Il nuovo Miglio Rosso anno I n°2/2010

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Il nuovo Miglio Rosso anno I n°2/2010
N° 2 – Marzo 2010
RESPONSABILITA’ E SFIDA
di Antonio Cimino
Il primo numero de “Il Miglio Rosso”,
redatto da noi della terza sezione, è stato
inaugurato con la presenza del direttore
Antonio Fullone e del comandante della
polizia penitenziaria Paolo Presti.
L’incontro è stato informale e ha suscitato in
noi l’entusiasmo di ripartire e una sincera
voglia di dialogo con quelli che stanno
“dall’altra parte” della barricata.
“Possa essere questo un luogo di pensiero e
confronto con l’amministrazione, ogni
giudizio è possibile purché sia commentato e
argomentato”.
Lo stesso direttore, aperto al dialogo con i
detenuti, è orientato ad una comunicazione
costruttiva e responsabilizzata mirata a
risolvere i problemi reali. Pertanto è sulla
responsabilità di tutti noi che si basa il nostro
lavoro di giornalisti.
La disponibilità ha aperto ai giornalisti nuove
prospettive,
sia
per
noi
che
per
l’amministrazione penitenziaria; dialogo è una
parola di libertà per ottenere un cambio d’aria,
una
nuova
possibilità.
Implica
la
responsabilità di assumere un comportamento
più consono ai desideri di tutti, maturo e
propositivo.
Siamo disposti a metterci in gioco.
Chiediamo di raccogliere la nostra richiesta di
poter usufruire dal lunedì al venerdì, come
redazione, dell’aula computer della terza
sezione dalle 16:30 alle 18 per svolgere le
nostre riunioni di redazione.
D’altronde siamo giornalisti, o no?
Sommario
STRUTTURE
“Docce killer”, di Fiore
SALUTE
Qui si mangia carne avariata?, di Perer
LETTERE
Giustizia, ultimo grido ultimo respiro
HOBBY
Modellismo navale
RIFLESSIONI
La paura, di Galanti
Sofferenza e opinione pubblica, di Gasperotti
Aloui, di Perer
Valori e dignità
GOOD NEWS
Montorio per Haiti
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DOCCE “KILLER”
di Marcello Fiore
Sono una delle tante “vittime” della terza
sezione: docce in comune per 100 detenuti e
“lavaggio” a giorni alterni. Dunque solo
cinquanta detenuti al giorno hanno la
possibilità di fare la doccia.
Il problema si presenta però all’apertura
dell’acqua: il pavimento, non essendo
antiscivolo e quindi non a norma di legge, una
volta bagnato diventa come una vera pista di
ghiaccio, dove è molto facile scivolare e farsi
male.
Come se non bastasse, all’ interno ci sono dei
muretti divisori alti circa 130 centimetri, con
angoli retti e appuntiti; lascio immaginare se
un detenuto nello scivolare ci và a sbattere
contro! Beh, noi vogliamo essere scaramantici
e non pensare al peggio.
Inoltre, come se non bastasse, l’erogazione
dell’acqua calda dura circa un’ora, pertanto,
diversi detenuti, sono costretti a fare la doccia
con l’acqua fredda.
Tutto questo senza parlare dei problemi
igienico-sanitari: alcuni detenuti hanno preso i
funghi, a causa della scarsa pulizia.
Preghiamo l’Asl, ha fare un giro all’ interno
delle docce e delle celle di detenzione, dove il
degrado in cui viviamo è notevole, in modo di
poter tutelare la nostra salute.
In cella lo spazio è molto ridotto, è di soli 10
mq da dividere in 4 persone; nell’angolo
cottura, se cosi si può chiamare, non abbiamo
neanche un mobiletto per tenerci un pacco di
caffè o di zucchero, o quanto può servire per
chi può e vuole cucinarsi qualcosa.
Speriamo che il nostro Garante faccia tutto il
possibile per migliorare le nostre condizioni;
noi ci metteremo il nostro.
QUI SI MANGIA CARNE AVARIATA?
di Ruggero Perer
Per la popolazione carceraria questo è
problema non da poco.
La salute è di primaria importanza, viene
prima di tutto.
Sarebbe il caso che chi di dovere, presti
maggiore attenzione in ambito sanitario,
prima che si verifichino problemi di salute
molto più gravi rispetto ad un semplice dolore
intestinale
Un detenuto del carcere di Montorio
Veronese, dopo aver mangiato della carne,
probabilmente andata a male, ha manifestato
dolori a livello intestinale.
