ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

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ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
FACOLTÀ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE
Corso di laurea magistrale in Lingua e Cultura italiane per stranieri
TITOLO DELLA TESI:
PROGETTO DI RICERCA VOLTO A DELINEARE L’ATTIVITÀ
PROFESSIONALE DELL’INTERPRETE DI COMUNITÀ NELLE
STRUTTURE OSPEDALIERE IRLANDESI CONTEMPORANEE:
INDAGINE SULLE DINAMICHE DELLA CONVERSAZIONE
TRIADICA INTERPRETE-OPERATORE SANITARIO-PAZIENTE
Tesi di laurea in Lingua Inglese (LM)
Relatrice:
Prof.ssa Mette Rudvin
Presentato da:
Daniele Boni
Correlatrice:
Prof.ssa Mary Phelan
SESSIONE II
Anno accademico: 2011/2012
Alla mia famiglia
1
INDICE
1. CAPITOLO I – Introduzione .......................................................................... 5
1.1 Definizione del concetto d’interpretazione ........................................ 6
1.2 Storia ed evoluzione dell’interprete di comunità ............................... 9
1.3 Interpretariato di conferenza e di comunità ..................................... 14
2. CAPITOLO II – Ruolo dell’interprete di comunità .................................... 17
2.1 Visibilità ed invisibilità nella comunicazione triadica ..................... 19
2.2 Caso di studio: Inventario del ruolo interpersonale
dell’interprete ......................................................... 22
2.3 I partecipanti all’evento mediato .................................................... 25
2.3.1 Agenzie d’interpretariato .......................................... 26
2.4 Dinamiche relazionali fra i partecipanti all’evento mediato ............. 29
3. CAPITOLO III – L’interprete di comunità in ambito medico .................... 33
3.1 La relazione medico-paziente ......................................................... 36
3.2 Consultazione medica: tre modalità d’interrogazione ...................... 39
3.3 Caso di studio: analisi comparativa della consultazione
diadica e triadica medico-paziente .................................................. 42
4. CAPITOLO IV – Accessibilità delle strutture sanitarie in Irlanda............. 49
4.1 Interpretariato nelle istituzioni pubbliche: le politiche
linguistiche ..................................................................................... 50
4.2 Interpreti formali e pazienti con LEP .............................................. 52
4.3 Mediazione linguistica informale .................................................... 54
4.4 Diverse modalità di mediazione a distanza ...................................... 55
4.4.1 Mediazioni telefoniche .............................................. 56
4.4.2 Interpretazione a distanza e Videoconferenze ............ 58
2
5. CAPITOLO V – Codici etici a confronto ..................................................... 62
5.1 I codici etici: un tema controverso .................................................. 62
5.2 Medical interpreting: due codici americani ..................................... 67
5.2.1 Massachusetts medical interpreting association
standards of practice ................................................. 67
5.2.2 California standards for healthcare interpreters:
Ethical Principles, Protocols, and Guidance
on Roles & Intervention ............................................ 70
6. CAPITOLO VI – Assistenza linguistica in Irlanda: aspetto giuridico ........ 78
6.1 Organizzazione delle Nazione Unite: convenzioni e trattati............. 80
6.2 Alcune direttive dell’Unione Europea in materia
di discriminazione .......................................................................... 83
6.3 Diritto alla non discriminazione: la Costituzione irlandese .............. 86
7. CAPITOLO VII – Caso di studio: l’attività dell’interprete di comunità
nelle strutture ospedaliere irlandesi ............................... 90
7.1 Modalità di raccolta dei dati: fonti dirette ed indirette ..................... 91
7.2 Le interviste.................................................................................... 93
7.2.1 Interprete A: lingua Spagnola e Portoghese .............. 93
7.2.2 Interprete B: lingua Spagnola, Portoghese,
Francese............................................... 96
7.2.3 Interprete C: lingua Cinese ....................................... 99
7.2.4 Interprete D: lingua Rumena .................................. 100
7.2.5 Interprete E: lingua Polacca I................................. 102
7.2.6 Interprete F: lingua Polacca II ............................... 104
7.2.7 Interprete G lingua Croata ..................................... 106
7.2.8 Interprete H: lingua Araba ..................................... 109
8. CAPITOLO VIII – Conclusioni .................................................................. 112
Ringraziamenti ........................................................................................................ 117
3
Bibliografia ............................................................................................................. 118
Sitografia ................................................................................................................. 122
Appendici:
Appendice A – Questionnarie ................................................................................... 123
Appendice B – Informed consent form for Interpreters ............................................. 124
Appendice C – ITIA code of ethics for community interpreters ................................ 126
Appendice D – Code of practice and professional ethics........................................... 131
4
CAPITOLO I
INTRODUZIONE
“Power differentials have always been in place between communicating individuals,
and many times they have been determined by language use.” (Angelelli, 2004:8)
La figura dell’interprete nella storia ha sempre ricoperto un ruolo fondamentale
all’interno di ogni società avanzata. Grazie ad esso si sono potuti costruire ponti
comunicativi fra molteplici civiltà ponendo le basi per una fitta rete di relazioni
commerciali, sociali e culturali. Sin dai tempi dell’antica Grecia e dell’Impero Romano
gli interpreti vengono tenuti in grande considerazione, se ne loda la capacità di compiere
molteplici funzioni allo stesso tempo, nonché l’essere artefici di efficaci transazioni
commerciali e di fruttuosi rapporti diplomatici (Pӧchhacker and Shlesinger 2002:19).
Dal 1492 al 1518 questa figura assume un ruolo cruciale nella colonizzazione spagnola
delle Americhe. L’importanza di un’efficace comunicazione con le popolazioni native
appare lampante a Colombo, che spesso si avvale di interpreti nativi americani a cui
viene insegnata, con sistemi spesso discutibili, la lingua e la cultura spagnola. Viene
riportato come lo stesso Cortés utilizzasse ben tre interpreti nativi per dialogare con le
popolazioni della penisola dello Yucatan. I documenti asseriscono come Cortés si
rivolgesse in spagnolo al primo interprete che, a sua volta, traduceva in lingua Maya ad
un secondo. Quest’ultimo poi riproponeva il messaggio nella varietà linguistica della
popolazione locale. Il terzo interprete svolgeva così unicamente funzione di controllo
della precisione e correttezza del messaggio tradotto dai due interpreti, dialogando
unicamente con Cortés (Bastin in Baker 2001:506). Il conquistatore spagnolo ricopre
una posizione dominante nell’evento mediato, preoccupandosi di controllare il suo
andamento ed i contenuti. Questa testimonianza dimostra come le prime forme di
interpretariato avvenissero fra individui che non condividevano lo stesso status sociale.
Tale fenomeno, che talvolta può essere riscontrato anche in età contemporanea, conduce
così ad una differenziazione del potere esercitato da ciascun partecipante all’evento
mediato.
Con la formazione dei tribunali nel 1563 l’attività degli interpreti ottiene lo status di
professione. Vengono creati regolamenti per decretarne il salario in base al numero di
domande da tradurre, e definirne le condizioni lavorative. Nel XX secolo la figura
5
dell’interprete diventa ancora una volta centrale. Con i processi di Norimberga (19451946) in conclusione del secondo conflitto mondiale, la necessità di formare un numero
maggiore di interpreti diventa impellente, cosicché l’interpretariato inizia ad essere
inserito all’interno dei percorsi accademici. Diverse Università in Europa, Asia,
America, Africa e Oceania iniziano così a proporre corsi di laurea e percorsi di studio
specifici per tale disciplina. Le esigenze comunicative venutesi a creare in un panorama
mondiale sempre più interconnesso hanno evidenziato il bisogno di interpreti che
potessero permettere un’efficace comunicazione fra Capi di stato che non condividono
la stessa lingua. L’impiego di interpreti in contesti internazionali ha fatto sì che
molteplici corsi universitari fossero dedicati all’interpretariato in sede di conferenza
(conference interpreting) piuttosto che in quello di comunità (community interpreting).
Con la fine del XX secolo e l’inizio del XXI fatti come l’11 Settembre 2001 ed i
conflitti in Kosovo e Macedonia hanno
messo
in evidenza
la necessità
dell’insegnamento di lingue come l’arabo ed il persiano, ritenute fino a quel momento
minoritarie (Angelelli, 2004:11). Come sottolinea Angelelli l’interpretariato entra così
nel mondo accademico per fini squisitamente pragmatici piuttosto che come mero
oggetto di studio. Motivo per cui i principi su cui oggi si basa questa disciplina sono il
risultato di esperienze empiriche piuttosto che di una ricerca vera e propria.
1.1 Definizione del concetto d’interpretazione
L’interpretazione, intesa come conversione orale da una lingua all’altra, viene
generalmente considerata come una branca della traduzione. Sebbene queste due
discipline siano strettamente vicine fra loro, presentano caratteristiche molto diverse.
Numerosi autori hanno definito la traduzione con un processo di conversione da una
lingua ad un’altra della parola scritta, altri con interpretazione hanno fatto riferimento al
processo di traduzione delle produzioni orali dei parlanti. La differenza del mezzo con
cui avviene la conversione interlinguistica è il tratto distintivo più evidente che
caratterizza questa disciplina, tuttavia non è la sola. Definendo il concetto
d’interpretazione è necessario tenere in considerazione la sua rapida realizzazione,
sottolineando il fatto che lo scambio comunicativo fra i parlanti avviene in un
determinato momento, in base alle modalità scelte dall’interprete. A questo fine Otto
Kade (1968) propone d’andare oltre la tradizionale differenziazione di queste due
6
discipline, sottolineando come il concetto d’immediatezza sia una caratteristica
peculiare che le contraddistingue. Ciò implica che la produzione orale nella lingua
d’origine venga presentata una sola volta, cosicché non può essere rivista o ripetuta,
inoltre, la conversione di tale produzione nella lingua d’arrivo è soggetta alla pressione
del tempo, limitando così la possibilità di revisione e di correzione. Lo stesso
Pӧchhacker sostiene questa posizione, affermando che: “Interpreting is a form of
Translation in which a first and final rendition in another language is produced on the
basis of a one-time presentation of an utterance in a source text” (Pӧchhacker, 2004a).
La natura immediata dell’interpretazione fa sì che l’interprete debba possedere ottime
capacità d’ascolto e memorizzazione. Allo stesso modo deve essere in grado di
convertire il testo comunicato dalla lingua d’origine in quella d’arrivo e viceversa,
presupponendo così un’elevata preparazione linguistica e culturale.
Hale (1997: 10) sottolinea come diversi contesti lavorativi possono influenzare le
modalità d’interpretazione ed il tipo d’interazione adottate dagli interpreti. In
conferenze internazionali, tramite un supporto multimediale (cuffie e talvolta monitor),
gli enunciati vengono tradotti in modo simultaneo (simultaneous mode) e la tipologia
interazionale è monologica. In tribunali (escludendo però il contesto italiano) o in
contesti meno formali dove l’interprete non utilizza cuffie, l’interpretazione può essere
svolta tramite traduzione simultanea sussurrata (simultaneous whispering o chuchotage)
mantenendo tuttavia inalterata la sua monologicità. Tramite la modalità consecutiva di
lunga durata (long consecutive mode), che spesso viene impiegata durante brevi sessioni
informali o durante piccole conferenze, l’interprete può riportare in modo monologico
fino a cinque minuti di discorso. Per quel che riguarda l’interpretazione all’interno di
organi pubblici quali ospedali, tribunali, stazioni di polizia e centri d’accoglienza, si fa
ricorso alla modalità consecutiva di breve durata (short consecutive mode) sotto forma
di dialogo. L’interprete si ritrova a gestire la comunicazione fra due persone che non
parlano la stessa lingua, i cui turni di parola sono relativamente brevi. Scenario che
come si vedrà nel corso di questa trattazione caratterizza l’attività dell’interprete di
comunità.
Analizzando le caratteristiche dell’interpretazione (Hale, 2007), diversi studiosi si
sono interrogati sul ruolo ricoperto dal concetto di “fedeltà” (faithfulness), sia
all’interno della stessa disciplina che in quella della traduzione. L’approccio adottato da
7
Wadensjӧ non si concentra sulle modalità di resa del significato nella lingua d’arrivo,
ma piuttosto mette in evidenza come sia l’intervento dell’interprete che quello del
traduttore implica un certo apporto creativo nei confronti del testo originale: “An act of
translating is in practice performed by a specific “I”, speaking or writing on behalf of a
substantial other” (Wadensjӧ, 1998:41). La questione legata alle modalità di
interpretazione/traduzione, più o meno fedele (faithful) al testo originale ed al suo
significato, porta così a dovere scegliere fra un’interpretazione/traduzione più letterale
ed una più pragmatica volta verso la lingua d’arrivo. Tale dilemma sembra arrivare ad
un punto di svolta al sopraggiungere del concetto d’equivalenza (Hermans, 1995), che
molti autori individuano come il principale obiettivo da perseguire. Nida ne individua
due tipologie: l’equivalenza formale (formal equivalence) e l’equivalenza dinamica
(dynamic equivalence). La prima si concentra sul contenuto e sulla forma del messaggio
originale, mentre la seconda si dedica a ciò che viene definito come “the principle of
equivalent
effect”
(Nida,1964:159),
principio
basato
sulla
capacità
dell’interpretazione/traduzione d’ottenere il medesimo impatto sul pubblico d’arrivo che
il testo originale avrebbe ottenuto su quello di partenza. Altri, come Catford (1965),
parlano d’equivalenza formale e d’equivalenza testuale. Allo stesso modo Rabin e
House sostengono come l’obiettivo primario di un traduttore sia quello di riportare nella
lingua d’arrivo lo stesso significato presente nel testo originale, dove l’equivalenza
pragmatica dovrebbe essere privilegiata rispetto a quella semantica (Rabin, 1958:123).
“In translation, it is always necessary to aim at equivalence of pragmatic meaning, if
necessary at the expense of semantic equivalence. Pragmatic meaning thus overrides
semantic meaning. We may therefore consider a translation to be primarily a pragmatic
reconstruction of its source text” (House, 1977:28)
Le molteplici definizioni che nel corso degli anni sono state applicate al concetto
d’equivalenza testimoniano come sia stato analizzato da differenti punti di vista,
diventando uno dei principali temi di studio sulla traduzione (translation studies), così
come l’interrogativo sulla possibilità di raggiungere la totale equivalenza fra testo di
partenza e testo d’arrivo (Jakobson, 1959).
8
L’interpretazione non può essere considerata una semplice attività meccanica basata
sulla conversione da un codice ad un altro (code switching), in quanto la sua natura fa sì
che si debba tenere conto dell’effetto che la traduzione avrà sui partecipanti allo
scambio comunicativo. L’intervento più o meno “visibile” dell’interprete nella
conversazione fa sì che venga considerato parte attiva (Wadensjӧ, 1998). Soprattutto per
quel che riguarda l’interpretariato di comunità, il testo finale prodotto rappresenta il
risultato della somma dell’intervento dei parlanti e dell’interprete, cosicché si parla di
costruzione triadica del discorso e della conversazione (Hale, 1997: 12), in cui i concetti
espressi in una data lingua vengono elaborati nel corso dell’interazione fra i parlanti e
l’interprete stesso (Wadensjӧ, 1998).
“[…] In a dialogue, each turn from one speaker will prompt a response or a
reaction from the other speaker. In a dialogue interpreting situation, each
turn is processed through the interpreter, who, even when attempting to be
fully accurate to the original, is a different person […] and will inevitably
bring to the interaction his or her own person – a third participant. Different
interpreters will produce different renditions […] which may trigger
different reactions in the participants […]” (Hale, 1997: 12)
L’interpretazione può essere considerata un vero e proprio processo in cui la
comprensione, la conversione e la trasmissione del testo finale sono le tappe principali
(Hale, 1997: 14). Pӧchhacker (2004a: 119) sottolinea come la comprensione non è un
processo passivo ma è profondamente legata al bagaglio conoscitivo di ciascun
individuo. Ciò implica che l’elaborazione di nuove informazioni mette in atto una serie
di meccanismi mentali volti a relazionare le nuove informazioni con le altre già
possedute.
1.2 Storia ed evoluzione dell’interprete di comunità
Secondo Chesher (1997: 278) il termine community interpreting, che nel corso di
questa trattazione sarà tradotto con interprete di comunità, viene per la prima volta
utilizzato in Australia a partire dal 1970, accompagnato da altre denominazioni come
“ethnic communities” o “community health”. Solamente all’inizio del 1980 arriva in
9
Europa, dove nella denominazione anglosassone più comune prende il nome di
“community interpreting”, preferito a denominazioni come “ad-hoc interpreting” o
“cultural interpreting” (cf. Roberts 1997: 8). Tuttavia in Inghilterra il temine è sostituito
con “public service interpreting” (cf. Longley 1984; Shackman 1984).
Generalmente, l’interprete di comunità viene impiegato all’interno di organi istituzionali
dove i fornitori di servizi pubblici (service provider) ed i clienti non condividono la
stessa lingua. A differenza dell’interpretazione svolta per favorire i rapporti
internazionali fra paesi, come può essere una conferenza, il community interpreting ha
lo scopo di facilitare la comunicazione fra due entità sociali che rappresentano culture
differenti fra loro.
Il termine community interpreting continua ad essere oggetto di numerosi dibattiti fra
ricercatori ed interpreti. La ricerca conduce spesso alla formazione di categorie
all’interno dello stesso ambito per descrivere i fenomeni che vengono presi in
considerazione. Snell-Hornby sostiene che “the tendency to categorise is innate in man
and essential to all scientific development” (1988:26). Lo stesso concetto
d’interpretazione è oggetto di questa categorizzazione, si veda ad esempio la
differenziazione fra interpretazione simultanea e consecutiva, dove le modalità di
svolgimento diventano parametro di confronto fra le due (Slevsky, 1982 in Alexieva,
1997). Allo stesso modo Mason (2000) distingue l’attività dell’interprete in due
principali filoni: il conference interpreting ed il community ineterpreting, utilizzando il
contesto situazionale come variabile differenziante. Per questa ragione, sovente con
community interpreting si intendono tipologie d’interpretazione differenti: talvolta
generali, altre più specifiche e settoriali. In alcuni paesi il termine fa riferimento ad
interpreti ad hoc non qualificati, spesso volontari (Dueñas Gonzàles et al., 1991); altri
come Pӧchhacker (1999) fanno riferimento all’attività dell’interprete all’interno della
sanità o dell’assistenza pubblica, sottolineando come:
“In the most general sense, community interpreting refers to interpreting in
institutional settings of a given society in which public service providers and
individual clients do not speak the same language […]. Community
interpreting facilitates communication within a social entity (society) that
includes culturally different sub-groups. […] 'community' refers to both the
10
(mainstream) society as such and its constituent sub-community (ethnic or
indigenous community, linguistic minority, etc.) […]” (Pӧchhacker,
1999:126-7)
Gentile (1997) e Roberts (1997) sostengono come l’uso di un singolo termine possa
aiutare maggiormente a evitare divisioni all’interno della stessa disciplina. La posizione
assunta da Mikkelson (1996: 126) rafforza tale principio, aggiungendo come la
categorizzazione terminologica all’interno dello stesso ambito ha spesso fatto sì che
alcune sue parti si distanziassero ritenendosi più prestigiose, indebolendo così l’intero
settore. E’ il caso del differente status professionale che viene riscontrato fra conference
interpreting e community interpreting, e court interpreting da ad hoc interpreting.
Mikkelson fornisce tale definizione di interprete di comunità: “[…] community
interpreters provide services for residents of a community, as opposed to diplomats,
conference delegates, or professionals travelling abroad to conduct business […] “
(Mikkelson, 1996: 127-7, original emphasis). Gentile, tuttavia, usa il termine liaison
interpreting piuttosto che community interpreting, definendolo come “[…] the name
given to the genre of interpreting where the interpreting is performed in two language
directions by the same person.” (Gentile et al., 1996: 17), mantenendone tuttavia
inalterato il significato. La posizione assunta da Roberts tende a raggruppare sotto il
nome di community interpreting ciò che da altri viene definito come liaison interpreting
o escort interpreting, sottolineando come è possibile averne più tipologie:

