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Ottobre 2013, Bologna. Un duplice evento promosso dall’Assessorato alle Politiche abitative dell’Amministrazione locale ha posto un punto fermo
nello studio del cohousing. Una mostra e un convegno1 hanno raccolto dati e fatto luce sugli aspetti
maggiormente caratterizzanti di questa poco più
che quarantennale modalità abitativa, attuale
campo di approfondimento degli studiosi dell’abitare inteso nelle sue più ampie accezioni.
Interpretare
la collaborazione:
oltre il cohousing
Nuove soluzioni
per l’abitare condiviso
e intergenerazionale
Silvia Calastri
Settore Servizi per l’abitare, Comune di Bologna
[email protected]
Jacopo Gresleri
Architetto, docente a Contratto Università di Ferrara
[email protected]
Fig. 1: Locandina realizzata
in occasione della mostra
e del convegno sul cohousing promossi dal Comune
di Bologna – Settore Servizi per l’Abitare e ASP
Irides, con il patrocinio
del Dipartimento della Gioventù della Presidenza del
Consiglio dei Ministri e
del CNAPPC. Bologna,
Urban Center 19.X.20123.XI.2012 [Jacopo Gresleri,
Fabrizio Passarella]
Fenomeno in parte di moda (e spesso frainteso),
capace di riscuotere grande successo e crescente
attenzione fra pubblico e istituzioni, il cohousing è
ormai una forma residenziale riconosciuta a livello
internazionale e adottata in tutti i paesi economicamente più avanzati, dagli Stati Uniti all’Australia, dalla
Svezia all’Italia, ecc.
La storia della nascita del cohousing è ormai nota
(Lietaert 2007, Sapio 2010, Vestbro 2010), mentre
emergono con urgenza altri aspetti da approfondire:
il simposio bolognese ha dimostrato come, non esistendo ancora una definizione di cohousing univocamente riconosciuta, vengono oggi considerati tali
modelli e realizzazioni profondamente differenti fra
loro, ampliando così a dismisura il perimetro entro il
quale “collocare” questa forma residenziale. A complicare ulteriormente il quadro di analisi contribuisce
il fatto che nei paesi dove si è sviluppata questa modalità abitativa, anche il cohousing propriamente
detto ha assunto denominazioni differenti2.
La necessità di fare chiarezza semantica per sviluppare studi disciplinari approfonditi induce a formulare una possibile definizione basata sui principali
aspetti costituenti di questo modello. Per cohousing
si potrebbe intendere una forma di residenza collaborativa basata sul modello del lavoro condiviso,
dove gli inquilini – che non rappresentano una categoria sociale definita – partecipano attivamente
alla progettazione e alla realizzazione del proprio vi-
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The interpretation of the collaboration
within the cohousing experiences
Silvia Calastri
Services for living Sector , municipality of Bologna
Jacopo Gresleri
Architect, Adjunct Professor University of Ferrara
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In October 2013 a conference and an exhibition in
Bologna managed to shed light on main aspects of
cohousing, field of studies and internationally recognized housing form. From the symposium emerges
the need to clarify the meaning of the word, so far
used to identify different ways of living. It is therefore
proposed to define as cohousing a residential form based on collaborative model of shared work, where
residents actively participate in the design and management of their neighborhood and collective structures combining privacy and need for sociality.
Cohousing is delineated as a small social organism
established by a regulation written by residents themselves , able to auto- generate answers to needs to
which institutions are not able to respond. Even from
a typological point of view cohousing requires an articulated definition: here will be outlines three archetypal patterns - Danish , Swedish and Dutch - which
also represent three different cases from an architectonic and a management point of view but still are
functionally linked by the leitmotiv of collaboration
and active participation in defining it and manage
it. Awareness and determination are therefore the
key words to define cohousing and clarify the elitist
nature that makes cohousing a model impossible to
be extended indiscriminately as solution to recession
or social problems.