Una volta la settimana c’è la possibilità di
comprare da una lista della spesa dalla carne,
tra l’altro abbastanza “cara”.
Sarebbe interessante sapere se la carne,
soprattutto nei mesi estivi, segue un
scrupoloso controllo igienico sanitario.
Come si sa, è un carcere, nessuno può
acquistarla in un supermercato come un
normale cittadino o prelevarla direttamente
dal banco frigo, si è costretti ad affidarsi
esclusivamente alla professionalità di chi
opera per noi.
Il problema è che quando arriva in cella molte
volte è da buttare ha un odore nauseante,
come se fosse stata lasciata per dei giorni
fuori dal frigo.
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PER ALOUI
di Ruggero Perer
Ritengo ci sia una responsabilità di chi per
primo avrebbe dovuto difenderlo fino
all’ultimo grado di giudizio.
Ritengo che noi tutti siamo colpevoli per
lasciato che tutto ciò accadesse perché
sommersi o concentrati a soddisfare il proprio
ego o perché le informazioni televisive, che io
chiamo spazzatura, danno un’immagine della
quotidianità distorta.
A qalunque persona, quando si ammala, le si
augura di guarire il giorno dopo; invece per
molte persone è un calvario senza fine.
Forse non è consolatorio ma si deve guardare
al futuro con fiducia essere più solidali vicini
con chi una famiglia non c’è l’ha.
La solitudine in alcuni casi può essere anche
peggio della morte, perché la morte mette fine
ad ogni forma di sofferenza, l’essere soli,
invece, non ha fine.
Questo pensiero è dedicato ad un amico,
Aloui Walid.
Sono anni che ci si batte con l’anima e con il
cuore per sensibilizzare non solo l’opinione
pubblica, ma anche tutti i vertici di governo,
affinché si faccia in modo da mettere fine o
per lo meno ridurre i suicidi.
Purtroppo finora abbiamo ricevuto solo fredda
indifferenza.
C’è da inorridire di fronte al silenzio della
società verso tutte quelle persone di diversa
cultura, nazionalità e religione costrette alla
sofferenza, senza che nessuno capisca il vero
significato di comunità e di uguaglianza.
Gli sguardi dei detenuti, i loro atteggiamenti,
sono un disperato appello rivolto all’esterno.
Il caso di Aloui Walid, suicidatosi con un
lenzuolo in una cella del carcere di Padova, è
un esempio lampante di quanto la società
stessa sia assente di fronte a questi gesti così
estremi.
Non si è saputo cogliere a fondo l’allarme
prevedendolo con ogni forma di
sostentamento psicologico, anzi lo si è
lasciato in balia di se stesso.
SOFFERENZA E OPINIONE PUBBLICA
di Carlo Gasperotti
fatto. Se ciò avviene serve
anche alla società. Ma c’è un
punto oltre al quale
l’intensità della sofferenza
non dà più alcun risultato.
Non serve a nessuno e a
nulla se non a mortificare la
persona. Un danno che
ricadrà inevitabilmente sugli
altri.
Viviamo un momento nel
quale le grandi punizioni
strappano applausi nei salotti
televisivi, nella convinzione
di perseguire la giustizia.
Ma come stanno veramente le cose? Si arriva
in questo modo al bene comune?
Un esempio. Che effetto ha su un’opinione
pubblica inaridita da programmi di sciocco
intrattenimento televisivo, ormai acritica,
vedere morbosi servizi giornalistici sull’uscita
Vorrei fare qualche riflessione,
porre qualche domanda per dare
un senso a ciò che vedo e sento,
e cercare di comunicare dentro
ma soprattutto fuori del carcere.
Noi abbiamo sbagliato.
Dobbiamo essere puniti. La pena
è sofferenza. Non diventa mai
noia. Il tema è complesso ed
ogni storia è diversa. Raccontare
è come descrivere un sapore:
non si percepisce mai del tutto.
Non si può capire fino a quando
non si prova. E’ più utile e
giusto cercarne un senso.
Forse la sofferenza può dare un beneficio.