Public service interpreting

Medical interpreting

Legal interpreting
La questione legata alla denominazione ed al significato di community interpreting è
quindi oggetto di opinioni talvolta molto divergenti fra loro. Per questa ragione, ai fini
della trattazione di questo progetto di tesi, nei capitoli successivi con tale termine si farà
riferimento a qualsiasi tipo d’interpretazione fra parlanti appartenenti alla comunità di
un singolo stato. Cosicché la principale categorizzazione che sarà tenuta in
considerazione sarà quella fra community interpreting e conference interpreting.
11
Sebbene il termine community interpreting sia di costituzione relativamente recente
Roberts afferma come in realtà tale pratica rappresenta la forma più antica di
interpretazione. A differenza del conference interpreting, che compare solamente nella
prima metà del XX secolo, si sottolinea come in realtà vi siano testimonianze di
community interpreting sin dai primi incontri fra differenti gruppi linguistici. Già nel
1534 (Delisle, 1977: 5-14) in Canada viene registrato un primo episodio in cui
l’esploratore francese Jacques Cartier rapì due irochesi 1 per insegnare loro la propria
lingua, in modo che potessero fare da interpreti fra i coloni e gli abitanti nativi. Sempre
in Canada, nel XVII secolo vi sono testimonianze di coloni francesi che avvicinatisi alla
lingua ed alla cultura delle popolazioni locali fungevano da interpreti e da diplomatici.
Arrivando al XX secolo, Pӧchhacker vede nell’Australia il pioniere di questa nuova
forma d’interpretazione. Alla fine del secondo conflitto mondiale il continente
australiano conosce una forte immigrazione da parte di persone per lo più non
anglofone, cosicché il loro numero si andò a sommare a quello degli Aborigeni,
trasformando il continente in un insieme eterogeneo di lingue ed etnie. Chesher fa
notare come già a partire dal 1970 il governo Australiano inizia a dedicare particolare
attenzione ai servizi di supporto linguistico, fenomeno che viene attribuito anche alla
crescente influenza politica delle comunità di migranti, oltre che ad una maggiore
sensibilizzazione verso il multiculturalismo ed il multilinguismo (cf. Chesher 1997:
282ff). Dopo alcuni anni in cui l’utilizzo di interpeti ad hoc2 è stato preponderante, nel
1973 il Dipartimento dell’Immigrazione attiva un servizio di supporto linguistico
telefonico (telephone interpreter service), nel Nuovo Galles del Sud si crea un gruppo
di 27 interpreti da impiegare in 17 ospedali di Sidney. Da tale progetto dedicato alle
strutture sanitarie nasce così il New South Wales Healthcare Interpreter Service che
mette a disposizione un gruppo di più di cento interpreti attivi per tutto l’arco della
giornata (cf. Chesher 1997: 286).
L’Australia, oltre ad essere uno dei primi paesi a fornire una diffusione capillare di
interpreti nelle strutture ospedaliere, contribuisce a creare nuovi standard e sistemi di
accreditamento. Tramite la National Accreditation Authority for Translators and
Interpreters (NAATI, 1977) viene fatta una distinzione fra quattro tipologie d’interprete:
1
2
Popolazione nordamericana originariamente stanziata tra gli attuali Stati Uniti e il Canada
Familiari o personale bilingue non formalmente preparato
12
1)
interprete
para-professionale
(paraprofessional
interpreter);
2)
interprete
(interpreter); 3) interprete di conferenza (conference interpreter); 4) senior conference
interpreter. Tale sistema di monitoraggio della qualità dei servizi di mediazione
linguistica presenti sul territorio australiano fa riferimento a tutte le tipologie
d’interpretazione e di traduzione, compreso il linguaggio dei segni. La figura
dell’interprete di comunità viene fatta rientrare nella categoria di “interprete”,
delineando così, per la prima volta, le competenze richieste e gli standard professionali
a cui attenersi (cf. Bell, 1997). E’ bene sottolineare come tale regolamentazione sia stata
voluta e guidata da autorità statali, in quanto la prima associazione professionale di
interpreti, AUSIT (association of interpreters and translators) si forma solamente nel
1987.
Pӧchhacker afferma come in Europa la diffusione e la regolamentazione della
professione dell’interprete di comunità presentano caratteristiche differenti rispetto al
caso australiano. Sebbene paesi come Francia e Olanda negli ultimi anni abbiano fornito
una qualche forma di supporto linguistico all’interno delle strutture sanitarie o
d’assistenza, altri come Germania, Austria e Spagna sono solo all’inizio per quanto
riguarda la regolamentazione di tale figura professionale. Nel corso della trattazione si
potrà vedere come anche l’Irlanda, sebbene negli ultimi anni abbia conosciuto
un’ingente flusso migratorio, non sia ancora in grado di fornire un’efficace provvisione
di interpreti qualificati all’interno delle strutture sanitarie. La Svezia è uno dei paesi
europei pionieri nella creazione di percorsi di training dedicati alla professione
dell’interprete di comunità, per lo più sotto forma di brevi corsi gestiti da associazioni
volontarie. La Gran Bretagna, a sua volta, grazie all’Institute of Linguists, nel 1994 crea
il Registro degli interpreti dedicati al servizio pubblico (Register of Public Service
Interpreters) allo scopo di raccogliere i nominativi di tutti gli interpreti di comunità
free-lance specializzati nel settore legale e sanitario (cf. Ostarhild 1996).
Questo tentativo di uniformare gli standard professionali riguardanti i diversi ambiti
d’impiego dell’interprete di comunità si rivela differente rispetto l’approccio adottato
dagli Stai Uniti, dove si dedica maggiore attenzione all’attività dell’interprete nel settore
giuridico. Tale mancanza da parte dell’autorità statale conduce così diverse associazioni
professionali, Massachusetts Medical Interpreters Association (MMIA) e la California
13
Healthcare Interpreters, ad attivarsi per regolamentare l’attività dell’interprete di
comunità in ambito sanitario.
1.3 Interpretariato di conferenza e di comunità
All’interno della società organi istituzionali sanitari, legali, dei servizi sociali e altri
hanno spesso bisogno d’interagire con persone non udenti o migranti che non
condividono lo stesso codice linguistico. Per questa ragione la diversità degli ambiti in
cui il community interpreting può trovare applicazione rende questo servizio molto
complesso da descrivere in ogni sua parte, in quanto le variabili coinvolte sono spesso
molteplici. Oggigiorno il community interpreting tende sempre di più a specializzarsi su
un determinato settore, si parla di “court interpreting” o “healthcare interpreting” (anche
definito “medical interpreting”), tuttavia per la maggior parte continua a mantenere le
propria identità di pratica sfruttabile in molteplici settori.
La valenza professionale dell’interpretariato di comunità è stata sovente oggetto di
dibattito fra gli studiosi di tale disciplina. González, Vásquez, and Mikkelson (1991),
nel loro Fundamentals of Court Interpretation, affermano che il “Community
interpreting refers to any interpretation provided by non-professional interpreters.”
(1991: 29). Questa nuova tipologia d’interprete talvolta viene considerata non
professionale, amatoriale, che quindi è da distinguere dagli interpreti professionisti che
lavorano nei tribunali, negli ospedali, nelle conferenze ecc. Pӧchhacker sottolinea come
lo status professionale di un’attività è tuttavia fortemente legato al grado di
certificazioni che ogni singolo individuo ottiene, e dall’esistenza di regolamenti che
forniscano precisi standard a cui attenersi. La pluralità e la variabilità degli elementi che
influenzano l’interprete di comunità sono d’ostacolo al raggiungimento di tali obiettivi.
In un contesto in cui organi pubblici debbano comunicare con migranti o persone non
udenti spesso viene considerato inevitabile che si faccia sovente ricorso ad “interpreti
naturali”, quali familiari o amici, diminuendo così la necessità di ricorrere ad interpreti
veri e propri. Lo stesso gran numero di interpreti di comunità non qualificati porta ad
una bassa considerazione all’interno del campo della mediazione linguistica.
L’evoluzione del community interpreting dall’essere considerata un’occupazione ad una
professione dipende da una serie di fattori che coinvolgono più settori della società. Si
sottolinea come tale passaggio sia legato alla volontà degli organi pubblici di creare le
14
condizioni per la provvisione di interpreti di comunità tramite agenzie specializzate.
Sebbene spesso “[…] economic considerations prevail over (underdefined) legal
provisions and integrationist policies, the fuzzy boundary between professional and
amateur interpreting is likely to shift in favor of the latter.” (Pӧchhacker, 1999:125).
Il cosiddetto interpretariato di conferenza (conference interpreting), più recente
rispetto all’interpretariato di comunità (community interpreting), sembra godere di una
maggiore considerazione professionale nell’ambito della mediazione linguistica. Come
ha ricordato Pӧchhacker la mancanza di regolamentazioni che gestiscono l’attività del
secondo è uno dei motivi che sono alla base di tale considerazione. Sebbene una delle
principali differenze fra conference interpreting e community interpreting risieda nel
fatto che la prima si svolge fra parlanti provenienti da paesi e comunità eterogenee, Hale
sottolinea come siano altrettanto differenti le modalità con cui le sessioni di mediazione
vengono svolte. L’interpretazione in sede di conferenza viene svolta in modo
simultaneo, grazie all’aiuto di strumenti multimediali che vengono forniti agli interpreti,
mentre l’interprete di comunità opera in modo consecutivo. A seconda della situazione,
tuttavia, quest’ultimo può avvalersi della modalità simultanea o di traduzione a vista
(sight interpreting) (Nicholls, 1992). Il livello di formalità è un altro fattore
differenziante, cosicché i registri linguistici adottati risultano diversi. In sede di
conferenza gli interpreti sono portati ad utilizzare un registro linguistico formale o semiformale, mentre quello utilizzato dall’interprete di comunità può subire variazioni a
seconda della situazione o dell’ambito lavorativo in cui viene impiegato. Un’altra
importante differenze riguarda il livello di precisione (accuracy) delle due forme
d’interpretazione. Mentre nel conference interpreting viene privilegiato il contenuto di
un discorso piuttosto che la forma (Shlesinger 2000: 7), nel community interpreting
risulta altrettanto importante prestare attenzione alla modalità con cui vengono
trasmesse le informazioni (Tebble, 1999; Berk-Seligson, 1990/2002; Hale, 2004).
Gentile sottolinea come il community interpreting (o liaison interpreting) si basa su
“the physical proximity of the interpreter and clients; an information gap between the
clients; a likely status differential between the clients; the necessity to interpret into both
language directions; working as an individual and not as part of a team.” (Gentile et al.,
1996:18).
15
Tabella riportante le principali differenze fra Conference interpreting e
Community interpreting. (Hale, 2007)
Conference interpreting
Registro linguistico
Formale o semi-formale
Direzionalità del
linguaggio
Locazione dell’interprete
Unidirezionale
Modalità
d’interpretazione
Conseguenza per errori
d’interpretazione
Livello di precisione
richiesta
Status dei clienti
Numero d’interpreti
Community interpreting
Varia dal meno formale al
più formale
Bidirezionale
Non in prossimità dei
Forte prossimità con i
clienti (isolato nella cabina) clienti
Simultanea
Consecutiva (in alcuni casi
simultanea, o sight
translation)
Non molto gravi
Potenzialmente gravi
Media
Alta
Spesso professionisti
Differente estrazione
sociale
Uno
Diversi (lavoro di gruppo)
16
CAPITOLO II
IL RUOLO DELL’INTERPRETE DI COMUNITÀ
Il ruolo dell’interprete di comunità rappresenta un tema su cui si è molto discusso
cercando di delinearne la fisionomia. L’interprete viene spesso rappresentato come colui
che offre un servizio (provider of service) o come produttore di testo (producer of text).
Sovente gli viene attribuito un ruolo passivo e neutrale all’interno della conversazione
triadica, considerato un mero strumento, un “mezzo” tramite il quale i partecipanti
primari possono comunicare e convertire messaggi da una lingua all’altra (Wadensjӧ,
1997: 36). Morris riferendosi al ruolo dell’interprete nell’ambito legale parla di
convertitore linguistico (language switching) definendo il suo intervento come “un male
necessario” (cf. Herbert, 1952: 4). Wadensjӧ prende distanza da tali concezioni e
sottolinea la multifunzionalità del ruolo ricoperto dall’interprete, precisando come tale
figura contribuisca alla costruzione del significato, considerando il discorso come
un’attività (talk as activity) piuttosto che come semplice testo (talk as text).
Angelelli sostiene come la definizione di nuovi schemi che possano aiutare a
rinnovare la percezione del ruolo dell’interprete di comunità è spesso ostacolata dal
difficile dialogo fra ricerca e teoria. Per questa ragione si propone d’analizzare l’attività
dell’interprete facendo riferimento a studi svolti nel campo delle scienze sociali. I
principi inseriti nella teoria sociale di Bourdieu offrirebbero la possibilità di vedere
l’interprete di comunità come un agente istituzionale, la cui condotta è influenzata dal
contesto. Allo stesso modo, facendo riferimento alla linguistica antropologica di Hymes,
si evidenzierebbe come l’interprete partecipi attivamente nella costruzione del
significato durante la conversazione (Angelelli, 2004). Nel Code of ethics for
Community interpreters redatto dall’ITIA, che in seguito sarà preso in esame, il ruolo
primario dell’interprete viene identificato col facilitare la comunicazione fra due
soggetti che non parlano la stessa lingua: “The primary aim of the community
interpreter should be to facilitate communication between two persons who do not
speak the same language”3; non si fa tuttavia preciso riferimento al comportamento che
l’interprete di comunità dovrebbe tenere.
3
ITIA, Code of ethics for Community Interpreters
17
Riferendosi alla conversazione triadica fra medico, paziente ed interprete Meyer
(1998) sottolinea come il ruolo attivo di quest’ultimo può essere riscontrato nel
supporto fornito ai due partecipanti primari riproducendo gli enunciati nella lingua
d’arrivo ed organizzando i turni di parola (turn-taking). Nello stesso contesto
situazionale Leanza (2008) individua quattro possibili ruoli che l’interprete di comunità
può ricoprire: 1) agente di sistema (system agent), dove si occupa di trasmettere al
paziente il contenuto principale del discorso del medico, tendendo ad eliminare o
appianare possibili differenze culturali; 2) agente di comunità (community agent), dove
si comunica al medico il contenuto del discorso del paziente; 3) agente d’integrazione
(integration agent), dove si cerca di creare la situazione ottimale per la negoziazione del
significato fra operatore sanitario e paziente; 4) agente linguistico (linguistic agent),
dove l’interprete di comunità mantiene una posizione imparziale nella mediazione,
intervenendo unicamente a livello della lingua.
Getzels4 (1958) teorizza come spesso la considerazione che l’interprete ha del
proprio ruolo, definita come “dimensione ideografica”, sia differente rispetto alle
aspettative che gli organi istituzionali hanno nei suoi confronti, facendo riferimento alla
“dimensione nomotetica”. Goffman (1961) divide la concezione del concetto di ruolo in
tre categorie. La prima è rappresentata dal “ruolo normativo”, definito come l’insieme
di idee astratte legate allo svolgimento di una certa attività. La seconda è il “ruolo
tipico”, che viene determinato dalla varietà di scenari in cui ci si trova ad operare.
L’ultima è la “performance del ruolo”, basato sullo stile e le modalità d’azione di colui
che svolge l’attività. A tale proposito Greenhalgh (2006) sottolinea come il ruolo
ricoperto dall’interprete di comunità sia spesso oggetto a restrizioni determinate da
protocolli presenti all’interno dell’ambito istituzionale, cosicché la sua percezione e
concezione sia piuttosto eterogenea. A questo fine nel prossimo paragrafo si prenderà in
considerazione una tematica che è profondamente legata al ruolo dell’interprete: la
questione legata alla visibilità o invisibilità durante la comunicazione triadica.
4
Getzels, J., W. (1958) Administration as a social process , In Gentile e al. (1996:31), Chicago:
University of Chicago
18
2.1 Visibilità ed invisibilità nella comunicazione triadica
L’attività dell’interprete di comunità durante la mediazione interlinguistica può
essere molto complessa. Si è potuto verificare come l’ambito lavorativo sovente
richieda differenti performance facendo sì che spesso le aspettative degli organi
istituzionali differiscano dalla percezione che ogni singolo interprete ha del proprio
ruolo. Tuttavia, la maggior parte delle associazioni professionali, tramite la stesura di
codici etici, auspica che la condotta dell’interprete durante lo scambio comunicativo sia
completamente neutrale ed invisibile ai partecipanti primari alla conversazione. Sebbene
la ricerca nel campo dell’interpretazione si sia sempre concentrata maggiormente sui
processi cognitivi legati all’elaborazione delle informazioni da parte dell’interprete,
negli ultimi anni si è potuto notare un cambio di tendenza, dove la possibilità
d’interazione di quest’ultimo è divenuta centrale. L’interprete inizia ad essere
considerato come un “essere sociale” soggetto e partecipante all’evento comunicativo,
che può essere influenzato dall’ambito lavorativo in cui si ritrova ad operare. Nuovi
studi sulle gestione dei turni di parola e sull’interpretazione faccia a faccia (face-to-face
interpreting) mettono in evidenza il ruolo attivo che ricopre della conversazione
(Belanger, 2003; Berk-Seligson, 1990; Metzger, 1999; Roy, 2000; Wadensjӧ, 1995 and
1998). Alla luce di queste ricerche Angelelli (2004) ritiene necessario rivisitare il
concetto di “invisibilità” dell’interprete, in quanto non può più essere considerato una
presenza nascosta ai partecipanti che si limita alla mera conversione da una lingua
all’altra. Secondo Wadensjӧ (1998: 66) il concetto d’invisibilità trattato da molti codici
etici presupporrebbe il considerare l’interprete come “persona presente, ma
effettivamente trattata come assente”. Il concetto di visibilità presuppone così che
nell’analisi delle abilità possedute dall’interprete non si presti attenzione unicamente
alla capacità di commutazione linguistica, in quanto egli contribuisce alla costruzione
del discorso e ne condivide la responsabilità nella negoziazione del significato. Citando
le parole di Angelelli (2004) si può affermare che l’interprete non è trasparente ma
opaco, persona che oltre a essere visibile agli interlocutori è portatore di un bagaglio
culturale che può influenzare la direzione della comunicazione. Ne consegue che,
secondo quello che viene definito “modello della visibilità”, questa non sia riscontrabile
unicamente dalla sola presenza fisica, ma anche dal processo di cooperazione attiva con
19
i partecipanti alla conversazione (Angelelli, 2004), oltre che nello svolgersi delle
seguenti azioni (Angelelli, 2004):

introduzione o posizionamento del proprio “io” come parte dell’evento
comunicativo (divenendo co-partecipante e co-costruttore)

fissazione di norme comunicative (come la gestione dei turni di parola) e
controllo del traffico delle informazioni