Yet collaboration is the key to understanding an
emerging phenomenon that exceeds cohousing
model and proposes an housing form that requires
less personal involvement from the residents. As examples here are reported two different cases. First
one is the case of viviendas dotacionales in
Barcelona conceived with the idea to meet housing
needs of the elderly or of young people. They are
characterized by the care in architectural design
which facilitates the aggregation of residents in public areas and integration into neighborhood life. In
this case, collaboration between residents is not the
assumption at the base of this kind of housing form
characterized by management of common spaces
offered by the institutions. Another case is the German Baugruppe characterized by a financial cooperation between residents , designed to reduce the
costs of built construction and to obtain spaces and
services with the savings. This case is part of a
broader German movement of search of alternative
forms of housing that exceed the concept of housing
in favor of living.
cinato e alla gestione delle strutture collettive, un
modello in cui alloggi privati e servizi comuni vengono combinati in modo da salvaguardare la privacy
di ognuno e allo stesso tempo il bisogno di socialità,
offrendo una risposta efficiente ad alcune questioni
pratiche della quotidianità come mangiare, prendersi cura dei bambini ecc. Il cohousing (nordeuropeo3) si pone, quindi, come un piccolo organismo
sociale attivo, gestito attraverso un regolamento
scritto e sottoscritto dai residenti, in grado di autogenerare risposte a bisogni interni concreti a cui le
istituzioni non possono o non sono in grado di fare
fronte adeguatamente.
Partecipazione, condivisione di valori, spazi comuni,
appartamenti privati, autogestione e collaborazione,
assenza di gerarchia, dimensioni, risorse distinte:
queste le parole chiave per comprendere la specificità del modello cohousing. Anche dal punto di
vista tipologico la definizione di cohousing risulta
complessa, si rende necessaria perciò un’ulteriore
classificazione che, seppure a grandi linee, consenta
di collocare le varie esperienze internazionali in un
quadro di riferimento più preciso.
Fig. 2: Confronto alla medesima scala di rappresentazione fra i
tre archetipi di cohousing. In rosso sono evidenziate gli spazi collettivi: Common House, ambienti dedicati e connessioni distributive polifunzionali. [immagine Jacopo Gresleri]
Tipologicamente si possono ricondurre i cohousing
a tre modelli archetipici4: danese, svedese e olandese. Il primo, il più diffuso, è costituito da una serie
di unità indipendenti a uno o due piani, distribuite
sul lotto in due schemi tipo: a pianta “organica”, che
asseconda la morfologia del terreno (Common
House5 indipendente, solitamente al centro del com-
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plesso), oppure a “L” (con Common House in posizione di cerniera fra i due bracci, come in Jystrup).
Il terzo modello, quello olandese, costituisce un
caso intermedio fra i primi due. Del primo assume
l’ampia dimensione della comunità, la ridotta altezza degli edifici, l’autonomia della Common
House dalle unità residenziali, la distribuzione “a padiglioni”, qui però raccolti in gruppi detti cluster . Del
secondo, invece, ripropone l’organizzazione dei singoli cluster6 secondo microcomunità, dotate di servizi autonomi e regole di gestione personalizzate.
Fig. 3: Cohousing Jystrup, Danimarca (Tegnestuen Vandkunsten,
1984). Dettaglio delle unità abitative. [foto Jens Kristian Seier]
L’alloggio privato uni/bifamiliare, parzialmente personalizzato secondo i modelli dell’architettura vernacolare locale, rende questa soluzione tra le
favorite dai residenti, soprattutto nel caso di comunità numerose.
Il modello svedese è invece costituito da un edificio,
un singolo blocco più o meno esteso a più piani. Gli
alloggi sono notevolmente meno ampi che nel modello danese e collocati ai livelli superiori, lasciando
il piano di ingresso e il primo piano alle funzioni collettive, così da favorire contatti con il vicinato e incontri occasionali fra residenti. Per la sua forma
geometricamente compatta, l’alta densità abitativa e
di conseguenza il ridotto consumo di suolo, esso è
la soluzione che meglio si adatta agli ambiti urbani.