Può far riflettere, meditare, interrompere
quello stile di vita che ha prodotto il danno e
la pena. Far capire. La brutale e forzata
interruzione della vita libera potrebbe servire
all’individuo e a ripensare a quello che ha
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del carcere di un uomo che ha scontato molti
anni di reclusione, per sbattere ancora il
“mostro” in prima pagina identificandolo
ancora con il suo crimine? Che senso ha
intervistare i parenti della sua vittima
chiedendo cosa provano a saperlo libero? C’è
qualcosa di malato, di irrispettoso in questo
modo di fare giornalismo. E’ davvero
informazione? Si fa sentire meglio chi ha
patito il danno o si usa il suo dolore? Quanti
di quelli che ascoltano conoscono davvero
l’effetto che gli anni trascorsi in carcere
hanno avuto sulla persona? Quanti hanno
parlato, non dico con noi detenuti, né con
agenti logorati dal lavoro, ma almeno con i
volontari che vedono le cose dall’alto della
loro libera scelta? Cosa resta una volta sfogata
la rabbiosa certezza della pena? Forse un
relitto d’uomo che nella migliore delle ipotesi
dovrà essere sostenuto dalla società nella
quale è ritornato. O come spesso succede
rimane una persona battuta, inaridita,
rancorosa che rischia di sbagliare ancora.
Possiamo cominciare a pensare che ciò che è
giusto coincide con ciò che funziona
veramente?
LA PAURA
di Alessandro Galanti
intelligenza ognuno con i propri tempi
naturalmente, ma l’importante è risolvere. E’
scuola di vita, un insegnamento prezioso che
vi farà conoscere e forse superare i vostri
limiti. Il grande shogun “Sun
Tsu” nel libro “L’arte della
guerra” dice: “Il grande
guerriero è quello che vince
senza combattere”. Il mio è un
invito a riprendere in mano la
vostra dignità già troppo
schiacciata dal peso del dolore
e dei sensi di colpa che ognuno
di noi si porta dentro. Reagite
con voi stessi, non
rassegnatevi, prendete in mano
la vostra voglia di vivere ed
esprimetela al massimo.
Uscite! Non dovete dimostrare
niente a nessuno, forse facendo
così vi sentirete un po’ più
felici e magari un po’ più liberi.
Lo so, è un argomento scomodo, la paura in
carcere è un sentimento latente che vi fa
provare anche un po’ di vergogna. Purtroppo
è un’emozione ben riposta nel nostro
inconscio e difficilmente
manifestabile. Entrando nello
specifico voglio dire che la
paura è assolutamente normale
e razionale. Il problema sta nel
canalizzarla in modo positivo.
Mi riferisco alle persone che
tanti motivi non escono mai
dalla cella; esempio, non
vanno mai all’aria adducendo
mille scuse. Guardatevi
dentro, non siate ipocriti e non
mortificatevi ulteriormente se
vi private dell’aria che vi
spetta entrerete in un circolo
paranoico molto pericoloso.
Se avete paura di qualcosa o
di qualcuno dovete affrontare il problema con
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VALORI E DIGNITA’
di Giuseppe De Col
gli servirà a conseguire quello che più
profondamente desidera: il rispetto di sé.
Vivere secondo le regole e la disciplina
imposta da altri rende superfluo
l’autocontrollo.
Quando gli aspetti più importanti della sua vita
e della sua condotta vengono regolamentati da
altri, il detenuto non vedrà la necessità di
imparare a controllarsi, perché già lo fanno
altri per lui.
D’altro canto non può imparare a controllarsi
finchè non è abbastanza pronto da capire
perché sia necessario e vantaggioso impararlo.
Le punizioni possono farci ubbidire agli ordini
che ci vengono impartiti, ma nella migliore
delle ipotesi ci insegneranno solo l’ubbidienza
alla autorità e non un autocontrollo che
accresca il rispetto di noi stessi: già
l’autocontrollo si basa sul desiderio di mettere
in pratica decisioni a cui si è arrivati per libera
scelta ed è evidente che questo sia costruttivo
per la fiducia e il rispetto di sé, sui quali
soltanto può essere costruita l’autodisciplina.
La vera autodisciplina si fonda sul rispetto che
ci fa provare su noi stessi. Ecco perché la
mancanza di fiducia e di rispetto rende non
solo difficile ma addirittura impossibile
acquistarla.
Personalmente sono relativamente scettico
sulle concrete capacità riabilitative del sistema
penitenziario.
Per me la vera riabilitazione deve iniziare dal
detenuto stesso.