parafrasi o spiegazione di termini e concetti

spostamento del messaggio su e giù lungo la scala dei registri linguistici

filtrazione delle informazioni

schieramento con uno dei partecipanti
Si sottolinea come la visibilità, o opacità dell’interprete di comunità, continua
tuttavia ad essere sovente messa in ombra dal concetto di “invisibilità”. Una delle cause
che secondo Roy (1993 in Pӧchhacker and Shlesinger 2002) si trovano alla base di tale
tendenza è la modalità adottata dagli interpreti professionisti per definire se stessi ed il
proprio ruolo. Il ricorso alla metafora del condotto (channel), della macchina (machine),
del telefono (telephone), della finestra (window) o del ponte (bridge), perpetua l’idea di
un interprete passivo che esegue un’azione meccanica. Angelelli sostiene come queste
considerazioni siano fortemente influenzate dalla concettualizzazione dell’interprete
come “fantasma” (Kopscinscki 1994, in Pӧchhacker and Shlesinger 2002) dove la
precisione nella resa del significato diventa l’aspetto principale a cui prestare attenzione.
Parafrasando Wadensjӧ (1998:8) tale concezione:
“It assumes no interaction between interpreter and speakers, no interaction
between speakers among themselves unless through the interpreter, and that
interpreting can indeed happen in a social vacuum, since it overlooks social
and cultural factors brought by the interpreter and the parties to the
interaction. […] the interpreter is seen as a language modem.” (Angelelli,
2004: 20)
20
La tensione che viene individuata fra i principi contenuti nei codici etici promossi
dalle associazioni professionali e la loro reale applicazione pone diversi interrogativi
che li mettono in discussione. A questo fine Wadensjӧ afferma come sovente gli
interpreti affermano di rispettare alla lettera tali codici, ma poi nella performance
quotidiana vengono smentiti:
“The uncompromising defence of the ”just translating” model should
perhaps be understood as the interpreters voicing the credo of an
occupational group. As is the case with other so-called liberal professions,
the individual practitioner is responsible before her or his colleagues. The
single member either belongs to the association of professionals and accepts
his norms, or is excluded and will be grouped among the non-serious
performers or amateurs. Yet, when experienced interpreters account for
concrete instances of interpreting, it is obvious that they are well aware of
the fact that interpreting involves a complexity of activity.” (Wadensjӧ,
1998:285-286)
Si può notare come la persistenza del “mito dell’invisibilità” sia profondamente legata
alla definizione dello status di ciascun interprete. L’accostarsi ad una serie di norme, di
codici di condotta, può dunque fare la differenza fra essere considerati professionisti o
amatori. La rottura di questo schema, o “cerchio chiuso” (closed circle), consentirebbe
così alla disciplina di progredire e migliorarsi (Angelelli 2004).
Al fine di verificare il potere interazionale dell’interprete all’interno della
comunicazione, Berk-Seligson (1988) negli Stati Unita simula un processo in un aula di
tribunale dove una giuria fittizia avrebbe dovuto ascoltare il resoconto di un unico
testimone tramite la traduzione di due differenti interpreti professionisti. Lo scopo
dell’esperimento era verificare l’impatto che le due interpretazioni avrebbero avuto sui
membri delle giuria. Come risultato si ottenne che le interpretazione fornite
provocarono differenti reazioni, mettendo in evidenza la non invisibilità dell’interprete,
e la peculiarità di ciascuna interretazione.
21
2.2 Caso di studio: Inventario del ruolo interpersonale dell’interprete
Al fine della nostra trattazione si ritiene utile riportare di seguito un progetto di
ricerca condotto da Angelelli in cui si elabora un inventario del ruolo interpersonale
dell’interprete (IPRI: Interpreter’s Interpersonal Role Inventory) allo scopo di
analizzare la percezione del ruolo dell’interprete nella comunicazione transculturale. In
modo particolare la ricerca mira a verificare l’atteggiamento degli interpreti nei
confronti della visibilità ed invisibilità in diversi ambiti lavorativi. A questo fine
vengono individuate cinque variabili ritenute caratteristiche della visibilità (Angelelli,
2004: 50):
1) Alignment with the parties
2) Establishing trust with/ facilitating mutual respect between the parties
3) Communicating affect as well as message
4) Explaining cultural gaps/ interpret culture as well as language
5) Establishing communication rules during the conversation
L’elaborazione dell’IPRI è il frutto dello studio che ha coinvolto 293 interpreti fra
U.S.A., Canada e Messico tenendo in considerazione ogni contesto e combinazione
linguistica nell’ambito dell’interpretazione di conferenza, dell’interpretazione di
comunità (ambito sanitario e legale) e dell’interpretazione telefonica. A questo fine i
principali interrogativi a cui si è tentato di fornire risposta sono:
1) Se esiste una relazione fra il bagaglio culturale e l’appartenenza sociale
dell’interprete e la sua percezione della visibilità, tenendo in considerazione
cinque
variabili
indipendenti:
età,
educazione,
genere,
reddito
e
identificazione col gruppo dominante o subordinato
2) Come interpreti operanti in diversi ambiti percepiscono e gestiscono il
continuum
visibilità/invisibilità,
dove
la
variabile
indipendente
è
rappresentata dal contesto lavorativo (setting)
3) Se interpreti operanti in diversi contesti lavorativi percepiscono lo stesso
ruolo in modo diverso
22
Un primo dato che può essere preso in considerazione da questo studio è il livello di
partecipazione degli interpreti, in quanto su 967 questionari IPRI inviati solamente 293
sono stati compilati. Tramite le testimonianze raccolte Angelelli arriva alla conclusione
che gli interpreti non percepiscono il proprio ruolo come totalmente invisibile,
sottolineando come in linea generale non si limitano unicamente a trasmettere il
messaggio, ma contribuiscono direttamente alla costruzione della fiducia e il rispetto
reciproco fra i partecipanti, riempiendo i gap culturali e talvolta schierandosi con una
delle parti coinvolte nella conversazione. Allo stesso tempo si è riscontrato come ogni
settore sia caratterizzato da un diverso grado di visibilità cosicché spesso il
posizionamento dell’interprete rispetto al continuum visibilità/invisibilità tende a
dipendere dall’ambito lavorativo. In particolare buona parte degli interpreti impiegati in
contesti sanitari considerano il proprio ruolo più visibile rispetto ad interpreti di
conferenza o legali, in quanto il contatto con i partecipanti primari è più diretto. Di
seguito si riporteranno le risposte di alcuni interpreti che risultano interessanti
(Angelelli, 2004: 78):
1) “Our work is serious, and we must be respectful no matter what. Of course we
can have feelings – we are human – but we keep them to ourselves. We are not
participants; we are channeling other people’s words and feeling and give our all
to do so” (Interprete di conferenza, membro AIIC, U.S.)
L’interprete in questione afferma con forza come la propria condotta debba essere
assolutamente neutrale a prescindere dall’influenza di qualsiasi elemento esterno o
interno alla conversazione. Si può notare come ci sia un forte contrasto fra etica e
professione, richiamando il discorso legato al “ruolo normativo” ed alla “ performance
del ruolo”. La visione dell’interprete come mero condotto che non può essere
annoverato fra i partecipanti alla conversazione sembra essere ben radicata,
sottolineando come la capacità di essere neutrale si possa acquisire unicamente con
l’esperienza ed il duro lavoro. La neutralità e l’invisibilità vengono considerate
l’obiettivo principale che ogni interprete professionista dovrebbe possedere per definirsi
tale. L’atteggiamento dell’interprete nei confronti della visibilità/invisibilità in questo
caso diventa determinante per definirne lo status di professionista o meno.
Un’altra risposta che merita di essere riportata è la seguente (Angelelli, 2008:79):
23
2) “[…] many of the questions are not applicable to my experience as conference
interpreter. I can see myself giving very different answers with respect to a
community interpreting situation. I am not sure that the two are really
comparable communication situation.” (interprete di conferenza, membro AIIC,
Canada)
Questa risposta tende ad evidenziare come le dinamiche di diversi contesti situazionali
sono profondamente diverse, tanto che si afferma che il ruolo dell’interprete di
conferenza è differente rispetto a quello dell’interprete di comunità. Si riconosce che le
opinioni potrebbero variare in base al cappello che un interprete sta indossando in quel
momento. Inoltre, sottolineando la difficile comparazione dei due contesti di
comunicazione si smentisce la metafora del “condotto”, che al contrario afferma che
tutti gli eventi mediati sono uguali.
3) “From the questions you ask I suppose your study does not apply to conference
interpreters who are in booth and almost never interact with their clients […] A
professional interpreter has to be neutral. His job is to facilitate communication.
Nothing else […]” (interprete di conferenza, membro AIIC, U.S.)
Dalle risposte prese in considerazione si può notare come gli interpreti sostengono che
le domande del sondaggio condotto non fossero applicabili ad interpreti di conferenza
come loro, in quanto non interagiscono direttamente con i clienti. L’operare dall’interno
della cabina di traduzione sembra escluderli dalla comunicazione, tant’è che non si
percepiscono come partecipanti allo scambio comunicativo. Tuttavia, nella terza
risposta l’interprete sembra contraddirsi affermando che il compito dell’interprete è
quello di facilitare la comunicazione (Angelelli, 2004: 80)
I dati raccolti tramite l’IPRI dimostrano come la visibilità sia una caratteristica
dell’attività di ogni interprete in ogni contesto lavorativo, non escludendo nemmeno
l’interpretazione di conferenza, la cui natura monologica potrebbe fare supporre ad una
sua totale invisibilità. Si è dimostrato come gli interpreti si percepiscano visibili tanto
nell’interazione faccia a faccia che in quella telefonica. Infine si è potuto appurare come
l’appartenenza sociale e il bagaglio culturale dell’interprete possono influenzare la
percezione del proprio ruolo. In linea a tale principio, facendo riferimento alla
24
formazione ed al training dei nuovi interpreti, si ritiene maggiormente educativo
l’insegnare a gestire la mediazione in modo attivo piuttosto che promuovere il “mito
dell’invisibilità”. Si ritiene dunque importante fornire agli studenti strumenti che
permettano loro di comprendere appieno il proprio ruolo, gestendo criticamente gli
aspetti positivi e negativi legati al continuum visibilità/invisibilità, al fine d’offrire ai
partecipanti allo scambio comunicativo una performance di qualità.
2.3 I partecipanti all’evento mediato
Analizzando le caratteristiche della comunicazione mediata dall’interprete di
comunità in vari contesti, è necessario delineare le caratteristiche dei partecipanti ed
analizzarne le relazioni. A questo fine si prenderanno in considerazione i partecipanti
primari, l’interprete di comunità e l’istituzione che offre il servizio. Inoltre, ci si
occuperà d’analizzare il ruolo ricoperto dalle agenzie d’interpretariato nella
comunicazione triadica, quarto partecipante che Ozolins (2007) definisce “terzo cliente”
(third client) dell’interprete.
Con il termine “partecipanti primari” generalmente si indicano il rappresentante
dell’istituzione di riferimento e la persona che gli si rivolge per ottenere un determinato
servizio (generalmente utente straniero). Entrambi possono essere definiti come i
principali clienti con i quali l’interprete di comunità è a stretto contatto, tant’è che
spesso la mediazione è condotta faccia a faccia (soprattutto in ambito medico-sanitario e
legale). Roy (1997) sottolinea come i partecipanti primari non siano solo dei parlanti
attivi, ma anche ascoltatori attivi, che contribuiscono alla negoziazione del significato
veicolato. Spesso la loro comunicazione non avviene unicamente tramite la lingua
parlata da ciascun partecipante, che naturalmente è diversa, ma anche da una serie di
convenzioni automatiche ed inconsce che sono associate al proprio linguaggio. Tali usi
linguistici possono palesarsi nelle modalità con cui si inizia o si conclude un discorso;
nella percezione dei turni di parola o nei segnali di comprensione o non comprensione.
Al fine d’analizzare i rapporti fra i partecipanti all’evento mediato può essere utile
fare riferimento al concetto di “gestione del potere” (power management) teorizzato da
Merlini, facendo riferimento al grado d’influenza che ciascuna parte può avere nella
conduzione dell’interazione e nei confronti delle altre parti coinvolte.
25
“'Power is not a very satisfactory technical term, but its everyday usage will
be adequate to get us going. Let us say that power is the ability of people
and institutions to control the behaviour and material lives of others. […] It
is also a very general concept: an abstraction picking out one feature in an
indefinitely large number of very diverse kinds of relationship. When we
talk about power we may be referring to relationships between parents and
children, employers and employees, doctors and patients, a government and
its subjects, and so on. […] These power relationships are not natural and
objective; they are artificial, socially constructed intersubjective realities.”
(Merlini, 1985: 61)
Si afferma come la differente distribuzione del “potere” non è egualitaria fra le parti.
Gentile e alt. (1996: 19) sostengono che fattori come l’eredità culturale, l’esperienza di
vita e lo status relativo di ciascun partecipante possono influenzarne le relazioni di
potere. Per questa ragione il rapporto fra il rappresentante di un’istituzione ed il cliente
straniero è caratterizzata da una forte asimmetria per quel che riguarda il potere
interazionale esercitato (inteso come la possibilità di fare domande o dare spiegazioni),
in quando esistono norme socialmente e culturalmente radicate che determinano a priori
lo svolgimento di tale conversazione. L’interprete di comunità viene individuato come il
terzo partecipante all’evento mediato. Secondo Shackman (1984: 18) quest’ultimo ha il
compito di ovviare alle barriere linguistiche e culturali presenti fra i partecipanti
primari, cosicché la comunicazione abbia esito positivo. Il potere o l’influenza che
l’interprete di comunità potrebbe esercitare sulle parti è quindi notevole, riconfermando
il concetto d’interazione teorizzato da Wadensjӧ.
2.3.1 Agenzie d’interpretariato
“Interpreting agencies are crucial in determining outcomes in community
interpreting, but have been little studied. […] We identify problematic
issues for both parties in agencies' relations with interpreters: agencies vary
in their expectations of interpreters, their own work practices, and
engagement in professional issues; interpreters vary in their own required
business practices and professionalism, and the ability to see the agency as
26
their client. Agencies also crucially set expectations of end-user clients who
purchase language services.” (Ozolins, 2007: 121)
All’interno di questo breve estratto redatto da Ozolins in sede della quarta conferenza
di Critical Link si mette in evidenza come le agenzie d’interpretariato giochino un ruolo
fondamentale nella professione dell’interprete di comunità. Questi organi vengono
definiti come “terzo cliente” dell’interprete (Ozolins, 2007: 121), in quanto le relazioni
che si instaurano fra questi due soggetti possono influenzare l’evento mediato, cosicché
nella maggior parte dei casi possono essere considerate effettivi partecipanti. In paesi
come l’Australia, la Svezia e l’Irlanda, la maggior parte degli interpreti sono lavoratori
free-lance che sovente ottengono gli incarichi lavorativi tramite tali agenzie, benché
alcuni siano impiegati a tempo pieno all’interno delle strutture istituzionali (Ozolins
1998; Niska 2004). Il bisogno di fornire un servizio di mediazione linguistica a tutta la
comunità ha condotto negli ultimi anni alla formazione di numerose agenzie di questo
tipo, soprattutto private. Tuttavia sul mercato si possono individuare anche agenzie di
comunità o governative no profit, oltre ad alcune che si occupano solamente di un
determinato ambito istituzionale (ad esempio quello sanitario o legale); altre ancora,
offrono servizi d’interpretariato a comunità linguistiche particolari (come può essere
l’interpretazione del linguaggio dei segni). Si sottolinea come il ruolo ricoperto da tali
agenzie abbia ricevuto poca attenzione da parte della letteratura del settore, per questa
ragione si è ritenuto importante analizzarne le funzioni ricoperte e le relazioni che si
instaurano con gli altri partecipanti allo scambio comunicativo. A questo proposito, di
seguito si prenderanno in considerazione i rapporti che queste ultime instaurano con gli
interpreti e le istituzioni, e quale ruolo ricoprono nella mediazione fra queste due figure.
Ozolins (2007) mette in evidenza come il rapporto professionale fra agenzie di
interpretariato ed interpreti è spesso complicato dalla grande variabilità della qualità,
della professionalità, e della competenza degli stessi interpreti presenti sul mercato,
nonché dalla mancata chiarezza nella definizione dei rispettivi ruoli. Dal punto di vista
delle agenzie, comportamenti legati alla puntualità dell’interprete (come l’arrivare in
ritardo o il congedarsi frettolosamente da un incarico), l’atteggiamento troppo servile
nei loro confronti, ed il seguire codici etici totalmente idiosincratici fra loro, ne possono
compromettere il rapporto con l’istituzione, aumentando così il rischio di essere
27
considerate poco professionali. Il problema legato all’eterogeneità delle performance
degli interpreti impiegati risiede soprattutto nell’impossibilità di monitorare e
identificare eventuali condotte non professionali. Ad eccezione di contesti in cui
l’interprete di comunità svolge la propria attività in pubblico, da cui possono scaturire
feedback più o meno positivi, la supposta professionalità dell’interprete viene a basarsi
sulla fiducia.
Dal punto di vista degli interpreti si evidenzia la mancanza di precise linee guida che
regolino la loro relazione con l’agenzia. All’interno dei codici etici nella maggior parte
dei casi tale tematica non viene presa in considerazione, dedicandosi prevalentemente ai
due clienti primari dell’interprete: ovvero l’istituzione e la persona richiedente il
servizio. Per questa ragione si afferma che:
“the absence in these codes of any reference to agencies leaves a dangerous
“black hole”: all interpreters have (at least) two clients – the two parties they
are interpreting for, but not all interpreters understand they also often have a
third client - the agency through which they obtain work.” (Ozolins 2007:
124).
Si afferma come gli interpreti debbano iniziare a vedere nell’agenzia un terzo cliente
con cui cooperare in modo da migliorare la qualità del servizio offerto all’istituzione.
Esse, difatti, oltre a rappresentare la loro fonte di reddito, spesso sono i referenti a cui
rivolgersi in caso di difficoltà riscontrate nel corso della mediazione. Si evidenzia,
tuttavia, come spesso accordi o piani d’assistenza fra agenzia ed istituzione vengano
stipulati senza che l’interprete possa fare valere la propria figura professionale (anche a
seguito di problemi riscontrati durante l’evento mediato, generalmente l’istituzione si
rivolge all’agenzia piuttosto che all’interprete), avendo pesanti ripercussioni a livello di
retribuzione di quest’ultimi. Ozolins dedicandosi alle dinamiche legate al rapporto
agenzia, istituzione ed interprete ribadisce come vi sia la necessità di una stretta
collaborazione fra queste figure, in modo da creare un circolo virtuoso che permetta
d’offrire un servizio professionale di qualità, ribadendo come le tematiche legate
all’agenzia d’interpretariato dovrebbero essere oggetto di ulteriori studi e trovare il
proprio spazio all’interno dei codici etici.
28
2.4 Dinamiche relazionali fra i partecipanti all’evento mediato
“The productive study of dialogue presupposes […] a more profound
investigation of the forms used in reported speech, since these forms reflects
basic and constant tendencies in the active reception of other speakers’
speech, and it is this reception […] that is fundamental also for dialogue.”
(Voloshinov 1986: 117)
Nelle pagine precedenti si è potuto notare come il differente potere interazionale dei
partecipanti possa influenzare fortemente l’esito della mediazione. Allo stesso modo si è
sottolineato come gli interlocutori, sia come parlanti che come ascoltatori, ricoprono un
ruolo attivo nella conversazione mettendone in evidenza la natura dialogica (Wadansjӧ
1998: 87). Al fine di comprendere quali fattori sociali e culturali siano alla base di tali
relazioni di potere fra i partecipanti nella comunicazione triadica si farà riferimento al
concetto di participation framework teorizzato da Goffman (1981). Secondo tale
modello l’organizzazione dell’interazione orale fra più parlanti è frutto della continua
valutazione e rivalutazione dello “status di partecipazione” (status of participation),
ovvero dal ruolo ricoperto da colui che parla o che ascolta che viene riscontrato in ogni
turno di parola. La sostanza e la progressione dell’interazione, così come la posizione
assunta dai partecipanti nello scambio comunicativo, dipendono così dal rapporto che si
instaura fra gli interlocutori stessi a seconda degli enunciati prodotti e attraverso un
continuo cambio di “allineamento” (footing) nel corso della conversazione. Si sottolinea
come le modalità con cui ogni individuo prende parte all’interazione sono strettamente
legate alla percezione del proprio ruolo e di quello degli altri partecipanti coinvolti,
cosicché persino il modo di parlare e di ascoltare può variare. All’interno del testo Form
of Talk, Goffman si riferisce al concetto di “participation framework” in questi termini:
“When a word is spoken, all those who happen to be in perceptual range of
the event will have some sort of participation status relative to it. […] If one
starts with a particular individual in the act of speaking, one can describe the
role or function of all the several members of the encompassing social
gathering from this point of reference […]. The relation of any one such
member to this utterance can be called his “participation status” relative to
29
it, and that of all the persons in the gathering the “participation framework”
for that moment of speech.” (Goffman 1981)
Lo studio dell’allineamento assunto dagli individui coinvolti nell’interazione triadica
offre la possibilità di comprendere le dinamiche relazionali che si instaurano fra
partecipanti primari ed interprete. Al fine d’analizzare il cosiddetto footing vengono così
presi in considerazione il “formato di produzione” (modalità di creazione degli
enunciati da parte dei parlanti) ed il “formato di partecipazione” (modalità con cui gli
enunciati vengono recepiti).
Tramite il production format, Goffman ritiene che l’enunciatore può assumere il ruolo
di:
1) Animatore (animator): rappresenta il parlante che produce l’enunciato.
Metaforicamente considerato la “scatola sonora” da cui esso deriva
2) Autore (author): rappresenta il parlante che elabora il contenuto degli enunciati
in base a ciò che si vuole esprimere
3) Principale (principal): non rappresenta semplicemente il parlante che produce
l’enunciato, ma è piuttosto l’autorità o l’individuo la cui posizione è stabilita
dalle parole che proferisce
Si sottolinea come la distribuzione della responsabilità enunciativa sia cruciale per
determinare quale di questi ruoli il parlante stia ricoprendo, cosicché solamente nel caso
non affidasse a nessun altro la responsabilità del proprio enunciato potrebbe essere
considerato simultaneamente animatore, autore e principale. Allo stesso modo tramite
il “formato di partecipazione” si individuano diverse tipologie di ascoltatori.
Seguendo le orme del concetto di participation framework, Wadensjӧ (1998:92)
cerca di completare tale modello tramite un’analisi più approfondita delle modalità di
ascolto dell’enunciato. Il “formato di produzione” viene così sostituito dal “formato di
ricezione” (reception format) comprendente tre modalità d’ascolto e la successiva
reazione all’enunciato:
30
1) Reporter: individuo che ascolta per poi ripetere gli enunciati sentiti. Non si
assume tuttavia nessuna responsabilità (corrispettivo di “animatore”)
2) Responder: individuo che ascolta per poi esprimere il proprio enunciato come
partecipante primario (corrispettivo del “principale”)
3) Recapitulator: individuo che ascolta per poi ripetere gli enunciati sentiti
assumendosi tuttavia la responsabilità della loro elaborazione (corrispettivo di
“autore”)
Prendendo parte all’interazione faccia a faccia gli interpreti devono spesso variare il
proprio modo di parlare ed ascoltare, cosicché il loro status di partecipazione dipende
sia dagli enunciati proferiti dai partecipanti primari che dalle proprie scelta personali.
Interagendo come reporter l’interprete si limiterebbe a ricoprire il ruolo di “animatore”,
riportando meccanicamente gli enunciati proferiti da un altro parlante (l’interprete
agisce come mero condotto). Se al contrario lo si considera parte attiva della
conversazione triadica, la responsabilità di comporre una nuova versione dell’enunciato
fa sì che l’interprete assuma il ruolo di recapitulator interagendo così sia come “attore”
che come “animatore”. L’interprete generalmente non ricopre il ruolo di responder,
quindi da “principale”, spesso svolto dai partecipanti primari all’evento mediato.
Interagire dunque significa valutare continuamente le relazioni che si instaurano fra i
partecipanti all’evento mediato e gli enunciati che vengono proferiti, cosicché il
participation framework è costantemente oggetto di negoziazione (Wadensjӧ 1998:93).
Il passaggio alla concezione d’interpretazione basata sulla visione dialogica della
lingua e del suo impiego rappresenta un punto si svolta importante per l’analisi delle
dinamiche relazionali che hanno luogo nell’evento mediato. Si vogliono dunque
prendere le distanze dal modello monologico che promuove la metafora del “condotto”,
secondo cui il significato delle parole e degli enunciati sono unicamente il risultato
dell’intenzione e delle strategie impiegate del parlante. Dove gli individui presenti
durante lo scambio comunicativo sono considerati meri recipienti pronti ad accogliere le
informazioni comunicate: “It is as if, while creating meaning, the individual speaker is
thought away from her interactional context and thought into a social vacuum”.
(Wadensjӧ 1998:8)
31
Al contrario, secondo Wadensjӧ l’approccio dialogico permette di considerare il
significato come il prodotto dell’interazione fra i partecipanti alla conversazione. Tale
modello offre quindi la possibilità d’analizzare le molteplici funzioni ricoperte dalle
parole e dagli enunciati a seconda del contesto sociale in cui sono utilizzate e da chi
sono proferite.
Speaker language A
Interpreter
A
Speaker language B
B
Figura 1. L’interprete invisibile (adapted from AIIC 2002; Seleskovitch and Lederer 1989; and Weber
1984)
Interpreter
Interlocutor A
Interlocutor B
Figura 2. L’interprete come co-costruttore del discorso (adapted from Berk-Seligson 1990; Metzger
1999; Roy 2000; and Wadensjӧ 1998)
32
CAPITOLO III
L’INTERPRETE DI COMUNITÀ IN AMBITO MEDICO
“Liaison interpreting is a profession where, like medicine, teaching and the
law, the client’s welfare is usually affected directly. This is not only because
most liaison interpreting takes place in the context of other profession as
medicine, […] but also because interpreting has its own particular kinds of
knowledge,
skills
and
practices
with
require
particular
ethical
considerations. […] because liaison interpreting takes place in the context of
so many other professional institutional settings, ethical conflicts often arise
for the interpreter.” (Gentile et al., 1996: 57)
Fra i vari contesti istituzionali in cui viene impiegato l’interpretariato di comunità (o
liaison interpreting), l’ambito medico rappresenta uno dei principali settori, insieme a
quello legale. Come si è accennato all’inizio di questa trattazione è nel campo sanitario
che la provvisione del servizio offerto dall’interprete di comunità muove i primi passi
tramite la formazione dell’Hospital Interpreter Service (NGS, Australia 1974). Fra i
ricercatori, tuttavia, la rilevanza dello studio dell’attività dell’interprete nel contesto
medico-sanitario non viene inizialmente considerata tale da meritare un’attività di
ricerca specifica. E’ solo nel 1995 che in Canada, tramite la prima conferenza di Critical
link, che tale ambito d’applicazione d’interpretariato viene portato a livello
internazionale dando vita ad una serie di nuovi studi e ricerche. In particolar modo si è
iniziato a prestare attenzione all’interpretazione in reparti dedicati alla salute mentale
dei pazienti (mental health interpreting). Al riguardo un primo caso di studio viene
condotto da Price (1975), dove viene eseguita un’analisi qualitativa di diverse sedute
psichiatriche fra pazienti indostani e medici anglofoni tramite il supporto di tre
interpreti.
Quando si parla d’interpretariato nel settore sanitario, definito come health care
interpreting o medical interpreting, si fa riferimento a diversi contesti: ospedali
pubblici, cliniche private, o qualsiasi tipo di consultazione con altri professionisti
sanitari come fisioterapisti, dietologi, medici di base ecc. La comunicazione mediata in
ambito sanitario è divenuta oggetto d’analisi di molteplici studiosi del settore, fra i quali
33
Wadensjö (1992) è una delle prime ricercatrici che si focalizzano sulle dinamiche della
conversazione medico-paziente tramite la mediazione dell’interprete (interpretermediated medical encounters), basandosi sulla visione dialogica del discorso (Wadensjö
1998, in Pöchhacker 2004: 79). Allo stesso modo, Bolden (2000) prendendo in esame
alcune consultazioni fra medici anglofoni e pazienti russofoni, ha potuto evidenziare
come l’interprete ricopre un ruolo attivo nella mediazione medica, essendo orientato ad
ottenere informazioni medicalmente rilevanti dai pazienti per poi comunicarle
all’operatore sanitario. Al riguardo Davidson (2000) afferma che:
“[…] interpreters do not act merely as machines of semantic conversion, but rather as
active participants in the diagnostic process, aligning with healthcare providers, and
thus acting as gatekeepers (2001) for the recent immigrants for whom they interpret.”
Da questi studi si può notare come i dati empirici raccolti in merito alla condotta
dell’interprete in ambito sanitario sono in forte discordanza rispetto ai principi prescritti
all’interno dei codici etici. Al fine d’individuare le ragioni che si trovano alla base di
questa discrepanza, Angelelli (2004) ipotizza come questa mancanza sia dovuta
principalmente a tre fattori:
1) Numero esiguo di ricercatori
2) Difficoltà nella raccolta dei dati
3) Mancanza d’attenzione nei confronti delle evidenze scientifiche riscontrate
Angelelli (2004) evidenzia come la ricerca empirica possa colmare il divario creatosi
fra teoria e pratica all’interno del settore dell’interpretariato. La necessità di una
capillare diffusione dei risultati delle nuove ricerche in ambito sanitario viene così
considerata fondamentale per portare ad una maggiore conoscenza e consapevolezza di
sé e del proprio ruolo fra gli interpreti e gli stessi operatori sanitari. Si sottolinea tuttavia
come reperire informazioni dalle strutture ospedaliere spesso si rivela arduo, e allo
stesso modo risulta complesso entrare in contatto con i pazienti al fine d’ottenere
feedback sul servizio ricevuto. L’attenzione è volta anche agli istituti di formazione ed
al training condotto dagli aspiranti interpreti. Sebbene il training costituisca una parte
fondamentale della loro formazione, si sottolinea come esso debba fondarsi su basi
34
conoscitive teoriche ben consolidate, cercando di non trascurare elementi importanti per
privilegiare l’aspetto pratico della professione. Si afferma come la formazione/training
fornita dagli istituti educativi ha la possibilità di incentivare e rafforzare il rapporto fra
ricercatori ed interpreti professionisti cosicché i dati raccolti possano permeare la teoria
e la pratica quotidiana:
“Action research conducted in partnership between a researcher and a practitioner could
be a perfect solution. Institute of higher education need to take a lead in promoting this
interaction.” (Angelelli 2004)
I percorsi formativi dedicati alla formazione di interpreti di comunità presenti in Europa
e negli Stati Uniti sono tuttavia limitati e comunque pochi sono i corsi dedicati ad un
singolo ambito lavorativo, come può essere quello del healthcare interpreting. Si è
potuto dimostrare come le stesse modalità di valutazione degli studenti spesso si
concentrano unicamente su abilità cognitive e linguistiche (capacità di memorizzazione,
conoscenza della lingua, uso di terminologia specifica, conoscenza dei principi etici)
dando per scontato elementi come la neutralità, l’imparzialità ed il ruolo ricoperto
dall’interprete. Questi principi dovrebbero essere oggetto d’attenta analisi e discussione
al fine di sviluppare nei futuri interpreti uno spirito critico che gli permetta di muoversi
in modo professionale nel futuro contesto lavorativo. (Angelelli 2004)
Le associazioni professionali come l’Associazione irlandese traduttori ed interpreti
(ITIA) ricoprono un ruolo certamente importante nel fissare standard qualitativi a cui
ciascun interprete di comunità professionista dovrebbe attenersi. Se è vero, tuttavia, che
i ricercatori del settore hanno il dovere di diffondere le proprie ricerche al di fuori degli
ambienti accademici, allo stesso modo esse hanno il compito di stabilire un dialogo con
tali ricerche. Si ribadisce come lo spirito prescrittivo che permea molti codici etici oggi
in circolazione dovrebbe lasciare spazio ad un approccio più descrittivo, dove il ruolo
dell’interprete contestualizzato in ciascun ambito lavorativo diventi centrale. La
contestualizzazione, intesa come luogo fisico in cui l’interprete si ritrova ad operare,
diventa quindi cruciale nel determinarne il comportamento. Un maggiore dialogo fra
associazioni professionali e ricerca eviterebbe dunque la promozione di modelli di
condotta astratti, spesso non applicabili alla realtà quotidiana, facendo sì che il ruolo
35
dell’interprete di comunità sia definito in base alle necessità che caratterizzano ogni
ambito lavorativo. Il rapporto fra teoria e pratica nella branca dell’interpretariato di
comunità è quindi una questione molto complessa e allo stesso tempo controversa. Gli
istituti di formazione, le associazioni professionali, i ricercatori e gli stessi interpreti che
svolgono la professione sul campo sono quindi i principali attori responsabili della
qualità di tale rapporto. Alla ricerca empirica e ai ricercatori viene affidato il compito di
diffondere le nuove evidenze appurate in modo da riuscire a riconciliare il lato teorico e
pratico del settore, in modo da potere migliorare la performance dell’interprete nel
corso dell’evento mediato.
3.1 La relazione medico-paziente
“Every human relationship involves a connectedness between individuals, which is
molded by both verbal and
non-verbal communicative processes. Without
communication, successful relationships would not be possible. […] even poor
relationships depend greatly on communicative processes between individuals.”
(Angelelli 2004: 15)
L’evento mediato in un contesto sanitario presuppone l’instaurazione di determinate
dinamiche relazionali fra partecipanti primari (operatore sanitario e paziente) e
l’interprete che possono influenzare fortemente la conversazione. Sebbene nello scorso
capitolo si sia parlato dei “rapporti di potere” che si instaurano fra i soggetti che
prendono parte alla comunicazione triadica, di seguito si cercherà d’analizzare in
maniera più approfondita le relazioni che legano medico e paziente nella comunicazione
diadica ed in quella triadica (mediata da interprete), e quali ripercussioni possono avere
sulla compilazione della diagnosi.
Dati empirici dimostrano come una buona comunicazione fra operatore sanitario (o
healthcare provider, HCP) e paziente conduce ad una maggiore precisione della
diagnosi, aumentando la probabilità d’avere effetti positivi sulla salute mentale e fisica
del paziente (Rosenberg, Lussier, and Beaudoin 1997). Prendendo in considerazione il
rapporto fra HCP e paziente Angelelli (2004) distingue il termine “interazione”
(interaction) da “relazione” (relationship), sottolineando la loro non interscambiabilità.
Mentre la prima nozione identifica le variabili oggettivamente osservabili durante lo
36
scambio comunicativo: status dei partecipanti, turni di parola, conduzione della
conversazione; la seconda prende in considerazione elementi più soggettivi: come la
premura, la preoccupazione, il rispetto e la compassione; variabili che per natura sono
difficili da osservare e quantificare oggettivamente (Zoppi and Epstein 2002). Frey
(1998) sottolinea come l’instaurazione di una buona relazione empatica fra HCP e
paziente sovente porta ad una diminuzione della preoccupazione di quest’ultimo, e ad
una maggiore predisposizione a seguire i consigli dell’operatore sanitario. Il fatto che il
paziente sia considerato come un partecipante attivo nell’incontro medico, piuttosto che
un semplice individuo che descrive i propri sintomi, secondo Adler (2002) presenta
molteplici aspetti positivi:
1) Anamnesi complete e accurate
2) Diagnosi più precise
3) Prescrizioni mirate di farmaci
4) Diminuzione del rischio di mancato consenso informato
Engel (1988) identifica nel “dialogo” il requisito principale su cui si basa la relazione
fra HCP e paziente:
“To appreciate relationship and dialogue as requirements for scientific study
in the clinical setting highlights the natural confluence of the human and the
scientific in the clinical encounter itself. […] For the patient, to feel
understood by the physician means more than just feeling that the physician
understands intellectually […] what the patient is reporting […]. […] that
the physician display understanding about the patient as a person, as a
fellow human being, and about he is experiencing, and what the
circumstances of his life are.” (Engel 1988:124-5)
Il modello proposto da Engel si concentra sulla figura del paziente (patient-centered
encounter) come essere umano e parte attiva al dialogo col HCP, rientrando in quella
categoria che Roter (2002) definisce medicina relazionale (relationship-centered
medicine). A questo proposito si afferma come l’incontro medico basato sulla centralità
della “relazione” fra HCP e paziente ha la possibilità di essere: 1) medicalmente
37
funzionale: agevolando la visita medica; 2) informativo: permettendo un migliore
scambio comunicativo fra HCP e paziente; 3) facilitante: offrendo la possibilità di
indagare sulle motivazioni che hanno spinto il paziente a richiedere un consulto medico;
4) ricettivo: nei confronti dello stato emotivo del paziente; 5) partecipativo: facendo sì
che il paziente sia in grado di prendere decisioni consapevoli riguardanti i trattamenti
medici da mettere in atto. E’ bene sottolineare, tuttavia, come questa teoria sia basata su
una cultura prettamente occidentale (relazione egualitaria medico-paziente), cosicché la
sua applicazione potrebbe risultare complessa in altri contesti culturali.
Sebbene la comunicazione fra HCP e paziente sia basata sulla comprensione
reciproca, distorsioni e fraintendimenti del significato comunicato da entrambe le parti
sono molto frequenti, anche se i due condividono la stessa lingua. La questione
naturalmente diventa più complessa quando i pazienti non parlano la lingua
dell’operatore sanitario o ne hanno una conoscenza molto limitata, facendo sì che le
regole che gestiscono lo scambio comunicativo diventino incerte (Roter 2002). La
barriera linguistica non è il solo fattore che può influenzare la relazione fra HCP e
paziente e l’esito del trattamento sanitario. Si sottolinea come la concezione e la visione
della medicina sia difatti soggettiva e dipenda fortemente da fattori culturali o legati
all’esperienza e alla percezione di ciascun individuo. La necessità di migliorare le
modalità di comunicazione e relazione fra gli HCP e minoranze etniche risulta essere un
obiettivo cruciale. Si sottolinea come:
“the most important communication skills for an HCP in the cross-cultural setting are
those that assist in patient assessment and elicitation skills to understand the patient’s
perspective of symptoms and explanatory health-belief models.” (Ferguson and Candib
2002, in Angelelli 2004:19)
Un esempio concreto di possibile difficoltà comunicativa con pazienti appartenenti a
minoranze linguistiche può essere rappresentata dalla modalità con cui le notizie
nefaste, sul proprio stato di salute, preferiscono essere ricevute, soprattutto facendo
riferimento a diagnosi potenzialmente negative per il paziente. Lee et al. (2002)
sottolineano che mentre in alcune culture i pazienti desiderano ricevere il numero
maggiore di informazioni riguardanti il proprio stato di salute e le eventuali opzioni
38
terapeutiche, in altre sebbene interessati, potrebbero non porre alcuna domanda
riguardante la diagnosi.
In materia di “relazione” Rivadeneyra et al. (2000) sottolineano come spesso
“patients in cross-linguistic encounters are likely to find their providers less friendly and
less respectful than do patients without language barriers, which is likely to reduce the
desire of these patients to seek out the same HCP to establish a trusting, professional
relationship.” Al fine di approfondire il rapporto fra HCP e pazienti in un incontro
mediato da interprete, è necessario soffermarsi sulle modalità con cui l’operatore
sanitario si rivolge al paziente al fine di stilare la diagnosi. Per questa ragione di seguito
ci si contrerà sulla significatività delle domande con cui gli HCP intervistano i propri
pazienti.
3.2 Consultazione medica: tre modalità d’interrogazione
Le modalità con cui l’operatore sanitario conduce il dialogo con il proprio paziente
risultano fondamentali al fine di fornire un’assistenza sanitaria adeguata, soprattutto nel
caso in cui tale dialogo venga mediato dall’interprete. In particolare le tecniche
d’interrogazione da parte del HCP sono state sovente oggetto di studio, considerandole
cruciali per la buona riuscita dell’interazione e la relazione fra questi due soggetti. Al
riguardo Cambridge (1999:201) afferma come “the patient may well present symptoms
unrelated to the real problems, and the diagnostic skill of the doctor relies heavily on
skilful questioning”.
Tenendo in considerazione che la tecnica o lo stile con cui una domanda viene posta
può influenzarne la risposta (Ong e al. 1995), diversi ricercatori hanno concentrato i
propri studi sull’individuazione della migliore modalità d’interrogazione per ottenere
una buona relazione interpersonale fra HCP e paziente, facilitare lo scambio di
informazioni ed attuare trattamenti medici più precisi. Di seguito si riporteranno le
principali modalità d’interrogazione:
1) Domande allusive (leading questions or tag questions)
2) Domande non allusive (non-leading questions)
3) Nessuna domanda: il paziente si esprime liberamente (broad opening technique)
39
Tramite le cosiddette “domande allusive” l’operatore sanitario cerca d’ottenere
informazioni dal paziente includendo o suggerendo parte della risposta all’interno del
quesito posto, che assume la forma di “domanda chiusa”. In questo caso la
conversazione è guidata interamente dal HCP e il paziente non assume un ruolo attivo
nella costruzione della diagnosi. Tuttavia, Harres (1998) sostiene come le domande
allusive non offrano unicamente la possibilità di ricavare maggiori informazioni dal
paziente, ma permetterebbero anche di ricevere risposte più concise in tempi più brevi.
Al contrario, i detrattori di questa modalità d’interrogazione affermano come il paziente
dovrebbe essere incluso nel processo decisionale, dandogli la percezione di avere una
qualche forma di controllo sul risultato della consultazione medica. Si sottolinea come
la struttura dell’interrogazione non dovrebbe essere rigida, cosicché la sequenza
domanda-risposta può modificarsi in base ai feedback forniti dal paziente. Per questa
ragione sembrerebbe che le “domande aperte” permettano d’individuare in maniera più
efficace il problema del paziente (Cicourel 1999:183). A differenza delle precedenti
modalità d’interrogazione, la terza lascia completa libertà di parola al paziente, cosicché
l’operatore sanitario interverrà solo al palesarsi di indizi rivelatori del disagio. Si
evidenzia come le domande che vengono poste al paziente all’inizio della consultazione
difficilmente ricevono una risposta completa. E’ possibile inoltre che la comunicazione
e la relazione fra HCP e paziente non avrà esiti soddisfacenti finché quest’ultimo non si
sentirà a proprio agio (Byrne and Long, 1976:37).
Un’altra questione che deve essere presa in considerazione riguarda la distribuzione
delle “domande” all’interno della consultazione medica. Un’egualitaria possibilità
d’interrogare il proprio interlocutore risulta spesso in una maggiore collaborazione fra
HCP e paziente, diminuendo l’asimmetria della relazione. Questa tematica interessa
fortemente il caso in cui la comunicazione fra partecipanti primari sia mediata da
interprete, dove come si è potuto vedere negli scorsi capitoli, sono coinvolte dinamiche
relazionali più complesse. Al riguardo Hale (2007) porta l’esempio delle differenze che
possono essere riscontrate fra le sequenze domanda-risposta in un contesto medicosanitario rispetto a quello legale, come può essere un tribunale. Nel corso di un processo
colui che pone le domande esercita un controllo assoluto sul proprio interlocutore e
sulle tematiche affrontate. In tale contesto la sequenza domanda-risposta è determinata
da procedure precise, cosicché in una conversazione fra avvocato e testimone è previsto
40
che solo il primo abbia la possibilità di porre domande. Allo stesso modo i quesiti posti
non hanno lo scopo di rilevare nuove informazioni, piuttosto si cerca di mettere in
evidenza fatti già noti che supportano la versione di una delle parti. Nella consultazione
medica la sequenza domanda-risposta non è soggetta a tali limiti, cosicché il paziente ha
la possibilità d’interrogare l’operatore sanitario ad ogni momento. Inoltre gli HCP
cercano d’ottenere nuove informazioni dal paziente prestando attenzione alle risposte
fornitegli. La partecipazione del paziente nella consultazione medica è stato spesso
oggetto di studio, soprattutto per quel che riguarda il numero di domande che vengono
poste di propria iniziativa all’operatore sanitario. Sebbene Frankel (1979) sottolinei
come l’intervento diretto del paziente all’interno della conversazione medica sia
piuttosto limitato, studi più recenti hanno dimostrato come statisticamente la
percentuale di domande poste dal paziente sia in realtà piuttosto elevata.
“The level of patient participation […] seems to be related to a number of factors,
including the patient’s personality and social background, the context of the
consultation, and the relationship between the physician and the patient. […] a low level
of patient participation leads to a sense of powerlessness, which contributes to
unsuccessful communication and inappropriate medical provision.” (Wodak, 1997)
La tecnica con cui l’HCP si rivolge al paziente risulta altrettanto rilevante. Il ricorrere
ad un linguaggio fortemente tecnico può risultare in una completa non comprensione da
parte del paziente. Allo stesso modo l’utilizzo di un linguaggio infantile può
implementare la differenza di potere fra gli interlocutori e la sensazione d’inferiorità nel
paziente. Soprattutto nel contesto in cui l’operatore sanitario e il paziente non
condividono la stessa lingua, tale uso del linguaggio renderebbe la comunicazione
molto difficile (Wodak, 1997:186). E’ bene sottolineare, d’altra parte, che in molte
culture il maggior “potere” detenuto dall’operatore sanitario viene considerato un fattore
positivo.
Wadensjö prendendo in considerazione la posizione dell’interprete rispetto a questo
tema, individua quattro modalità con cui i partecipanti primari possono interagire:
1) Modalità indiretta: i partecipanti primari si rivolgono all’interprete invece di
comunicare direttamente l’uno con l’altro
41
2) Modalità diretta: i partecipanti primari comunicano direttamente fra loro
3) Modalità simultaneamente indiretta e diretta: i partecipanti primari
comunicano in parte direttamente ed in parte indirettamente
4) Modalità neutra (no address): enunciati prodotti dai partecipanti primari che
non contengono pronomi.
Si sottolinea come l’intervento dell’interprete può avere una grossa influenza sulle
tecniche d’interrogazione adottate dal rappresentante dell’istituzione di riferimento. Per
questa ragione si ritiene come “two-language talk as a social activity implies conditions
that potentially affect the conventional function of a common questioning strategy
[…].” (Wadensjö, 1997:51)
3.3 Caso di studio: analisi comparativa della consultazione diadica e triadica
medico-paziente
Per cercare di delineare le caratteristiche dell’interazione diadica (monolingue) e
triadica (bilingue mediata da interprete) fra medico e paziente di seguito si riporterà un
progetto di ricerca condotto da Valero Garcés (2008). I dati raccolti sono tratti da
diverse registrazioni di consultazioni mediche eseguite in strutture sanitarie di Madrid,
in Spagna, e Minneapolis, Stati Uniti d’America, in cui si è cercato d’analizzare
l’interazione fra HCP e paziente in tre configurazioni:
1) Tipo 1: Medico/paziente straniero
2) Tipo 2: Medico/paziente straniero/interprete ad hoc
3) Tipo 3: Medico/paziente straniero/interprete professionista
Le registrazioni del Tipo 1 e Tipo 2 sono state eseguite in Spagna in reparti di
pediatria, ostetricia, ginecologia, medicina interna e pronto soccorso. I partecipanti
primari della consultazione sono: medici ed infermiere ispanofoni, pazienti con
qualche/nessuna conoscenza della lingua spagnola, parenti bilingui dei pazienti che
ricoprono il ruolo di interpreti improvvisati (ad hoc interpreters). Le registrazioni del
Tipo 3 sono state eseguite negli Stati Uniti: il medico ed il paziente vengono affiancati
da un interprete professionista che ha condotto un formale periodo di training
42
all’Università del Minnesota e lavorato come interprete nell’ambito sanitario per almeno
due anni. Al fine d’analizzare queste conversazioni si è fatto riferimento al modello
d’analisi del discorso istituzionale sviluppato da Drew e Heritage e agli studi
sull’interazione condotti da Wadensjö (1992). Pertanto l’analisi viene condotta
considerando veritieri tre assunti:
1) Ogni partecipante ricopre un ruolo preciso
2) Ogni contesto istituzionale presenta vincoli particolari
3) Ogni istituzione ha le proprie procedure
Il diverso grado di partecipazione del paziente alla consultazione medica può
influenzare l’ordine d’interazione, le produzioni degli interlocutori e le loro aspettative.
Cambiamenti che saranno molto più pronunciati quando il paziente non conosce la
lingua parlata dal HCP e le procedure dell’istituzione sanitaria di riferimento (Heritage
1997: 165 and Valero Garcés 2002).
Al fine della nostra trattazione saranno riportate alcune di queste registrazioni in modo
da potere prendere in esame le dinamiche relazionali concrete fra medico, paziente ed
interprete di cui si è parlato negli scorsi capitoli: assegnazione del ruolo dei partecipanti;
turni di parola; sequenze domanda-risposta; asimmetria della relazione.
Esempio 1
Contesto: Il medico (M) vuole sapere quando il paziente (P) ha intenzione di prendere
appuntamento per una visita in ospedale.
10 M: Y aqui pondrian 1003… ¿Cuando tienes que ir a la consulta?
And here it would say 1003 … When do you have to go to the appointment?
11 P: ¿Cual día?
Which day?
12 M: Sì
Yes
13 P: Yo primero hablar con jefe… Cuando descanso un día… ¿Es que tu scribi un
día… ¿Puedo así?
43
Me first speak with boss … When I rest one day … when you write one day… can
I do like that?
14 M: Es que… yo te puedo citar para verte yo… um.. Yo puedo decir cuando vienes tu
aquì… pero no cuando vas tu al hospital. Eso tiene que ser hospital quien dice
cuando vas. ¿Vale?
The thing is that … I can make an appointment to see you … um … I can say when
you come here … but not when you go to the hospital. It is hospital that says when
you go. Okay?
15 P: Sì, sì
Yes, yes.
Questo dialogo rappresenta un esempio di consultazione diadica (monolingue) fra
HCP e paziente (Tipo 1). Si può notare come sebbene il paziente si esprima con uno
spagnolo stentato nella conversazione tende ad assumere un ruolo attivo. Si può notare
come lo stesso paziente pone domande al HCP o introduce argomenti che non sono
necessariamente legati al proprio stato di salute. In particolar modo si può notare come
nel punto (13) il paziente risponde alla domanda del medico con un’altra domanda.
Questo può essere dovuto ad una mancanza di conoscenza dell’organizzazione della
struttura sanitaria, richiedendo così un chiarimento che a sua volta l’HCP provvede a
fornire.
Esempio 2
Contesto: Prendendo come riferimento le registrazioni di Tipo 1 e di Tipo 2 si è potuto
notare come sia da parte degli operatori sanitari che degli interpreti improvvisati ci sia
un tentativo di semplificare i propri enunciati. Di seguito si riporterà una registrazione
di Tipo 1.
22 M: ¿Que trabajas?
What do you work?
23 P: Hoy descanso
Today rest
24 M: Hoy descanso… ¿Que trabajas todos los días?
44
Today rest… What do you work every day?
25 P: No, dos o tres horas… siete por la mañana tres horas
No, two or three hours … seven in the morning three hours
26 M: ¿Vas a las siete y estas tres horas…?
You go at seven and you are there for three hours … ?
27 P: Yo … por la mañana desde las siete hasta las tres
Me … in the morning from seven o’clock to three o’clock.
28 M: Vas a las siete hasta las tres… O sea trabajas de siete a tres
You go from seven o’clock to three o’clock … That is to say you work from
seven to three
29 P: Sì, sì
Yes, yes
30 M: O sea 7 a.m. a 3 p.m. ((writes this on a piece of paper and shows it to P)) ¿Vale?
So, 7 a.m. to 3 p.m. Okay?
31 P: Sì, sì
Yes, yes
32 M: ¿Todos los días? ¿Menos uno o dos libres a la semana?
Every day? Except one or two days off a week?
33 P: Uno a la semana fiesta. Hoy descanso.
One a week free. Today rest.
Analizzando questa registrazione si è potuto notare che l’operatore sanitario mette in
atto una serie di strategie comunicative al fine di facilitare la comunicazione con il
paziente. Si utilizzano enunciati brevi e forme linguistiche semplificate. Allo stesso
modo si ricorre ad un lessico generico evitando termini tecnici. Talvolta si formano
enunciati grammaticalmente incorretti (22), oppure le parole del paziente vengono
riformulate (24,30). Le stesse domande che vengono poste sono dirette (sì/no),
richiedendo così una risposta semplice (26,32).
Esempio 3
Contesto: In questo esempio viene riportata una registrazione di Tipo 2 dove il medico
spiega direttamente all’interprete cosa dovrà riferire alla paziente. La conversazione
45
inizia con il medico che cerca di spiegare all’interprete ad hoc il funzionamento della
pillola anticoncezionale. In conclusione dell’estratto l’interprete riferisce la propria
traduzione alla paziente. Con (I) si indicherà l’interprete ad hoc.
88 M: Vale. ¿Usted tiene pastillas para no tener niños?
Okay. You have pills for not having babies?
89 I: Sì, sì
Yes, yes
90 M: Bueno, las pastillas disminuyen, hacen mas pequena la regla, menos sangre; ¿Lo
entiende?
Good, the pills lighten, make your period smaller, less blood. Do you understand?
91 I: Um
Uh huh
92 M: Y esto esta bien para el hierro. Esta bien. Ademas no puede tener niños, que es lo
que queremos
And this is good for her iron. It’s good. Besides she can’t have babies, which is
what we want
93 I: Vale
Okay
94 I: Sì. ((verso la moglie))
Yes. ((verso la moglie)) He will give you pills so that there won’t be much blood
and don’t catch
((verso M)) ¿Pastillas menos sangre y no coge el el niños, no? Vale
((verso M)) Pills less blood and don’t catch… babies, right? Okay.
Si può notare che l’interprete improvvisato sovente fornisce più informazioni di quelle
richieste e produce enunciati grammaticalmente incorretti, ad esempio utilizzando
diverse ripetizioni. Talvolta produce enunciati monosillabici o non risponde
immediatamente alle domande dell’operatore sanitario, rendendo lo scambio
comunicativo molto simile a quello fra medico e paziente dell’esempio 2.
46
Esempio 4
La struttura dell’interazione medico-paziente è generalmente composta da: 1) saluti
iniziali; 2) enunciazione del problema; 3) valutazione delle condizioni del paziente;
4) discussione e prescrizione del trattamento sanitario; 5) saluti di commiato (Heath
1992:237; Borrell and Carriò 1999). Si sottolinea tuttavia come alcune parti
dell’interazione medico-paziente siano caratterizzate da specifiche sequenze discorsive,
come attività di routine prodotte dai singoli partecipanti primari (Drew & Heritage
1992; Drew & Sorjonen 1997; Heritage 1995,1997). Un esempio di routine discorsiva è
rappresentata dalle sequenze domanda-risposta.
Contesto: Nel frammento di registrazione (Tipo 3) che si
riporterà di seguito si
metteranno in evidenza le modalità con cui i partecipanti primari gestiscono tale
tipologia di routine. Con (Ip) si indicherà l’interprete professionista:
36 M: Well, I’m going to be giving you some medicine for you… to take.
37 Ip: Y le voy a dar medicamentos para que usted tome
And I’m going to give you some medicine for you to take
38 M: And your partner will also need to be treated
39 Ip: Y su compañero va a necesitar tratamiento
And your partner is also going to need treatment
40 P: ¿Por que mi compañero?
Why my partner?
41 Ip: And why my partner?
42 M: This is an infection that we know is passed sexually
43 Ip: Esta es una infeccion que es pasada sexualmente
This is an infection that is passed sexually
La conversazione è prevalentemente condotta dall’operatore sanitario tramite una serie
di domande dirette che vengono poste al paziente. Tuttavia si può notare come ad un
certo momento (40) la paziente interviene attivamente nella conversazione richiedendo
ulteriori spiegazioni. L’intervento dell’interprete, in questo caso professionista, si limita
a tradurre letteralmente gli enunciati dei partecipanti primari senza aggiungere nessuna
informazione aggiuntiva.
47
Mettendo a confronto tre tipologie d’incontro fra medico e paziente si è potuto
evidenziare come il Tipo 1 ed il Tipo 2 condividono la maggior parte delle strategie
comunicative: domande frequenti, ripetizioni, riformulazioni e strutture linguistiche
semplificate. Valero Garcés (2008) sottolinea come l’applicazione di tali strategie può
influenzare i turni di parola della conversazione ed i ruoli che i partecipanti assumono.
Soprattutto nelle interazioni di Tipo 1 la scarsa conoscenza della lingua e
dell’organizzazione sanitaria da parte del paziente fa sì che talvolta i ruoli subiscano
delle modifiche. Si è potuto constatare come gli interpreti ad hoc tendano ad andare
oltre il proprio ruolo d’interprete per assumere quello di sostenitore o di familiare,
utilizzando spesso la terza persona singolare. Per quel che riguarda la traduzione di
termini tecnici si è potuto notare come spesso questa venga evitata o avvenga in modo
erroneo. All’interno delle consultazioni di Tipo 3 si è potuto notare, al contrario, come
gli interpreti professionisti mantengano una condotta imparziale e usino diverse
strategie per facilitare la comunicazione fra i partecipanti primari:
1) Traduzione immediata delle domande
2) Richiesta di riformulazione in caso di difficoltà nella traduzione (terminologia
specifica o enunciati complessi)
3) Utilizzo della prima persona singolare
48
CAPITOLO IV
ACCESSIBILITÀ DELLE STRUTTURE SANITARIE IN IRLANDA
La forte immigrazione che si è riscontrata nell’ultimo ventennio ha fortemente
modificato la società irlandese determinando nuove dinamiche relazionali fra istituzioni
e società. La sua eterogeneità culturale e linguistica ha portato alla luce nuove esigenze
della popolazione: in particolar modo in ambito sanitario. Il bisogno di fornire
un’adeguata assistenza linguistica a pazienti con scarsa padronanza della lingua inglese
(LEP: limited english proficiency) si rivela essere la sfida più ardua che le aziende
ospedaliere si ritrovano così ad affrontare.
Al fine della nostra ricerca, in questo capitolo si cercherà di delineare il grado di
accessibilità delle strutture ospedaliere irlandesi da parte di pazienti con LEP, al fine di
potere fare una riflessione qualitativa sul servizio offerto. Prima di inoltrarci in questa
riflessione è necessario tuttavia definire cosa s’intende con il termine accessibilità e
quali siano le sue implicazioni. Con tale termine si fa riferimento al grado di fruibilità di
un determinato servizio da parte di un cittadino; ne consegue dunque che differenti
livelli d’accessibilità possono influenzare qualitativamente il servizio offerto dalla
struttura pubblica o privata presa in esame. L’importanza di fornire la stessa assistenza
medica a tutti i membri della società, pazienti con LEP compresi, è diventato così uno
dei temi cruciali a cui le strutture sanitarie e soprattutto il governo irlandese hanno
dovuto prestare attenzione.
“The increasing diversity in languages spoken in Ireland today means that
provision of interpreting and translating has become a pressing need if
people with low proficiency in English are to experience equality of access
and outcomes in their interaction with key Government services such as
health, justice, education and housing”5
Come ben riassume questo estratto redatto dalla National Consultative Committee on
Racism and Interculturalism (NCCRI) risalente al 2008 la necessità di offrire servizi
sanitari, giuridici e sociali fruibili in egual misura da tutta la comunità risulta centrale.
5
National Consultative Committee on Racism and Interculturalism (2008) Interpreting and Translating
services: for government service providers in Ireland
49
E’ nel 1998 che questo organismo indipendente che raggruppa organizzazioni
governative e non governative viene costituito, allo scopo di sviluppare politiche di
integrazione che promuovano il valore della diversità culturale sia a livello nazionale
che internazionale. Tuttavia dal Dicembre 2008 il NCCRI è costretto a cessare la
propria attività a causa dei tagli apportati dal governo irlandese al tempo in carica.
Durante il suo decennio d’attività, nel corso del quale è rimasto a stretto contatto con il
Ministero per l’Integrazione, ha potuto constatare come le energie e i fondi investiti in
Irlanda non siano sempre state sufficienti a garantire un servizio d’assistenza linguistica
di qualità all’interno delle proprie strutture sanitarie.
1) Per questa ragione il NCCRI sottolinea la necessità di:

