“È una crisi anche della cultura finanziaria” Luigi Zingales, Il Sole 24
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“È una crisi anche della cultura finanziaria” Luigi Zingales, Il Sole 24
“È una crisi anche della cultura finanziaria” Luigi Zingales, Il Sole 24 Ore 11 August 2007 Potrebbe sembrare un altro esempio delle reazioni assurde cui ci ha abituato George Bush: di fronte alla crisi di liquidità delle Borse mondiali, il Presidente americano ha parlato del bisogno di maggiore cultura finanziaria. Ma questa volta non è così. Sebbene non sia l'unica causa, l'analfabetismo finanziario è il primo anello di una lunga catena che porta alla crisi attuale. L'origine di questa crisi, come ricordava giovedì il Financial Times, non è da ricercarsi a Wall Street, ma nella remota Florida (e in tante altre località esotiche), dove un numero crescente di persone è ricorso a forme estreme di prestiti ipotecari per l'acquisto della prima (ma anche della seconda o terza) casa. Una volta esisteva negli Stati Uniti una regola che imponeva a una famiglia di non spendere più del 30% del proprio reddito per pagare la rata del mutuo. Questa regola, seguita dalle banche, era anche un utile strumento di pianificazione del bilancio familiare, perché evitava di sobbarcarsi oneri che, nel lungo periodo, si sarebbero rivelati insostenibili. Fin quando i mutui erano tutti a tasso fisso fu sempre rigorosamente seguita. Già con l'introduzione dei mutui a tasso variabile (che negli Usa sono un fenomeno degli ultimi 15 anni) quella regola cominciò a essere aggirata, calcolando il 30% sulla base della prima rata (in genere molto più bassa delle successive) invece che su una media delle rate attese. Con l'introduzione dei mutui interest only e poi addirittura no interest quella regola è caduta in disuso, permettendo alle famiglie di accollarsi debiti sempre più rischiosi. Tali nuove forme di mutuo non sono di per sé malvage. Possono anzi risultare molto utili per chi in futuro si aspetta con notevole certezza un aumento di reddito. Ma devono essere impiegate con grande oculatezza. Invece negli ultimi anni tale oculatezza è mancata da entrambi i lati. Dal lato del prenditore, spesso ignaro del rischio che si assumeva. E da parte del prestatore (la banca). Tradizionalmente, ciò che poneva un freno al desiderio delle banche di aumentare il volume dei mutui a spese della loro qualità era il costo che esse si accollavano in caso di mancato rimborso del prestito ipotecario. Oggi, però, dopo essere stati erogati, i mutui vengono in genere cartolarizzati, cioè accorpati e venduti sotto forma di titoli sui mercati mobiliari. Così le banche non si assumono più il rischio finale, che viene trasferito al mercato finanziario. La disciplina, quindi, dovrebbe essere imposta dai compratori di quei titoli: se la qualità dei mutui scende (e quindi il rischio di fallimento sale), anche il prezzo a cui il mercato è disposto ad acquistare i titoli derivati dai mutui dovrebbe scendere. Ciò scoraggerebbe le banche dall'erogare mutui troppo rischiosi. Di recente però molti compratori non hanno imposto questo tipo di disciplina. Gestori di fondi pensione e hedge fund, che vengono remunerati in funzione della performance annuale, sono stati disponibili ad acquistare quei titoli a prezzi troppo alti rispetto al rischio sottostante, perché contavano di guadagnarci lo stesso, magari a spese dei propri clienti finali. Usando aggressivamente la leva finanziaria, un hedge fund manager può trasformare un piccolo spread in un'enorme overperformance. Siccome la sua remunerazione è ogni anno pari al 20% dei guadagni del fondo (mentre non partecipa direttamente alle perdite), poche annate fortunate bastano a renderlo ricco. Una ricchezza che gli rimane anche quando arriva la crisi che azzera tutto il capitale che gli è stato affidato. Ovviamente un tale gioco non può continuare a lungo. Alla fine gli investitori distingueranno tra i (pochi) gestori senza scrupoli e i (molti) gestori onesti. Affinché ciò avvenga, due condizioni sono necessarie. Primo, i gestori senza scrupoli siano effettivamente penalizzati. Secondo, gli investitori abbiano la cultura finanziaria per distinguere tra comportamenti immorali e sfortuna. Purtroppo la prima condizione viene meno quando questi comportamenti sono sufficientemente generalizzati da mettere a rischio l'intero mercato. La disciplina si esercita attraverso la reazione dell'investitore che, dopo aver perso, rialloca i propri risparmi in investimenti più sicuri. Se a farlo sono tutti i risparmiatori insieme, si crea una crisi di liquidità che mette a repentaglio non solo il sistema finanziario, ma anche l'economia reale. Per questo motivo le maggiori Banche centrali sono intervenute. La Fed di Greenspan aveva sviluppato una politica di intervento così aggressiva da guadagnarsi il nome di "Greenspan put", con esplicito riferimento all'opzione put che protegge un investitore dalle perdite. Concessa nel nome della stabilità economica, questa opzione put ha avuto un effetto negativo sulla capacità del mercato di disciplinare comportamenti devianti. Sia Ben Bernanke sia Jean-Claude Trichet si sono affrettati a far sapere che non seguiranno la stessa politica. Ma fino a che punto saranno disposti a rischiare una recessione per penalizzare gli operatori poco scrupolosi? Non rimane quindi che confidare nella capacità di disciplina degli investitori finali. E nella oculatezza dei prenditori di mutui. Entrambe dipendono dall'educazione finanziaria di tutti gli investitori. Bene ha fatto quindi Bush a ricordare l'importanza di aumentare la cultura finanziaria. Non allevia questa crisi, ma contribuisce a ridurre la probabilità di quelle future. E in Italia? Recentemente la Banca d'Italia ha annunciato che si adopererà per aumentare l'istruzione finanziaria nel Paese. Ma questo nobile sforzo non basta. In Italia è possibile laurearsi senza sapere che cos'è un interesse composto, come si calcola la rata di un mutuo o quale è la differenza tra un'azione e un'obbligazione. Insegniamo chimica, fisica e geografia astronomica (per limitarsi alle materie scientifiche) a tutti gli studenti liceali. Sono materie bellissime, che formano la mente. Ma quando la maggior parte dei nostri studenti le utilizzerà mai? Alcune nozioni base di finanza invece oggi servono a tutti. Tanto più man mano che si svilupperanno le pensioni integrative che richiedono agli individui di fare scelte di investimento di lungo periodo. Inizialmente la riforma della scuola media superiore contemplava l'introduzione di un corso obbligatorio di economia e diritto (ma non di finanza). Purtroppo di questo timido tentativo si sono perse le tracce. Lo sviluppo dei mercati finanziari richiede cittadini istruiti, pena crisi ben maggiori dell'attuale. Il fatto che i benefici dell'istruzione si facciano sentire solo in futuro non è una scusa per rinuciarvi. Semmai il contrario: domani è già troppo tardi.