Fig. 4: Cohousing Färdknäppen a Stoccolma (Jan Lundqvist Arkitekter, 1993). [foto Jacopo Gresleri]
Fig. 5: Cohousing Wandelmeent a Hilversum, Olanda (Architectneburo Leo de Jonge, 1977). [foto NMR van Eijk]
Pur considerando le diversità tipologiche e gestionali dei tre modelli descritti, analizzando le singole
realizzazioni, le modalità e le regole che sottendono
al funzionamento dei vari cohousing, emerge con
evidenza la presenza di un leitmotiv comune a tutti:
l’impegno reciproco da parte dei residenti verso un
abitare di tipo collaborativo. Questo processo di partecipazione alle attività, alla promozione, formazione, gestione e manutenzione del cohousing alla
vita quotidiana nell’ambito della struttura è indubbiamente l’elemento di maggiore interesse per la
comprensione del fenomeno, dal punto di vista sociologico, amministrativo e architettonico. L’idea di
collaborazione – che è alla base di ogni azione decisionale e di fruizione dei servizi a disposizione del
cohousing – fa intravedere la complessità della progettazione (in senso lato) di questa forma residenziale. La partecipazione attiva rende necessaria una
lunga preparazione dei soggetti che intendono
prendere parte alla vita di questa comunità, impegnandoli sia a livello personale che collettivo per affrontare e dirimere le naturali difficoltà quotidiane;
presuppone infine un’organizzazione meticolosa dei
processi di gestione e delle mansioni dei residenti.
In due sole parole, richiede “consapevolezza” e “determinazione”.
Il cohousing dunque, modello residenziale “demo-
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cratico”, trasversale rispetto alle diverse classi sociali
è, nella realtà dei fatti, una soluzione abitativa per
pochi, in qualche modo un modello “elitario”. Il cohousing non è – né può essere – una soluzione
residenziale estendibile indiscriminatamente, pena
il fallimento dell’idea stessa di co-residenza: alla
base di questo modello resta la condivisione di valori e principi7, l’idea di mettersi in gioco e impegnarsi, di vivere una parte della propria vita in
comunità e nel rispetto dell’individualità dei residenti. Il cohousing non può, quindi, essere proposto – tantomeno imposto – come soluzione al
disagio sociale, alla crisi economica e dell’istituzione familiare, ai bisogni di una società in evoluzione apparentemente attratta da antichi valori
comunitari. Il cohousing richiede una forte convinzione del singolo circa le modalità da mettere in
atto e un’altrettanto forte volontà del gruppo nel
perseguirne i principi fondanti in un processo costitutivo prevalentemente autodeterminativo.
Eppure, proprio ciò che costituisce l’elemento discriminante e caratterizzante di questo modello –
la collaborazione – è chiave di lettura di un emergente fenomeno abitativo che supera il modello cohousing, e propone nuove forme residenziali che
pongono comunque al centro dell’attenzione – ancora una volta – partecipazione e condivisione. Tale
fenomeno, in costante evoluzione, ha prodotto una
serie di esempi di estremo interesse che hanno saputo coniugare l’impegno all’autonomia (così come
nel caso del cohousing) con un minore coinvolgimento e determinazione da parte dei residenti.
Questi nuovi modelli, ampiamente sperimentati e
diffusi, in virtù della loro ridotta regolamentazione e
di una più elastica fruizione sembrano porsi come
possibili alternative alle più impegnative forme residenziali di coabitazione di origine nordeuropea. Il
variegato grado di partecipazione alla vita comunitaria da parte degli utenti diventa oggetto di analisi
di modalità abitative “altre”, le cui radici risultano essere talvolta totalmente autonome rispetto al cohousing, talvolta invece ne sono una derivazione,
adattandosi alle caratteristiche storiche e sociali del
paese in cui tali modalità si sviluppano.
Per comprendere alcune caratteristiche del quadro
complessivo che si sta delineando in Europa analizziamo brevemente un paio di esempi, fra i tanti
ormai consolidati, che interpretano il tema della collaborazione e della condivisione rielaborandola secondo punti di vista e con modalità gestionali
differenti.
Le viviendas spagnole
Sviluppatosi da circa 15 anni (indipendentemente
dal cohousing) nella regione spagnola della Catalogna, il modello abitativo delle viviendas dotacionales
(Cocco & Pibiri 2011) è stato concepito dalle istituzioni locali allo scopo di provvedere a specifiche esigenze abitative di giovani (para jovenes) e di ultra
sessantacinquenni (para majores). Per entrambe
le categorie l’obiettivo è quello di favorire l’autonomia dell’utente, fornendo alloggi indipendenti in
affitto a canoni estremamente contenuti, parzialmente arredati, di piccola dimensione (tra i 40 e i
45 mq), in edifici prevalentemente di nuova edificazione. Si predilige la collocazione di questi condomini in aree urbane centrali e ampiamente
dotate di servizi (mercati rionali8, uffici postali, parchi
pubblici, centri commerciali e culturali, fermate di
linee di trasporto pubblico, ecc.) così che, specie
per quanto riguarda le viviendas para majores, si
possa raggiungere il traguardo di una rapida integrazione fra i residenti e il quartiere che li accoglie.