Politiche d’integrazione ben precise

Standard qualitativi dei servizi ben definiti

Percorsi formativi professionalizzanti e certificanti per interpreti

Promozione del servizio verso gli utenti finali
2) L’attuazione di tali standard qualitativi permetterebbe alle istituzioni di:

Abbassare la variabilità qualitativa dei servizi

Eliminare problematiche legate alla mancanza di profilassi precise

Disporre di interpreti qualificati
Ciò che è stato osservato dal NCRRI rivela come il raggiungimento di un alto livello di
accessibilità delle strutture sanitarie sia fortemente legato ad un’azione di fissazione e
rinforzo degli standard qualitativi e al consolidamento di politiche linguistiche
appropriate. Al fine della nostra trattazione di seguito ci si dedicherà a delineare cosa si
intende con il termine “politica linguistica”, cercando di fornire un quadro della propria
applicazione nel contesto irlandese.
4.1 Interpretariato nelle istituzioni pubbliche: le politiche linguistiche
Al fine d’analizzare le politiche linguistiche adottate dalla Repubblica d’Irlanda ed il
loro impiego all’interno delle istituzioni pubbliche, è necessario prendere in
considerazione lo spazio che tale termine occupa nelle ricerche nel settore
50
dell’interpretariato e quale significato assume. Con il termine “politica linguistica”
Bugarski (1992) indica: “the policy of a society in the area of linguistic communication
– that is, the set of positions, principles and decisions reflecting that community’s
relationship to its verbal repertoire and communicative potential.” (Bugarski 1992: 18)
La definizione di politica linguistica che viene fornita da Bugarski fa riferimento ad
una serie di principi, posizioni e decisioni, che sovente trovano espressione tramite
regolamenti o linee guida che determinano lo status d’uso di una lingua ed i diritti dei
suo parlanti in un certo territorio (O’Rourke and Castillo, 2009: 34). Sulla stessa linea di
pensiero Spolky (2004) afferma come tale concetto rifletta in maniera inequivocabile
l’orientamento ideologico di una società, di un governo e delle istituzioni. Si mette in
evidenza come generalmente la cosiddetta politica linguistica viene suddivisa in due
tipologie: aperta (overt) o chiusa (covert). La politica linguistica “aperta” presuppone
che i regolamenti legati alla provvisione di supporti linguistici siano esplicitamente e
formalmente gestiti a norma di legge, permettendo ad ogni comunità linguistica di
esprimersi nella propria lingua in qualsiasi contesto istituzionale. Al contrario, la
politica linguistica “chiusa” non prevede nessuna formalizzazione giuridica della tutela
linguistica di una data comunità, cosicché ci si avvale di regolamenti impliciti ed
informali (Spolsky 2004; Ricento 2005, in Schiffman 1996). Cercando d’individuare le
principali strade percorse dai paesi in materia di provvisione di servizi pubblici
d’interpretariato (PSI: public service interpreting) Ozolins sviluppa il modello
internazionale per la valutazione della provvisione di PSI per le minoranze linguistiche
immigrate, basato su quattro possibili scenari (di seguito saranno riportati dal più
negativo a quello più positivo):
1) Totale mancanza di PSI: totale diniego da parte del governo della necessità di
fornire tale servizio
2) Presenza saltuaria di PSI: si riconosce la necessità di attivare tale servizio, ma si
ricorre ugualmente a soluzioni temporanee ad hoc
3) Presenza parziale di PSI: il servizio di PSI è presente ma non totalmente integrato
nella prassi delle istituzioni pubbliche
4) Presenza di PSI: questo diventa parte integrante dei servizi d’assistenza pubblica,
ed esistono regolamenti espliciti che ne assicurano la provvisione
51
Per fornire un quadro generale dei tratti principali delle politiche linguistiche attivate
nella Repubblica d’Irlanda si farà riferimento ad un articolo redatto da O’Rourke e
Castillo (2009), dove vengono prese in considerazione anche la Spagna e la Scozia. Al
fine della nostra trattazione tuttavia, si presterà attenzione unicamente al caso irlandese.
Un primo dato storico che avvicina l’Irlanda al tema della politica linguistica si ha negli
anni venti del XX secolo, nel momento in cui a seguito dell’ottenuta indipendenza si
tenta di ridare vita alla lingua nazionale irlandese, in un contesto dove sino a quel
momento la sola lingua ufficiale era l’inglese (O Riagàin 1997). Da questo punto di
vista la politica linguistica attuata nei confronti della lingua irlandese, quindi di
comunità autoctone non anglofone, può essere considerata tecnicamente “aperta”, in
quanto la sua tutela è prevista dall’articolo 8 della Costituzione irlandese, nominandola
prima lingua ufficiale dello Stato. Naturalmente le politiche linguistiche attuate in tale
periodo sono fortemente guidate dalla volontà di creare una propria identità come Stato
e come nazione. Ritornando ai giorni nostri, sebbene i recenti flussi migratori abbiano
messo in evidenza la necessità di creare e rafforzare i servizi di PSI del paese, le
politiche linguistiche attuate nei confronti di minoranze linguistiche non autoctone sono
piuttosto carenti, se non assenti, cosicché si può parlare di politiche linguistiche
“chiuse” (O’Rourke and Castillo 2009: 42). Utilizzando il modello di valutazione della
diffusione di PSI proposto da Ozolins si può notare come la situazione irlandese sia da
posizionare fra il primo punto della scala, dove non è prevista nessuna soluzione per la
diffusione ed il potenziamento del PSI, ed il secondo punto, in cui benché si riconosca
la necessità di tale servizio non si attivano soluzione concrete e definitive, cosicché
l’impiego di interpreti informali all’interno delle strutture istituzionali è molto
frequente.
4.2 Interpreti formali e pazienti con LEP
La maggior parte delle minoranze linguistiche in Irlanda padroneggiano i rudimenti
della lingua inglese ma molto spesso non sono in grado d’interagire efficacemente con
gli organi istituzionali: quali ospedali, scuole, stazioni di polizia, centri d’accoglienza
ecc. Il numero elevato di lingue parlate all’interno del paese (si stimano più di 210
52
lingue e dialetti6) mette in evidenza come la necessità di figure professionali che
forniscano supporto linguistico alle persone che ne facciano richiesta sia di primaria
importanza. A differenza di altri paesi, come ad esempio l’Australia, in Irlanda tuttavia
non sono previste linee guida definite che specificano quando l’interprete debba essere
interpellato ed in quali modalità. All’interno delle strutture sanitarie, nel caso si
presentasse un'evidente difficoltà comunicativa fra medico-paziente, il numero di
protocolli a cui il personale sanitario possa fare riferimento è esiguo, se non quasi del
tutto assente; ne consegue dunque che non esistono procedure standard che vengono
attivate automaticamente. La precarietà ed incertezza dell’assistenza linguistica fornita
dagli ospedali irlandesi è così oggetto di numerosi dibattiti, soprattutto per quel che
riguarda il rispetto dei diritti fondamentali dell’immigrato garantiti dalla Convenzione
Europea dei Diritti Umani, integrata a tutti gli effetti nella legislazione irlandese.
E’ fondamentale, dunque, cercare di fare luce su quali siano le modalità d’azione dei
service provider in questi frangenti:
1) Tramite quali canali vengono reperiti gli interpreti?
2) In che circostanza è previsto l’intervento dell’interprete?
3) Quanta attenzione si presta al percorso formativo dell’interprete interpellato?
4) Si ricorre mai ad interpreti improvvisati?
Le indagini condotte nel contesto irlandese hanno potuto constatare come non esista
una risposta univoca a tali quesiti, piuttosto si può parlare di tendenze generali d’azione.
Ogni struttura sanitaria, gestisce la questione in modo del tutto autonomo facendo sì che
la qualità dell’assistenza sia fortemente eterogenea sul territorio. I fondi stessi destinati
alla sanità irlandese al fine di potenziare questo servizio sono esigui, in quanto spesso
considerato di secondaria importanza rispetto alle normali pratiche mediche. La
tendenza a fare affidamento sulla mediazione linguistica dei familiari o parenti del
paziente è una pratica che tuttora è in uso, anche se negli ultimi anni la propensione a
rivolgersi ad agenzie d’interpretariato è aumentata. Ad ogni modo, il personale fornito
da tali agenzie non sempre è qualificato, cosicché la qualità del servizio proposto non è
garantita. Le modalità d’assunzione degli interpreti vengono spesso a basarsi su
6
Phelan, M. (2007) Interpreting, Translation and Public bodies in Ireland: The need for policy and
training, Letter to The Irish Times 24th October 2001
53
parametri puramente linguistici, non prestando alcuna attenzione se il candidato abbia o
meno seguito un percorso formativo professionalizzante. Questo fa sì, dunque, che
qualunque persona che sia almeno bilingue possa definirsi interprete (Phelan 2007).
4.3 Mediazione linguistica informale
Nello scorso paragrafo si è sottolineato come la tendenza a rivolgersi a familiari o
amici del paziente sia una pratica che viene spesso utilizzata all’interno delle strutture
sanitarie irlandesi. Sebbene l’avvalersi di una mediazione linguistica informale risulti
essere più pratico ed economico rispetto al contattare un’agenzia d’interpretariato è
dimostrato che nella maggior parte dei casi essa non porta a colmare il gap
comunicativo fra service provider e paziente, al contrario, talvolta la comunicazione
rischia di essere ulteriormente ostacolata e distorta. Di seguito si riporteranno alcune
ragioni per cui questa pratica viene fortemente sconsigliata:

