il combattimento nella roma antica: resoconto di un
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IL COMBATTIMENTO NELLA ROMA ANTICA: RESOCONTO DI 347 D. Battaglia: Il combattimento nella SULLO Roma antica: resoconto di un’esperienza sullo studio UN’ESPERIENZA STUDIO E LA RIPRODUZIONE e la riproduzione delle lotte gladiatorie, della pancrazio e del pugilato DELLE LOTTE GLADIATORIE, DELLA PANCRAZIO E DEL PUGILATO di Dario Battaglia (*) L’ARCHEOLOGIA SPERIMENTALE Lo studio dell’antichità poggia su una vastissima gamma di discipline scientifiche, ognuna specializzata in un peculiare campo d’azione. L’archeologia nonostante il suo significato letterale che la definisce quale studio dell’antichità è odiernamente indirizzata ai soli aspetti storico artistici delle diverse civiltà, ai reperti materiali come per esempio la ceramica nonchè allo studio di tecniche di scavo e restauro. Oltre all’archeologia anche molte altre discipline scientifiche concorrono allo studio dell’antichità come per esempio la storia, la epigrafia, la numismatica, la topografia antica, la glottologia, ecc. Lo scopo finale è quello di ricostruire avvenimenti o fenomeni dell’antichità e le procedure di studio si basano su una serie di dati certi e di ipotesi provenienti dal materiale documentario in nostro possesso. Il campo d’azione è quindi ristretto a ciò che è realmente testimoniato, non producento elementi interpretativi svincolati dal reperto, ma elaborando al limite ipotesi laddove i dati certi siano mancanti, al fine di produrre una soluzione teorica per dare un senso compiuto al soggetto in esame. Il criterio della ricostruzione storica risulta in un prodotto altamente attendibile da un punto di vista scientifico anche se in quest’ambito non mancano certo scontri tra gli studiosi sia nell’interpretazione di un reperto che nella formulazione di teorie esplicative. L’archeologia sperimentale è una disciplina scientifica che si è sviluppata negli ultimi 20 anni soprattutto nel Nord Europa. A differenza delle scienze di ricostruzione storica, che ne costituiscono comunque la base di partenza, essa si caratterizza per la diversità delle procedure di ricostruzione: all’ipotesi dell’archeologia classica essa sostituisce appunto l’esperimento, ossia la verifica basata sull’esperienza diretta. La disciplina può essere insomma definita come uno studio su un soggetto antico che procede mediante prove per saggiare e conoscerne le qualità o le caratteristiche. L’archeologia sperimentale pur partendo necessariamente dai risultati della ricostruzione storica raggiunge il suo scopo solo quando il soggetto risulti funzionale e al contempo conforme alle descrizioni letterarie ed iconografiche. La disciplina tende dunque ad affrontare aspetti particolari dell’antichità, come una tecnica di combattimento, un rito sacro, una tecnica musicale con i suoi strumenti, la preparazione di un cibo, ecc, e non i grandi eventi storici. Per costruire un’arma, per esempio un gladio da fante militare, non è sufficiente forgiare un’arma e assemblarla nella forma, nel peso e con gli stessi materiali del soggetto storico, motivo per cui spesso l’archeologia sperimentale è (*) - Presidente dell’ Istituto di Archeologia Sperimentale Gymnogladiatoria “Ars Dimicandi” di Curno (BG) 348 confusa con la replica storica, ossia la riproduzione di copie o facsimili identici ad un oggetto originale; al contrario è necessario verificare di quell’oggetto le caratteristiche fisiche, la manegevolezza, la resistenza e ciò comporta in primis la sperimentazione dei metodi di lavorazione del metallo e poi alla sperimentazione dell’impiego tecnico nell’ambito del combattimento. Di conseguenza diviene necessario ricostruire l’intero equipaggiamento del fante in modo da poter sperimentare la sua impostazione schermistica sottoponendo il tutto a un vero collaudo. Alla fine la necessità di sperimentazione di un gladio porta obbligatoriamente alla ricostruzione in toto di una piccola guarnigione concretamente equipaggiata ed addestrata. Nel 1985 per esempio il Bavarese dr. Marcus Junkelmann, onde poter sperimentare una parte di accessori e di equipaggiamento da fanteria romana compose una piccola coorte di militi che partendo