Come andrà a finire la vicenda Edison?

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Come andrà a finire la vicenda Edison?
Editoriale
Come andrà a finire la vicenda Edison?
di Andrea Gilardoni
La vicenda Edf-Edison sembra, dopo un susseguirsi di
ipotesi e congetture anche molto diverse, volgere al termine, con un accordo ad ampio spettro tra Italia e Francia: Enel potrà acquisire una quota del mercato francese intorno al 4%, Edf rimarrà in Italia in Edison, con una
partecipazione del 50% insieme ad Aem Milano e ad
una serie di altre ex municipalizzate, sicuramente Enìa
e Sel Bolzano.
Anche se alla data di stesura di queste note l’intesa non
è stata sottoscritta, poiché devono essere messi a punto alcuni aspetti non marginali di governance, si possono trarre, se non conclusioni, almeno fondate riflessioni.
Ma andiamo con ordine. Nel 2001 Edf, con Fiat, Tassara, Banca di Roma, San Paolo Imi e Banca Intesa
lanciava un’Opa su Edison e ne acquisiva il controllo.
Ciò avveniva quasi in parallelo al varo (luglio 2001) del
Governo Berlusconi. In tale circostanza Edf, spinta forse dai mercati finanziari un po’ gonfiati e da strategie
espansive a tutti i costi, garantiva l’acquisto delle quote
di Capitalia, di San Paolo Imi, di Tassara e di Banca Intesa oltre che il riacquisto delle quote di Fiat detenute
o già cedute alle banche (40%). Poco dopo, nel 2002,
Edipower (posseduta da Edison al 40%, Aem Milano al
13,4%, Aem Torino al 13,3%, Atel al 13,3%, alle banche
il resto) acquisiva la più grande delle Genco cedute da
Enel per 3,7 miliardi di e con una potenza installata di
circa 7.000 MW, di cui 750 idroelettrici.
Il monopolista francese, dunque, approfittando della
decennale crisi della Fiat e di una fase di transizione del
sistema politico, entrava di fatto in grande stile nel mercato italiano di cui era stato per molti anni un semplice,
ma essenziale, fornitore. Edf, dunque, traeva vantaggio
da circostanze particolari, con i buoni uffici della Fiat.
In questo quadro, l’azienda veniva affidata ad un esperto manager di estrazione Fiat, Umberto Quadrino, che
negli anni ha saputo:
- rifocalizzare la strategia di Edison sull’energia in Italia,
operando investimenti anche significativi, ma cedendo
importanti attività all’estero e puntando oggi anche a
vendere Technimont, uno dei pochi gioielli tecnologici
rimasti al nostro Paese;
- riequilibrare la situazione finanziaria, vendendo tutto
ciò che era possibile, e non solo in settori diversi da
quelli energetici e riducendo drasticamente il livello di
indebitamento.
Il capitolo della limitazione del diritto di voto al 2% si
avvia nel maggio del 2001 quando il Governo Amato,
ormai in via di sostituzione, emette un decreto concordato anche con la nuova maggioranza di centrodestra.
Era chiaro a tutti che si operava in modo non pienamente legittimo, ma questa appariva forse l’unica strada per
contrastare la chiusura totale del mercato francese, anche se formalmente legittima. Di fatto, la limitazione del
diritto di voto non ha precluso ad Edf di esercitare un
controllo sostanziale su Edison: le scelte strategiche
sono state in questi anni assunte a Parigi anche per la
minore o nulla competenza in materia energetica degli
altri soci.
Con l’avvicinarsi della scadenza dei put, e con il progetto di quotazione in ballo, Edf si è trovata a decidere
che fare in Italia. Edf considera senza dubbio il nostro
un mercato confinante molto importante; una quota
significativa della produzione nucleare finisce in Italia,
anche attraverso la Svizzera, a coprire il nostro deficit
energetico. E finisce a prezzi più elevati di quelli medi
mitteleuropei consentendo ampi margini di redditività:
quei margini serviti a comprare Edison, che quindi (è
paradossale) abbiamo pagato noi con le nostre bollette
salate. Prima dell’acquisto di Edison, Edf era sostanzialmente solo esportatrice ed è stato il processo di liberalizzazione a favorirne l’ingresso, anche se a prezzi
elevati.
Prima di giungere all’orientamento finale annunciato poche ore fa, Edf e il Governo francese hanno tenuto aperte tutte le opzioni: dalla vendita completa di Edison, alla
totale acquisizione attraverso una Opa molto onerosa.
I vertici transalpini sono giunti all’orientamento definitivo con un percorso complesso. Hanno esaminato la
questione dell’Opa, con un quesito rivolto formalmente
alla Consob, scoprendo che va fatta ad un valore medio tra quelli di Borsa e quelli della put. Hanno valutato
le prospettive del mercato italiano ove è probabile che,
in un arco temporale non lungo, si arrivi ad una sovraccapacità e ad una parallela contrazione dei prezzi. Quadrino, nell’intervento al Convegno sulle Alleanze e Aggregazioni dello scorso 24 febbraio 2005 (il cui testo è
riportato in queste pagine) prevede nell’arco di 6/7 anni
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una convergenza dei prezzi a livello europeo, con valori intermedi tra quelli attuali italiani (alti) e quelli europei
(meno alti); ciò, anche per gli ingenti investimenti in Italia
per rimodernare e rendere più efficiente la produzione
di elettricità. Altri prevedono una tenuta dei prezzi. Un
rapporto riservato in mano ad Edf conferma il possibile
calo. In più, per Edison nel 2008 si conclude il beneficio
del Cip 6 che le ha salvato più di un bilancio. Anche Endesa prevede che nel 2007/2008 la capacità installata
in Italia potrebbe eliminare il fabbisogno di importazione. È certo che le pressioni allo sviluppo di una effettiva
competizione da parte dell’Authority e, soprattutto, da
parte degli utilizzatori (ad es. Confindustria) siano destinate a crescere.
