il combattimento nella roma antica: resoconto di un

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il combattimento nella roma antica: resoconto di un
IL
COMBATTIMENTO NELLA ROMA ANTICA: RESOCONTO DI 347
D. Battaglia:
Il combattimento nella SULLO
Roma antica:
resoconto
di un’esperienza
sullo studio
UN’ESPERIENZA
STUDIO
E LA
RIPRODUZIONE
e la riproduzione delle lotte gladiatorie, della pancrazio e del pugilato
DELLE LOTTE GLADIATORIE, DELLA PANCRAZIO E DEL PUGILATO
di Dario Battaglia (*)
L’ARCHEOLOGIA SPERIMENTALE
Lo studio dell’antichità poggia su una vastissima gamma di
discipline scientifiche, ognuna specializzata in un peculiare campo d’azione. L’archeologia nonostante il suo significato letterale
che la definisce quale studio dell’antichità è odiernamente indirizzata ai soli aspetti storico artistici delle diverse civiltà, ai reperti materiali come per esempio la ceramica nonchè allo studio di tecniche di scavo e restauro. Oltre all’archeologia anche
molte altre discipline scientifiche concorrono allo studio dell’antichità come per esempio la storia, la epigrafia, la numismatica,
la topografia antica, la glottologia, ecc. Lo scopo finale è quello
di ricostruire avvenimenti o fenomeni dell’antichità e le procedure di studio si basano su una serie di dati certi e di ipotesi provenienti dal materiale documentario in nostro possesso. Il campo
d’azione è quindi ristretto a ciò che è realmente testimoniato,
non producento elementi interpretativi svincolati dal reperto, ma
elaborando al limite ipotesi laddove i dati certi siano mancanti,
al fine di produrre una soluzione teorica per dare un senso compiuto al soggetto in esame. Il criterio della ricostruzione storica
risulta in un prodotto altamente attendibile da un punto di vista
scientifico anche se in quest’ambito non mancano certo scontri
tra gli studiosi sia nell’interpretazione di un reperto che nella formulazione di teorie esplicative.
L’archeologia sperimentale è una disciplina scientifica che si è
sviluppata negli ultimi 20 anni soprattutto nel Nord Europa. A differenza delle scienze di ricostruzione storica, che ne costituiscono
comunque la base di partenza, essa si caratterizza per la diversità
delle procedure di ricostruzione: all’ipotesi dell’archeologia classica essa sostituisce appunto l’esperimento, ossia la verifica basata
sull’esperienza diretta.
La disciplina può essere insomma definita come uno studio su
un soggetto antico che procede mediante prove per saggiare e
conoscerne le qualità o le caratteristiche. L’archeologia sperimentale pur partendo necessariamente dai risultati della ricostruzione
storica raggiunge il suo scopo solo quando il soggetto risulti funzionale e al contempo conforme alle descrizioni letterarie ed
iconografiche.
La disciplina tende dunque ad affrontare aspetti particolari dell’antichità, come una tecnica di combattimento, un rito sacro, una
tecnica musicale con i suoi strumenti, la preparazione di un cibo,
ecc, e non i grandi eventi storici. Per costruire un’arma, per esempio un gladio da fante militare, non è sufficiente forgiare un’arma e
assemblarla nella forma, nel peso e con gli stessi materiali del soggetto storico, motivo per cui spesso l’archeologia sperimentale è
(*) - Presidente dell’ Istituto di Archeologia Sperimentale Gymnogladiatoria “Ars Dimicandi” di
Curno (BG)
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confusa con la replica storica, ossia la riproduzione di copie o facsimili identici ad un oggetto originale; al contrario è necessario verificare di quell’oggetto le caratteristiche fisiche, la manegevolezza,
la resistenza e ciò comporta in primis la sperimentazione dei metodi di lavorazione del metallo e poi alla sperimentazione dell’impiego tecnico nell’ambito del combattimento. Di conseguenza diviene necessario ricostruire l’intero equipaggiamento del fante in
modo da poter sperimentare la sua impostazione schermistica sottoponendo il tutto a un vero collaudo. Alla fine la necessità di
sperimentazione di un gladio porta obbligatoriamente alla ricostruzione in toto di una piccola guarnigione concretamente equipaggiata ed addestrata.
Nel 1985 per esempio il Bavarese dr. Marcus Junkelmann, onde
poter sperimentare una parte di accessori e di equipaggiamento
da fanteria romana compose una piccola coorte di militi che partendo da Verona attraverso le Alpi a piedi fino ad Augsburg in Germania, seguendo il tragitto del generale Druso.
