Ozpetek: sale, pepe ed emozioni

Transcript

Ozpetek: sale, pepe ed emozioni
CONVERSAZIONI DI GUSTO
Ozpetek: sale, pepe ed emozioni
Il regista turco che è anche un bravo cuoco, non ha dubbi: un sottile fil rouge lega indissolubilmente
cinema e cibo. Entrambi per trasformarsi in arte hanno bisogno di un sapiente mix di concretezza e
passione.
Non è facile riuscire a ottenere un'intervista con Ferzan Ozpetek, soprattutto dopo il successo dei suoi
ultimi film, vuoi per i mille impegni vuoi per una sua certa ritrosia.
Il regista di origini turche, ma romano d'adozione, vive da oltre 30 anni nello stesso palazzo a pochi
passi dal Gazometro, nel quartiere Ostiense dove era ambientato Le Fate Ignoranti, il film che lo ha
consacrato.
Ci sarebbe piaciuto essere invitati a casa sua, nella cucina che è anche il fulcro della sua vita privata e
professionale. Lì imbandisce quasi ogni sera la tavola per una “clientela affezionata” di amici, lì riunisce
i suoi attori per la lettura dei copioni prima di iniziare a girare.
Avremmo voluto assaggiare il suo famoso pollo alla circassa (aglio, pane, pollo bollito e spezzettato
finissimo con le mani, brodo di pollo, tutto amalgamato con pazienza: «una bontà rara» dice lui). Invece
alla fine siamo riusciti a tenerlo in ostaggio per ben tre ore alla Città del gusto, per un pranzo preparato
dall'executive chef Luca Ogliotti in omaggio alla tradizione romana: filetto di baccalà, crema di carciofi,
spuma di pecorino con cannolo farcito di cicoria, un’amatriciana da manuale, pollo con i peperoni, flan
di ricotta con salsa al cioccolato.
E a tavola Ferzan si scioglie. Non a caso la cucina, la tavola imbandita, la convivialità sono elementi
ricorrenti nei suoi lavori. Basti pensare alle meravigliose torte (preparate dall'amico Marco Andreotti,
dell’omonima pasticceria romana) che trionfano ne La Finestra di Fronte o alla cena di Saturno Contro.
«Il cibo è essenziale – spiega – credo che, con il sesso, sia un modo per allontanare da noi il pensiero
della morte. Ci si concentra su un piacere presente, in modo quasi arcaico: provate a osservare la
goduria sui volti della gente al ristorante, al momento di ordinare».
Così, tra un assaggio e una ricetta snocciolata al volo, durante il pranzo viene fuori la persona, con una
grande passione per la vita e il cinema, ma anche con le sue umane debolezze.
Autoironicamente ipocondriaco, è molto attento all'igiene («la carne va lavata bene, per esempio
l'agnello lo sciacquo a lungo prima di metterlo a cuocere in forno, senza aggiungere niente, in quelle
buste che si gonfiano... qui in Italia non tutti lo fanno»).
Ferzan apprezza la buona tavola e il buon vino ma è attento alla linea e, dice, da qualche tempo gli
pesa cucinare gli animali: «Ma alla fine li mangio, lo so, è terribilmente ipocrita...» sorride. «Ho imparato
a cucinare da mia madre – racconta - mia sorella è un vero genio in cucina!».
Ama Roma, ma torna spesso a Istanbul, dove è nato: «È una città bellissima, negli ultimi tempi mi
sembra anche più pulita, forse per il paragone con Roma che invece è peggiorata. E poi funzionano
benissimo le consegne a domicilio, al contrario che in Italia: in poco tempo ti arriva a casa del cibo
ottimo e ben presentato».
Se a Roma vizia i suoi ospiti con la pizza fatta in casa, a Istanbul prepara sontuose colazioni con feta e
formaggio kasar, olive condite, uova in padella con salame sujuk, ciambelle simit, tè.
Gli chiediamo di parlarci della cucina turca ma lui, che ha vissuto più da noi che in patria, mette le mani
avanti e afferma di avere più dimestichezza con quella italiana. In effetti conosce bene il patrimonio
gastronomico della penisola, da Nord a Sud: «La prima volta che sono stato in Sicilia, come aiuto
regista, sono entrato in una pasticceria e davanti all'enorme scelta di cose dolci e salate ho pensato:
questa è davvero una grande civiltà. La cucina italiana secondo me è la migliore, la più ricca di varietà.
È anche per questo, forse, che ho deciso di vivere qui».
Se non cucina a casa, per sé ma soprattutto per gli altri, gli piace andare a ristorante – qualche anno fa,
dopo il grande successo de La Finestra di Fronte, si è regalato una vacanza in Sicilia con il compagno
basata, confessa, non sui luoghi da vedere ma sui locali da visitare – ma predilige la cucina semplice,
dove poter rintracciare i gesti sapienti e la passione di chi cucina.
Ama i cibi preparati con attenzione, le cotture lente. Unica eccezione, il pollo croccante, una sua ricetta
di cui è orgoglioso: «lo spello e lo taglio a pezzi, poi lo metto in una padella antiaderente rovente con
aglio, rosmarino e sale grosso, mescolando di continuo, per mezz'ora. Alla fine aggiungo il succo di due
limoni e due arance».
Preferisce il salato al dolce, sia da mangiare che da preparare: «Io cucino molto a sensazione, mi piace
improvvisare, a volte esagero anche, aggiungendo troppo ingredienti. La pasticceria invece è un'arte
esatta, non fa per me».
Nel bel libro Ad Occhi Aperti, un suo ritratto a cura di Laura Delli Colli, Marco Risi racconta che sul set
de Il Branco Ferzan, oltre a fare l’assistente, ogni tanto preparava gli spaghetti per tutti. E lui stesso
confessa che se non avesse fatto il regista, sarebbe diventato cuoco, o pittore. Comunque, un creativo:
«Cucinare è molto simile a fare un film. Anche lì quello che conta è l'aspettativa di chi poi lo guarderà, e
si deve fare molta attenzione a dosare bene le emozioni».
Ora, dopo un film intenso e doloroso come Un Giorno Perfetto, dice di avere voglia di fare qualcosa di
divertente. Ha già scelto la location, Lecce, di cui non a caso conosce molto bene specialità tipiche e
ristoranti. Sulla trama non si sbilancia, ma lascia intendere che anche stavolta non ci lascerà a bocca
asciutta.
di Luciana Squadrilli