“Informal interpreters may not be fluent in English or the other language in
which case their interpreting will be inaccurate

They may give their own version of events rather than allowing the non-English
speaker to explain his/her story

As they are not trained to interpret, they may provide a summary interpretation
where they summarize three minutes of talk in one sentence

Informal interpreters may be embarrassed by some of the material and as a result
may censor or alter information” (Phelan, 2007)
Soprattutto in ambito sanitario si può notare come il rapporto fra medico e paziente
possa essere fortemente influenzato dalla mediazione linguistica esercitata da un
familiare o da un parente. In questo caso il legame emotivo fra il paziente e l’interprete
improvvisato potrebbe sfociare in atteggiamenti di protezione nei confronti di
quest’ultimo, non riferendo così possibili diagnosi nefaste date dal medico; allo stesso
modo interi segmenti di discorso potrebbero essere eliminati causa imbarazzo o
presunta non rilevanza. La confidenzialità e il rapporto fiduciario fra medico e paziente
rappresenta un altro elemento fortemente a rischio. E’ possibile incorrere nella
situazione in cui il paziente non voglia mettere al corrente i propri parenti riguardo
54
proprie informazioni personali, privando così il medico di elementi potenzialmente
essenziali per stilare una diagnosi corretta. Allo scopo di monitorare l’effettivo impiego
di interpreti ad hoc in campo medico nel 2009 nella città di Galway (McFarlan 2009),
vengono prese in esame le consultazioni mediche di ventisei rifugiati serbo-croati e
russi, potendo così evidenziare come solo poche si avvalsero dell’assistenza di un
interprete professionista mentre l’impiego di bambini e familiari fu molto frequente. Fra
gli interpreti informali spesso utilizzati nelle strutture sanitarie irlandesi, compaiono
quindi anche i bambini. E’ frequente che figli di genitori con LEP si ritrovino a ricoprire
il ruolo d’interprete. Questa pratica, oltre a potere minare alla base la comunicazione fra
medico e paziente, può far sì che il minore sia esposto ad informazioni di cui non
dovrebbe mai venire a conoscenza. Inoltre l’essere portavoce dei propri genitori e del
medico potrebbe rappresentare fonte di stress emotivo trasformandosi in senso di colpa
per avere comunicato qualcosa di spiacevole o inconsapevolmente errato.
La carenza di interpreti formali all’interno delle strutture sanitarie fa sì che spesso si
ricorra al personale medico bilingue. Secondo le ricerche svolte da Mooney e Pettigrew,
dove si sono intervistati molti medici operanti nella sanità irlandese, il ricorso al
personale bilingue viene considerato spesso conveniente, in quanto più rapido e meno
costoso. Potere sfruttare le capacità linguistiche degli operatori sanitari risulta essere più
pratico, in quanto si può fare affidamento sulla loro preparazione medica oltre che alla
presenza in reparto anche a seguito della sessione di mediazione.
4.4 Diverse modalità di mediazione a distanza
Lo sviluppo informatico e delle telecomunicazioni ha notevolmente influenzato le
modalità di lavoro dell’interprete, creando nuovi strumenti che hanno reso possibile
fornire supporti linguistici a distanza. Al fine di fornire un quadro d’insieme di questi
strumenti innovativi ci si avvarrà degli studi condotti da S. Braun. La teleconferenza
(teleconferencing) rappresenta uno dei primi strumenti utilizzati per permettere la
comunicazione fra interlocutori senza la necessità di una compresenza fisica. Con il
termine teleconferenza Braun fa riferimento a tutte le comunicazioni interpersonali che
si svolgono in tempo reale ed in cui partecipanti sono situati in due luoghi differenti.
Vengono identificati tre tipologie di teleconferenza: audio conferenza, videoconferenza
e chat. La mediazione linguistica svolta dagli interpreti di comunità all’interno degli
55
organi pubblici, comprese le strutture sanitarie, si avvalgono soprattutto delle prime due
tipologie, per questa ragione saranno oggetto di trattazione dei prossimi due paragrafi.
4.4.1 Mediazioni telefoniche
“Telephone interpreting has been used widely in various community
interpreting settings, but it has received little attention as a distinct area of
interpreting in the growing body of interpreting studies. As telephone
interpreting is being promoted for its convenience and for the greater
availability of interpreters […]” (Lee, 2007:231-252)
La mediazione telefonica (telephone interpreting) rappresenta la forma più semplice
di audio conferenza dove l’interprete svolge la propria professione tramite un
apparecchio telefonico, senza avere la possibilità di vedere i partecipanti primari alla
conversazione, in quanto fisicamente in un altro luogo. La non visione dei partecipanti
fa si che la mediazione venga svolta in modo consecutivo, ovvero, l’interprete attenderà
che il parlante abbia concluso il proprio enunciato prima di iniziare a riprodurlo nella
lingua del ricevente. Questa tipologia di mediazione linguistica è fortemente legata
all’attività dell’interprete di comunità, in quanto offre la possibilità ai service provider
di offrire assistenza potenzialmente immediata ad immigrati o minoranze linguistiche.
Chesher et al. (Lee, 2007) hanno potuto rilevare come ci sia una carenza di letteratura
riguardante questo tipo di mediazione, in quanto molto spesso non la si considera
differente rispetto all’interpretazione sul posto: tuttavia si afferma come “an equal
proportion of interpreting occurs on site and over the phone in community interpreting”
(Lee ibid.). La stessa formazione degli interpreti spesso non prevede training o moduli
in cui si approfondiscano le dinamiche di questa tipologia di servizio.
Tramite uno studio risalente al 1999 Wadensjö ha cercato di delineare le possibili
differenze fra l’interpretazione sul posto (faccia a faccia) e quella telefonica. A tal fine
si sono prese in esame due conversazioni in cui un interprete svedese interpretava per un
parlante russofono durante un interrogatorio: nella prima essendo presente fisicamente,
ed alla seconda tramite supporto telefonico. Wadensjö ha così potuto constatare che pur
mantenendo le stesse modalità d’interrogatorio in entrambe le conversazioni,
l’interpretazione telefonica risultava meno fluida e maggiormente soggetta ad
56
interruzioni, presumibilmente per una minore tolleranza dell’interprete verso
l’overlapping speech. Un altro fattore di difficoltà viene individuato nell’impossibilità
per l’interprete di gestire le informazioni derivanti dalla comunicazione non verbale fra i
partecipanti primari: di frequente l’agente di polizia era così costretto ad interrompere la
mediazione per fornire maggiori dettagli. Tale studio dimostra come l’interpretazione
tramite apparecchio telefonico risulta essere molto complessa, in quanto l’interprete si
ritrova isolato e non ha nessun contatto visivo con le altre parti coinvolte nella
conversazione, facendo unicamente affidamento a ciò che gli viene comunicato
oralmente. Per questa ragione, le evidenze raccolte da Wadensjö farebbero supporre che
questa tipologia di mediazione potrebbe non presentare la stessa efficacia in ogni ambito
d’applicazione, soprattutto nel caso si debbano gestire conversazioni emotivamente
stressanti per il paziente/imputato.
La crescente necessità di fornire un’immediata assistenza linguistica a persone con
LEP ha condotto anche l’Irlanda ad attivare servizi di mediazione telefonica, anche se in
maniera più modesta rispetto ad altri paesi europei ed extraeuropei. La mancanza di
norme che regolino anche questo tipo di mediazione fa sì che talvolta l’interprete
chiamato si trovi in un luogo che non permette un’adeguata concentrazione e la
confidenzialità del caso potrebbe non essere tutelata. Allo stesso modo, è presente un
forte bisogno di un servizio d’assistenza linguistica telefonica attivo per l’intero arco
delle ventiquattro ore, in modo che ospedali, stazioni di polizia e servizi d’emergenza
possano ricevere supporto qualora ne facciano richiesta. Il telephone interpreting
potrebbe rappresentare un potente strumento tramite il quale il paziente prende il primo
contatto con la struttura sanitaria in caso di necessità urgente. Al momento attuale i
numeri d’emergenza attivi in Irlanda (999 per le stazioni di polizia e 112 per assistenza
medica) non forniscono nessuna assistenza linguistica nel caso in cui colui che chiama
non riesca a comunicare efficacemente in inglese: l’obiettivo primario dell’operatore
diventa individuare l’indirizzo e il numero di telefono della persona che sta chiamando,
in modo da attivare i soccorsi. Per questa ragione diverse strutture sanitarie si stanno
attivando per creare un servizio di mediazione telefonica a cui l’operatore possa
accedere in caso di necessità. Tenendo conto delle dinamiche caratterizzanti questa
tipologia di mediazione, risulterebbe utile stabilire alcune norme al fine di ottimizzare il
servizio offerto. Il fissare giornate precise in cui l’interprete sia pagato per restare a casa
57
e ricevere chiamate; dotare ogni interprete di un numero di rete fissa o cellulare a cui i
service provider possano rintracciarlo; creare un servizio attivo ventiquattro ore al
giorno, potrebbero rivelarsi soluzioni efficaci.
4.4.2 Interpretazione a distanza e Videoconferenze
Si può parlare d’interpretazione a distanza (remote interpreting) quando i
partecipanti primari si trovano nello stesso luogo, mentre l’interprete si trova altrove ed
esegue la mediazione tramite un supporto audio o audio/video. La prima applicazione
di tale strumento fu il remote conference interpreting adottata e sperimentata dalle
Istituzioni Internazionali al fine di facilitare la comunicazione fra i propri membri. In
questo contesto l’interprete operava da una stanza separata rispetto al luogo della
conferenza e aveva possibilità di comunicazione audio e video, in modo da vedere
ciascun partecipante o l’insieme dei partecipanti. Recentemente questa tecnologia sta
conoscendo una grande diffusione anche nel settore sanitario, e nel campo
dell’interpretariato di comunità. In questa caso si parla d’interpretazione a distanza
bilaterale (remote bilateral interpreting), sistema che da tempo è stato adottato da
Finlandia e Norvegia ma che in Irlanda non viene utilizzato frequentemente (spesso per
l’interpretazione del linguaggio dei segni). Sebbene il concetto d’interpretazione a
distanza coinvolga anche la videoconferenza Braun delinea due differenti scenari per
ognuno di essi7.
1) Videoconference interpreting (a)
7
Immagini tratte da: http://www.videoconference-interpreting.net
58
Scenario in cui i partecipanti primari alla conversazione si trovano in due luoghi
separati (esempio: tribunale/prigione) e l’interprete si trova in aula.
2) Videoconference interpreting (b)
Scenario in cui i partecipanti primari alla conversazione si trovano in due luoghi
separati (esempio: tribunale/prigione) e l’interprete si trova con il parlante LEP.
3) Remote interpreting
Scenario in cui i partecipanti primari alla conversazione si trovano nello stesso luogo,
mentre l’interprete esegue la mediazione da un luogo differente.
59
4) Videoconference + remote interpreting
Scenario in cui i partecipanti primari alla conversazione e l’interprete si trovano in
luoghi differenti
L’impiego del remote bilateral interpreting e della videoconference interpreting
negli ultimi anni è stato oggetto di diversi dibattiti. Mentre per alcuni rappresenta la
possibilità di reperire interpreti in tempi brevi e velocizzare la mediazione, per altri è
presente il rischio che tale strumento possa influenzarne negativamente la qualità,
peggiorando anche le condizioni lavorative degli stessi interpreti. Inoltre, la diffusione e
la validità di tale forma di comunicazione bilingue o multilingue viene talvolta messa in
discussione dal fatto che non è presente nessun percorso di training per preparare gli
interpreti stessi ad operare tramite supporti multimediali.
Uno studio volto ad analizzare l’efficacia di questa tecnologia in ambito sanitario è
stato condotto da Hornberger et al. (1996). A questo fine si sono messe a confronto due
tipologie di mediazione: la prima condotta simultaneamente a distanza tramite la sola
connessione audio; la seconda condotta sul posto in modo consecutivo. Nelle
mediazioni a distanza sono stati forniti microfoni e cuffie, mentre l’interprete
interpretava simultaneamente da una stanza separata. Si è potuto riscontrare che sebbene
gli interpreti impiegati preferissero lavorare sul posto, la mediazione a distanza viene
preferita dai partecipanti primari, in quanto l’interpretazione simultanea a distanza è
considerata più completa e precisa rispetto alla modalità consecutiva sul posto. La
qualità dei dati ottenuti da ricerche svolte in questo ambito spesso risultano difficili da
mettere in relazione fra loro, in quanto molte sono le variabili che caratterizzano la
mediazione operatore sanitario-paziente. In linea generale, tuttavia, la ricerca valuta
60
positivamente l’impiego di tali tecnologie, col fine di migliorare la qualità del servizio
offerto dall’interprete. In Azarmina e Wallace (2005: 144) si afferma che:
“the findings of the selected studies suggest that remote interpretation is at
least as acceptable as physically present interpretation to patients, doctors
and (to a lesser extent) interpreters themselves" and that "[r]emote
interpretation appears to be associated with levels of accuracy at least as
good as those found in physically present interpretation.” (Braun, 2006)
Sebbene in questo paragrafo si sia voluto fornire un’immagine delle diverse modalità
con cui l’interprete può avvalersi delle nuove tecnologie per condurre la mediazione,
probabilmente quella che potrebbe essere maggiormente sfruttata in un contesto
sanitario è quella in cui i partecipanti primari si trovano nello stesso luogo e l’interprete
altrove: supponendo che il medico abbia necessità di visitare fisicamente il paziente,
cosicché la condivisione dello stesso spazio fisico è necessaria. Non è possibile tuttavia
escludere a priori l’applicazione delle altre modalità elencate. La crescente richiesta
d’implementazione di tale tipologia di servizio porta così la ricerca a continuare i propri
studi al fine di migliorarne la qualità.
61
CAPITOLO V
CODICI ETICI A CONFRONTO
L’associazione irlandese traduttori ed interpreti (ITIA8) è la sola organizzazione del
paese che tutela e rappresenta gli interpreti ed i traduttori in Irlanda. Il suo scopo
primario risiede nel rivalutare le figure professionali del traduttore e dell’interprete,
sottolineando come ad alti standard qualitativi debbano corrispondere anche
riconoscimenti di egual misura da parte degli organi governativi e delle strutture
pubbliche: dalle modalità d’impiego alla remunerazione. La promozione di un servizio
di traduzione ed interpretariato di qualità viene portata avanti grazie anche alla
creazione di un archivio in linea (liberamente consultabile sul sito internet
www.translatorsassociation.ie) contenente le generalità e le competenze dei propri
membri: traduttori ed interpreti professionisti certificati. Nella lista vengono registrati,
unicamente traduttori o interpreti professionisti che abbiano superato l’ITIA
Professional Membership Examination e aderito al “Code of Practice and Professional
Ethics” e al “Code of Ethics for Community Interpreters”.
“An ITIA Certified Translator is a Professional Member of the association who
has passed the stringent ITIA Certification Examination and is approved to translate,
stamp and certify documents intended for use in a legal or official context and that
require certification […]”9
5.1 I codici etici: un tema controverso
Tramite il Code of Practice and Professional Ethics, risalente al 2005, l’ITIA si
prefigge di fissare precise norme etiche e standard qualitativi minimi a cui
l’interprete/traduttore deve attenersi. Ogni membro che entrerà a far parte
dell’associazione si impegna a rispettare questo codice ed i suoi contenuti che, come
riportato, sono soggetti alle disposizioni delle leggi della Repubblica d’Irlanda e alle
direttive dell’Unione Europea: “This Code is subject to and recognizes the provisions of
8
Fondata nel 1986 col nome The Irish translators’ association da Ann Bernard, Cormac Ó Cuilleanáin
and J.F. Deane nel 2002 viene rinominata The Irish translators’ and interpreters’ association.
9
www.translatorsassociation.ie
62
the Constitution of the Association, the laws of the Republic of Ireland and the
directives of the European Union.”10
La volontà di regolamentare la professione dell’interprete/traduttore in tutte le sue
parti è molto forte, cercando di valorizzarne l’attività tramite precisi parametri
comportamentali ed etici a cui attenersi. Di seguito si analizzeranno brevemente le
tematiche che vengono affrontate, in modo da fornire un quadro generale dei contenuti
di questo documento11:

Professionalità (Professionalism): la professionalità dell’interprete deve
regolarne i rapporti con i partecipanti all’evento mediato; coscienza delle proprie
abilità e obbligo di rifiuto di qualsiasi incarico che vada oltre le stesse

Confidenzialità (Confidentiality): il rapporto fra i partecipanti alla mediazione e
l’interprete deve essere strettamente confidenziale

Imparzialità (Impartiality): la condotta dell’interprete deve essere imparziale; il
discorso dei partecipanti alla mediazione non deve subire modifiche, salvo
approvazione dello stesso

Condizioni lavorative (Working conditions): la documentazione e l’entità
dell’incarico affidato all’interprete dovrà essere adeguato al fine di garantire una
prestazione ottimale

Standard
professionali
(Professional
standards):
l’associazione
non
riconoscerà nessun interprete/traduttore che non sia un professionista qualificato

Divergenze e dispute (Disagreements and disputes): precisi regolamenti che
regolano possibili dispute fra interprete e partecipanti primari alla mediazione

Pubblicità e remunerazione (Advertising and remuneration): gli interpreti
hanno diritto di pubblicizzare la propria attività e di pretendere un giusto
compenso
10
ITIA (2005) Code of Practice and Professional Ethics, Dublin
Come nel Code of Practice and Professional Ethics ci si riferisce all’interprete/traduttore, salvo
specificazioni
11
63
Mentre il precedente documento ha una portata generale, il Codice etico per
interpreti di comunità (Code of Ethics for Community Interpreters12) è specialmente
dedicato alla figura professionale del community interpreter che dovrà operare
all’interno di strutture istituzionali irlandesi. Il documento preso in esame cerca di
fornire linee di condotta etica e professionale a cui l’interprete dovrà attenersi, e allo
stesso tempo di cui i service provider potranno prendere visione. In un contesto dove i
regolamenti legati alla professione dell’interprete di comunità sono quasi del tutto
assenti la presenza di Codici etici a cui potere fare riferimento diventa di fondamentale
importanza. La mancata presenza di adeguati percorsi formativi, e di training, per
formare questa figura professionale fa sì che sempre più spesso il codice si faccia
portatore di regole di condotta generale che il professionista potrà seguire diminuendo
così la propria arbitrarietà: “[…] code of ethics protects the interpreter and lessens the
arbitrariness of his or her decisions by providing guidelines and standards to follow.”13
Tuttavia il carattere non normativo dello stesso lascia libertà d’adesione, affidando il
risultato della mediazione all’intelligenza di ogni singolo interprete e all’esperienza
accumulata nelle proprie esperienze lavorative. Diverse ricerche hanno dimostrato come
il rispetto dei principi etici dell’interprete sia direttamente proporzionale alle
certificazioni professionali ottenute. Le ragioni sono molteplici: l’interprete di comunità
non qualificato potrebbe non essere informato dell’esistenza di tale codice, e allo stesso
modo, qual’ora ne fosse a conoscenza potrebbe non avere le competenze per metterne in
atto i principi. Risulta quindi necessario creare percorsi formativi professionalizzanti in
cui si rifletta sulle norme etiche che un interprete di comunità dovrebbe seguire, dando
largo respiro alla consapevolezza dell’importanza e della delicatezza del proprio ruolo.
A livello mondiale esistono molteplici codici etici, tant’è che i principi presi in
considerazione risultano essere piuttosto eterogenei. Di seguito si riporteranno alcuni
12
“The original version of this code of ethics was drawn up by Esme England, Alda Gomez and Julie
Napier as an assignment for the Ethics module on the Graduate Certificate in Community Interpreting at
Dublin City University. It was later revisited by the ITIA Community Interpreting Sub Committee. The
ITIA would like to acknowledge the input of everyone involved”, ITIA, Code of ethics for Community
Interpreters
13
Hale, S. B. (2007) Community Interpreting, Basingstoke, Palgrave Macmillan, p. 103
64
dati ricavati da un sondaggio eseguito da Hale (2007) che forniscono una visione
generale dei maggiori aspetti presi in considerazione 14.
Aspect included in the codes of ethics
Frequency and percentage of 16 codes
Confidentiality
81,25%
Accuracy
75%
Impartiality/conflict of interest
68,75%
Professional development
50%
Accountability/responsibility for own
performance
43,75%
Role definition
37,5%
Professional solidarity
31,25%
Working conditions
25%
Dai dati raccolti si può notare come la maggior parte dei paesi presi in esame ritengano
che aspetti come la precisione, la confidenzialità e l’imparzialità siano aspetti centrali
che dovrebbero essere inseriti all’interno di ogni codice. Ad altri, come le condizioni di
lavoro e la definizione del proprio ruolo professionale, viene dedicata minore
attenzione.
La professione dell’interprete di comunità comporta il sapere gestire situazioni ad
alto carico emozionale, motivo per cui un’adeguata formazione gli fornirebbe gli
strumenti teorici per affrontarle al meglio. L’imparzialità è sicuramente uno degli aspetti
più controversi contemplati. Non è presente, difatti, una vera e propria definizione di
tale concetto ma piuttosto si delinea una condotta a cui attenersi.
14
Tabella tratta da: S. B. Hale (2007) Community Interpreting, Basingstoke, Palgrave Macmillan. Si sono
presi in considerazione sedici codici etici di nove paesi: Australia, Austria,Canada, Colombia, Indonesia,
Irlanda, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti.
65
Si sottolinea che l’interprete di comunità ha il dovere di:

“Decline to interpret where a family or close personal or professional
relationship may affect impartiality

not impose his/her philosophical, religious or political views on any
interpretation

not offer advice or personal opinions either on own initiative or when asked

never correct erroneous facts or statements that may occur, even though the error
is obviously unintentional. Neither should s/he infer a response, that is, if the
beneficiary is asked to clarify a prior response, the interpreter should pose the
question as asked and not volunteer what he or she thought the person meant”15
Si auspica che il professionista assuma un atteggiamento imparziale allo scopo di
non influenzare in nessun modo lo svolgimento della mediazione; nel caso dovesse
insorgere un conflitto d’interessi lo si invita a declinare l’incarico. Il fatto che
l’interprete non sia d’accordo con i propri clienti non può essere considerato violazione
del codice etico, che si otterrà unicamente tramite una volontaria alterazione del
discorso originale. La questione legata all’importanza della neutralità è molto
complessa. Secondo Rudvin, difatti, di per sé non può aiutare a raggiungere la completa
equivalenza fra discorso originale e traduzione. Tuttavia, risulta necessario assumere un
atteggiamento il più possibile neutrale al fine d’esercitare una mediazione linguistica
fedele e precisa.
“ As Rudvin states, the difficulties associated with the need to remain impartial must be
acknowledged. Disagreeing or agreeing with what the parties state does not constitute
unethical behavior […]. What constitutes unethical behaviour, […] is the deliberate
alteration of an utterance to reflect interpreter’s own beliefs […]” (Hale, 2007)
Gli aspetti presi in considerazione dal codice sono strettamente correlati fra loro,
tanto che il mancato rispetto di uno porta ad influenzarne anche altri. Il legame fra
l’imparzialità e la precisione è dunque evidente. L’atteggiamento dell’interprete di
comunità nei confronti dei propri clienti risulta fondamentale per garantire la fedeltà
15
ITIA, Code of ethics for Community Interpreters
66
della mediazione, facendo sì che il messaggio originale sia tradotto in modo accurato.
Sebbene i Codici etici siano importanti Wadensjö afferma come “much more than a
code of ethics is needed in order to ensure quality of interpreting services” 16, puntando
l’attenzione sul risvolto pratico che tali documenti dovrebbero ottenere.
5.2 Medical interpreting: due codici americani
Prendendo in analisi i Codici etici redatti dall’ITIA si è potuto notare come i principi
prescritti vengano ritenuti applicabili ad ogni contesto lavorativo in cui l’interprete di
comunità dovrà operare. L’ambito di lavoro (ospedali, tribunali, stazioni di polizia,
centri d’accoglienza per migranti ecc.) sembra così essere una variabile trascurabile
nella definizione del ruolo e dei doveri dell’interprete. Al fine della nostra trattazione di
seguito saranno presi in esame alcuni Codici etici internazionali che a differenza di
quelli irlandesi si dedicano unicamente all’attività dell’interprete di comunità nel settore
sanitario. A tale scopo si analizzerà: il “Massachusetts medical interpreting association
standards of practice”, ed il “California standards for healthcare interpreters: Ethical
Principles, Protocols, and Guidance on Roles & Intervention”.
5.2.1 Massachusetts medical interpreting association standards of practice
Il Medical interpreting standards of practice viene creato dalla Massachusetts
medical interpreting association e adottato nel 1995. Questa associazione conosciuta
anche come International medical interpreting association (IMIA), fondata nel 1986
negli Stati Uniti, si pone l’obiettivo di fissare standard qualitativi adeguati al fine di
migliorare l’attività degli interpreti all’interno delle strutture sanitarie, rendendole così
accessibili a pazienti con scarsa padronanza della lingua inglese. Il codice stilato
dall’IMIA rappresenta il primo documento in cui ci si dedica alla regolamentazione
della professione d’interprete all’interno delle strutture sanitarie, andando così a
costituire un importante punto di riferimento per ogni interprete di comunità
professionista che voglia operare in tale campo.
16
Hale, S. B. (2007) Community Interpreting, Basingstoke, Palgrave Macmillan
67
Al fine di fissare standard qualitativi e operativi da applicare nel settore del healthcare
interpreting l’associazione si pone tali obiettivi:
1) Definire requisiti di formazione e qualificazione degli interpreti operanti in
contesti sanitari
2) Fissare standard e norme professionali dedicati all’interpretariato in ambito
medico
3) Promuovere il consolidamento dei servizi d’interpretariato e traduzione
professionale per mezzo delle strutture sanitarie
4) Raccogliere e diffondere informazioni riguardanti l’interpretariato in ambito
sanitario
5) Promuovere la ricerca sulla comunicazione transculturale in ambito sanitario
6) Incentivare la professione dell’interprete in ambito medico
Si può notare come le aree d’interesse trattate coprono ogni aspetto della professione
dell’interprete in campo medico-sanitario: dalla formazione, alla fissazione e diffusione
di standard qualitativi, arrivando alla promozione e sostegno della ricerca e delle
informazioni del settore fra service provider ed interpreti professionisti. Nella
prefazione viene sottolineato inoltre, come dal 2006, per volere del IMIA Board of
Directors, il documento è stato messo a disposizione gratuitamente in linea in modo da
potere essere raggiunto da un elevato pubblico di lettori. Il codice può essere
visualizzato nelle seguenti lingue: inglese, portoghese, spagnolo ed ebraico.
Al fine di fissare suddetti standard qualitativi si prendono in considerazioni tre aspetti
legati alla mediazione interlinguistica in ambito sanitario: 1) l’interpretazione
(interpreting), 2) la mediazione interculturale (cultural interface), 3) il comportamento
etico (ethical behaviour). Nella prima parte si prendono in esame le dinamiche della
conversazione triadica medico-paziente-interprete cercando di delineare quale sia il
ruolo di quest’ultimo e quali siano i propri doveri. Di seguito si riporterà un breve
riassunto dei compiti che l’interprete è tenuto ad assolvere secondo il codice proprosto
dall’IMIA:

Preparazione (Setting the stage): informare gli operatori sanitari ed il paziente
su cosa aspettarsi dall’interprete e dal ruolo che ricopre nel caso non ne siano a
68
conoscenza (ponendo particolare attenzione ai principi di precisione,
imparzialità e confidenzialità)

Interpretazione (Interpreting): interpretare e comunicare le informazioni in
maniera precisa e completa

Gestione della comunicazione (Managing the flow of communication): essere
in grado di gestire la conversazione senza che ci sia perdita di informazioni.