La difficoltà principale dell’archeologia sperimentale consiste nel
fatto che oltre allo studio teorico ricostruttivo è obbligatoria la fase
sperimentale concreta in un contesto più vicino possibile a quello
antico.
I Gruppi di archeologia sperimentale non vanno confusi con quelli
di rievocazione storica il cui obiettivo è la riproduzione estetica di
fatti o avvenimenti storici a scopo commemorativo, e nemmeno
con i gruppi di re-enactment termine inglese col quale si designano
quelle iniziative nelle quali una vicenda storica o un particolare oggetto diventano oggetto di un gioco di ruolo, una simulazione di tipo
teatrale non destinata però allo spettacolo pubblico. Tuttavia l’archeologia sperimentale proprio in virtù delle sue caratteristiche pratiche congloba anche tutte queste realtà adattandole alle proprie
finalità scientifico sperimentali.
ARCHEOLOGIA SPERIMENTALE APPLICATA ALLO
SPETTACOLO E ALLA DIDATTICA
Rappresentando concretamente i risultati di uno studio, nel corso di uno spettacolo, potendo osservare all’opera i gladiatori mentre combattono o la pompa mentre entra nell’anfiteatro, si propone
in forma dinamica e pratica quanto solitamente è comunicato attraverso i testi scritti. Ampiamente collaudato il fenomeno consente una partecipazione più immediata e un’acquisizione più approfondita dei temi e dei soggetti storici, sia da parte di adulti che di
bambini. La riproduzione di strumenti ed equipaggiamenti e quant’altro concorra a formare un quadro del soggetto antico, in forma
di repliche moderne, consente a chi vede di poter toccare con mano
se non addirittura provare quei reperti solitamente osservabili dentro una vetrina di museo.
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Molti Musei soprattutto nel Nord Europa, ma già il Museo della
Civiltà Romana di Roma a partire dagli anni 30, usufruiscono dei
gruppi di archeologia sperimentale al fine di creare percorsi didattici.
L’archeologia sperimentale inoltre si cimenta anche nella
sperimentazione di aspetti psico-sociali della vita degli antichi come
avviene per esempio nella ricostruzione di un campo di gladiatori o
di militari o di civili nei quali vivere, anche seppure per solo alcuni
giorni, alla moda degli antichi romani, consente di avre esperienze
completamente nuove al proprio mondo ordinario. Una sorta di gioco di ruolo nel quale l’identificazione col tipo di cultura e di ambiente in oggetto espande la percezione personale favorendo la comprensione del modo di vivere e di socializzare degli antichi, la dinamica dei rapporti interpersonali ed altri aspetti relazionali e sociali
che aiutano ad abattere quei pregiudizi che spesso nutriamo nei
confronti dei nostri antichi avi.
L’ESPERIENZA DELL’ISTITUTO ARS DIMICANDI
L’istituto Ars Dimicandi è nato nel 1994 con l’obiettivo a mediolungo termine di ricostruire scientificamente alcune discipline da
combattimento ginnastiche e circensi dell’antichità greco-latina
come lotta, pugilato, pancrazio e gladiatura. Si è voluto contribuire
in maniera significativa alla comprensione dì un fenomeno storico
così famoso ma al contempo così poco conosciuto, nonché si è
cercato di favorirne una diffusione a livello sportivo.
Le procedure adottate sono quelle dell’archeologia sperimentale,
che con una definizione molto sintetica può definirsi come un metodo per la riproduzione di un dato soggetto dell’antichità, mediante
la verifica empirica della sua funzionalità. L’oggetto della
sperimentazione può essere la riproduzione di un semplice oggetto con gli stessi materiali e tecnologie degli antichi, ma può riguardare anche la ricostruzione di riti sacri o civili o di sistemi più com-
Dario Battaglia durante la sua presentazione
al Convegno di Villadose, descrive l’equipaggiamento realizzato e indossato da alcuni
suoi colleghi dell’Istituto Ars Dimicandi
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plessi. La premessa indispensabile prevede una prima fase di studio delle fonti antiche, letterarie, archeologiche ed iconografiche,
fino all’ottenimento di un prodotto realmente funzionante. Successivamente si passa alla verifica pratica della funzionalità dell’oggetto o del sistema che si intende riprodurre con una specie di
collaudo che lo mette alla prova e che viene usato per comprendere le reali soluzioni tecnologiche o i particolari metodi d’uso utilizzati dagli antichi.