da Verona attraverso le Alpi a piedi fino ad Augsburg in Germania, seguendo il tragitto del generale Druso. La difficoltà principale dell’archeologia sperimentale consiste nel fatto che oltre allo studio teorico ricostruttivo è obbligatoria la fase sperimentale concreta in un contesto più vicino possibile a quello antico. I Gruppi di archeologia sperimentale non vanno confusi con quelli di rievocazione storica il cui obiettivo è la riproduzione estetica di fatti o avvenimenti storici a scopo commemorativo, e nemmeno con i gruppi di re-enactment termine inglese col quale si designano quelle iniziative nelle quali una vicenda storica o un particolare oggetto diventano oggetto di un gioco di ruolo, una simulazione di tipo teatrale non destinata però allo spettacolo pubblico. Tuttavia l’archeologia sperimentale proprio in virtù delle sue caratteristiche pratiche congloba anche tutte queste realtà adattandole alle proprie finalità scientifico sperimentali. ARCHEOLOGIA SPERIMENTALE APPLICATA ALLO SPETTACOLO E ALLA DIDATTICA Rappresentando concretamente i risultati di uno studio, nel corso di uno spettacolo, potendo osservare all’opera i gladiatori mentre combattono o la pompa mentre entra nell’anfiteatro, si propone in forma dinamica e pratica quanto solitamente è comunicato attraverso i testi scritti. Ampiamente collaudato il fenomeno consente una partecipazione più immediata e un’acquisizione più approfondita dei temi e dei soggetti storici, sia da parte di adulti che di bambini. La riproduzione di strumenti ed equipaggiamenti e quant’altro concorra a formare un quadro del soggetto antico, in forma di repliche moderne, consente a chi vede di poter toccare con mano se non addirittura provare quei reperti solitamente osservabili dentro una vetrina di museo. D. Battaglia: Il combattimento nella Roma antica: resoconto di un’esperienza sullo studio e la riproduzione delle lotte gladiatorie, della pancrazio e del pugilato 349 Molti Musei soprattutto nel Nord Europa, ma già il Museo della Civiltà Romana di Roma a partire dagli anni 30, usufruiscono dei gruppi di archeologia sperimentale al fine di creare percorsi didattici. L’archeologia sperimentale inoltre si cimenta anche nella sperimentazione di aspetti psico-sociali della vita degli antichi come avviene per esempio nella ricostruzione di un campo di gladiatori o di militari o di civili nei quali vivere, anche seppure per solo alcuni giorni, alla moda degli antichi romani, consente di avre esperienze completamente nuove al proprio mondo ordinario. Una sorta di gioco di ruolo nel quale l’identificazione col tipo di cultura e di ambiente in oggetto espande la percezione personale favorendo la comprensione del modo di vivere e di socializzare degli antichi, la dinamica dei rapporti interpersonali ed altri aspetti relazionali e sociali che aiutano ad abattere quei pregiudizi che spesso nutriamo nei confronti dei nostri antichi avi. L’ESPERIENZA DELL’ISTITUTO ARS DIMICANDI L’istituto Ars Dimicandi è nato nel 1994 con l’obiettivo a mediolungo termine di ricostruire scientificamente alcune discipline da combattimento ginnastiche e circensi dell’antichità greco-latina come lotta, pugilato, pancrazio e gladiatura. Si è voluto contribuire in maniera significativa alla comprensione dì un fenomeno storico così famoso ma al contempo così poco conosciuto, nonché si è cercato di favorirne una diffusione a livello sportivo. Le procedure adottate sono quelle dell’archeologia sperimentale, che con una definizione molto sintetica può definirsi come un metodo per la riproduzione di un dato soggetto dell’antichità, mediante la verifica empirica della sua funzionalità. L’oggetto della sperimentazione può essere la riproduzione di un semplice oggetto con gli stessi materiali e tecnologie degli antichi, ma può riguardare anche la ricostruzione di riti sacri o civili o di sistemi più com- Dario Battaglia durante la sua presentazione al Convegno di Villadose, descrive l’equipaggiamento realizzato e indossato da alcuni suoi colleghi dell’Istituto Ars Dimicandi 350 plessi. La premessa indispensabile prevede una prima fase di studio delle fonti antiche, letterarie, archeologiche ed iconografiche, fino all’ottenimento di un prodotto