La dotazione di queste viviendas prevede servizi alla
persona (teleassistenza, pulizia, manutenzione ecc.)
e spazi collettivi a uso condiviso (non di rado con il
resto del quartiere): lavanderie comuni, orti e biblioteche, sale riunioni o polivalenti ecc.
Fig.re 6A e 6B: Viviendas dotacionales Can Travi a Barcellona
(GRND82, 2012). [Arxiu del Patronat Municipal de l’Habitatge
de Barcelona, foto Adrià Goula]
Approfondimenti/Focus
La progettazione architettonica di queste residenze
assume un ruolo fondamentale (sono disegnate
ed eseguite tramite selezione a concorso fra professionisti) sia per gli aspetti formali identitari dell’intervento realizzato che per gli obiettivi di
inserimento del complesso abitativo nel contesto
del quartiere, facilitando la vita degli inquilini e favorendo al tempo stesso la socializzazione tra residenti nelle aree comuni. La prevista collaborazione
però non risiede in un impegno formale da parte
dei residenti, ma in quello che mediatori esterni garantiscono attraverso attività di svago e di ascolto
dei residenti, consentendo una relazione diretta
con i servizi sociali e le istituzioni sanitarie. La collaborazione tra residenti non è quindi un presupposto di questo modello, si tratta in questo caso di
una collaborazione offerta dalle istituzioni: al contrario dei cohousers, i residenti delle viviendas sono
fruitori e non creatori di servizi. Tuttavia va sottolineato che nei modelli para majores, in maniera del
tutto autonoma e spontanea, a fronte di un elevato
successo si riscontra la frequente creazione di reti
solidali informali tra i residenti.
Spazi condivisi, luoghi di relazione e funzioni collettive paradossalmente orientano le scelte progettuali del modello catalano verso una più autonoma
e individualista forma abitativa rispetto a quella tipica del cohousing nordeuropeo, e tuttavia capace
di integrare in un bilanciato connubio la diffusa ricerca del modello abitativo indipendente e, dall’altro, la spinta delle istituzioni verso l’integrazione
sociale e la fruizione collettiva di spazi pubblici e
semipubblici.
Il baugruppe in Germania
In Germania, a partire dalla seconda metà del XX
secolo, si sono sviluppate varie forme di abitare collaborativo. L’importanza e la diffusione di questo fenomeno è testimoniata dalla costituzione del Forum
Gemeinschaftliches Wohnen, un’organizzazione
che supporta progetti di abitare collaborativo di varia
natura. È interessante notare che in Germania
(paese storicamente sensibile al tema dell’abitare
e alle sperimentazioni residenziali, come la vicina
Olanda9) si siano recentemente sviluppate molteplici forme abitative volte alla ricerca di modalità di
auto-aiuto orientate al superamento del concetto di
“abitare” (housing) in favore di quello di “vivere” (living): uno stile di vita che supera i confini del singolo edificio e si estende alla piccola comunità di
quartiere.
Fig. 7: Baugruppe A52 a Berlino (roedig . schop architekten,
2005). Prospetto su Anklamer Strasse. L’appartamento con
ampio terrazzo all’ultimo piano è destinato agli ospiti, ma viene
adoperato a turno anche dai residenti. [foto Stefan Müller]
In questo filone di sperimentazioni abitative si inserisce anche il modello baugruppe, caratterizzato
invece da un’impronta decisamente più liberista,
attualmente in rapida diffusione nell’Europa centrale e in particolare in Germania10. In questo caso
l’obiettivo principale non è l’integrazione sociale –
come avviene in Catalogna – ma il forte risparmio
economico rispetto al mercato immobiliare privato.
