Vela e Motore
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Vela e Motore
dossier pirati Acque a rischio Non solo navi: gli attacchi alle barche sono in aumento. Ce ne parla Nicolò Carnimeo, professore, viaggiatore e storico della navigazione che ha visitato le zone infestate dai corsari del nuovo secolo. Il suo reportage esce per Longanesi. di Valentina Scaglia corsari nel web Alcuni siti dove trovare informazioni pratiche. • www.iccwbo.org report di tutti gli attacchi, aggiornato in tempo reale • www.safetyandsecuritynet.com - mappa della situazione nei Caraibi • www.noonsite.com statistiche, consigli sulle zone da evitare e manuale di comportamento • www.onsa.org dedicato alla sicurezza in Venezuela. S tudioso e viaggiatore. Con un’inguaribile curiosità per tutto quello che riguarda il mare, è responsabile dell’associazione culturale Vedetta sul Mediterraneo con sede nello storico semaforo a Giovinazzo, a pochi chilometri da Bari. Esperto e docente di Diritto della navigazione, il professore ha viaggiato nelle nuove Tortuga, visitando il Piracy Reporting Centre di Kuala Lumpur in Malesia. Dalle sue esperienze ha tratto un libro sull’attualità della pirateria moderna Nei mari dei pirati, in uscita per Longanesi in primavera. Ci dica qualcosa delle sue esperienze nel campo del diritto marittimo. «Il filo rosso che lega le mie esperienze è la passione per il mare dal quale non riesco a staccarmi neanche un minuto, la mattina prima di uscire da casa mia nel porto di Giovinazzo lo guardo dalla fine- Nicolò Carnimeo davanti al suo mare di Bari. Sopra, un cargo in navigazione in Mar Rosso. Negli ultimi 25 anni nelle acque del sud est asiatico sono state assaltate oltre 17.000 navi. stra, e poi vado all’università, la Facoltà di Economia di Bari, dove insegno Diritto della navigazione, così posso parlarne ancora ai miei studenti. Appena posso navigo, vado in giro per realizzare studi, ma anche articoli e reportage. Sono presidente di una Fondazione che si occupa di diffondere la cultura marittima, Vedetta sul Mediterraneo (Per informazioni www.vedettamediterraneo.it)» Come si è avvicinato all’attualità dei reati compiuti in mare dai pirati moderni? «Gli aspetti giuridici della pirateria sono uno degli argomenti di studio del Diritto marittimo, ma ho iniziato ad affrontarne il tema della recrudescenza di quella moderna da qualche anno con una serie di saggi per la rivista di geopolitica Limes. La vastità di dati che ho trovato nei miei viaggi in quelle che definisco “le Tortuga del terzo millennio” mi ha fatto scoprire un universo sconosciuto ai più, un fenomeno che non era mai stato studiato nella sua interezza. Oggi i media si interessano ai pirati somali, ma negli ultimi 25 anni nelle sole acque del Sud Est asiatico sono state attaccate più di 17.000 navi, con una media di 700 per anno. Ho raccolto storie vere che farebbero ombra al migliore Salgari». Ci parli del libro che ha scritto per Longanesi, può darci qualche anticipazione? «Nei mari dei pirati è un saggio-reportage dove racconto le mie esperienze in giro per il mondo. Sono stato nel Corno d’Africa a raccogliere notizie sui Jin del Puntland, poi in Nigeria a Lagos a bordo di un mercantile italiano e da lì in Malesia a Kuala Lumpur per visitare il Piracy Reporting Centre, la centrale operativa dei cacciatori di pirati nei mari asiatici. Difficile è stata la permanenza nel Borneo sulle tracce dei discendenti di Sandokan dove mi sono imbattuto in Abu Sayyaf, un pericoloso gruppo terroristico che assalta non solo navi, ma nel 2002 ha sequestrato 11 turisti dal villaggio dell’isola di Sipadan ed è responsabile dell’affondamento con una bomba al tritolo del Superferry 14, un traghetto con 877 passeggeri a bordo. È stato un viaggio spesso doloroso in posti abbandonati dove è molto difficile sopravvivere, buchi neri dove le regole le fa il kalashnikov, abitati da una umanità dimenticata che pochi di noi hanno il coraggio di guardare negli occhi, tranne poi stupirsi se nel terzo millennio ci sono ancora i pirati». La minaccia costituita dai pirati moderni è in aumento? O è un fenomeno che esiste da anni, ma in questo periodo riceve più attenzione mediatica? «La pirateria marittima non ha mai cessato di esistere, solo cambia latitudini spostandosi dove si creano le condizioni perché possa fiorire. Il mare, nonostante le numerose convenzioni internazionali che cercano di stabilire delle regole, è in realtà una specie di giungla. Gran parte del naviglio mondiale batte bandiereombra di stati come la Liberia, Panama o la Bolivia che non ha neppure uno sbocco al mare. Oggi si può