realmente funzionante. Successivamente si passa alla verifica pratica della funzionalità dell’oggetto o del sistema che si intende riprodurre con una specie di collaudo che lo mette alla prova e che viene usato per comprendere le reali soluzioni tecnologiche o i particolari metodi d’uso utilizzati dagli antichi. Perché la sperimentazione potesse essere coerente con il soggetto, abbiamo dovuto fondare una vera e propria federazione, la FederPancrazio, che dal ’96 organizza con una media di uno ogni due mesi, tomei di pugilato, lotta, pancrazio e gladiatura prolusia, e nei quali intervengono atleti da tutta Europa e principalmente da Italia, Francia e Svizzera. Questi tornei hanno rappresentato e rappresentano tutt’oggi il nostro laboratorio pìù importante per la raccolta di dati. Dati che poi tornano alla comparazione con le fonti, e quindi di nuovo alla sperimentazione, fino al raggiungimento del risultato desiderato. La serietà del nostro lavoro è riconosciuta da moltissime istituzioni italiane ed europee. Per esempio il Museum fur Kunst und Gewerbe di Amburgo, il Parco archeologico di Xanten, il Museo di Rosenheim, il Museo dei Teatro Romano di Verona, il Museo di Villa Giulia di Roma, e molti altri ancora. Ogni anno, per queste istituzioni realizziamo anche tornei e spettacoli didattici, e spesso produciamo equipaggiamento ginnastico o gladiatorio che poi finiscono nell’esposizione permanente di questi musei. LA GLADIATURA NELL’ANTICA ROMA Pare che la gladiatura sia stata inventata dagli etruschi i quali, per motivi religiosi, facevano combattere i prigionieri al fine di compiere sacrifici umani. Tuttavia l’informazione è giusta solo in parte. Anzitutto, il rituale dei duelli sacrificali era già conosciuto presso altre civiltà: tra le maggiori, i Greci, e prima ancora i Cretesi, gli Egizi e i Mesopotamici. Quando gli etruschi fondarono le loro colonie più meridionali, in Campania, trasmisero agli indigeni questo rituale; la ricchezza e la voglia di spettacolo di opulente città come Capua o Pompei, portarono ad un notevole incremento della richiesta di questi duelli, e conseguentemente gli imprenditori locali ne aumentarono la produzione creando molte scuole. Nacque la gladiatura vera e propria, caratterizzata come istituzione tecnica, gerarchica, politica ed economica. L’origine del fenomeno è dunque condiviso tra due civiltà: gli Etruschi, che furono gli importatori su suolo italico del duello sacro, e i Campani che lo elaborarono tecnicamente. D. Battaglia: Il combattimento nella Roma antica: resoconto di un’esperienza sullo studio e la riproduzione delle lotte gladiatorie, della pancrazio e del pugilato Con i campani e successivamente coi romani, i contenuti dei duello sacro non mutarono, ma si adattarono semplicemente alla legislazione vigente. Ai combattimenti gladiatori erano destinati prigionieri di guerra o schiavi condannati a morte, i “damnati ad ferum”, tutti già legalmente morti. In epoca repubblicana, grazie al notevole sviluppo che la gladiatura ebbe in Campania e grazie al fascino che questa regione ebbe sempre su Roma (Campania Felix), ben presto i Munera gladiatori, così venivano chiamati i duelli sacri a morte, furono affiancati dai Ludi gladiatori: un nuovo evento che non aveva valenza sacra e di conseguenza non basato esplicitamente sulla morte, ma sulla componente schermistico-spettacolare. In essa i combattimenti potevano finire per abbandono, al primo sangue, o addirittura per constatata superiorità, come nella scherma moderna. Sovente le armi usate erano di legno o di metallo senza filo e senza punta, e questa ultima categoria schermistica era detta Prolusione. Questa nuova tipologia scenica portò alla pratica della gladiatura una più ampia categoria di persone: uomini liberi non arruolati nelle scuole, oppure gli auctorati, ossia coloro che rinunciavano ai loro diritti di cittadino per intraprendere la carriera, e persino donne, come ci fa sapere Giovenale. Gli anfiteatri comparvero a Roma solo in epoca tardo repubblicana; in precedenza i duelli si svolgevano nei Fori cittadini, nelle piazze, o occasionalmente nei teatri. Non si sa se nelle arene si dovesse pagare il biglietto o se l’entrata era gratis. E’ certo che