Perché la sperimentazione potesse essere coerente con il soggetto, abbiamo dovuto fondare una vera e propria federazione, la
FederPancrazio, che dal ’96 organizza con una media di uno ogni
due mesi, tomei di pugilato, lotta, pancrazio e gladiatura prolusia, e
nei quali intervengono atleti da tutta Europa e principalmente da
Italia, Francia e Svizzera.
Questi tornei hanno rappresentato e rappresentano tutt’oggi il nostro laboratorio pìù importante per la raccolta di dati.
Dati che poi tornano alla comparazione con le fonti, e quindi di
nuovo alla sperimentazione, fino al raggiungimento del risultato desiderato.
La serietà del nostro lavoro è riconosciuta da moltissime istituzioni italiane ed europee. Per esempio il Museum fur Kunst und
Gewerbe di Amburgo, il Parco archeologico di Xanten, il Museo di
Rosenheim, il Museo dei Teatro Romano di Verona, il Museo di Villa
Giulia di Roma, e molti altri ancora.
Ogni anno, per queste istituzioni realizziamo anche tornei e spettacoli didattici, e spesso produciamo equipaggiamento ginnastico
o gladiatorio che poi finiscono nell’esposizione permanente di questi musei.
LA GLADIATURA NELL’ANTICA ROMA
Pare che la gladiatura sia stata inventata dagli etruschi i quali,
per motivi religiosi, facevano combattere i prigionieri al fine di compiere sacrifici umani.
Tuttavia l’informazione è giusta solo in parte. Anzitutto, il rituale
dei duelli sacrificali era già conosciuto presso altre civiltà: tra le
maggiori, i Greci, e prima ancora i Cretesi, gli Egizi e i Mesopotamici.
Quando gli etruschi fondarono le loro colonie più meridionali, in
Campania, trasmisero agli indigeni questo rituale; la ricchezza e la
voglia di spettacolo di opulente città come Capua o Pompei, portarono ad un notevole incremento della richiesta di questi duelli, e
conseguentemente gli imprenditori locali ne aumentarono la produzione creando molte scuole. Nacque la gladiatura vera e propria, caratterizzata come istituzione tecnica, gerarchica, politica
ed economica. L’origine del fenomeno è dunque condiviso tra due
civiltà: gli Etruschi, che furono gli importatori su suolo italico del
duello sacro, e i Campani che lo elaborarono tecnicamente.
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Il combattimento nella Roma antica: resoconto di un’esperienza sullo studio
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Con i campani e successivamente coi romani, i contenuti dei
duello sacro non mutarono, ma si adattarono semplicemente alla
legislazione vigente. Ai combattimenti gladiatori erano destinati prigionieri di guerra o schiavi condannati a morte, i “damnati ad ferum”,
tutti già legalmente morti.
In epoca repubblicana, grazie al notevole sviluppo che la gladiatura
ebbe in Campania e grazie al fascino che questa regione ebbe
sempre su Roma (Campania Felix), ben presto i Munera gladiatori,
così venivano chiamati i duelli sacri a morte, furono affiancati dai
Ludi gladiatori: un nuovo evento che non aveva valenza sacra e di
conseguenza non basato esplicitamente sulla morte, ma sulla componente schermistico-spettacolare.
In essa i combattimenti potevano finire per abbandono, al primo
sangue, o addirittura per constatata superiorità, come nella scherma moderna. Sovente le armi usate erano di legno o di metallo
senza filo e senza punta, e questa ultima categoria schermistica
era detta Prolusione.
Questa nuova tipologia scenica portò alla pratica della gladiatura
una più ampia categoria di persone: uomini liberi non arruolati nelle
scuole, oppure gli auctorati, ossia coloro che rinunciavano ai loro
diritti di cittadino per intraprendere la carriera, e persino donne, come
ci fa sapere Giovenale.
Gli anfiteatri comparvero a Roma solo in epoca tardo repubblicana; in precedenza i duelli si svolgevano nei Fori cittadini, nelle piazze, o occasionalmente nei teatri. Non si sa se nelle arene si dovesse pagare il biglietto o se l’entrata era gratis. E’ certo che la
folla non sembrava mai stanca della violenza e della crudeltà degli
spettacoli nei quali trovavano la morte migliaia di gladiatori o animali.