Infatti, i futuri residenti si riuniscono in gruppi o cooperative affidando la realizzazione delle residenze
all’impresa edile, talvolta sviluppando in prima persona i progetti e costruendoli anche in autorecupero, eliminando in questo modo i costi di
mediazione e diventando essi stessi interlocutori
diretti del costruttore. Il (considerevole) risparmio
economico che ne consegue orienta i residenti alla
realizzazione di ulteriori locali destinati a un possibile uso collettivo: lavanderia, solarium, sale polifunzionali, deposito e officina di riparazione per
biciclette ecc. diventano il corredo di servizi di queste residenze. Non di rado in questi immobili, realizzati quasi esclusivamente in aree urbane ad alta
densità abitativa11, viene incluso anche un appartamento non destinato ai residenti ma ad eventuali
ospiti. In alcuni casi, infatti, in virtù della loro collocazione (attico), dimensione, caratteristiche distributive, accessibilità, finiture ecc., questi appartamenti
vengono utilizzati a turno da tutti i residenti, consentendo a ognuno di fruire liberamente di spazi e
servizi extra per sé o per i propri ospiti. A parte questa caratteristica, non è possibile stilare un elenco
di aspetti peculiari delle residenze baugruppe, poiché esse rispondono in gran parte alle esigenze dei
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Fig. 8: Baugruppe A52. Piante del 5° e 6° piano (comune). [immagini roedig . schop architekten]
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singoli residenti/costruttori e al rispetto della normativa edilizia locale. Ciò che preme qui sottolineare è che il modello tedesco annulla ogni forma
di partecipazione precostituita a una vita collettiva,
che appare decisamente ridimensionata e con
un’impronta meno comunitaria rispetto al modello
cohousing e che, tuttavia, pur nelle più ridotte opportunità d’uso di spazi collettivi e nel minor numero di servizi disponibili, dimostra di suscitare un
forte interesse sia da parte dei residenti che del
mercato immobiliare.
Questi esempi sono stati riportati per sollecitare una
riflessione su un fenomeno che ha ormai il carattere
della necessità: la formulazione di modalità abitative
che ripropongano – rivisti e corretti – modelli di tipo
collaborativo e di auto-aiuto, un tempo molto diffusi
in ambito familiare, di quartiere o di paese e oggi
ormai disgregati. Collaborazione, condivisione, gestione collettiva sono concetti sempre più presenti
nel panorama dell’abitare e ormai ineludibili per le
istituzioni pubbliche, da cui si attendono nuove risposte a nuovi bisogni e a domande sempre più
differenziate e urgenti di abitare e di vivere la città
in modo soddisfacente.
NOTE
1 Cohousing. Abitare e condividere”, ospitato presso l’Urban Center
del Comune di Bologna in concomitanza con la presentazione
del costituendo cohousing promosso dall’Amministrazione pubblica, si è strutturato in due eventi paralleli: un convegno, il cui
taglio interdisciplinare ha messo in luce la complessità del fenomeno e le sue molteplici ricadute; una mostra che, esponendo
documentazione grafica e dati relativi a decine di realizzazioni
raccolte in tutto il mondo, ha sottolineato le sostanziali differenze
architettoniche e gestionali fra i differenti cohousing esistenti.
2 Nei paesi in cui si è sviluppato il cohousing, questo ha spesso
assunto una distinta denominazione: Centraal wonen in Belgio
e in Olanda, Bofæelleskab in Danimarca, Kollektivhus in Svezia
ecc. Ha invece mantenuto il termine Cohousing nei paesi di
prevalente lingua anglofona (Regno Unito, Canada, Stati Uniti,
Australia, Nuova Zelanda), in Italia, in Giappone e in Austria.
3 Il modello nordeuropeo si differenzia dalle “derivazioni” internazionali sia per quanto attiene la dimensione e l’estensione
del complesso, che per le finalità e le pratiche gestionali che
regolano il funzionamento della comunità.
4 Per un approfondimento sui tre modelli di cohousing e su ulteriori possibili classificazioni si rimanda a Calastri, S. & Gresleri,
J. For a first reflection on cohousing. <http://territoridellacondivisione.wordpress.com/2013/02/13/for-a-first-reflection-oncohousing/#more-2284>, 2012.