Gestione della conversazione triadica (Managing the triadic conversation):
essere imparziale, evitando di sostenere l’uno o l’altro partecipante alla
conversazione
L’ultimo punto verrà qui riportato integralmente in quanto merita un’ulteriore
riflessione:

“Assisting in closure activities: The responsibility of the interpreter in the
closing moments of the clinical encounter is to encourage the provider, when
necessary, to provide follow‐up instructions that the patient understands and will
therefore be likely to follow. In addition, the role of the interpreter is to make
sure that the patient is connected to the services required (including additional
interpreter services) and to promote patient self‐sufficiency, taking into
consideration the social context of the patient.”17
E’ interessante notare come i primi tre compiti facciano riferimento ad aspetti
(precisione, imparzialità, confidenzialità e completezza) ripresi successivamente da
molti codici etici. Il quarto punto, tuttavia, prevede che l’interprete si assuma le
responsabilità di verificare, in caso si presentasse il dubbio, che la comunicazione fra
operatore sanitario e paziente abbia avuto un esito positivo alla fine della sessione;
l’intervento attivo dell’interprete è quindi incoraggiato. Secondo diverse scuole di
pensiero tale responsabilità andrebbe ben oltre il ruolo dell’interprete, in quanto si
17
Massachusetts medical interpreting association (1995) Medical interpreting standards of practice
69
sostiene che spetterebbe all’operatore sanitario verificare se ciò che è stato comunicato
sia stato effettivamente compreso.
La seconda parte del codice è dedicata alle possibili difficoltà che l’interprete
potrebbe incontrare a causa di un background culturale non condiviso fra service
provider e paziente. La trasmissione di concetti che esistono nella cultura d’arrivo ma
non in quella di partenza o viceversa fa sì che l’interprete si ritrovi a dovere cercare
soluzioni che permettano ai partecipanti primari di rendersi conto di tale gap e porvi
rimedio. Nella conversazione triadica faccia a faccia, come quella che sovente avviene
in una sessione di mediazione interlinguistica in ambito sanitario, si sottolinea come
l’interprete abbia un forte potenziale d’influenzamento. Pur mantenendo la propria
imparzialità non rimane invisibile agli occhi dei partecipanti alla conversazione, che
inevitabilmente devono riporre la propria fiducia in tale figura professionale. Ne risulta
che l’interprete di comunità deve avere piena consapevolezza del proprio ruolo e degli
effetti che il proprio intervento potrebbe avere sulla conversazione e sui partecipanti
primari.
5.2.2 California standards for healthcare interpreters: Ethical Principles,
Protocols, and Guidance on Roles & Intervention
Il California standards for healthcare interpreters costituisce un altro importante
documento che va ad aumentare e diffondere la conoscenza della professione
dell’interprete in ambito medico-sanitario. Pubblicato nel 2002 ad opera della California
healthcare interpreters association (CHIA) si prefigge tale obiettivo:
“CHIA's mission is to: Increase equal access to healthcare by Developing
and promoting the healthcare interpreter profession; Advocating for
culturally and linguistically appropriate services; and Providing education
and training to healthcare professionals.”18
Tale codice fu concepito al fine di migliorare i servizi offerti dalle strutture sanitarie
dello stato della California, dove la percentuale di parlanti ispanofoni è molto elevata (il
codice è di facile accessibilità in quanto scaricabile gratuitamente dal sito
18
CHIA (2002) California standards for healthcare interpreters
70
www.chiaonline.org; può essere inoltre visualizzato sia in lingua Inglese che in lingua
Spagnola). L’ambito del healthcare interpreting viene descritto come un settore a sé
stante con dinamiche proprie e del tutto particolari, pertanto si sottolinea la necessità di
mettere per iscritto norme di condotta che possano aumentare la consapevolezza degli
organi sanitari. Lo stesso titolo del codice fa preciso riferimento ai principi etici, ai
protocolli, al ruolo e alle modalità d’intervento dell’interprete professionista in tale
contesto. Al fine di delineare al meglio suddetto documento di seguito ci si dedicherà a
descriverne brevemente la struttura, evidenziando le principali tematiche trattate.
La prima delle tre sezioni che compongono il testo viene dedicata principalmente ai
principi etici che ogni interprete è tenuto a rispettare: imparzialità, confidenzialità,
integrità professionale, precisione/completezza, rispetto nei confronti delle persone e la
loro comunità, con particolare attenzione nei confronti dei possibili gap culturali. La
descrizione di ognuno di questi aspetti viene messa in relazione col contesto sanitario in
cui dovranno trovare applicazione, prendendo come punto di riferimento la
conversazione
triadica
medico-paziente-interprete.
Un
elemento
peculiare
ed
interessante presente in questa prima sezione è rappresentato da un capitolo dedicato
interamente al come l’interprete debba affrontare eventuali dilemmi etici, cercando di
concentrarsi sul processo decisionale.
Processo decisionale in caso di dilemma etico19
Il cosiddetto Process for ethical decision-making è uno strumento pratico che viene
fornito all’interprete al fine di riuscire a prendere una decisione ottimale al presentarsi
di un dilemma etico. Le fasi di tale processo possono essere così riassunte:
1) Ask questions to determine whether there is a problem
2) Identify and clearly state the problem, considering the ethical principles that may
apply and ranking them in applicability
3) Clarify personal values as they relate to the problem
4) Consider alternative actions, including benefits and risks
5) Decide to carry out the action chosen
19
L’esempio qui riportato è tratto integralmente dal codice California standards for healthcare
interpreters, in quanto penso sia estremamente interessante e utile al fine della ricerca che si sta
conducendo
71
6) Evaluate the outcome and consider what might be done differently next time
Il caso che qui viene portato come esempio riguarda il frangente in cui il paziente
non voglia condividere con l’operatore sanitario informazioni che potrebbero avere un
peso rilevante nella diagnosi. Tuttavia questo desiderio viene comunicato all’interprete:
“Don’t tell the doctor what I just told you!”, ponendo il dilemma di comunicare o meno
all’operatore sanitario ciò che gli è stato riferito.
Considerando che l’interprete non possiede una conoscenza medica paragonabile a
quella dell’operatore sanitario la questione diventa ancora più complessa. Quale
soluzione adottare dunque:

“Should interpreters take some action to help the provider receive this new
information or should they remain silent and maintain patient confidentiality?

If the interpreter reveals information without the patient’s approval, how will
this affect the level of trust level between interpreter and patient, or within the
patient’s community?

What if the information revealed by the patient is critical for the patient’s health
or safety and therefore important for the provider to know?

If the interpreter chooses to remain silent, will there be an impact on the
patient’s health and well-being?

On the other hand, why would an LEP patient not be entitled to withhold
information in the same way an English-proficient patient would?”20
Tali domande che coinvolgono tematiche legate alla confidenzialità, la fiducia ed il
rischio per la salute del paziente non sono tuttavia di facile risposta. La decisione
dell’interprete di comunità deve essere frutto di profonda ponderazione, valutando i
possibili rischi o benefici per il paziente, dove è necessario tenere in considerazione
ogni possibile esito. Nella tabella, che sarà riportata di seguito, si prenderanno in
considerazione le possibili scelte che si pongono davanti all’interprete in tale
circostanza, sottolineandone eventuali benefici o rischi. Si può notare come difatti il
20
CHIA (2002) California standards for healthcare interpreters
72
caso portato ad esempio di dilemma etico sia oggetto di un’analisi meditata e razionale,
cercando di creare un quadro complessivo basato sulla logica dell’azione-reazione.
Tabella riportante le possibilità d’azione poste davanti all’interprete di comunità21
ACTION
Remain silent
(i.e., do not inform the
doctor)
BENEFITS


Patient continues to
trust interpreter
Allows patient the
right to withhold
information in the
same way an English
speaking patient
might
RISKS



Tell the doctor
21

Increases the
doctor’s ability to
understand the
patient’s health
problem, to
recommend and
negotiate effective
treatment options,
and to assess patient
adherence to


Compromises the
doctor’s ability to
negotiate and
understand the
patient’s health
problem, recommend
effective treatment,
assess patient
adherence or non
adherence to
treatment
The concealed
information may be of
sufficient importance
to endanger the
patient if the
interpreter does not
intervene
Withholding
potentially important
information may
cause the interpreter
anxiety, uncertainty,
and concern for the
health and safety of
the patient
Patient may lose trust
in the interpreter
Community may lose
trust in interpreter if
patient communicates
dissatisfaction
through formal or
informal community
networks
Tratta integralmente da: CHIA (2002) California standards for healthcare interpreters
73

During the
session


Outside the
session


treatment
Relieves interpreter
anxiety, uncertainty
and concern about
withholding
potentially important
information
Patient may respect
the courage of the
interpreter in raising
possibly important
concerns with
provider
May increase trust
for the
interpreter[…]
Patient may
continue to trust
interpreter
Alerted by the
interpreter, the
provider may choose
a culturally
appropriate way to
get the patient to
discuss problems
and concerns,
thereby obtaining
more complete
information

Patient may become
angry and lose trust
and respect for the
interpreter […]

Patient may lose trust
in the interpreter
Provider may be
unable to talk
immediately to the
patient directly and to
address any problems
or concerns, or to
obtain more
information
The concealed
information may be of
sufficient importance
to endanger the
patient if the
interpreter does not
find a way to
intervene immediately


E’ bene considerare come le tempistiche caratterizzanti la realtà professionale in
questo settore, dove l’interprete è spesso costretto a dovere prendere decisioni in tempi
brevi, siano molto ristrette. Risulta evidente, come la formazione e soprattutto il training
dell’interprete di comunità si rivelano fondamentali al fine d’ottimizzare la propria
prestazione. Diverse ricerche hanno potuto dimostrate come sovente i pazienti e gli
stessi professionisti sanitari non sono preparati a cooperare con un interprete (la sanità
74
irlandese non costituisce eccezione), in quanto talvolta il ruolo effettivo da lui ricoperto
non è noto, così come non risulta chiaro cosa aspettarsi dalla sessione di mediazione.
Al fine di garantire una cooperazione ottimale fra service provider, paziente ed
interprete la seconda sezione del documento si dedica alla definizione di tre protocolli
standard che forniscono informazioni sulle modalità con cui l’interprete opererà prima,
durante e dopo l’incontro di mediazione. All’interno del protocollo pre-sessione (Presession protocol) viene affermato come in tale sede l’interprete dovrebbe comunicare al
paziente e all’operatore sanitario come si svolgerà la sessione e quale sarà il proprio
ruolo all’interno della conversazione triadica. Viene sottolineato, dunque, come tale
protocollo abbia lo scopo di gettare le basi per una buona collaborazione fra i soggetti
coinvolti rafforzandone inoltre la confidenzialità. Nel protocollo durante la sessione
(during the session protocol), diversamente, ci si occupa di delineare le modalità con
cui l’interprete dovrà facilitare la comunicazione fra service provider e paziente durante
l’incontro. E’ interessante notare come in determinate circostanze il protocollo preveda
l’intervento attivo dell’interprete all’interno della comunicazione nel caso insorgano
situazioni limite che bloccano il flusso comunicativo o creano gravi incomprensioni.
L’interprete di comunità deve così:

Indicate clearly when interpreters are speaking on their own behalf (instead of
interpreting the words of either patient or provider) when intervening for any
purpose

Consider interrupting the communication process in extreme circumstances to
privately discuss with the provider or patient issues of concern to the interpreter
that may not be openly discussed within the session […] 22
Nell’ultimo protocollo post-sessione che viene preso in considerazione (post-session
protocol), ci si occupa invece della parte conclusiva dell’incontro fra operatore sanitario
e paziente. In questo frangente è dunque previsto che l’interprete verifichi che la
conversazione sia realmente conclusa, ed in caso di necessità, risolvere eventuali dubbi
dell’una o dell’altra parte. Si può notare come questa sezione dedicata alla fissazione di
standard legati alle modalità di relazione fra i partecipanti all’evento mediato faccia
22
CHIA (2002) California standards for healthcare interpreters
75
sovente riferimento alla necessità di un intervento attivo dell’interprete, in tutte le fasi
qui prese in considerazione.
Il codice preso in esame individua ben quattro ruoli a cui l’interprete deve prestare la
massima attenzione e adempiere con cautela:
1) Convertitore di messaggio (message converter)
2) Chiarificatore di messaggio (message clarifier)
3) Chiarificatore culturale (cultural clarifier)
4) Supporto al paziente (patient advocate)
Si può notare come i differenti ruoli qui riportati tentano di coprire più aspetti legati alla
mediazione linguistica fra HCP e LEP, andando dal più superficiale, squisitamente
linguistico, a quello più profondo legato alla chiarificazione di eventuali incomprensioni
dovute alle differenze culturali in gioco. In particolare, è doveroso dedicare una
riflessione al quarto ruolo elencato. Di seguito se ne riporterà la definizione che viene
fornita dal documento:
“Advocacy:
The American Heritage Dictionary defines “advocacy” as
“active support.” In the healthcare interpreter setting, “advocacy” is an
action taken by an interpreter intended to further the interests of, or rectify a
problem encountered by one of the parties, to the interpreting session,
usually the patient.”23
Viene sottolineato come tale supporto possa essere fornito unicamente in determinate
situazioni che potenzialmente potrebbero condurre a una qualsiasi forma di
discriminazione, ripercuotendosi sullo stato di salute del paziente. Per questa ragione il
codice lascia libertà d’iniziativa all’interprete che, basandosi sulla propria competenza
professionale ed i principi etici, può decidere d’intervenire o meno, valutando i possibili
rischi o benefici: “[…] the Patient Advocate role must remain an optional role for each
individual healthcare interpreter in light of the high skill level required and the potential
risk to both patient and interpreter.”24
23
24
CHIA (2002) California standards for healthcare interpreters
CHIA (2002) California standards for healthcare interpreters
76
Sebbene il tema qui trattato sia estremamente delicato e controverso, è bene sottolineare
come tale codice faccia un tentativo di avvicinare standard di condotta teorici
dell’interprete alla realtà lavorativa quotidiana, in modo da fornire una guida che gli
permetta di gestire situazioni di particolare complessità. Tuttavia, esso è profondamente
diverso rispetto ai codici irlandesi analizzati precedentemente.
77
CAPITOLO VI
ASSISTENZA LINGUISTICA IN IRLANDA: ASPETTO GIURIDICO
In questo capitolo ci si dedicherà prettamente all’aspetto giuridico legato all’impiego
di interpreti nella sanità pubblica irlandese. Si cercherà di tracciare un percorso del
diritto legato alla non discriminazione linguistica affrontato dall’Europa in questi ultimi
vent’anni, prendendo come riferimento alcuni atti stilati dalla stessa Unione Europea e
dalle Nazioni Unite, facendo poi un confronto con la Costituzione irlandese.
Negli ultimi dieci anni l’Irlanda ha conosciuto una forte migrazione, ragione per cui
il bisogno di interpreti in ogni settore è diventato un vero e proprio problema a cui
trovare una soluzione immediata. Il settore sanitario non è escluso da questa impellente
necessità, tant’è che la comunicazione fra professionisti sanitari e pazienti stranieri non
sempre si avvale della mediazione linguistica da parte di un interprete professionista.
Come conseguenza la qualità del servizio offerto non rispecchia alti standard qualitativi,
cosicché il paziente non sempre riceve un trattamento medico adeguato alle proprie
esigenze, talvolta con esiti disastrosi per la propria salute. Phelan (2007) afferma che i
costi che l’azienda ospedaliera dovrebbe sostenere in caso di cause legali a seguito di
diagnosi errate o qualsiasi danno legato ad un fraintendimento sarebbero tuttavia
maggiori rispetto a quelle che servirebbero per garantire al pubblico un buon servizio.
La Costituzione irlandese, a differenza di quella statunitense e dell’Irlanda del Nord,
non prevede nessuna norma che tutela il diritto di persone con LEP a ottenere il
supporto di un interprete all’interno delle strutture ospedaliere. Questa mancanza di
regolamentazione governativa fa sì che ogni ospedale affronti il problema
autonomamente senza ricevere alcun finanziamento o linea guida dallo stato. L’attuale
crisi economica in cui versa l’Irlanda allontana ulteriormente la possibilità della
costituzione di un progetto politico che promuova un sistema d’impiego di interpreti su
scala nazionale: dalla formazione/training all’impiego nel contesto ospedaliero. La
barriera linguistica che si viene a creare fra professionista sanitario ed il proprio
paziente può rendere la comunicazione incerta: al primo risulterà difficile stilare una
diagnosi corretta mentre al secondo non sempre risulterà chiaro a quali trattamenti sarà
sottoposto, andando a pregiudicare il cosiddetto consenso informato. Secondo questo
principio ogni paziente detiene il diritto ad essere informato in modo chiaro sui
78
trattamenti medici a cui sarà sottoposto, fornendogli così la possibilità di rifiuto. Per
questa ragione qualsiasi incomprensione fra medico-paziente dovuta alla mancanza di
un interprete che conduca alla violazione di suddetto principio pone le basi per una
azione legale da parte del paziente stesso.
Possibili cause di mancato consenso informato del paziente