iscrivere una nave in un registro compiacente anche on line. Così si spiega come i pirati dello Stretto di Malacca che separa Malesia e Indonesia riescano a far sparire le navi, ridipingerle e riutilizzarle con un altro nome. Nel Mar della Cina i pirati sono controllati da potenti mafie dette i “sindacati”, ma la pirateria può avere motivazioni diverse, così è nelle tre attuali zone calde: Somalia, Indonesia e Nigeria. A Lagos, divenuto il porto più pericoloso del mondo, si registrano attacchi di gang criminali, mentre nel Delta del Niger opera il Mend, un’organizzazione che lotta contro le major del petrolio. Come si vede la matrice degli abbordaggi può essere differente, ma nella mia indagine ho qualificato “pirateria” ogni attacco violento rivolto a navi mercantili o imbarcazioni da diporto. Anche alcuni gruppi terroristici si finanziano con la pirateria e i sequestri di marittimi». Come mai non si riesce a stroncare il fenomeno? Non bastano gli accordi internazionali, le navi-scorta, i cambiamenti di rotta per evitare le coste a rischio? «Ci sono passaggi che non si possono evitare come lo Stretto di Malacca o il Golfo di Aden, la pirateria si concentra proprio nelle vicinanze delle vie d’acqua dove le prede si raccolgono. L’azione di contrasto è difficile, se pensiamo al Golfo di Aden: lo scenario è immenso, difficile da controllare, poi le stesse regole giuridiche che ci siamo dati rendono più difficile l’intervento. La pirateria è un crimine contro l’umanità: tutte le navi militari di qualunque bandiera dossier pirati Nicolò Carnimeo Sotto, il capitano Mukundan Pottengal è a capo dell’International Maritime Bureau di Londra, una sorta di centrale dalla quale vengono monitorati e aggiornati tutti gli attacchi nel mondo. possono fermare una nave anche se è solo sospettata di pirateria, ma ciò può avvenire solo in “alto mare” cioè dove vige la libertà di navigazione, non nelle acque territoriali dei singoli stati. Per far entrare nelle acque somale le Marine impegnate ad Aden c’è voluta una specifica risoluzione dell’Onu, prima i pirati somali godevano nelle loro acque di piena impunità. Non si possono combattere i pirati come nel Settecento, l’uso della forza è sempre l’estrema ratio. Per combattere la pirateria bisogna sradicare le cause, che in Somalia sono l’assenza di uno stato e diciassette anni di guerra che hanno messo in ginocchio il Paese. Le situazioni sono diverse, chi da trent’anni combatte i pirati con un monitoraggio costante del fenomeno è l’International Maritime Bureau, una istituzione indipendente con sede a Londra guidata dal capitano Mukundan Pottengal, il più famoso tra i cacciatori di pirati. Sul loro sito www.iccwbo. org si possono leggere i report di tutti gli attacchi nel mondo, sono sempre aggiornati. “Capitan Muku”, questo è il suo nome di battaglia, mi ha guidato nelle ricerche...» E gli atti di pirateria contro barche da diporto? Può raccontarci qualche episodio recente? «L’Imb (International Maritime Bureau) si occupa più che altro di abbordaggi a navi commerciali, poche sono le segnalazioni per gli attacchi a unità da diporto, eppure il fenomeno è preoccupante, specie ai Caraibi. Nessuno avvisa dei rischi che si corrono, anche con una vacanza charter in località note come Santa Lucia, Saint Vincent o il Venezuela: gran parte dei paesi caraibici è a rischio. Il problema è che gli episodi vengono trattati come casi singoli, le denunce, seppure numerose, rimangono ad ammuffire in qualche sperduto posto di polizia, e non si riesce a inquadrare il fenomeno nella sua globalità. Eppure ci sono episodi eclatanti, il grande navigatore Peter Blake è stato ucciso dai pirati e così anche un velista italiano, Bruno Bianchella, mentre navigava da Trinidad alle Grenadine. Oggi grazie a iniziative come la Caribbean Safety Net sul sito www.safetyandsecuritynet.com si può avere una mappa dettagliata degli abbordaggi. Nel mese di novembre 2008 ne sono segnalati tre e uno skipper americano è stato freddato dai pirati nell’isola Boracha in Venezuela». Esiste qualche problema anche nel Mediterraneo e in che zone? «L’attacco più recente è avvenuto l’estate scorsa in Corsica dove è stato colpito il Tiara, un megayacht di 55 metri all’àncora tra le baie di Santa Giulia e Santa Manza. Ma nel Mediterraneo non ci sono organizzazioni specifiche, si tratta di una “pirateria di opportunità” che può essere molto redditizia. Il Tiara aveva 138.000 euro nella cassa di bordo. Un episodio singolare avvenne qualche anno fa in Calabria quando dei pirati in pedalò abbordarono il Renalo, un veliero inglese alla fonda nella baia di