto, se
lo tocchi è un pò peloso, se lo assaggi è un pò
gustoso, che cos’è?
Avete risolto l’indovinello ??
Il primo che indovinerà e ne darà comunicazione
in redazione, riceverà un simpatico omaggio
offerto dalla GIOIELLERIA SPERANDIO
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61
Intervista a Ludovica Cenci
Ludovica,
quando è iniziata la tua
passione per
la danza?
Fin da piccolissima,
come
quasi tutte le
b a m b i n e ,
amavo danzare.
A
Sant’Oreste,
dove
vivevo,
davanti allo specchio della mia cameretta,
ballavo per ore e per me era un gioco
meraviglioso. Poi mia madre mi iscrisse ad
un corso di danza classica a Civita
Castellana e fu allora che seppi, con chiarezza, che quello sarebbe stato il mio lavoro. Al Body Center, dove si teneva il corso,
il mio amore per la danza continuò a crescere lezione dopo lezione.
Quindi hai frequentato Civita
Castellana a lungo?
Per oltre quattro anni, poi, consigliata
dalla mia insegnante, che riteneva avessi
conseguito una buona preparazione, tentai l’esame per la scuola del Balletto di
Roma. Fu una selezione spietata, con un
esame che consisteva in valutazioni tecniche, artistiche e fisiche, ma fui ammessa!
Sant’Oreste, Civita Castellana e quindi Roma?
Si. A Roma la mia vita cambiò completamente: scuola alla mattina e al pomeriggio
lezioni di danza per almeno quattro ore,
dal lunedì al sabato. A fine anno poi, gli
esami per accedere al corso successivo. La
competizione era tremenda, ma i miei
sforzi furono premiati da una borsa di studio. Dopo questo premio, conseguito con
tanta fatica,e con il progressivo maturarsi
delle mie aspirazioni, trovai il coraggio di
affrontare i provini per il Teatro dell’Opera
e per la Scala di Milano. Li vinsi entrambi!
Allora avevo solo quattordici anni e
mamma optò per il Teatro dell’Opera che
non mi avrebbe portato troppo lontano da
casa. Così iniziò la mia carriera professionale, non solo al Teatro dell’Opera, ma
anche in tante tournèe e festival in Italia e
all’estero. La mia prima esperienza professionale, che ricordo ancora con emozione,
fu con la compagnia di Balletto Classico di
due grandi ètoile : Liliana Cosi e Marinel
Stefanescu, nei balletti di repertorio classico “Coppella” e “Don Chisciotte” .
E a Civita non sei più tornata fino ad
oggi ?
Il mio ritorno è stato veramente casuale.
Tre anni fa, davanti al Duomo di Civita
Castellana, in occasione del Civita Festival,
mi esibii, come prima ballerina, in “ Savor
Mediterraneo”, con la compagnia Danza
Prospettiva di Vittorio Biagi. A fine serata
riconosco tra il pubblico la signora Carla Di
Donato della mia prima scuola di danza e
corro a salutarla. Pochi mesi dopo lei mi
offre di collaborare come insegnante di
classico e contemporaneo nella nuova
scuola Blu Life di Civita Castellana.
Come vivi il tuo ruolo di insegnante?
E’ stato inizialmente un impatto traumatico. Mi ero formata, con anni di studio, una
mentalità che male si coniugava con il
nuovo ambiente. Per carattere sono porta-
ta a parlare e cercare di capire i problemi
di allievi e genitori, ma sono intransigente
per quanto riguarda la “mia” danza. Oggi
però sono estremamente soddisfatta perchè gli allievi, che mi seguono da tempo,
hanno raggiunto un buon livello tecnico e
mi apprezzano, indipendentemente dalla
mia severità. Ho avuto anche la soddisfazione di vedere l’ammissione di una mia
allieva all’Accademia Nazionale di Danza.
Parallelamente continuo il mio lavoro di
ballerina, sempre all’avanguardia in quelle
che sono le nuove tendenze coreografiche
e i nuovi stili contemporanei. Questo per
me è un grande arricchimento personale e
uno stimolo continuo anche nell’insegnamento.
E invece le tue ultime esperienze
come ballerina?
Nella scorsa stagione ho potuto lavorare,
dopo una dura audizione, con uno degli
esponenti dei Momix, esibendomi con la
compagnia a Roma per Amnesty
International; uno stile unico ed entusiasmante, lontanissimo dalle mie precedenti
esperienze. Poi ho partecipato al progetto
“ Fusion d’Arte” per il Ministero dei Beni
Culturali. Si tratta di una produzione in
video sull’opera dello scultore Manzù,
creata per il Museo di Arte Contemporanea. Ora sono appena rientrata dal
Festival Nazionale Pucciniano, dove sono
stata scritturata come prima ballerina. Di
quest’opera sono già previste due turnèe a
Nizza e Tokio.
(Auguri per la tua doppia carriera professionale e di insegnante).
NATI
MATRIMONI
DECEDUTI
Corchiano
Corchiano
10.06.2007 Yuri Marini
27.06.2007 Evelyn Karina Camachio
Gomez
27.07.2007 Giulia Carrer
19.07.2007 Ahmed Khan Usman
24.07.2007 Irene Montini
24.07.2007 Filho Alexan Rodrigues
Evangelista
24.07.2007 Christian Romano
03.08.207 Giorgia Cardinali
03.08.2007 Manuel Montini
23.08.2007 Sergio Anicito
07.09.2007 Francesco Moscioni
12.09.2007 Rosa Vessella
14.09.2007 Matteo Cidone
24.09.2007 Aurora Gentili
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Daniele Caracuta/Roberta Ubertini
Antonio Troncarelli/Emanuela Marini
Paul Leon Joseph Ploumhans/Maria
Grazia Ferri
Fabio Gentili/Alessia Magrini
Antonio Del Monaco/Antonina Valentini
Maurizio Ermini/Giuseppa Gentili
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Marcello Narcisi/Simona Tomei
Alessandro Siviglia/Sara Pedica
Daniele Cau/Debora Ciarnese
Fabio Ciani/Laura Febbraio
Gianni Testini/Laura Marcomeni
Corchiano
26.06.2007 Alvo Monfeli
04.07.2007 Angela Raffaela Ciuffreda
13.07.2007 Leonino Forti
13.07.2007 Mario Santoro
27.07.2007 Giulia Tempestini
28.08.2007 Elena De Angelis
28.08.2007 Maria Pia Bufacchi
30.08.2007 Secondo Poli
02.09.2007 Tommaso Campanelli
05.09.2007 Margherita Lucchesi
25.09.2007 Luigi Bernardini
27.09.2007 Argentina De Santis
01.10.2007 Adio Piergentili
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dall’Associazione
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D’Italia
(A.I.D.I.)
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Presidente
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