Insomma il quadro diventa sempre meno attrattivo.
Quali erano, dunque, i possibili scenari? Credo che
Edf abbia accarezzato l’idea di azzerare le trattative e
di aprire un’asta internazionale per vendere al meglio
il 100% di Edison. In corsa ci potevano essere alcuni
Private Equity (senza nessuna speranza), Endesa con
qualche speranza, E.On con molte speranze.
Endesa, in effetti, avrebbe forse avuto scarse possibilità, soprattutto perché ha già in Italia una posizione rilevante e non credo che sia diffusa l’opinione che tale posizione possa o debba essere incrementata; ciò, anche
se Endesa ha solidi appoggi politici ed ha operato nel
nostro Paese con indubbia serietà e professionalità.
In effetti, se si fosse veramente aperta l’asta E.On poteva essere un serio candidato. Il leader tedesco che
controlla Ruhrgas e che ha (tra le mille altre) una partecipazione in Gazprom, ha invece in Italia una presenza
modesta, anche se in crescita ad esempio nel gas attraverso Thuega. Il presidente di E.On ha dichiarato di
essere interessato al nostro Paese e ciò è logico in una
prospettiva di integrazione verticale. E.On ha poi significative potenzialità finanziarie e gioca su uno scacchiere
europeo più vasto di quello di Endesa.
E gli attori italiani? Per concorrere con qualche speranza di successo per il 100% di Edison avrebbero dovuto
mettersi d’accordo anche perché l’esborso finanziario
sarebbe stato insopportabile per le singole aziende. Si
sarebbe dovuto superare l’idea delle due cordate colorate politicamente (da un lato, Aem Milano di centrodestra, con Enìa a scolorire l’appartenenza; dall’altro,
Asm di Brescia portabandiera del centrosinistra, anche
se con perplessità da parte di alcuni esponenti di tale
raggruppamento politico). Non si poteva escludere dal
quadro Hera che, con il nuovo vertice appena nominato, può muoversi con maggiore sicurezza.
E’ possibile che, in questa dinamica, si sarebbe andati
verso un completo rimescolamento delle carte e si sarebbe proceduto ad uno spezzatino di Edison. O, in subordine, ad una logica di tolling, vendendo però il gas
a Enel. In alternativa, tale vicenda poteva costituire il
catalizzatore per un ulteriore e significativo processo di
aggregazione in Italia; si poteva, cioè, cogliere l’occasione per dar vita ad una azienda energetica (o anche
multiutility) che aggregasse i soggetti di cui s’è detto,
ed altri ancora di cui si è sussurrato, in una prospettiva coordinata e strutturata. In questo caso si sarebbe
potuto giungere ad un soggetto di dimensioni discrete anche a livello europeo, con una posizione di chiara co-leadership nazionale, in grado di contribuire allo
sviluppo di una politica industriale più solida e attenta
alle potenzialità del nostro Paese. In fondo, ad esempio
in Germania (Rwe, E.On Vattenfall), in Francia (si pensi
non solo ad Edf ma anche a Suez) o in Spagna (Iberdrola, Endesa, Gas Natural, ecc.) coesistono due o più
operatori di grandi dimensioni ed anche in Italia potrebbe esserci lo spazio in tal senso.
La soluzione verso cui ci si sta movendo è diversa. Aem
Milano diventa partner di Edf di cui è più piccola di vari
ordini di grandezza, il governo dell’azienda non sarà facile, come non lo è mai nei casi di fifty-fifty. Edf rimane
saldamente in Italia, forse addirittura rafforzata, con una
alleanza con ex municipalizzate di peso, con un progetto industriale che appare ragionevole e di non complessa realizzazione.
Comunque vada a finire, un fatto va rimarcato e cioè
che, forse per la prima volta, si è assistito ad una attenta considerazione della presenza estera nel nostro
Paese. Il sistema politico nel suo complesso, a partire
dal Governo, ha operato in modo determinato affinché
si giungesse ad una soluzione accettabile. Ciò non vuol
dire protezionismo o chiusura ma affrontare in modo più
equilibrato il nodo del controllo internazionale delle imprese che poi si riflette sugli aspetti occupazionale e
sulla capacità di competere delle nazioni; e ciò è comprovato dall’atteggiamento di molti Paesi ove la chiusura di fatto ai capitali internazionali è ben più elevata di
quanto avviene in Italia.
Altro fatto certo è che la dinamica nel comparto delle
utilities in Italia non è certamente destinata a ridursi nel
prossimo biennio.