5 Per Common House si intende l’edificio che accoglie i servizi,
le attrezzature e gli spazi destinati all’uso collettivo. I cohousing
nordeuropei prevedono una notevole percentuale di superficie
residenziale per questo ambiente, comunque mai inferiore al
10% della superficie totale del cohousing.
6 Il termine “cluster”, riferito a nuclei di elementi sociali e architettonici complessi, organizzati e strutturati, viene introdotto con
analogo significato in occasione del CIAM di Dubrovnik del
1956 da Alison e Peter Smithson, impiegandolo a diverse
scale, dalla casa alla città. Cfr. Farina, M. (2012) Spazi e figure
dell’abitare. Il progetto della residenza contemporanea in
Olanda. Quodlibet, Macerata, p.110.
7 Comune a tutti i cohousing è la preparazione e la condivisione
di una Carta dei valori, sottoscritta da ogni residente della comunità. Si tratta di un regolamento interno, redatto dai residenti
stessi all’atto della formazione della comunità, in cui sono raccolte norme e regole di impegno reciproco, modalità di partecipazione, di uso degli spazi e dei servizi della collettività, avendo
come riferimento valori sociali e comportamentali condivisi. In
assenza di questo non si può parlare di cohousing, ma di condomini forniti di servizi e abitati da residenti disponibili e volenterosi, tutt’altra realtà rispetto al modello abitativo in analisi.
8 Fra gli esempi più noti e pubblicati va ricordato quello realizzato
dallo studio EMBT – Enric Miralles, Benedetta Tagliabue nell’ambito del progetto di riqualificazione del Mercato di Santa
Caterina a Barcellona (1997-2005). In questa realizzazione la
vivienda è contigua al mercato, che ne costituisce il prolungamento fisico. Cfr. EMBT (2009) El Croquis, 144.
9 La bibliografia sul tema è assai ampia. Nonostante i numerosi testi
recenti, resta imprescindibile la consultazione di Carini, A. et al.
(1978) (a cura di) Housing in Europa. Luigi Parma, Bologna e
anche Casciato, M., Panzini, L. & Polano S. (a cura di) (1980)
Olanda 1870-1940: città, casa, architettura. Electa, Milano.
10 Un importante contributo allo studio del Baugruppe proviene
da Chan, W. Y.P. (2010) The Phenomenon of Building Group
(Baugruppe) in Berlin. Tesi di Master in Architettura, Dessau Institute of Architecture (DIA), a.a. 2009/10. http://issuu.com/
winnie/docs/thesis_book.
11 Questa scelta abitativa è anche conseguenza della condizione
di edificazione delle grandi città tedesche, in particolar modo
di Berlino, non consueta nel resto d’Europa, dove tutt’oggi sono
disponibili ampie superfici edificabili. A favorire ulteriormente
questi processi di costruzione/recupero è un regolamento edilizio estremamente semplificato rispetto a quello italiano e
una burocrazia affatto farraginosa, che permettono interventi
di questo genere anche in contesti urbani consolidati.
BIBLIOGRAFIA RAGIONATA
• Cocco, F. & Pibiri, R. (2011). La “vivienda dotacional”: residenze
sociali con servizi a Barcellona. AeA Informa, 2: 78-81.
• Corbellini, G. (2012). Housing is back in town. LetteraVentidue,
Siracusa.
• Id22: Institut für Kreative Nachhaltigkeit (2012). CoHousing Cultures. Jovis, Berlin.
• Lapuerta J.M. (ed.) (2007). Collective housing: a manual. Actar,
Barcelona.
• Lietaert, M. (a cura di) (2007). Cohousing e condomini solidali.
AAM Terranova, Firenze.
• Ring, K. (ed.) (2013). Selfmade City. Jovis, Berlin.
• Sapio, A. (a cura di) (2010). Famiglie, reti familiari e cohousing.
FrancoAngeli, Milano.
• Vestbro, D.U. (ed.) (2010). Living together – Cohousing Ideas and
Realities Around the World. Proceedings of 1st International Collaborative Housing Conference, Stockholm, 5-9 May 2010, Division of Urban and Regional Studies, Royal Institute of Technology
in Collaboration with Kollektivhus NU, Stockholm.