Ma fino a che punto è possibile giudicare barbaro e immorale il
comportamento dei Romani in questi spettacoli? I Romani furono
infatti, tra le popolazioni antiche, quella in assoluto più religiosa e
devota.
Dobbiamo dunque pensare che essi erano da un lato pii e insieme malvagi, o è necessario contemplare, con stupore, che lo spettacolo mortale rappresentasse, al pari della Tragedia teatrale e di
quasi tutte le grandi religioni, una sorta di grande liturgia popolare
finalizzata a risolvere i contrasti dell’anima mediante l’identificazione con l’immolato?
D’altronde nessuno a Roma si lamentò della gladiatura sino a
quando, in epoca imperiale, si affermarono filosofie greche di
tipo ascetico contrarie alla violenza, o sino all’affermarsi del Cristianesimo, il cui culto di basava su un immolato per eccellenza: Gesù.
Persino un grande illuminato come l’imperatore Adriano, nelle
sue memorie scrive: «all’ínizio ero disgustato dai combattimenti
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tra gladiatori o dalle venazioni, ma poi cominciai a capire, ad
apprezzare il loro valore rituale».
Certo tra i tanti esistevano anche coloro che dal mal comune
traevano mezzo gaudio, compensando con la sofferenza altrui la
propria miseria. Questo fenomeno assunse dimensioni sempre
più rilevanti con lo sviluppo aberrante della città di Roma, che nel
tempo acquisì una immensa folla di immigrati e disperati. Nella
degradazione sociale l’arena diventava valvola di sfogo, sistema di
controllo. Ma gli eventi dei Colosseo non possono e non devono
identificarsi con l’istituzione gladiatoria. Se Roma necessitava di
canalizzare gli eccessi del popolino, così non era per quelle centinaia di città dell’impero che possedevano anfiteatri, e che per contro svolgevano regolarmente Ludi e Munera alla maniera tradizionale.
Buona parte del pubblico invece era appassionato della componente schermistica e tecnica. Ampiamente documentate sono le
istruzioni tattiche che i membri del pubblico urlavano ai gladiatori
mentre combattevano.
Le regole schermistiche, i Dictata, erano così diffuse e conosciute da poter paragonare efficacemente la gladiatura al moderno sport del calcio, nel quale molti, pur non avendoci mai giocato,
sono in grado di giudicare le scelte tattiche e le formazioni degli
allenatori.
La scherma gladiatoria non abbinava i diversi armamenti per rendere più eccitanti gli incontri, anzi, essa si evolvette nel segno dell’equilibrio, proprio per evitare duelli troppo facilmente conclusi.
E’ il motivo per cui non si fecero mai combattere per esempio
due Reziari, troppo bravi ad attaccarsi, ma tra loro inefficaci nel
difendersi. Ugualmente il Murmillo contro l’Opiomacho, perché
dotato di un armamento tatticamente inferiore al primo, o ancora il
Trace contro il Reziario.
Se l’effetto avesse dovuto essere quello dell’eclatanza della morte, del gusto per il massacro, non dovremmo registrare dalle fonti
antiche le rigide combinazioni tra classi che al contrario rileviamo.
Gli accoppiamenti tipici delle classi più famose furono infatti i seguenti: a ricordo dell’antica lotta mitologica tra Nettuno e Vulcano,
l’acqua e il fuoco, il combattimento tra il Retiarius, armato di rete e
tridente, ed il Secutor, un fante pesante specializzato nel combattimento col primo. In epoca repubblicana il Retiarius fu opposto
anche al Murmilio, ma tale scontro, troppo squilibrato per quest’ultimo, fu poi abbandonato.
Il Sannita, poi chiamato Opiomacho, un fante pesante armato
con gladio e scutum quadrangolare, era opposto al Trace, fante
leggero armato del Parma, un piccolo scudo tondo o quadrato, e di
Sica, un pugnale lungo dritto o curvato in alto. In epoca repubblicana il Sannita combatteva invece contro avversari della medesima
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e la riproduzione delle lotte gladiatorie, della pancrazio e del pugilato
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classe. Il Murmilio, anticamente chiamato Gallo, caratterizzato da
un alto scudo oblungo e sovente di spatha, combatteva contro il
Trace o più spesso, contro avversari dello stesso armamento.
Ma molte altre erano le classi gladiatorie: i Provocatores, i
Dimacherei, i Laqueatores, i Crupellari, gli Scissores, etc.