la folla non sembrava mai stanca della violenza e della crudeltà degli spettacoli nei quali trovavano la morte migliaia di gladiatori o animali. Ma fino a che punto è possibile giudicare barbaro e immorale il comportamento dei Romani in questi spettacoli? I Romani furono infatti, tra le popolazioni antiche, quella in assoluto più religiosa e devota. Dobbiamo dunque pensare che essi erano da un lato pii e insieme malvagi, o è necessario contemplare, con stupore, che lo spettacolo mortale rappresentasse, al pari della Tragedia teatrale e di quasi tutte le grandi religioni, una sorta di grande liturgia popolare finalizzata a risolvere i contrasti dell’anima mediante l’identificazione con l’immolato? D’altronde nessuno a Roma si lamentò della gladiatura sino a quando, in epoca imperiale, si affermarono filosofie greche di tipo ascetico contrarie alla violenza, o sino all’affermarsi del Cristianesimo, il cui culto di basava su un immolato per eccellenza: Gesù. Persino un grande illuminato come l’imperatore Adriano, nelle sue memorie scrive: «all’ínizio ero disgustato dai combattimenti 351 352 tra gladiatori o dalle venazioni, ma poi cominciai a capire, ad apprezzare il loro valore rituale». Certo tra i tanti esistevano anche coloro che dal mal comune traevano mezzo gaudio, compensando con la sofferenza altrui la propria miseria. Questo fenomeno assunse dimensioni sempre più rilevanti con lo sviluppo aberrante della città di Roma, che nel tempo acquisì una immensa folla di immigrati e disperati. Nella degradazione sociale l’arena diventava valvola di sfogo, sistema di controllo. Ma gli eventi dei Colosseo non possono e non devono identificarsi con l’istituzione gladiatoria. Se Roma necessitava di canalizzare gli eccessi del popolino, così non era per quelle centinaia di città dell’impero che possedevano anfiteatri, e che per contro svolgevano regolarmente Ludi e Munera alla maniera tradizionale. Buona parte del pubblico invece era appassionato della componente schermistica e tecnica. Ampiamente documentate sono le istruzioni tattiche che i membri del pubblico urlavano ai gladiatori mentre combattevano. Le regole schermistiche, i Dictata, erano così diffuse e conosciute da poter paragonare efficacemente la gladiatura al moderno sport del calcio, nel quale molti, pur non avendoci mai giocato, sono in grado di giudicare le scelte tattiche e le formazioni degli allenatori. La scherma gladiatoria non abbinava i diversi armamenti per rendere più eccitanti gli incontri, anzi, essa si evolvette nel segno dell’equilibrio, proprio per evitare duelli troppo facilmente conclusi. E’ il motivo per cui non si fecero mai combattere per esempio due Reziari, troppo bravi ad attaccarsi, ma tra loro inefficaci nel difendersi. Ugualmente il Murmillo contro l’Opiomacho, perché dotato di un armamento tatticamente inferiore al primo, o ancora il Trace contro il Reziario. Se l’effetto avesse dovuto essere quello dell’eclatanza della morte, del gusto per il massacro, non dovremmo registrare dalle fonti antiche le rigide combinazioni tra classi che al contrario rileviamo. Gli accoppiamenti tipici delle classi più famose furono infatti i seguenti: a ricordo dell’antica lotta mitologica tra Nettuno e Vulcano, l’acqua e il fuoco, il combattimento tra il Retiarius, armato di rete e tridente, ed il Secutor, un fante pesante specializzato nel combattimento col primo. In epoca repubblicana il Retiarius fu opposto anche al Murmilio, ma tale scontro, troppo squilibrato per quest’ultimo, fu poi abbandonato. Il Sannita, poi chiamato Opiomacho, un fante pesante armato con gladio e scutum quadrangolare, era opposto al Trace, fante leggero armato del Parma, un piccolo scudo tondo o quadrato, e di Sica, un pugnale lungo dritto o curvato in alto. In epoca repubblicana il Sannita combatteva invece contro avversari della medesima D. Battaglia: Il combattimento nella Roma antica: resoconto di un’esperienza sullo studio e la riproduzione delle lotte gladiatorie, della pancrazio e del pugilato 353 classe. Il Murmilio, anticamente chiamato Gallo, caratterizzato da un alto scudo oblungo e sovente di spatha, combatteva contro il Trace o più spesso, contro avversari dello stesso armamento. Ma molte altre