Le caratteristiche del “nuovo” falso in bilancio alla luce del primo

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Le caratteristiche del “nuovo” falso in bilancio alla luce del primo
Le caratteristiche del “nuovo” falso in bilancio alla luce del primo arresto giurisprudenziale della
Corte di Cassazione.
Alcune brevi considerazioni sull’impatto della riforma delle false comunicazioni sociali sui
modelli 231.
di Alessandro Gariglio
Con la sentenza n° 37570/15 dell'8 luglio 2015, depositata il 16 settembre 2015, la Corte di
Cassazione ha iniziato a delineare i limiti dei novellati reati di false comunicazioni sociali,
introdotti dalla Legge n. 69 del 27 maggio 2015, che ha modificato gli articoli 2621 e 2622 del
codice civile e previsto la nuova ipotesi di cui all'articolo 2621 bis del codice civile.
Il caso
L'imputazione riguardava il reato di cui all'art. 2622 c.c. commesso dall'amministratore di una
s.r.l. il quale, nel bilancio infrannuale riepilogativo della situazione aziendale al 30 settembre
2008, aveva omesso l'indicazione dei ricavi maturati dalla società nel corso dell'esercizio.
La Corte di Appello di Cagliari aveva assolto l'imprenditore dal capo di imputazione perché il
fatto non sussiste.
Ha allora promosso ricorso in Cassazione, per i soli effetti civili della sentenza, la parte civile,
cioè socio e nuovo amministratore della società.
Ad avviso del ricorrente la Corte di Appello non avrebbe dovuto riformare la sentenza di
condanna di primo grado perché l'amministratore avrebbe dovuto predisporre il bilancio
secondo i principi codicistici e, in particolare, secondo l'articolo 2423 bis c.c., che impone
l'esposizione
secondo
il
principio
di
competenza
dei
ricavi
maturati
ancorché
non
materialmente conseguiti. Per tale ragione la parte civile ravvisa in questa condotta,
contrariamente a quanto fatto dal Giudice di Appello, un comportamento doloso e preordinato,
finalizzato cioè a far figurare "l'evaporazione del capitale sociale a causa di inesistenti perdite
di esercizio e ciò al fine di ottenere, come puntualmente avvenuto, la liquidazione della società
con grave danno per i soci avendo in tal senso omesso di considerare altresì come
l'escamotage ordito dall'imputato - e cioè versare a titolo di finanziamento soci l'ammontare
dei ricavi che egli riteneva di dovere alla società - in realtà si sarebbe risolto nell'ulteriore
aggravamento del passivo dello stato patrimoniale".
La Corte di Cassazione accoglie le doglianze della parte civile, annullando con rinvio la
sentenza impugnata.
2. Il quadro di riferimento normativo e la novella del 2015.
Nel caso di specie ciò che rileva, più della vicenda in sé, è l'occasione che è stata fornita al
Giudice di Legittimità per incominciare a fare chiarezza sulla novella introdotta dalla L. 69 del
2015.
Gli articoli 2621 e 2622 del codice civile hanno subito nel corso degli anni numerose modifiche
di cui quella attuale è, almeno in parte, un ritorno alla situazione ante riforma del 2002.
In particolare il Legislatore ha introdotto tre autonomi titoli di reato, tutti configurati come
delitti: quello di cui all'art. 2621 c.c., nell'ambito di una società non quotata; quello di cui
all'art. 2622 c.c. nell'ambito di una società quotata, mentre quello di cui all'articolo 2621 bis
c.c. è solamente un'ipotesi attenuata del 2621.
La differenza principale può rinvenirsi, perciò, oltre che rispetto alla diversa operatività, sotto il
profilo della pena che va da uno a cinque anni nell'ipotesi del 2621 e da tre a otto in quella del
2622.
Rispetto al testo del 2002 tutte e tre le ipotesi sono ora qualificate come reati di pericolo e,
dunque, non rileva più la causazione dell'evento e nemmeno è più prevista, di conseguenza,
una soglia di punibilità. Si tratta, inoltre, per tutte le ipotesi di delitti, non sussistendo più la
precedente "graduazione" fra le due fattispecie e, inoltre, per quanto riguarda le società non
quotate, scompare la previsione della procedibilità a querela.
Viene, invece, mantenuta l'indicazione delle ipotesi tipiche delle comunicazioni sociali rilevanti
che vengono individuate nei bilanci, nelle relazioni e nelle altre comunicazioni dirette ai soci ed
al pubblico previste dalla legge.
Le altre comunicazioni, pertanto, possono avere rilevanza penale unicamente in relazione alle
fattispecie di cui agli articoli 2625, 2637 e 2638 c.c. o 185 TUIF.