Ai gladiatori veniva insegnato come morire nella maniera più eroica
e rituale possibile, in modo da scatenare la simbiosi con la folla ed
acuire al massimo la tensione, innescando nell’atto della morte,
l’evento liberatorio.
Nei Munera sacri, la vita dello sconfitto era nella mani degli organi
religiosi e politici preposti. Tale era la sorte di chi legalmente era
già morto, di chi aveva per destino o per scelta, rinunciato alla vita.
Il popolo non avrebbe mai potuto avere competenza in tale fran-
Gladiatori del gruppo della Familia Sullana
di Curno impegnati durante una esibizione di
archeologia sperimentale a Villadose
durante la rievocazione del mercato della
centuriazione romana del 1999.
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gente, anche se le vicende della storia non possono negare che
alcuni magistrati desiderosi di attirarsi le simpatie della folla, lo abbiano effettivamente assecondato. Ma questa non era la regola della
gladiatura, piuttosto... una forzatura di alcuni personaggi.
Nelle mani degli organi legittimi dunque... anzi, nelle dita.
Holliwood e la cinematografia in genere hanno diffuso un’immagine sbagliata del famoso simbolo dei pollice verso o dei pollice
levato. Essi non esistettero mai.
Esistevano moltissimi gesti eseguiti con le mani, e i due più famosi erano il Pollex Versus, col pollice staccato dall’indice e posizionato orizzontalmente, col resto delle dita unite sotto di esso ed
aperte in avanti, nel quale il gladiatore chiedeva la morte ed al quale
ugualmente rispondeva il magistrato accettandola. Il Pollex
Pressus, con il pollice ripiegato nel palmo della mano ed il resto
delle dita chiuse a pugno, nel quale il gladiatore chìedeva la grazia.
La Chironomia, così si chiama il linguaggio delle mani, esisteva
sin dal Il millennio a.C., documentata già nei sacri duelli di pugilato,
lotta e pancrazio degli Etruschi e dei Greci. Essa fu elaborata perché tra i duellanti sacri, al pari dei gladiatori, era fatto divieto di parola: un morto non può parlare. Può sembrare crudele, ma le “labbra chiuse”, il non parlare, in greco detto MUS, e in latino pronunciato MYS, sono la radice dei termini “mistero e mistico”. Quindi
dietro un’apparente ingiustizia si celava una pratica iniziatica.
La Chironomia fu la conseguenza di questa pratica: la soluzione
per la comunicazione di tecniche ed intenzioni, pur senza aprire
I gladiatori combattono per le quattro fazioni:
Veneta, Russata, Prasina e Albata,
nell’anfiteatro allestito nella piazza principale
di Villadose (Rievocazione mercato della
Centurazione romana, ed. 1999)
D. Battaglia:
Il combattimento nella Roma antica: resoconto di un’esperienza sullo studio
e la riproduzione delle lotte gladiatorie, della pancrazio e del pugilato
bocca. Della storia di gladiatori come uomini, d’altronde, sappiamo
poco o nulla. Siamo a conoscenza della dura disciplina cui erano
costretti, della dieta a base di “Miscellanea”, una brodaglia molto
calorica abbondante di cereali e farinacei, ma anche dei banchetti
fastosi il giorno prima dei combattimenti, la “cena libera”, ricca di
tutte le migliori squisitezze e naturalmente, di vino e di donne. Sappiamo che molti gladiatori erano sposati, che potevano avere con
se la famiglia, o abitare fuori dalla caserma. Altri ancora erano arruolati come gruppo speciale nell’esercito, da utilizzare nelle azioni
più impossibili e pericolose: essi furono al seguito di Cesare nelle
guerre civili, nell’assedio di Perugia, negli eserciti di Antonio e di
Marco Aurelio, eccezionalmente fedeli e devoti al loro capo da essere soprannominati Obsequentes.
Sappiamo anche dei sistemi con cui qualcuno di loro incrementava i propri guadagni: alcuni diventavano “clienti” di senatori e cavalieri, addirittura scorta privata di Silla e di Catilina, accumulando
vantaggi non indifferenti. Altri venivano ingaggiati in banchetti, matrimoni e qualsiasi altra occasione festiva privata, per Prolusioni
incruente ma sempre esaltanti. Qualcun altro faceva la raccolta
del sangue dei compagni uccisi, un genere di commercio che a
dire il vero è testimoniato solo per alcuni Reziari, i cui clienti preferiti pare fossero i malati di epilessia, per i quali bere il sangue fresco era considerato un rimedio.