Impossibilità di richiedere ulteriori chiarimenti riguardanti la diagnosi

Incapacità di comprendere appieno i trattamenti a cui ci si sottoporrà

Incapacità di comprendere un’eventuale prognosi

Incapacità di seguire determinate istruzioni date dal professionista sanitario
In Irlanda innumerevoli sono i fattori che evidenziano la necessità di riforme
governative che regolino la professione dell’interprete di comunità, al fine di rendere
accessibili le strutture ospedaliere a tutta la popolazione, garantendo così un servizio di
PSI di qualità. Gli stati provvisti di regolamentazione giuridica in materia presentano
una maggiore efficienza nel fornire l’assistenza di interpreti in caso di necessità. Un
esempio possono essere gli Stai Uniti d’America dove nel 2009 in California viene
approvato il Senate Bill 85325 legge che pone l’obbligo alla compagnie assicurative di
fornire interpreti professionisti a persone con scarsa padronanza della lingua inglese nel
momento in cui debbano interagire con l’ambiente sanitario.
“…This bill would impose similar requirements on the Insurance
Commissioner with respect to health insurers that contract with providers
for alternative rates of payment to ensure that insured have access to
translated materials, language assistance, and culturally competent health
care services, as appropriate [...]
[…](b) In developing the regulations, the department shall require every
health care service plan and specialized health care service plan to
implement a program to assess the needs of the subscriber population, and
25
Phelan, M., Interpreters provision in healthcare in Ireland, Dublin City University
79
to provide for translation, interpretation, and culturally competent medical
services as indicated. The regulations shall include the following:
(1) Requirements for translation of written materials, such as establishing
thresholds for particular languages or other guidelines.
(2) Standards for individual access to interpretation services and
performance requirements for interpretation services
(3) Standards and requirements to ensure the quality and availability of
translated written materials such as medical information, notices to
enrollee regarding legal rights, health education information, and
enrollment information.”26
Già dal 1964, a livello federale, nel Title VI del Civil Rights Act negli Stati Uniti si
ribadisce come tutti gli organi federali abbiano l’obbligo di fornire uguale assistenza
finanziaria a tutta la comunità diminuendo la possibilità di discriminazione; ad ogni
modo non viene ancora fatto preciso riferimento al settore sanitario e alla barriera
linguistica come possibile causa di inaccessibilità delle strutture pubbliche. “No person
in the United States shall, on the ground of race, color, or national origin, be excluded
from participation in, be denied the benefits of, or be subjected to discrimination under
any program or activity receiving Federal financial assistance.”27
Leggermente differente è il caso dell’Irlanda del Nord. All’interno del Northern
Ireland Act del 1998 compaiono voci che sottolineano il dovere degli organi pubblici a
far sì che tutti gli individui della comunità possano avere le stesse possibilità d’accesso;
voci che tuttavia non possiedono carattere vincolante. E’ interessante notare come negli
esempi riportati si faccia sovente riferimento al diritto alle pari opportunità e alla non
discriminazione su base etnica, religiosa e culturale. Non sempre tuttavia si chiama in
causa il fattore linguistico come possibile causa di esclusione sociale.
6.1 Organizzazione delle Nazione Unite: convenzioni e trattati
L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) di cui l’Irlanda è entrata a far parte nel
1955 ha redatto diverse convenzioni e trattati che si interessano esplicitamente al settore
26
27
info.sen.ca.gov
www.ourdocuments.gov
80
sanitario e alla tutela del diritto a ricevere cure mediche adeguate. L’articolo 12 del
International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights entrato in vigore nel
1976 afferma il diritto a ricevere trattamenti sanitari d’alta qualità in caso di malattia,
sottolineando come sia necessario creare le condizioni che permettano di fornire
un’assistenza efficiente a tutta la comunità:
“The States Parties to the present Covenant recognize the right of everyone to the
enjoyment of the highest attainable standard of physical and mental health […]
d) The creation of conditions which would assure to all medical service and medical
attention in the event of sickness […]”28
L’attuazione dei presupposti del trattato implicherebbe un forte impegno da parte degli
organi governativi di ciascun paese aderente, insieme all’investimento d’ingenti risorse
finanziarie. E’ importante sottolineare come ciascun membro delle Nazioni Unite venga
invitato ad impegnarsi per la costituzione di organi pubblici accessibili a tutta la
comunità senza discriminazione di sorta. Per la prima volta la “lingua” viene inserita
come possibile fonte discriminatoria allo stesso livello della cultura, della religione e
dell’etnia.
“The States Parties to the present Covenant undertake to guarantee that the
rights enunciated in the present Covenant will be exercised without
discrimination of any kind as to race, colour, sex, language, religion,
political or other opinion, national or social origin, property, birth or other
status.”29
La Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione
razziale in vigore dal 1969 è una convenzione che merita anch’essa un’analisi più
approfondita. Al suo interno viene ribadito come ogni individuo abbia il diritto a non
essere discriminato sotto ogni aspetto, compresa la propria lingua:
28
29
International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights
International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights
81
“…to promote and encourage universal respect for and observance of
human rights and fundamental freedoms for all, without distinction as to
race, sex, language or religion, Considering that the Universal Declaration
of Human Rights proclaims that all human beings are born free and
equal…”30
Anch’essa s’interessa alla qualità dell’assistenza sanitaria offerta alla comunità
affermando il diritto ad una sanità pubblica, assistenza medica, sicurezza e servizi
sociali: “The right to public health, medical care, social security and social services” 31.
La Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti
ed i membri delle proprie famiglie adottata nel Dicembre 1990 ed in vigore dal 2003 si
dedica principalmente alla delineazione dei diritti fondamentali di ogni immigrato
lavoratore e della propria famiglia. Fra questi si fa esplicito riferimento all’obbligo di
fornire un’adeguata assistenza medica in caso di necessità:
“Migrant workers and members of their families shall have the right to
receive any medical care that is urgently required for the preservation of
their life or the avoidance of irreparable harm to their health on the basis of
equality of treatment with nationals of the State concerned. Such emergency
medical care shall not be refused them by reason of any irregularity with
regard to stay or employment.”32
All’interno della convenzione si prendono in considerazione anche circostanze in cui
l’immigrato debba interagire con il sistema giudiziario del paese ospitante. L’articolo
16, comma 5 afferma che: “Migrant workers and members of their families who are
arrested shall be informed at the time of arrest as far as possible in a language they
understand of the reasons for their arrest and they shall be promptly informed in a
language they understand of any charges against them.”33 L’articolo 16, comma 8:
30
International Convention on Elimination of All Forms of Racial Discrimination
International Convention on Elimination of All Forms of Racial Discrimination
32
International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of their
Families
33
International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of their
Families
31
82
“[...]When they attend (migrant workers) […] proceedings, they shall have the
assistance, if necessary without cost to them, of an interpreter, if they cannot understand
or speak the language used.”34 L’articolo 18, comma 3, lettera f) garantisce che in caso
di processo il migrante e la propria famiglia abbiano: “[…] free assistance of an
interpreter if they cannot understand or speak the language used in court.”35
Sebbene si faccia esplicito riferimento ai supporti linguistici che devono essere forniti
ad un migrante con scarsa padronanza della lingua del paese ospitante in contesto
giuridico, lo stesso non si può dire per quello sanitario. Nel 2009 si contano 42 stati
firmatari, tuttavia la convenzione non è ratificata da nessun membro dell’Unione
Europea, Irlanda e Italia comprese. La Repubblica d’Irlanda è tuttora uno degli stati
membri ONU che ha firmato e ratificato il Trattato internazionale sui diritti economici,
sociali e culturali e la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i
lavoratori migranti ed i membri delle proprie famiglie, tuttavia i principi tanto
caldeggiati non sono integrati nella Costituzione irlandese nella loro totalità, così come
nel caso della Costituzione italiana.
6.2 Alcune direttive dell’Unione Europea in materia di discriminazione
In questo paragrafo si prenderanno in esame alcune direttive dell’Unione Europea
dove il diritto alla non discriminazione è centrale. E’ bene sottolineare come le direttive
contenute all’interno dei trattati debbano essere adottate dagli stati membri entro un
certo arco di tempo, tuttavia non sempre vengono integrate totalmente nel loro sistema
legislativo. In particolare, all’interno della versione consolidata del trattato dell’Unione
Europea e fondante della Comunità Europea ancora una volta si esplicita che i cittadini
appartenenti all’Unione non dovranno subire discriminazione di sorta, in particolare
facendo riferimento a ragioni etniche e culturali.
“Without prejudice to the other provisions of this Treaty and within the
limits of the powers conferred by it upon the Community, the Council,
34
International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of their
Families
35
International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of their
Families
83
acting unanimously on a proposal from the Commission and after consulting
the European Parliament, may take appropriate action to combat
discrimination based on sex, racial or ethnic origin, religion or belief,
disability, age or sexual orientation.”36
Entrambi i trattati prendono perlopiù in considerazione l’aspetto economico legato alla
formazione di un’Europa più unita: libera circolazione di persone e merci. L’articolo 13
sopra riportato non fa esplicito riferimento alla lingua come possibile fattore
discriminante, così come non viene citato il diritto all’assistenza di un interprete in caso
di necessità. Nel Titolo XIII, articolo 152 si prendono in considerazione le modalità su
cui si debba basare una sanità pubblica che possa fornire servizi di qualità ai membri
della comunità. Nel primo comma dell’articolo si dice:
“A high level of human health protection shall be ensured in the definition
and implementation of all Community policies and activities. Community
action, which shall complement national policies, shall be directed towards
improving public health, preventing human illness and diseases, and
obviating sources of danger to human health. Such action shall cover the
fight against the major health scourges, by promoting research into their
causes, their transmission and their prevention, as well as health information
and education.”37
Si può notare come si sottolinea il dovere, a cui ogni stato membro deve fare fronte, di
creare le condizioni necessarie al fine di garantire un servizio sanitario di alta qualità,
cercando dunque di prevenire danni alla salute umana. La sezione del trattato dedicata
alla sanità pubblica, tuttavia, non fa riferimento ad obbligo alcuno in materia di
provvisione di interpreti, facendo sì che ogni stato membro gestisca questa questione in
modo autonomo. Paradossalmente, dunque, si tutela il diritto alla libera circolazione
delle persone all’interno dei confini dell’Unione ma concretamente non si fornisce la
garanzia di un’assistenza linguistica di qualità in caso d’impellente necessità.
36
37
Consolidated version of the Treaty establishing the European Community, Part One, Principles, Art. 13
Consolidated version of the Treaty establishing the European Community, Title XIII, art. 152, comma 1
84
Naturalmente ciò non significa che gli stati membri non forniscano servizi di questo
genere, tuttavia, il nucleo del problema è costituito dal frequente basso livello
qualitativo del servizio offerto.
La legislazione più rilevante, concernente questo aspetto, è quella espressa tramite la
direttiva 2000/43/EC (Racial equality directive) del 29 Giugno 2000 emessa dal
Consiglio d’Europa. Lo scopo primario della direttiva consiste nel tutelare ciò che viene
definito come “principio di trattamento egualitario” (principle of equal treatment) dei
cittadini comunitari: “The purpose of this Directive is to lay down a framework for
combating discrimination on the grounds of racial or ethnic origin, with a view to
putting into effect in the Member States the principle of equal treatment.”38 Secondo
tale principio ogni individuo dovrà godere di un trattamento paritario in qualsiasi
contesto sociale, senza incorrere in nessuna forma di discriminazione diretta o indiretta.
“(a) direct discrimination shall be taken to occur where one person is treated less
favourably than another is, has been or would be treated in a comparable situation on
grounds of racial or ethnic origin;
(b) indirect discrimination shall be taken to occur where an apparently neutral provision,
criterion or practice would put persons of a racial or ethnic origin at a particular
disadvantage compared with other persons, unless that provision, criterion or practice is
objectively justified by a legitimate aim and the means of achieving that aim are
appropriate and necessary.”39
Nell’articolo 2 sopra riportato si fa di nuovo riferimento all’origine etnica e culturale
come possibile motivo di discriminazione. Tuttavia, viene dato un grande peso alla
necessità di rendere accessibile qualsiasi tipologia di servizio a tutti i membri della
comunità senza differenza alcuna. Stando al contenuto delle lettere a) e b) del secondo
articolo, risulta alquanto ragionevole pensare che al suo interno dovrebbe rientrare
anche il diritto a ricevere il supporto di un interprete. A maggior ragione l’articolo 3
sottolinea che la direttiva dovrà essere applicata da tutti gli organi pubblici e privati
compresi quelli sanitari: “this Directive shall apply to all persons, as regards both the
38
39
Council directive 2000/43/EC, Chapter I, General provisions, art. 1
Council directive 2000/43/EC, Chapter I, General provisions, art. 2
85
public and private sectors, including public bodies, in relation to: (e) social protection,
including social security and healthcare”40.
Nel 2009 grazie all’iniziativa del Parlamento europeo e del Consiglio viene fatta
proposta per una nuova direttiva: la direttiva sull’assistenza sanitaria transfrontaliera
(directive on patients’ rights in cross-border helathcare). Adottata nel 2011 presenta la
lingua come possibile fonte di discriminazione (non facendo tuttavia nessun riferimento
all’obbligo di provvisione di PSI) sottolineando come sia responsabilità delle autorità
dei singoli stati membri affinché la direttiva sia rispettata:
“[…]according to the general principles of equity and non discrimination, patients
should in no way be discriminated against on the basis of their sex, race, colour, ethnic
or social origin, genetic features, language, religion or belief, , political or any other
opinion, membership of a national minority, property, birth, disability, age or sexual
orientation.”41
6.3 Diritto alla non discriminazione: la Costituzione irlandese
Dopo avere passato in rassegna alcune direttive dell’Unione Europea in materia di
egualità e non discriminazione nella fruizione di servizi pubblici ora ci si dedicherà alla
Costituzione irlandese, ed in particolare come le autorità statali irlandesi gestiscono tale
diritto. Nella Costituzione irlandese non viene fatto preciso riferimento a diritti legati
alla provvisione di PSI, inoltre non tutte la direttive promosse dall’Unione Europea
vengono integrate nella legislazione nazionale. L’obbligo di provvedere un servizio di
PSI viene stipulato durante la Convenzione europea sui diritti umani da cui scaturisce lo
Human rights act (2003). Tuttavia, in questo documento si fa riferimento unicamente
all’ambito giuridico affermando che:
“Everyone charged with a criminal offence has the following minimum rights: To be
informed promptly, in a language which he understands and in detail […]. To have the
40
Council directive 2000/43/EC, Chapter I, Scope, art. 1
Directive of the European parliament and of the council on the application of patients' rights in crossborder healthcare, Chapter II – Member state authorities responsible for compliance with common
principles for health care
41
86
free assistance of an interpreter if he cannot understand or speak the language used in
court”
L’influenza che tale atto ha avuto nel contesto irlandese può così in parte spiegare la
maggiore presenza di servizi di PSI in ambito legale rispetto a quello sanitario (Phelan
2007). Nel 2007 la Royal Irish Academy richiama l’attenzione del governo irlandese
affermando come la Repubblica d’Irlanda dovrebbe sviluppare una strategia nazionale
dedicata alle molteplici lingue presenti nel paese, sia native che straniere. Si afferma
come: “A National Advisory Body should be established to liaise with language
professionals, politicians and all stakeholders in society. This body would research the
changing linguistic needs of society, and propose a suitable language strategy” (O
Dochartaigh and Broderick 2006: 9).
All’interno dell’Equal Status Act (2000-2008) vengono inseriti solo alcuni elementi
della Direttiva 2000/43/EC, altri invece ne risultano esclusi. Il primo articolo della terza
sezione dell’atto afferma che si ha discriminazione quando:
“(a) […] a person is treated less favourably than another person is, has been or
would be treated,
(b) (i) a person who is associated with another person is treated, by virtue of that
association, less favourably than a person who is not so associated is, has
been or would be treated, and
(ii) similar treatment of that person on any of the discriminatory grounds
would, by virtue of paragraph (a), constitute discrimination […]”42
Una critica che più volte è stata mossa a questo atto risiede nella sua vaga definizione di
servizio, facendo sì che tematiche come l’accessibilità e le modalità d’assistenza
possano essere soggette ad interpretazione individuale. Di seguito si riporterà un breve
estratto della definizione di servizio contenuta nella parte I, sezione 2 dell’atto:
42
Equal status act 2000, Parte I, Terza sezione, art. 1
87
““service” means a service or facility of any nature which is available to the public
generally or a section of the public, and without prejudice to the generality of the
foregoing, includes –
(a) access to and the use of any place,
(b) facilities for - (i) banking, insurance, grants, loans, credit or financing, (ii)
entertainment, recreation or refreshment, (iii) cultural activities, or (iv) transport or
travel […]”43
Come si può notare, il settore sanitario non rientra nell’elenco delle strutture
individuate come servizio per la comunità. A livello europeo questo fatto ha causato
parecchia perplessità, in quanto la definizione non garantisce concretamente che il
diritto alla non discriminazione valga anche per le strutture sanitarie. Al fine di tutelare
il diritto ad un trattamento egualitario di ogni individuo nel 1998 viene creata l’Equality
Authority, organo indipendente che viene istituito ai sensi dell’Employment equality act
(1998) allo scopo di vigilare e denunciare possibili pratiche discriminatorie a livello dei
servizi pubblici e privati. E’ nel 2005 che quest’organismo pubblica l’Equality
Authority Equal Status Acts 2000 to 2004 and Provision of Health Services con
l’intenzione di fornire una chiave di lettura al nuovo omonimo atto. Tuttavia è bene
sottolineare come anche in questo pamphlet la lingua non venga chiamata in causa, così
come la necessità di fornire interpreti all’interno di qualsiasi settore, compreso quello
sanitario. Al fine di tutelare i cittadini con LEP che abbiano subito qualsiasi
discriminazione di sorta è stato istituito l’Equality Tribunal: organo indipendente che
offre la possibilità di citare in causa il fornitore del servizio. Ne consegue che gli organi
sanitari corrono il rischio di essere citati in causa e dovere risarcire il cliente qualora la
sua salute sia stata danneggiata da una non adeguata assistenza sanitaria. Bisogna
tuttavia considerare la possibilità che non tutti i pazienti danneggiati siano a conoscenza
di tale organo, o qualora lo fossero potrebbero non essere linguisticamente in grado di
esporre il proprio caso.
Nella Repubblica d’Irlanda il settore sanitario e quello dell’educazione sembrano
risentire maggiormente della mancanza di norme esplicite per la provvisione di servizi
43
Equal status act 2000, Parte I, Seconda sezione
88
di PSI, tuttavia, anche l’ambito legale non presenta un supporto d’interpretariato
efficiente. Si sottolinea come all’interno della società irlandese vi siano influenti figure
istituzionali come politici, giudici e media, che sovente sottovalutano la necessità di
fornire un supporto di PSI accessibile ad ogni membro della comunità, evidenziando
una non conoscenza dei meccanismi e delle tempistiche d’apprendimento di una lingua
straniera: di cui il caso del giudice che nel 2004 si espresse in questi termini in merito
alla provvisione dell’interprete per l’accusato, “absolutely ridiculous to think that
anyone living in Ireland for five years could not speak the language […]”, è una delle
tante testimonianze. (Galway advertiser, 11 January 2007, cited in Phelan op. cit.:26).
89
CAPITOLO VII
CASO DI STUDIO: L’ATTIVITÀ DELL’INTERPRETE DI COMUNITÀ
NELLE STRUTTURE OSPEDALIERE IRLANDESI
Dopo avere passato in rassegna le principali tematiche legate alla professione
dell’interprete di comunità, questo capitolo sarà dedicato all’esposizione di una breve
ricerca di studio dedicata all’attività degli interpreti all’interno delle strutture sanitarie
della Repubblica d’Irlanda. La scelta di condurre l’indagine in questo paese è stata
dettata in parte dalla volontà di conoscere una realtà che negli ultimi decenni ha
riscontrato forti flussi migratori, avvicinandola sotto molti aspetti a quella italiana, ed in
parte dal tentativo di fornire un modesto contributo alla letteratura di ricerca in tale
contesto. Il progetto è stato condotto nella città di Dublino, presso la Dublin City
University (DCU), per un periodo di sette mesi circa (Novembre 2011-Maggio 2012)
dove si è cercato di raccogliere dati e testimonianze di interpreti operanti o che hanno
operato in passato all’interno di strutture ospedaliere irlandesi. Nella maggior parte dei
casi le informazioni sono state raccolte tramite intervista faccia a faccia lasciando
sovente libertà di parola all’interprete intervistato. Si è fatto ricorso inoltre ad un
questionario compilabile in linea in modo da raggiungere interpreti operanti in altre città
irlandesi o che per ragioni varie non fossero disponibili ad essere intervistati
personalmente. Tali metodi di ricerca hanno fornito la possibilità di non limitare l’area
d’indagine alla sola città di Dublino, estendendo l’area d’interesse alle città di Galway e
Cork. Al fine della nostra trattazione si è deciso di riportare il contenuto di ogni
intervista e questionario compilato attraverso una progressione tematica, in modo da
dare il giusto spazio ad ogni questione affrontata:
1) Presentazione dell’interprete: lingua/e di lavoro, periodo d’attività nelle strutture
ospedaliere in Irlanda
2) Analisi del percorso formativo intrapreso
3) Modalità d’ingaggio dell’interprete da parte dell’ente ospedaliero
4) Rapporto interprete di comunità e agenzie d’interpretariato: compenso, orario di
lavoro, assistenza all’insorgere di problemi con l’istituzione
90
5) Rapporto interprete di comunità e operatori sanitari: informazioni fornite
dall’istituzione sul caso da seguire, preparazione del personale sanitario a
cooperare con l’interprete
6) Posizione dell’interprete nei confronti dei Codici etici proposti dall’ITIA:
concezione del proprio ruolo all’interno della conversazione triadica
7) Posizione
dell’interprete
nei
confronti
del
principio
di
neutralità:
visibilità/invisibilità nella comunicazione triadica
8) Rapporto fra teoria e pratica: discussione sulle possibili soluzioni per riempire il
divario creatosi all’interno di questa disciplina
9) Soluzioni che il governo irlandese dovrebbe adottare per migliorare la
professione d’interprete di comunità
10) Esperienze lavorative concrete significative al fine della trattazione
Le interviste sono sempre state concordate anticipatamente con l’interprete interessato e
si sono svolte in luoghi pubblici e non all’interno di strutture ospedaliere. Al fine di
tutelare la privacy e la vita professionale del soggetto intervistato si è creato un modulo
di consenso informato per il trattamento delle informazioni riferite in sede d’intervista,
garantendo un completo anonimato. Per questa ragione le interviste riportate in questa
sede verranno suddivise in base a un parametro prettamente legato alla lingua/e con cui
l’interprete lavora. Ad ogni incontro si è utilizzato un blocco note per prendere appunti
e, quando possibile, ci si è avvalsi di un registratore vocale per registrare la
conversazione. Naturalmente, è sempre stato domandato il permesso di registrare
suddetta conversazione, che nella maggioranza dei casi si è risolto con un assenso.
7.1 Modalità di raccolta dei dati: fonti dirette ed indirette
Nel corso della ricerca si è cercato di seguire due filoni d’indagine che potessero
fornire testimonianze dirette ed indirette dell’impiego degli interpreti di comunità
all’interno delle strutture ospedaliere irlandesi. Il primo filone, basato sulle informazioni
scaturite dalle interviste, rappresenta le fonti dirette, mentre il secondo comprende
quelle ottenute indirettamente dagli ospedali. Per questa ragione, sotto consiglio della
Prof.ssa Phelan, i contatti dei singoli interpreti sono stati reperiti sul sito web dell’ITIA
dove è stata costituita una lista di interpreti certificati operanti in Irlanda in vari contesti
91
lavorativi. Sebbene la nostra ricerca sia circoscritta al solo ambito socio-sanitario si è
deciso di contattare ogni interprete presente in suddetto elenco, in quanto si è potuto
appurare come talvolta gli ambiti d’impiego dell’interprete indicati non fossero
aggiornati. Per questa ragione, tramite posta elettronica, ad ognuno è stata inviata la
descrizione del progetto di ricerca in corso, evidenziando la necessità di raccogliere
testimonianze di esperienze lavorative d’interpretariato in ambito sanitario sul territorio
irlandese. Inoltre ad ogni interprete è stato inviato un documento contenente le
principali tematiche che sarebbero state affrontate in sede d’intervista.
In totale sono state inviate 81 mail ad 81 diversi interpreti, di cui 30 infine hanno
ottenuto risposta. Fra questi 17 hanno affermato di non avere nessuna esperienza
d’interpretariato in ambito sanitario (healthcare interpreting), sottolineando come in
prevalenza la propria professione consistesse nell’operare in contesti legali come
tribunali o stazioni di polizia, ed in servizi d’assistenza sociale di varia natura; 2 hanno
esplicitamente dichiarato di non essere interessati a prendere parte alla ricerca in nessun
modo, le ragioni tuttavia non sono state specificate; 1 ha dichiarato di avere lavorato
una volta in passato all’interno di strutture sanitarie irlandesi, sottolineando alcuni lati
negativi dell’esperienza. Al fine della nostra trattazione di seguito si riporterà
interamente la risposta fornita da suddetto interprete:
“I only worked as an interpreter in the Irish Health System on one occasion, several
years ago. It was very interesting but very poorly paid and intense, so I declined other
similar jobs that came up in that area later on. I am afraid I would not be able to provide
valid answers to many of your questions. My experience is mostly in the area of written
translation.”
Le interviste a cui ci si dedicherà nei successivi paragrafi di questo capitolo descrivono
l’attività di dieci interpreti che hanno accettato di contribuire a questa nostra ricerca
(due di questi pur avendo preso parte alla ricerca tramite la compilazione del
questionario non hanno fornito dati coerenti e significativi. Data l’incomprensibilità
delle informazioni fornite si è deciso d’escluderli dalla trattazione). La loro esperienza
lavorativa nelle strutture ospedaliere d’Irlanda ha così potuto fornire un quadro generale
delle dinamiche che coinvolgono l’interprete di comunità in tale ambito lavorativo. Il
92
loro contributo ha rimediato alla difficoltà incontrate nell’ottenere qualsiasi
informazione
dalle
strutture ospedaliere
di
Dublino,
rivelatesi
praticamente
inaccessibili. Di seguito verranno riportati gli ospedali pubblici e privati contattati:
1) Beaumont Hospital
2) St. Vincent’s University Hospital
3) Mater Misericordiae University Hospital
4) Rotunda Hospital
5) St. Luke Hospital
6) St. Michael Hospital
7) St. Vincent private Hospital
Fra questi solamente il Beaumont Hospital ha dichiarato di non avere nessun protocollo
attivo dedicato a pazienti con scarsa padronanza della lingua inglese ed il rapporto
interprete/operatore sanitario, mentre gli altri non hanno fornito nessuna informazione.
7.2 Le interviste
7.2.1 Interprete A: lingua Spagnola e Portoghese
La prima interprete (interprete A) che ha accettato di prendere parte al progetto di
ricerca è stata intervistata a Dublino previo appuntamento precedentemente concordato.
Il nostro incontro avviene in un bar situato nel centro della capitale irlandese. Dopo
averle illustrato personalmente lo scopo principale della mia ricerca le chiedo il
permesso di registrare la conversazione, ma lei risponde che preferirebbe di no in
quanto ha un tremendo abbassamento di voce. Mi domanda tramite quali canali ho
trovato il suo indirizzo mail, risultando alquanto sorpresa nello scoprire che i suoi dati
fossero stati inseriti in un elenco di interpreti professionisti in linea sul sito dell’ITIA.
Sorride quando le spiego di avere consultato tale elenco sotto consiglio della Prof.ssa
Phelan, in quanto in passato rivela di avere frequentato il corso dedicato alla figura
professionale dell’interprete di comunità attivato alla DCU e di averla conosciuta
personalmente. L’interprete A è originaria della Spagna e opera come interprete in
Irlanda dal 2005. Per la maggior parte viene impiegata come interprete/mediatrice dalla
lingua Spagnola a quella Inglese e viceversa ma talvolta accetta anche incarichi di
93
lingua Portoghese. Le chiedo in quali settori lavora principalmente e mi risponde che in
realtà nel corso della sua attività professionale ha avuto modo d’esercitare in ogni
ambito istituzionale: dalle stazioni di polizia (che in Irlanda prendono il nome di “Garda
stations”), alle carceri, ai tribunali ed alle strutture sanitarie. L’esperienza dell’interprete
A all’interno del settore sanitario è circoscritta ai soli ospedali di Dublino, ma afferma
di non ricordare esattamente i nomi delle strutture in cui ha operato. Le chiedo se ha
potuto riscontrare differenze fra strutture ospedaliere pubbliche e private in materia di
protocolli previsti per la fruizione dei servizi linguistici, e modalità di relazione con gli
operatori sanitari. La situazione, mi spiega, è abbastanza complessa, in quanto sovente
gli ospedali hanno delle sezioni pubbliche ed altre private, quindi all’interprete non
sempre risulta chiara la loro natura. Inoltre, spesso il trattamento del paziente è
fortemente legato alla polizza assicurativa posseduta. Afferma, dunque, di non essere in
grado di fare una distinzione qualitativa precisa fra strutture ospedaliere pubbliche e
private, ma ci tiene a sottolineare che in base alla propria esperienza la preparazione
degli operatori sanitari varia da struttura a struttura, perfino da reparto a reparto.
A questo punto dell’intervista mi è sembrato naturale richiedere un chiarimento sulle
modalità con cui l’istituzione, ovvero la struttura ospedaliera, è solita prendere contatto
con lei. L’interprete A inizia sottolineando come non sia mai stata contattata
personalmente dalle strutture ospedaliere, ma sempre dalle agenzie d’interpretariato che
diventano veri e propri intermediari fra interpreti ed ospedali. Tuttavia, precisa come per
gli interpreti che si occupano di lingue meno comuni, come possono essere quelle
Africane, la questione può essere diversa in quanto è più probabile che vengano
contattati direttamente. Afferma come le modalità di selezione degli interpreti da
impiegare nei servizi di pubblica utilità fino a pochi anni fa non tenessero conto del
percorso formativo e delle certificazioni possedute. Sottolinea che sebbene attualmente
le cose stiamo migliorando sotto questo punto di vista i corsi di formazione e di training
organizzati dalle singole agenzie d’interpretariato continuano ad essere molto pochi e
spesso inefficaci. Una volta contattata, l’interprete A mi spiega come nella maggioranza
dei casi non le venga fornita nessuna documentazione riguardante il caso clinico che
dovrà essere seguito, venendogli comunicato solamente il dove (ospedale e talvolta il
reparto) e il quando dovrà portare a termine l’incarico.
94