erano le classi gladiatorie: i Provocatores, i Dimacherei, i Laqueatores, i Crupellari, gli Scissores, etc. Ai gladiatori veniva insegnato come morire nella maniera più eroica e rituale possibile, in modo da scatenare la simbiosi con la folla ed acuire al massimo la tensione, innescando nell’atto della morte, l’evento liberatorio. Nei Munera sacri, la vita dello sconfitto era nella mani degli organi religiosi e politici preposti. Tale era la sorte di chi legalmente era già morto, di chi aveva per destino o per scelta, rinunciato alla vita. Il popolo non avrebbe mai potuto avere competenza in tale fran- Gladiatori del gruppo della Familia Sullana di Curno impegnati durante una esibizione di archeologia sperimentale a Villadose durante la rievocazione del mercato della centuriazione romana del 1999. 354 gente, anche se le vicende della storia non possono negare che alcuni magistrati desiderosi di attirarsi le simpatie della folla, lo abbiano effettivamente assecondato. Ma questa non era la regola della gladiatura, piuttosto... una forzatura di alcuni personaggi. Nelle mani degli organi legittimi dunque... anzi, nelle dita. Holliwood e la cinematografia in genere hanno diffuso un’immagine sbagliata del famoso simbolo dei pollice verso o dei pollice levato. Essi non esistettero mai. Esistevano moltissimi gesti eseguiti con le mani, e i due più famosi erano il Pollex Versus, col pollice staccato dall’indice e posizionato orizzontalmente, col resto delle dita unite sotto di esso ed aperte in avanti, nel quale il gladiatore chiedeva la morte ed al quale ugualmente rispondeva il magistrato accettandola. Il Pollex Pressus, con il pollice ripiegato nel palmo della mano ed il resto delle dita chiuse a pugno, nel quale il gladiatore chìedeva la grazia. La Chironomia, così si chiama il linguaggio delle mani, esisteva sin dal Il millennio a.C., documentata già nei sacri duelli di pugilato, lotta e pancrazio degli Etruschi e dei Greci. Essa fu elaborata perché tra i duellanti sacri, al pari dei gladiatori, era fatto divieto di parola: un morto non può parlare. Può sembrare crudele, ma le “labbra chiuse”, il non parlare, in greco detto MUS, e in latino pronunciato MYS, sono la radice dei termini “mistero e mistico”. Quindi dietro un’apparente ingiustizia si celava una pratica iniziatica. La Chironomia fu la conseguenza di questa pratica: la soluzione per la comunicazione di tecniche ed intenzioni, pur senza aprire I gladiatori combattono per le quattro fazioni: Veneta, Russata, Prasina e Albata, nell’anfiteatro allestito nella piazza principale di Villadose (Rievocazione mercato della Centurazione romana, ed. 1999) D. Battaglia: Il combattimento nella Roma antica: resoconto di un’esperienza sullo studio e la riproduzione delle lotte gladiatorie, della pancrazio e del pugilato bocca. Della storia di gladiatori come uomini, d’altronde, sappiamo poco o nulla. Siamo a conoscenza della dura disciplina cui erano costretti, della dieta a base di “Miscellanea”, una brodaglia molto calorica abbondante di cereali e farinacei, ma anche dei banchetti fastosi il giorno prima dei combattimenti, la “cena libera”, ricca di tutte le migliori squisitezze e naturalmente, di vino e di donne. Sappiamo che molti gladiatori erano sposati, che potevano avere con se la famiglia, o abitare fuori dalla caserma. Altri ancora erano arruolati come gruppo speciale nell’esercito, da utilizzare nelle azioni più impossibili e pericolose: essi furono al seguito di Cesare nelle guerre civili, nell’assedio di Perugia, negli eserciti di Antonio e di Marco Aurelio, eccezionalmente fedeli e devoti al loro capo da essere soprannominati Obsequentes. Sappiamo anche dei sistemi con cui qualcuno di loro incrementava i propri guadagni: alcuni diventavano “clienti” di senatori e cavalieri, addirittura scorta privata di Silla e di Catilina, accumulando vantaggi non indifferenti. Altri venivano ingaggiati in banchetti, matrimoni e qualsiasi altra occasione festiva privata, per Prolusioni incruente ma sempre esaltanti. Qualcun altro faceva la raccolta del sangue dei compagni uccisi, un genere di commercio che a dire il vero è testimoniato solo per alcuni Reziari, i cui clienti preferiti pare fossero i malati