In linea di principio dunque ogni uomo anche
se condizionato da gravissime circostanze
esterne può in qualche modo decidere cosa ne
sarà di lui coscientemente. Un detenuto è un
uomo che resta uomo anche in carcere e
conserva intatta la dignità di uomo e come
ultima affermazione della propria libertà resta
la modalità di atteggiamento di fronte
all’estrema limitazione del suo essere, si può
perdere tutto eccetto una cosa l’ultima libertà
umana di affrontare spiritualmente in un modo
o nell’altro la situazione imposta. Così ciò che
il carcere può fare di un uomo dipende sempre
da una decisine interna di questi.
Il carcere è una comunità satura di interessi
individuali contrapposti, che irrigidiscono
fortemente la dinamica sociale.
Le ansie, le paure, i rischi, facilitano la
creazione ed il perpetuarsi poco attente ai
bisogni dell’individuo, decisamente orientate
all’equilibrio del sistema.
Vittime e carnefici stanno danno entrambi le
parti.
Il carcere è un contesto dove vari riti di
accoglienza, promozione o retrocessione
determinano processi di acculturizzazione
istituzionali ma anche di prigionizzazione e
regressione in ragione della storia personale
detentiva di ognuno dei reclusi ma anche di
custodi.
La distribuzione di risorse in un ambito
sovraffollato è diversificato dal luogo a
classici problemi di giustizia locale e in
carcere, assume la forma di un vero e proprio
sistema di privilegio e malgrado si parli di
diritti dei detenuti si trascura spesso di
occuparsi dell’effettiva possibilità di
esercitarli.
L’incapacità di far valere l’applicazione delle
norme poste a loro garanzia, e percepita dalla
gran parte dei detenuti come punitiva, pur
escludendo l’esistenza di una generale e
precisa volontà malvagia di umiliare,
offendere, o avvilire, il fatto di contestare o
proibire il possesso di quello o di questo
oggetto, ad un’attività determinandone in tal
modo il livello di vivibilità e
conseguentemente di autostima.
Sono tutte decisioni che possono limitare la
dignità di quella persona e peggiorarne
l’autopercezione della propria identità, spesso
rilevandone delle carenze.
Va detto che muovendo delle critiche al
detenuto, nonché imponendogli quello che
deve fare si riduce il suo rispetto di sé, perché
si richiama al sua attenzione sulle sue carenze.
Allora anche se ubbidisce, in realtà non ha
imparato nulla di utile perché non viene
incoraggiata la formazione di una personalità
autonoma.
I principi, gli assunti sui quali si basa la sua
condotta, si modificheranno solo se e quando
si renderà conto da solo che il cambiamento
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SOLIDARIETA’
di M.P.
I deboli che pensano
ai più deboli. Succede
in carcere dove la
solidarietà verso chi
soffre è forte. Nei
giorni scorsi, su invito
di don Maurizio
Saccoman, il
cappellano di
Montorio, è stata
effettuata una raccolta di denaro per i
terremotati di Haiti.
Sono stati raccolti 692 euro che andranno ad
alleviare le sofferenze di quel popolo che è
rimasto senza nulla.
Anche quando il terremoto devastò L’Aquila
ci fu una raccolta di denaro alla quale molti
detenuti contribuirono con molta generosità.
Sempre grazie a don Saccoman e alla
sensibilità dei detenuti, è partito un progetto
di adozione a distanza. La bambina adottata è
brasiliana. Si chiama Mariana Qixidà. Potrà
studiare e vivere meglio grazie a un folto
gruppo di “papà” che si sono autotassati
raccogliendo, a Natale, la prima rata
dell’adozione a distanza, 280 euro, e pronti a
farlo a Pasqua per coprire la seconda rata.
VIAGGIO NEL MODELLISMO E NELLA CREATIVITA’
di Ruggero Perer
come come: il Bragozzo veneziano, la Swift e
l’Essex.
Una delle ultime navi che ho costruito è
proprio l’Essex, fregata di 32 cannoni che
fece parte della marina militare statunitense e
fu impiegata contro la marina inglese, dalla
quale fu catturata durante uno scontro a
Valparaiso (Cile) nel 1814.
Dopo una rapida trasformazione venne
aumentato l’armamento a 46 cannoni e
assunta come unità della marina britannica.