Per quanto concerne l'illecito di cui all'art. 2621, rispetto al 2622, è richiesto un quid pluris e
cioè che i "fatti materiali" non rispondenti al vero, ovvero quelli occultati, siano "rilevanti".
Altro elemento oggettivo del reato comune ad entrambe le fattispecie è quello dell'"idoneità
ingannatoria della falsa comunicazione", che rafforzato con l'avverbio "concretamente"
trasforma i delitti in questione in reati di pericolo concreto.
Sotto il profilo soggettivo il legislatore ha, infine, confermato la necessità del dolo specifico
caratterizzato dal fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, ma ha eliminato
l'intenzionalità prima esistente nell'inciso "con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico”.
L'uso dell'avverbio "consapevolmente", invece, ad avviso della Corte appare sintomatico della
volontà di escludere la rilevanza del solo dolo eventuale.
3. La continuità normativa del reato di false comunicazioni sociali.
Il caso di specie consente altresì alla Corte, dopo aver inquadrato le nuove fattispecie, di
pronunciarsi anche sulla successione nel tempo delle varie modifiche normative.
Afferma il giudice di legittimità che l'eliminazione dell'evento e delle soglie di punibilità in
precedenza previste per il reato di cui all'art. 2622 non mutano il profilo della condotta tipica
che rimane identico: "l'odierno fenomeno successorio assume caratteristiche opposte a quello
generato dal D.Lgs. n. 61/2002, che aveva, invece, ristretto gli orizzonti applicativi della
fattispecie tracciati nell'originario testo delle disposizioni del codice civile. Ma non è in dubbio
che tra la fattispecie previgente e quella di nuova configurazione nell'art. 2621 c.c. sussista un
evidente rapporto di continuità normativa".
Evidenza poi la stessa Corte una perplessità derivante dalla sostituzione, con riguardo
all'ipotesi omissiva, del termine "informazioni" con la locuzione "fatti materiali": se tale scelta
dovesse essere interpretata nel senso di escludere la rilevanza del falso c.d. "qualitativo",
inevitabilmente
si
avrebbe
un
ridimensionamento
dell'elemento
oggettivo
delle
false
comunicazioni sociali con un effetto abrogativo, per quanto solo parziale, di quei fatti che non
troverebbero più corrispondenza nelle nuove previsioni normative.
Analogamente, ad avviso della Suprema Corte non è idonea a compromettere un rapporto di
continuità normativa la precisazione che, relativamente alla fattispecie di cui all'art. 2621 c.c.,
il falso delle non quotate deve avere ad oggetto fatti materiali "rilevanti". Anche in questo caso
ci sarebbe un restringimento dell'area di tipicità, escludendo dal fuoco dell'incriminazione
alcune condotte a seguito di una valutazione sulla rilevanza dell'oggetto del falso, "ma che non
incide sul senso della stessa e sulla sua sostanziale identità con quella definita nella precedente
formulazione normativa".
4. La modifica della Legge 231/2001.
La Legge 69/2015 ha anche modificato l'articolo 25-ter del D.Lgs. 231/2001, portando le
sanzioni pecuniarie per il reato di cui all'articolo 2621 c.c. da 100 a 200 quote e da 150 a 400
quote; introducendo la lettera a-bis per il reato di cui all'art. 2621 bis c.c. con sanzione da 100
a 200 quote; aumentando la sanzione per il 2622 c.c. da 150 a 400 e da 330 a 600 quote e
abrogando la lettera c).
Da un punto di vista sostanziale la riforma è, invero, poco, se non addirittura per nulla,
significativa. Naturalmente rispetto al sistema 231.
Infatti, alla luce di quanto evidenziato dalla stessa Corte di Cassazione circa la sostanziale
“continuità” fra le norme ante e post L. 69/2015, gli aggiornamenti dei modelli 231 dovranno
essere volti unicamente all’adeguamento delle fattispecie, tutte delitti di pericolo concreto, e
delle sanzioni, ma senza veri cambiamenti operativi che comportino la modifica della
mappatura dei rischi e dei protocolli.
Non si ravvisa a tal proposito, almeno allo stato, in capo alle società la necessità di predisporre
maggiori e diversi controlli rispetto a quelli che già dovevano essere attuati con la normativa
previgente. Anzi, la limitazione della rilevanza penale ai soli “fatti materiali non corrispondenti
al vero” parrebbe semmai limitare anziché espandere l’ambito di operatività delle norme in
questione.
Insomma, l’aumento delle sanzioni pecuniarie pare più un tentativo di far sembrare severa una
riforma che severa, all’atto pratico, non è.