di epilessia, per i quali bere il sangue fresco era considerato un rimedio. Dietro questo apparentemente raccapricciante commercio si nascondeva tuttavia una profonda forma di culto. Come già detto in precedenza, la morte dei gladiatori non era gratuita, ma rispondeva ad una precisa ed arcaica liturgia religiosa. Al pari della carne di agnello mangiata dagli Ebrei dopo il suo sacrificio, o della came e del sangue di Cristo simbolicamente mangiati durante la Messa cattolica, il sangue dei gladiatori era infatti sacro in quanto essi erano, come dice l’apologista cristiano Tertulliano, Publicae Voluptati Hostiae: ostie pubbliche. Il sangue di questi era talmente portafortuna che la tradizione prevedeva per il giomo delle nozze, come ci dice Plutarco, che la sposa avesse nella sua acconciatura una lancia bagnata nel sangue di un gladiatore ucciso. La divinità preferita dai gladiatori era il mitico Ercole, il fortissimo combattente della mitologia classica, che veniva invocato da generazioni di gladiatori al momento del loro ingresso nell’arena. Ercole d’altronde era l’esemplificazione nel mito di colui che affrontava le fatiche del suo viaggio iniziatico per discendere poi nell’Averno, la Morte, ed uscirne risorto e libero. L’iter concreto dei gladiatori. La gladiatura continuò nonostante il divieto di epoca tardo imperiale, sino al V secolo d.C. Ma essa non va confusa con i supplizi, che da origine sacra ven- 355 356 nero deliberatamente trasformati in un allucinante spettacolo finalizzato a fare da monito al popolo, mediante coloro che avevano commesso gravi reati o sfidavano la religione dell’impero, come i Cristiani. Costoro furono oggetto di stragi che hanno dell’incredibile: sbranati da belve feroci, crocifissi, bruciati vivi, migliaia di uomini e donne troveranno un’orrenda fine per essere esempio eclatante. La strage nei supplizi terminerà solo con l’imperatore Teodosio, che nel 394 d.C. abolì peraltro, dopo 2170 anni di ininterrotte competizioni, le Olimpiadi greche e le festività agonistiche ad esse similari. Sono passati poco più di 1600 anni dall’ultimo combattimento dell’antichità, ma il fenomeno è stato e rimane talmente eccezionale che ancora oggi, quando immaginiamo il Colosseo, non possiamo non pensare ai suoi grandi protagonisti, i gladiatori. Una categoria ormai entrata nell’archetipo umano, ma non per il valore e la sacralità dei loro gesti, ma solo per il negativo e la violenza che il loro ricordo suscita. LA SPERIMENTAZIONE DELLA FAMILIA SULLANA L’Istituto Ars Dimicandi si occupa della ricerca, della ricostruzione e della sperimentazione archeologica delle principali forme di combattimento della tradizione europea ed occidentale in genere. A seguito di un lavoro di ricostruzione delle antiche discipline della Pygmachia (pugilato), Orthepale (lotta), Pankration (combattimento totale) e delle diverse classi gladiatorie in auge tra I sec. a.C. e II III d.C. l’istituto ha fondato la Familia Sullana ossia la ricostruzione di una scuola gladiatoria itinerante composta da athletae et gladiatores. Grazie alla reale preparazione tecnico atletica dei suoi membri (la gladiatura ricostruita è quella Prolusia e Lusia ove le armi erano di legno o di metallo non affilato) la vita della truppa può contare su una veritiera dimensione agonistica, sui rischi della pratica, sui valori della sconfitta e della vittoria, sui problemi che ci sono con gli istruttori e con la guarnigione militare interna al campo cha ha compiti di polizia. La sperimentazione che avviene con un gruppo di 50-80 unità come doveva essere per una media scuola gladiatoria, all’interno della quale operano anche un gruppo di civili come per esempio per la cucina. La fase di preparazione dell’equipaggiamento prevede l’acquisizione di abilità nella lavorazione del cuoio e dei metalli oltre ad una perfetta conoscenza di informazioni provenienti dallo studio dei reperti archeologici. Alla realizzazione degli oggetti, segue una fase di collaudo portata durante il combattimento, al massimo grado. Difetti percepiti in questa fase vengono corretti fino a giungere a soluzioni ottimali in cui la copia dell’oggetto risulta anche perfettamente funzionale al contesto in cui viene impiegata.