78 nici e cioè a nocino, alla morra, correndo die- tro un

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78 nici e cioè a nocino, alla morra, correndo die- tro un
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nici e cioè a nocino, alla morra, correndo dietro un cerchio. Attaccato a questo, addirittura,
dalla parte interna potevano esserci dei sonagli,
che facevano rumore. Si giocava anche a mosca
cieca o al “gioco del re”, che era stato importato
dalla Grecia. Consisteva in una gara di abilità
alla fine della quale il vincitore era proclamato
re e il più inetto “scabbioso”.
Durante il gioco i ragazzi canticchiavano: “Rex
erit qui recte faciet, qui non faciet non erit”. Chi
era eletto re impartiva ordini a tutti, mentre lo
“scabbioso” era preso in giro. C’erano, naturalmente giochi anche per gli adulti. Alcuni d’azzardo come la morra o i dadi, ma le leggi erano
severissime al riguardo, essi erano consentiti
solo durante le feste dette “Saturnali”, più o
meno come il nostro carnevale, in cui l’allegria
contagiava tutti.
Proverbiale è la passione dei romani per gli spettacoli circensi che si tenevano negli anfiteatri. Il
più famoso resta il Colosseo, (detto così perché
aveva una statua colossale in bronzo di Nerone)
capace di contenere cinquantamila spettatori,
mentre il circo Massimo ne poteva contenere
fino a 250 mila. Qui si svolgevano oltre alle lotte dei gladiatori anche corse di cavalli, cacce
alle fiere e battaglie navali. Addirittura quando
i Romani conquistarono Siracusa allargarono la
scena del teatro greco non esitando a demolire i
primi gradini della cavea per praticarvi le naumachiae.
Ma spettacolo degli spettacoli, alla Ben-Hur, era
la corsa dei cocchi che dovevano girare per sette
volte attorno alla spina, il muro cioè che divideva longitudinalmente l’arena. L’abilità dell’auriga consisteva nel prendere la curva quanto
più stretta possibile senza toccare il muro, altrimenti il cocchio si rovesciava e su di esso andavano a finire gli altri cocchi in un groviglio
impressionante. Gli spettatori, come nel nostro
calcio, si dividevano in partiti e facevano un
“tifo” sfegatato.
Gli aurighi indossavano casacche sgargianti in
modo da essere facilmente riconoscibili e ogni
colore corrispondeva ad una “scuderia”. Il vincitore riceveva soldi a palate al modo dei nostri
Totti, Maradona, ecc… E fino a qui tutto sembra
come oggi. Le cose cambiavano con le lotte dei
gladiatori.
Solitamente nell’arena combattevano diverse
coppie di gladiatori, ma la cosa più triste era l’uccisione di colui che veniva disarmato. Se la folla,
infatti, riteneva che era stato valoroso sventolava
un fazzoletto, se, invece, era scontenta ne decretava la morte con il pollice verso.
Traiano per la sua vittoria dacica offrì al popolo
un munus gladiatorum fatto di diecimila combattenti. Fu una vera carneficina. Lo stesso imperatore offrì anche ben 11 mila belve per farle
combattere con i gladiatori. Ma ad bestias venivano condannati anche i criminali e, neanche a
dirsi, i Cristiani.
Ma, come arrivavano a Roma merci, uomini, fiere, ecc…? I Romani avevano un sistema stradale
efficientissimo, dovuto ad una perfetta tecnica di
costruzione. Lo scopo era di collegare quanto più
velocemente possibile le varie regioni conquistate. Questo agevolò oltre agli scambi commerciali
anche la diffusione della civiltà in tutto il mondo
allora conosciuto.
La strada aveva un profilo leggermente convesso
per permettere il deflusso delle acque. Molte erano le stazioni di posta, i nostri autogrill, ove ci
si poteva rifocillare, riposare e cambiare magari
cavallo.
Vorrei ancora dirvi, cari lettori, tante, tante altre
curiosità, ma rischierei di annoiarvi a morte.
Aggiungo soltanto una notazione di vita quotidiana.
I Romani avevano una lingua biforcuta e dicevano pane al pane e vino al vino, anche se si
trattava di una persona importante.
Orazio definisce questo spirito di motteggio: “Italum acetum”, espressione naturale di un popolo
che, vissuto sempre combattendo, non aveva dimenticato che anche la parola è un’arma.
La maldicenza romana è brutale, fissa in faccia
l’avversario e non teme inimicizie.
Ascoltate questa curiosità. Quando Cesare a Roma
sfilò in trionfo, avendo vinto i Galli, i soldati che
lo seguivano non ebbero ritegno a rinfacciargli l’avarizia, la fame patita, le promesse non mantenute,
ecc… Cesare conosceva gli usi e lasciò dire fino
a quando anche lui protestò dicendo che non era
vero. Non l’avesse mai fatto! I soldati lo costrinsero
a tacere con le loro sghignazzate.
E per questa volta abbiamo finito veramente con
la Moda, le Mode, i Modi romani.
6]W^MLQZMbQWVQŒn. 140 gennaio-febbraio 2011
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