Scilla, con un bottino di cento milioni di lire. Nel 2000 ci fu un pericoloso dirottamento di un Gib Sea 422 da crociera in Grecia, l’Erato, con a bordo una famiglia di svizzeri con due bambini. Tra il 2000 e il 2001 si registrarono attacchi a barche da diporto lungo le coste albanesi e a Corfù, ma si tratta di episodi legati a un periodo difficile per l’Adriatico meridionale, oggi le condizioni sono cambiate». Come comportarsi in caso di attacco? Difendersi non è facile. «Chi ha stilato un vero e proprio “prontuario” contro i pirati è il navigatore Jimmy Cornell. Nel suo www.noonsite. com (che fornisce una serie di casi reali di attacchi, ndr) dà statistiche aggiornate, consigli sulle zone da evitare (oltre ai Caraibi, il Mar Rosso dove è stato di recente attaccato anche il Gipsy Moth di Chichester, e il Mar Cinese) e ha stilato una specie di manuale: quando si attraversano le aree a rischio bisogna formare un convoglio dalle tre alle sei barche che devono rimanere sempre in stretto contatto anche visivo sia di giorno che di notte con adeguate segnalazioni luminose. Mantenere il silenzio radio sui canali standard del Vhf che possono essere facilmente monitorati, ma tenere costantemente aperto il canale Ssb su una frequenza concordata con il resto del convoglio. Monitorare l’area di navigazione con il radar e avvertire le altre barche di qualunque avvicinamento sospetto. Almeno una barca del convoglio deve essere equipaggiata con un telefono satellitare e possedere i numeri delle autorità marittime in modo da poter subito diramare l’allarme. In caso di abbordaggio Cornell consiglia di mantenere la calma, consegnare ciò che chiedono gli assalitori seguendo le loro istruzioni. L’esperienza insegna che spesso i pirati fuggono appena ottenuto il denaro e non sparano se non vengono provocati. Avere armi a bordo può essere molto pericoloso». Una curiosità legale: esiste nel diritto internazionale il reato di pirateria? E in quello italiano? «La norma di partenza in materia si ritrova nell’articolo 105 della Convenzione del Diritto del Mare firmata a Montego Bay secondo il quale in alto mare o in qualunque altro luogo fuori della giurisdizione di qualunque Stato, ogni Stato può sequestrare una nave o aeromobile pirata o una nave o aeromobile catturati con atti di pirateria e tenuti sotto il controllo dei pirati; può arrestare le persone a bordo e requisirne i beni. Gli organi giurisdizionali dello Stato che ha disposto il sequestro hanno il potere di decidere la pena da infliggere nonché le misure da adottare nei confronti delle navi, aeromobili o beni, nel rispetto dei diritti dei terzi in buona fede. A fronte di tale norma internazionale ci sono le leggi dei singoli Stati. L’ordinamento italiano prevede espressamente il reato di pirateria nell’articolo 1.135 del Codice della Navigazione. Essendo punito con pena edittale superiore nel minimo a cinque anni, è applicabile sia l’arresto obbligatorio in flagranza di reato sia il fermo dell’indiziato di delitto». Sopra, il sito di Organizacion Nacional de Salvamento Y Seguridad Maritima de Los Espacios Acuaticos de Venezuela (Onsa) dove è possibile segnalare atti di pirateria. A sinistra, una mappa del Venezuela con le zone ad alto rischio. Gli abbordaggi avvengono “ più che altro a navi commerciali, ma ci sono segnalazioni anche a unità da diporto, il fenomeno è preoccupante specie ai Caraibi ” Esempio di un report: novembre 2008 dal sito onsa Sintesi di casi di attacchi a barche private nel mese di novembre elencati per zona geografica, in questa tabella l’area presa in considerazione è Caraibi e Venezuela. Paese Posizione Data Caso Materiale rubato Conservato a bordo Il fatto Abbordato da 3 uomini con machete, richiesta di denaro. Presi $ 100 e alcuni euro, equipaggio minacciato con fucile. non sottochiave In acqua una piroga e una barca a motore. Guardia Costiera arrivata mattina successiva. S. Vincent Grenadine Cumberland 30 ago. 08 rapina soldi, macchina fotografica, orologio S. Vincent Grenadine Union - Clifton 13 nov. 08 furto orologi elettronica non sottochiave Venezuela Isla Borracha 8 nov. 08 assalto nessuno non dichiarato Crepuscolo, la barca è avvicinata da 3 uomini in piroga che chiedevano acqua. Sparati due colpi, il capitano muore all’istante. Invio segnale di Mayday, la guardia costiera arriva in un’ora. Venezuela Isla Borracha 8 nov. 08 assalto nessuno non dichiarato Abbordaggio al crepuscolo, il capitano minaccia con pistola, per mettere in fuga i pirati, ma viene colpito a una gamba. Equipaggio sceso a terra per andare a cena. Boccaporti aperti consentono l’ingresso a bordo.