L’Essex è un gioiello assolutamente
straordinario e mi ci sono volute più di 150
ore per realizzarlo. Ogni parte della nave
scafo, alberi, pennoni, ponte, vele, reti, ecc è
lavorata interamente a mano senza l’utilizzo
di macchinari elettrici.
E’ incredibile vero, quello che si può
realizzare avendo poco materiale a
disposizione?
Uno dei miei sogni è quello di costruire un
plastico ispirandomi a uno dei più importanti
porti navali della storia, quello di Genova.
Premetto che queste navi, visto che molti me
lo chiedono, se messe in acqua andrebbero
subito a fondo; consiglio vivamente di non
fare nessun esperimento!
Lavorare manualmente il legno è un modo per
rilassare la mente e stimolare la fantasia, oltre
che per scaricare quelle energie negative che
si accumulano rimanendo in cella.
Il mio concetto è che il modellismo deve
essere un divertimento, non un lavoro, e
applicando questa opinione si avranno
certamente delle soddisfazioni.
La mia parola d’ordine è appunto “pazienza”.
Qui dentro la pazienza deve essere all’ordine
del giorno e soprattutto in questo caso, è
fondamentale.
In questa struttura ho la possibilità di
realizzare, con l’aiuto di un volontario che mi
procura il materiale, alcuni modelli navali
antichi.
Alcuni modellisti assai esperti consigliano di
partire con una scatola di montaggio, il
problema è che qui in carcere non è possibile
averla; è già difficile avere degli attrezzi,
figuriamoci una scatola di premontaggio!
Gli unici attrezzi a mia disposizione sono:
forbicine chicco, fogli di carta vetrata, una
lametta ricavata da un fermaglio di una penna,
un righello e una candela per piegare il legno.
Per cominciare mi sono orientato su un
modello navale molto semplice come
l’Indiscret, per poi passare a delle grandi navi
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LA LETTERA
“Giustizia: ultimo grido ultimo respiro”
Perché chi è accusato di violenza sessuale
spesso o sempre all’atto della querela è
riconosciuto colpevole.
Dove è in questo caso il diritto alla difesa?
Fino a prova contraria per togliere la libertà
ad una persona servono prove schiaccianti, e
anche il minimo dubbio dovrebbe essere
determinante per impedire una ingiusta
carcerazione.
Attenzione! Il ministro della giustizia Alfano
ha pubblicamente dichiarato che la giustizia
non funziona, su questa affermazione non
abbiamo nessun dubbio.
Le carceri affollate ormai sono la normalità e
i suicidi dei detenuti aumentano giorno per
giorno: dall’inizio dell’anno fino ad oggi sono
quattordici le persone che hanno lanciato
l’ultimo loro grido alla giustizia.
E lasciato l’ultimo respiro dietro le sbarre.
Speriamo che gli uomini di giustizia si
rendano conto di non essere giustizieri. *
Siamo della terza sezione del carcere di
Montorio Veronese di Verona.
Questa lettera non vuole essere tanto una
protesta ma il grido disperato ed argomentato
della vita nelle carceri.
Bisogna fare una premessa: la terza sezione
del carcere è quella riservata per lo più a
coloro che sono accusati di reati di violenza
sessuale.
Premettiamo che la maggior parte delle
persone incriminate sono in attesa di giudizio
o condannati con ragionevole dubbio. Le
accuse che ci sono state rivolte secondo me
sono infamanti e spesso bugiarde o esagerate.
Spesso le accuse si basano solo sulle
dichiarazioni della persona presunta offesa,
senza nessuna altra prova o senza riscontri
oggettivi.
L’accusa di violenza sessuale, può essere
un’arma pericolosa a coloro denigrare e/o
rovinare la vita di una persona. Ci può essere
una forma di calunnia che toglie la libertà e il
diritto alla difesa.
* Le lettere inserite in questa rubrica non rispecchiano necessariamente il pensiero della redazione.
Qui pubblicheremo ciò che giungerà in redazione per garantire la libertà di espressione di ognuno, purchè ciò
avvenga nel rispetto degli altri.
La redazione de Il Miglio Rosso
Direttore: Morello Pecchioli
Vicedirettore: Benny Calasanzio
Redazione: Ruggero Perer, Carlo Gasperotti, Giuseppe De Col, Antonio Cimino, Alessio Gelicrisio, Marcello Fiore,
Marco Questa, Alessandro Galanti
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