Dietro questo apparentemente raccapricciante commercio si nascondeva tuttavia una profonda forma di culto. Come già detto in
precedenza, la morte dei gladiatori non era gratuita, ma rispondeva ad una precisa ed arcaica liturgia religiosa.
Al pari della carne di agnello mangiata dagli Ebrei dopo il suo
sacrificio, o della came e del sangue di Cristo simbolicamente
mangiati durante la Messa cattolica, il sangue dei gladiatori era infatti sacro in quanto essi erano, come dice l’apologista cristiano
Tertulliano, Publicae Voluptati Hostiae: ostie pubbliche.
Il sangue di questi era talmente portafortuna che la tradizione
prevedeva per il giomo delle nozze, come ci dice Plutarco, che la
sposa avesse nella sua acconciatura una lancia bagnata nel sangue di un gladiatore ucciso.
La divinità preferita dai gladiatori era il mitico Ercole, il fortissimo
combattente della mitologia classica, che veniva invocato da generazioni di gladiatori al momento del loro ingresso nell’arena.
Ercole d’altronde era l’esemplificazione nel mito di colui che affrontava le fatiche del suo viaggio iniziatico per discendere poi
nell’Averno, la Morte, ed uscirne risorto e libero. L’iter concreto dei
gladiatori.
La gladiatura continuò nonostante il divieto di epoca tardo imperiale, sino al V secolo d.C.
Ma essa non va confusa con i supplizi, che da origine sacra ven-
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nero deliberatamente trasformati in un allucinante spettacolo finalizzato a fare da monito al popolo, mediante coloro che avevano
commesso gravi reati o sfidavano la religione dell’impero, come i
Cristiani. Costoro furono oggetto di stragi che hanno dell’incredibile: sbranati da belve feroci, crocifissi, bruciati vivi, migliaia di uomini e donne troveranno un’orrenda fine per essere esempio
eclatante.
La strage nei supplizi terminerà solo con l’imperatore Teodosio,
che nel 394 d.C. abolì peraltro, dopo 2170 anni di ininterrotte competizioni, le Olimpiadi greche e le festività agonistiche ad esse
similari.
Sono passati poco più di 1600 anni dall’ultimo combattimento
dell’antichità, ma il fenomeno è stato e rimane talmente eccezionale che ancora oggi, quando immaginiamo il Colosseo, non possiamo non pensare ai suoi grandi protagonisti, i gladiatori.
Una categoria ormai entrata nell’archetipo umano, ma non per il
valore e la sacralità dei loro gesti, ma solo per il negativo e la violenza che il loro ricordo suscita.
LA SPERIMENTAZIONE DELLA FAMILIA SULLANA
L’Istituto Ars Dimicandi si occupa della ricerca, della ricostruzione e della sperimentazione archeologica delle principali forme di
combattimento della tradizione europea ed occidentale in genere.
A seguito di un lavoro di ricostruzione delle antiche discipline della
Pygmachia (pugilato), Orthepale (lotta), Pankration (combattimento
totale) e delle diverse classi gladiatorie in auge tra I sec. a.C. e II III d.C. l’istituto ha fondato la Familia Sullana ossia la ricostruzione
di una scuola gladiatoria itinerante composta da athletae et
gladiatores. Grazie alla reale preparazione tecnico atletica dei suoi
membri (la gladiatura ricostruita è quella Prolusia e Lusia ove le
armi erano di legno o di metallo non affilato) la vita della truppa può
contare su una veritiera dimensione agonistica, sui rischi della pratica, sui valori della sconfitta e della vittoria, sui problemi che ci
sono con gli istruttori e con la guarnigione militare interna al campo cha ha compiti di polizia. La sperimentazione che avviene con
un gruppo di 50-80 unità come doveva essere per una media scuola
gladiatoria, all’interno della quale operano anche un gruppo di civili
come per esempio per la cucina.
La fase di preparazione dell’equipaggiamento prevede
l’acquisizione di abilità nella lavorazione del cuoio e dei metalli oltre ad una perfetta conoscenza di informazioni provenienti dallo
studio dei reperti archeologici. Alla realizzazione degli oggetti, segue una fase di collaudo portata durante il combattimento, al massimo grado. Difetti percepiti in questa fase vengono corretti fino a
giungere a soluzioni ottimali in cui la copia dell’oggetto risulta anche perfettamente funzionale al contesto in cui viene impiegata.