Rapporto interprete e personale sanitario
In base alla propria esperienza lavorativa l’interprete A ha potuto riscontrare come la
formazione e la preparazione degli operatori sanitari in materia di cooperazione con un
interprete sia piuttosto eterogenea. Mi racconta che sovente il personale ospedaliero
rimane disorientato e perplesso sentendola parlare in prima persona durante l’evento
mediato, ma ci tiene a sottolineare come non sia suo compito spiegare loro il proprio
ruolo e le modalità con cui avviene la mediazione. Altre volte, mi spiega, è capitato che
le venissero affidati compiti che non le competevano in quanto interprete: come ad
esempio il sorvegliare il paziente in attesa del medico o accompagnarlo alla farmacia
interna dell’ospedale per ritirare dei farmaci. L’interprete A ritiene che non sia suo
dovere assicurarsi che il paziente rimanga nell’ambulatorio in attesa del medico,
affermando che questo è compito del personale ospedaliero. Per questa ragione non si
farebbe mai carico di tale responsabilità. Mi confida, invece, che sebbene
l’accompagnare i pazienti a ritirare le medicine alla farmacia dell’ospedale non sia suo
dovere, di solito valuta caso per caso. Ad ogni modo spiega come in altri frangenti ha
avuto modo di collaborare con personale sanitario preparato a prendere parte all’evento
mediato. Preparazione che secondo
l’interprete A è dovuta principalmente
all’esperienza accumulata nel corso della propria attività lavorativa.
Percezione del proprio ruolo
A questo punto dell’intervista cerco di capire quale sia la posizione dell’interprete A
nei confronti dei Codici etici promossi dall’ITIA e la percezione del proprio ruolo. Con
un tono di voce che non vuole lasciare spazio a dubbi afferma come un interprete abbia
il dovere di seguire rigidamente il codice etico. I principi dell’imparzialità e la
confidenzialità vengono ritenuti valori assoluti che prescindono dal contesto lavorativo.
La condotta dell’interprete deve essere neutrale, quindi invisibile ai partecipanti primari,
cosicché non si assume mai un ruolo attivo nella conversazione triadica. Solamente in
casi limite in cui il paziente comunichi l’intenzione di suicidarsi o fare del male a terzi,
l’interprete A si sente in dovere di non rispettare questi principi. Ad ogni modo, in base
alla propria esperienza lavorativa afferma come esercitare in una struttura ospedaliera
sia relativamente più semplice rispetto ad un tribunale, in quanto il rapporto con il
95
cliente è più diretto e vi sono meno vincoli formali. Ci tiene a sottolineare, tuttavia,
come nell’ambito giuridico si presti più attenzione al percorso formativo dell’interprete
e alla certificazioni possedute rispetto all’ambito socio-sanitario.
7.2.2 Interprete B: lingua Spagnola, Portoghese, Francese
L’incontro con la seconda interprete (interprete B) intervistata ha avuto luogo il
18/04/2012 a Dublino. In questo caso è stato possibile registrare la conversazione.
L’interprete B è di origine spagnola e ha lavorato come interprete di comunità in Irlanda
per un periodo di sei anni (dal 2004 al 2010) sempre nella città di Dublino. Ha operato
principalmente come mediatrice di lingua Spagnola ma le è capitato d’accettare anche
incarichi concernenti la lingua Portoghese e Francese. Attualmente, mi spiega, ha
intrapreso nuove strade professionali legate soprattutto alla traduzione e, per ragioni
personali, sono due anni che non lavora più assiduamente come interprete. Sottolinea
che di tanto in tanto continua ad accettare qualche incarico, più per passione per la
propria vecchia professione che per un concreto riscontro economico, ma assolutamente
non in ambito sanitario in quanto ritiene sia troppo stressante. Le chiedo quale sia stato
il suo percorso di formazione e lei mi rivela di avere seguito una serie di corsi
universitari in Spagna e di avere poi lavorato per un breve periodo come interprete di
conferenza (conference interpreter), poi una volta in Irlanda ha conseguito il certificato
di laurea per interpreti di comunità (Graduate certificate for community interpreting)
attivato alla DCU. Nel corso della sua esperienza lavorativa mi racconta di avere
operato soprattutto in centri d’accoglienza per immigrati ed in ospedali, in particolar
modo in reparti legati all’igiene mentale (mental health) dei pazienti. Mi spiega che
sebbene nella maggioranza dei casi venisse contattata dalle agenzie d’interpretariato in
alcuni frangenti legati alla branca dell’igiene mentale era la struttura ospedaliera a
contattarla direttamente.
Rapporto con le agenzie d’interpretariato
Parlando delle agenzie d’interpretariato mi riferisce un aneddoto che ho trovato
particolarmente interessante e utile al fine della ricerca condotta. Mi racconta come le
sia capitato di essere stata contattata telefonicamente da un’agenzia che domandava
96
disponibilità per seguire una mediazione all’interno di una struttura sanitaria di Dublino.
L’interprete B pur fornendo la propria disponibilità sottolinea tuttavia che in qualità di
professionista certificata la sua tariffa oraria avrebbe corrisposto ad un quantitativo
preciso, evidentemente più alto rispetto alle tariffe proposte dall’agenzia stessa.
Cosicché la replica che è seguita è stata: “tutti gli interpreti sono qualificati e la tariffa
oraria è standard e uguale per tutti”. Per questa ragione dichiara di avere rifiutato il
lavoro e afferma che è impossibile che tutti gli interpreti operanti in Irlanda siano
certificati, in quanto l’unico corso accademicamente abilitante presente nel paese è
quello attivato alla DCU. In realtà, dice, durante il mio periodo d’attività ho potuto
notare come alle agenzie interessasse unicamente che l’interprete reclutato parlasse una
determinata lingua a prescindere dalle certificazioni o esperienza possedute.
Considerazione dell’interprete all’interno delle strutture ospedaliere
L’interprete B spiega che lavorare come interprete di comunità all’interno delle
strutture ospedaliere è particolarmente complesso ed emotivamente stressante per
molteplici ragioni. Prima fra tutte, mi confida, è la sensazione che gli operatori sanitari
non vedano nell’interprete un professionista con cui cooperare alla pari, cosicché dal
suo punto di vista viene un po’ a mancare quel rapporto di fiducia reciproca su cui si
dovrebbe basare una collaborazione professionale. I partecipanti primari all’evento
mediato non sempre sanno cosa aspettarsi dall’intervento dell’interprete e come
comportarsi durante l’evento mediato. Dice che “è un po’ come trovarsi tra due fuochi:
da una parte il medico, dall’altra il paziente”. Sottolinea, ad esempio, come la gestione
dei turni di parola risulta essere una delle principali sfide che ha dovuto affrontare
quotidianamente, specialmente nel caso in cui più partecipanti alla conversazione
inizino a parlare contemporaneamente.
La questione legata al riconoscimento dello status professionale degli interpreti di
comunità certificati è una questione che le sta molto a cuore, motivo per cui in passato
ha collaborato alla creazione dei codici etici promossi dall’ITIA. Mi spiega che
l’obiettivo principale era quello di creare una linea guida rappresentante situazioni ideali
a cui ogni interprete avrebbe potuto fare riferimento. Naturalmente, sebbene i principi
contenuti in essi siano da rispettare è necessario calarli nella realtà lavorativa quotidiana
per evidenziarne tutte le sfumature applicative. Riferendosi in particolare al principio
97
dell’imparzialità afferma come esso sia fondamentale per la buona riuscita della
mediazione. Richiamando alla mente le teorie di Wadensjӧ ed Angelelli le chiedo se
pensa sia possibile ottenere una totale invisibilità dell’interprete nel corso dell’evento
mediato. Mi risponde che sebbene tale comportamento sia auspicabile è spesso molto
difficile raggiungere tale situazione ideale, anche se l’interprete professionista dovrebbe
concentrarsi per avvicinarsi il più possibile a tale traguardo. Dice che ad ogni modo è
pressoché inevitabile che ogni interprete, in quanto essere umano, inserisca all’interno
della propria traduzione elementi del proprio essere. Il suo intervento nella
conversazione triadica, nel caso sia minimo, non viene così considerato un tabù.
Facendo riferimento alla propria esperienza lavorativa afferma inoltre che l’avere
sempre lavorato con lingue culturalmente molto simili fra loro ha dovuto intervenire
poche volte per chiarire fraintendimenti rilevanti fra i partecipanti primari.
Formazione dell’interprete ed iniziative governative
L’interprete B afferma come la formazione ed il training sia fondamentale per
raggiungere un buon livello di competenza professionale. Tuttavia, è sua opinione che il
percorso di crescita di ogni interprete non sia mai finito e che di conseguenza richieda
costante dedizione. Personalmente mi confida di essersi resa conta che la propria
formazione non si è rivelata sufficiente a svolgere con tranquillità il proprio lavoro,
soprattutto per quel che riguarda l’uso del lessico specifico in campo medico. Colmare
questa lacuna avrebbe richiesto un dispendio di tempo e di energie che a suo dire non
avrebbero avuto un ugual riscontro economico e professionale. Le sue parole sono:
“investire tanto tempo ed energie in tal senso non ne vale la pena: non si è considerati
professionisti, i medici ti trattano come non fossi nessuno, non sei sostenuto da nessuna
associazione tranne l’ITIA. Le condizioni lavorative per un interprete professionista in
Irlanda sono molto dure.”
Mi spiega come lo stesso governo irlandese tuttora non stia facendo nulla per migliorare
le condizioni lavorative degli interpreti di comunità. Non c’è nessun sistema attivato per
valutarne la qualità del servizio offerto ed ognuno lavora autonomamente, nella
maggioranza dei casi come freelance.
98
7.2.3 Interprete C: lingua Cinese
L’interprete C è stata intervistata a Dublino il 4/05/2012 a seguito di diversi contatti
avvenuti tramite posta elettronica. Lavora come interprete di comunità in Irlanda dal
2003 e nella maggioranza dei casi offre servizi di mediazione linguistica per la
comunità cinese. La Prof.ssa Phelan la descrive come una delle migliori interpreti di
lingua Cinese presente a Dublino. Presentandosi l’interprete C mi ha offerto il suo
biglietto da visita sopra il quale erano sovrimpresse le proprie generalità, la professione
e le lingue trattate. Il tutto sia in lingua Inglese che in Cinese. Sebbene le risposte
fornite nel corso dell’intervista siano state precise e senz’altro interessanti dal punto di
vista della nostra ricerca, ho potuto notare un forte rigore nel fornire la risposta
essenziale ad assolvere la richiesta di ogni singola domanda. Atteggiamento che mi ha
indubbiamente stimolato ad affinare i quesiti posti.
Iniziamo dalla formazione e mi racconta di avere conseguito una laurea di traduzione
ed interpretariato in Cina, ed una volta arrivata in Irlanda ha frequentato diversi
laboratori di formazione e training per interpreti di comunità proposti dalla DCU. Mi
spiega che nel corso della propria esperienza lavorativa ha avuto modo d’operare in
diversi ambiti istituzionali, come stazioni di polizia, tribunali ed ospedali. Di tanto in
tanto, aggiunge, le capita di lavorare all’interno di istituti scolastici, in particolar modo
durante incontri fra genitori ed insegnanti e riunioni di varia natura. Noto con interesse
che afferma d’accettare molto raramente incarichi in ambito sanitario, in quanto il
lavoro è meno retribuito ed in più molto stressante. Per questa ragione ne approfitto per
chiederle informazioni sul compenso che generalmente le viene destinato ad ogni
incarico e tramite quali canali viene contattata dalla struttura ospedaliera. Risponde che
gli incarichi le vengono quasi sempre affidati dalle agenzie d’interpretariato, che pagano
molto poco, ovvero 18 euro all’ora senza nessuna spesa di trasporto pagata. Per questa
ragione preferirebbe essere contattata direttamente dall’istituzione cosicché da eliminare
lo scomodo intermediario. Parlando della documentazione fornita dall’agenzia sul caso
da seguire afferma che le uniche informazioni che vengono messe generalmente a suo
disposizione sono il luogo, la data dell’incontro e le generalità del paziente. Cosicché
non viene comunicato nessun dato riguardante la natura dell’incarico.
99
Preparazione del personale sanitario
Mi spiega come nel corso della propria esperienza lavorativa all’interno delle
strutture sanitarie di Dublino abbia sempre trovato personale medico preparato a
cooperare con lei e che si sia sempre sentita trattare da professionista. Sottolinea come il
suo ruolo risultasse chiaro agli operatori sanitari, che di conseguenza non le hanno mai
affidato compiti che andassero al di là delle proprie competenze in quanto interprete.
Vuole evidenziare, inoltre, come l’interprete non è assolutamente responsabile
dell’andamento della conversazione fra i partecipanti primari, cosicché non deve
intervenire in nessun caso, cercando d’essere il più invisibile possibile.
Regolamentazione della professione d’interprete
L’interprete C afferma come in Irlanda ci sia un forte bisogno di regolamenti per
gestire e tutelare gli interpreti professionisti, in quanto al momento attuale chiunque può
autodefinirsi interprete. Mi confida che sebbene i codici etici creati dall’ITIA siano di
indubbia utilità per migliorare la qualità del servizio offerto, un ruolo cruciale è
ricoperto dall’esperienza lavorativa che un
interprete accumula negli anni.
Naturalmente, ribadisce che la formazione costituisce la base su cui debba poggiare tale
esperienza.
7.2.4 Interprete D: lingua Rumena
Le informazioni fornite dall’interprete D non sono state ottenute tramite intervista
faccia a faccia, bensì tramite la compilazione di un questionario inviatole via posta
elettronica. Si è dovuto ricorrere a questo strumento in quanto l’interprete in questione,
a causa di motivi di lavoro, non ha fornito la propria disponibilità ad essere intervistata
personalmente. L’interprete D è di origine rumena ed opera come interprete di comunità
in Irlanda dal Dicembre 2001. Afferma di essere una interprete professionista e nel 2009
di avere conseguito la laurea per interpreti di comunità attivata (Graduate Certificate in
Community Interpreter) alla DCU. Mi spiega che all’inizio della propria attività ha
lavorato principalmente in tribunali e per un certo periodo con l’Ufficio Nazionale
dell’Immigrazione (Garda National Immigration Bureau, GNIB), ente che si occupa del
100
controllo dei flussi d’immigrazione illegale e traffici di essere umani che prevaricano i
confini nazionali irlandesi. Attualmente opera soprattutto all’interno di scuole e strutture
sanitarie, sottolineando inoltre di avere avuto modo ci cooperare con la Health Service
Executive (HSE), associazione che gestisce ed organizza molteplici servizi sanitari
pubblici in tutta la Repubblica d’Irlanda. In base alla propria esperienza in ambito sociosanitario racconta che nella maggior parte dei casi viene contattata dalle agenzie
d’interpretariato, aggiungendo però che alcuni incarichi le vengono affidati direttamente
dalla struttura ospedaliera.
Influenza del contesto lavorativo sul ruolo dell’interprete
Facendo riferimento al pensiero di Angelelli secondo cui la natura di ogni ambito
lavorativo può influenzare fortemente la condotta dell’interprete che si ritrova ad
operare in esso, chiedo all’interprete D di esprimere la propria opinione nei confronti di
tale assunto. Nella pratica quotidiana, mi dice, il ruolo dell’interprete è intercambiabile
e varia in base al contesto lavorativo di riferimento. Naturalmente, la fissazione di
principi etici precisi è sicuramente utile per migliorarne lo status professionale ed
aiutarlo ad emanciparsi da un contesto in cui le “regole del gioco” sono create dalle
agenzie di traduzione che, in realtà, detengono relazioni contrattuali con la maggioranza
dei servizi sanitari d’Irlanda. Tuttavia, sebbene diverse scuole di pensiero dipingano
l’interprete come neutrale ed invisibile sottolinea come possano crearsi situazioni in cui
il proprio ruolo diventa attivo e visibile. I regolamenti della struttura ospedaliera e le
abilità interpersonali degli operatori sanitari sono elementi cruciali che determinano la
qualità della mediazione e talvolta la condotta stessa dell’interprete. Tuttavia, la propria
esperienza lavorativa ha riscontrato una forte eterogeneità nella preparazione del
personale sanitario in materia di comunicazione interlinguistica.
Interpretariato di comunità: fra teoria e pratica
Facendo riferimento al tema del divario fra teoria e pratica, trattato negli scorsi
capitoli, che interessa la disciplina dell’interpretariato di comunità vorrei riportare
integralmente ed in lingua originale l’opinione fornita dall’interprete D, in quanto credo
sia molto interessante:
101
“The theory is good for the academic world; the reality is different for each interpreter,
his/her training, experience and the work settings. The problem in my view is the lack
of knowledge of adequate medical terms and expertise by many interpreters that are
used to interpret in the healthcare.”
In questo caso vengono così toccate due grandi questioni: 1) la percezione concreta
della distanza fra mondo accademico e realtà quotidiana; 2) la necessità di una
formazione più mirata e dedicata a specifici ambiti lavorativi. L’interprete D afferma
come il corso accreditato d’interpretariato di comunità in Irlanda attivato alla DCU
rappresenta sicuramente un passo in avanti verso un riavvicinamento fra teoria e pratica.
Tuttavia, sottolinea come solamente un numero esiguo di interpreti, su centinaia attivi in
tutto il paese, hanno frequentato tale corso.
7.2.5 Interprete E: lingua Polacca I
Il primo interprete di lingua polacca (interprete E) che verrà preso qui in
considerazione ha accettato di compilare il questionario inviatogli via mail ma non di
essere intervistato personalmente. Purtroppo alcune risposte fornite si sono rivelate
piuttosto essenziali e non è stato possibile richiedere ulteriori informazioni. Per questa
ragione alcuni elementi importanti emersi dal questionario saranno riportati in modo
schematico, seguendo la struttura domanda-risposta.
L’interprete in questione ha dichiarato d’avere lavorato come interprete di comunità in
Irlanda per 7 anni (dal 2005 ad oggi, soprattutto nella città di Cork), e di avere seguito
incarichi in ogni settore istituzionale, strutture sanitarie comprese. Parlando della
propria formazione fornisce un dettagliato resoconto del proprio percorso di studi che
riporterò di seguito:
1) BA in English teaching
2) MA in English Philology
3) Post-graduate studies in translation and interpreting
102
Domande e risposte
1) Q: Generally, how are you contacted by the healthcare bodies: directly by phone,
by means of an interpreting agency etc?
A: Agencies
2) Q: Do healthcare operators give you enough information about the case you are
about to follow: information about the patient (even confidential), documents
etc?
A: I have to ask, sometimes no info.
3) Q: Have you ever found obstacles while working in the Irish healthcare system?
If so, which ones?
A: Left alone with a patient for a long time, poor pay, stress due to nature of
assignments.
4) Q: In your work experience have you found that healthcare operators are
prepared to cooperate with an interpreter? Are they aware of the complexities
linked to your role? Do they know the basics of a cross-linguistic
communication?
A: Sometimes yes, mostly no.
5) Q: Do you find the ITIA’s code of ethics useful?
A: Yes, but in practice it can be difficult to apply, does not take into account the
dynamics of human interaction.
6) Q: How do you perceive your role in the healthcare interpreting context:
neutral/active, visible/invisible? Do you think the work setting can affect these
elements?
A: Neutral and invisible. Yes, depending on expectations of health care
specialists.
7) Q: What do you think of the gap between theory and practice in the healthcare
interpreting?
A: It can be wide, but my aim is to reduce it by adhering to professional
guidelines.
8) Q: What do you think of the education of interpreters in Ireland (education and
training)?
103
9) A: There is little point as pay is very poor and training is very expensive.
Interpreting is being de-professionalised so why would anyone want to get
trained?
7.2.6 Interprete F: lingua Polacca II
La seconda interprete di lingua Polacca (interprete F) lavora e risiede nella città di
Galway. Sebbene avesse dato la propria disponibilità ad essere intervistata
personalmente, per motivi squisitamente pratici, si è deciso di condurre l’intervista
tramite videoconferenza. L’interprete F lavora in Irlanda come interprete di comunità
dal 2006 e la maggioranza delle proprie esperienze professionali sono state condotte
nella propria città di residenza. Parlando del proprio percorso formativo l’interprete ha
sottolineato d’avere conseguito:
1) DCU Graduate Certificate in Community Interpreting, Dublin
2) Postgraduate Certificate in Translation Wrocław University, Poland
3) Diploma in Translation, London City University
4) NICEM Community Interpreting Training
5) Dublin Rape Crisis Centre Interpreting in Sensitive Situations
6) Workshops with Context, Galway
7) Workshops with ITIA, Dublin
Il Briefing
L’interprete F mi spiega d’avere lavorato ovunque vi fosse la necessità di un
interprete di lingua Polacca: dagli ospedali, alle stazioni di polizia, tribunali distrettuali
e sindacali, corti d’appello. Riferendosi in particolar modo al contesto socio-sanitario
afferma come sovente gli ospedali detengano contratti con le agenzie d’interpretariato
che a loro volta inviano i propri interpreti freelance. Sottolinea come non venga quasi
mai fornita la possibilità di briefing con il personale sanitario al fine di mettere al
corrente l’interprete in merito ai dettagli del caso che sarà trattato. Mi dice che fornire
un quadro generale della natura dell’incarico e delle condizioni del paziente
immediatamente prima dell’evento mediato non permette all’interprete di prepararsi
104
adeguatamente al fine di fornire un servizio ottimale. Il principale problema legato a
questa mancanza viene individuato nella difficoltà di traduzione dei termini tecnici
legati al mondo della medicina che potrebbero emergere durante il consulto fra medico
e paziente.
L’interprete F è molto critica nei confronti della preparazione degli operatori sanitari
con cui ha avuto modo di cooperare in questi anni. Afferma che solitamente non sono a
conoscenza della natura della professione dell’interprete e del ruolo che ricopre. Per
questa ragione ha avuto modo di riscontrare diversi comportamenti che hanno messo
seriamente in difficoltà la comunicazione interprete-medico-paziente:
1) Tendenza a rivolgersi all’interprete piuttosto che direttamente al paziente
2) Tendenza a parlare velocemente ed inserire troppe informazioni in un unico
enunciato
3) Tendenza a richiedere all’interprete servizi che vanno oltre la propria
professione
Si afferma dunque che spetta all’interprete (sempre che sia qualificato e quindi in grado
di farlo) gestire la sessione di mediazione in modo da produrre un esito positivo.
Interpreti “ad hoc”
Come si è potuto leggere negli scorsi capitoli il ricorso ad interpreti improvvisati, i
cosiddetti interpreti ad hoc, è molto frequente all’interno delle strutture ospedaliere
irlandesi. Cercando di calare questo tema nella realtà lavorativa quotidiana ho trascritto
interamente l’opinione dell’interprete intervistata in quanto offre molti spunti
interessanti:
“[…] many people start working without any training, they make lots of
mistakes that affect not only patients but also display bad interpreting
practice to many healthcare professionals we work with, and those
healthcare professionals often learn about interpreting through their
experience with interpreters they meet. There have to be training first before
the practice starts, but often it is impossible to work strictly according to the
guidelines and some things have to be compromised on: e.g. it is not always
105
possible to arrange the seating in a triangle or use the first person “I”, when
you have a whole family to interpret for in front of the doctor who does not
know about interpreting in the first person […]. Of course, one thing is what
we learn and read in the Code of Ethics, another thing is how we act on the
spot, there are lots of unpredictable situations that we have to react to, make
instant wise though difficult decisions about how to behave to remain
professional: could be confidentiality issue or cultural issue for instance;
having the knowledge of the Code of Ethics definitely helps make the right
choice or decision […]. During my work I stay neutral, as invisible as I can,
I provide my voice and accurate interpretation, but I try not to interfere in
the communication between the patient and the doctor or other healthcare
professionals, these matters are often sensitive, intimate, difficult in nature, I
am there to assist not to play the major part.”
L’interprete F afferma che in Irlanda la necessità di creare più percorsi formativi
professionalizzanti per interpreti di comunità è una priorità. Al momento attuale le
agenzie d’interpretariato non attivano laboratori per migliorare le competenze dei propri
interpreti. Conclude quindi con una questa frase:
“[…] education is not appreciated, and its expensive, while in Ireland any
person from the street can come in to interpret, as long as they say they
know the two required languages. Being qualified well I make less money
than when I was starting. Qualified and educated interpreters should be on
different rates to ordinary people taking up interpreting.”
7.2.7 Interprete G: lingua Croata
L’interprete in questione (interprete G) è stata intervista in data 23/04/2012 a
Dublino. Come in altre interviste la conversazione è stata registrata ed è avvenuta in
modo privato in assenza di terzi partecipanti. Al nostro primo contatto, avvenuto via
posta elettronica, mi dice di essere interessata a prendere parte al progetto di ricerca
sottolineando però di non lavorare più come interprete di comunità da alcuni anni.
Attualmente, mi dice, si occupa principalmente di traduzioni scritte e non accetta più
106
incarichi legati alla mediazione linguistica. Le spiego che l’indagine che si sta
svolgendo non è dedicata unicamente all’attività professionale dell’interprete in Irlanda
nel momento attuale ma copre un periodo di una decina d’anni, per questa ragione la
propria testimonianza sarebbe stata utile ad arricchirne la documentazione.
All’inizio del nostro incontro mi spiega che la propria esperienza lavorativa come
interprete di comunità risale al 2001 e si è protratta fino al 2005, periodo in cui ha avuto
modo di eseguire diverse mediazioni linguistiche per la comunità croata di Dublino.
Chiedendo informazioni sul percorso formativo intrapreso scopro che ha ottenuto la
laurea in lingua inglese in Croazia, dove sottolinea erano previsti moduli dedicati
all’interpretariato, per poi conseguire un master in translation studies. Ad ogni modo,
afferma di non avere seguito nessun corso dedicato all’interpretariato di comunità
promosso dalla DCU. Durante il proprio periodo d’attività mi racconta d’avere seguito
incarichi principalmente all’interno di strutture sanitarie e solo di tanto in tanto in
tribunali o stazioni di polizia. Inoltre, spiega di avere lavorato frequentemente per
SPIRASI: fondata nel 1999 è un’organizzazione umanitaria interculturale non
governativa che si occupa di migranti richiedenti asilo, con particolare attenzione nei
confronti di rifugiati sopravvissuti a torture di ogni genere. Questa organizzazione si
prefigge così l’obiettivo di garantire il benessere psicofisico della persona e la propria
integrazione nella società irlandese.
L’assegnazione dell’incarico: la tempistica
Come avevo già avuto modo d’apprendere dalla maggioranza degli interpreti
intervistati, anche in questo caso l’agenzia d’interpretariato diventa il “terzo cliente”
(Ozolins, 2007) dell’interprete di comunità; ennesima testimonianza della fondatezza
dell’assunto di Ozolins che abbiamo potuto analizzare nel secondo capitolo di questa
trattazione. In questo frangente, tuttavia, decido di puntare l’attenzione sulla tempistica,
ovvero il preavviso con cui tale organo dà comunicazione dell’incarico da seguire
all’interprete. L’interprete G mi racconta come in base alla propria esperienza le agenzie
chiamano l’interprete semplicemente quando ne hanno la necessità, cosicché l’incarico
potrebbe avere luogo il giorno stesso così come la settimana successiva; solo raramente,
mi dice, vengono concordati anticipatamente (ed in ogni caso si parla di un paio di
giorni d’anticipo). Naturalmente, mi spiega, l’interprete può rifiutare l’incarico qualora
107
venga comunicato con insufficiente preavviso, ma sottolinea come questa tendenza
renda veramente complessa l’organizzazione della propria settimana lavorativa.
Ne approfitto così per chiedere cosa ne pensa dei contratti che solitamente vengono
firmati fra ospedali e agenzie d’interpretariato, e se non avrebbe preferito essere
contattata direttamente dalla struttura sanitaria. Mi spiega che avere un contatto diretto
con
i
propri
clienti
avrebbe
molteplici
vantaggi,
sia
in
termini
di
organizzazione/preparazione dell’incarico da seguire che da un punto di vista
prettamente economico. Ad ogni modo, confessa che per una struttura ospedaliera
risulta probabilmente più pratico rivolgersi ad un organo che può fornire un supporto
multilingue. Tuttavia, al fine di migliorare la qualità del servizio offerto ritiene che le
agenzie dovrebbero meglio tutelare e controllare i propri interpreti, soprattutto in fase di
selezione. Mi racconta così un episodio di un colloquio di lavoro per essere assunta da
un’agenzia. Facendo riferimento a tale incontro dice: “al momento della selezione ho
solo detto di sapere parlare croato, e per loro [l’agenzia] era già sufficiente. Non hanno
eseguito nessun controllo sui certificati che possedevo.”
Interprete: alleato del paziente?
Ho ritenuto interessante interrogare l’interprete G in merito al rapporto che s’instaura
fra la figura dell’interprete ed il paziente prima e durante l’evento mediato. In
particolare, facendo riferimento al principio del “supporto al paziente” (advocacy) da
parte dell’interprete, che come si è visto nel corso di questa trattazione è stato oggetto di
numerosi dibattiti e pareri discordanti.
Innanzitutto, l’interprete G afferma come i principi contenuti nei Codici etici, seppur
utili per l’educazione dell’interprete, rappresentano situazioni ideali piuttosto lontane
dalla realtà. Nei confronti del paziente risulta impossibile essere completamente
invisibili, la stessa presenza fisica dell’interprete lo impedisce. Inoltre, spesso il
semplice fatto di parlare la stessa lingua porta il paziente ad avvicinarsi emotivamente
all’interprete e a considerarlo suo alleato. Detto questo, sottolinea come talvolta è
necessario e giusto intervenire nella conversazione qualora insorgano fraintendimenti
importanti fra i partecipanti primari, ma considera suo dovere non “allearsi” con una
parte in particolare. Le relazioni che s’instaurano fra l’interprete ed i partecipanti
primari sono strettamente legate ed influenzate dal contesto lavorativo, seppure
108
l’interprete G afferma che la propria condotta professionale, in sé, non è mai stata
influenzata da tale fattore. Questa affermazione, mi richiama alla mente il pensiero di
Wadensjӧ secondo il quale molti interpreti a parole sostengono di seguire la stessa ligia
condotta in ogni contesto, per poi contraddirsi nella pratica quotidiana. Assunto che
pare confermato nella frase con cui l’interprete G conclude l’intervista: “ogni situazione
è diversa, spesso si agisce in base alla propria esperienza e giudizio personale.”
7.2.8 Interprete H: lingua Araba
La prima interprete di lingua Araba che ha preso parte a questo progetto ha accettato
di compilare il questionario inviatole via posta elettronica. Tuttavia, le risposte fornite si
sono rivelate molto brevi e spesso incoerenti rispetto alla domanda posta tanto da
perdere la propria significatività. Per questa ragione ho deciso di non prendere in
considerazione questi dati e di riportare invece l’intervista di un'altra interprete di lingua
Araba (interprete H) avvenuta il 9/05/2012 a Dublino e che si è rivelata estremamente
interessante.
L’interprete H è di origine algerina e lavora come interprete di comunità in Irlanda
dal 2002. Principalmente segue mediazioni linguistiche in lingua Araba e Francese in
ambito giuridico, soprattutto consulenze, ma di tanto in tanto le capita di accettare
qualche incarico nel settore sanitario. In particolare dice di avere operato nelle strutture
ospedaliere del St. James Hospital e al Balseskin Hospital di Dublino. Mi spiega come
in passato avesse intenzione di diventare avvocato e per questo motivo in Algeria ha
conseguito un Master in International law. Tuttavia, una volta arrivata in Irlanda
afferma di non avere avuto la possibilità di fare fruttare i propri studi in ambito
giuridico e per questa ragione di essersi dedicata all’interpretariato. Naturalmente, mi
spiega, opera soprattutto in ambito giuridico in quanto possiede una buona conoscenza
terminologica specifica che nel corso della sessione di mediazione si rivela sempre di
fondamentale importanza.
Percorsi di training
Parlando della propria formazione come interprete, mi racconta di avere frequentato
un corso di 12 settimane attivato alla School of Applied Linguistics and Intercultural
109
Studies all’interno della DCU e dedicato all’interpretariato di comunità. Inoltre,
attualmente lavorando spesso per SPIRASI le viene offerta la possibilità di prendere
parte a sessioni di training di 4-5 giorni ciascuna che vengono attivate quotidianamente
e sono a titolo gratuito. L’interprete H mi spiega che in tale contesto si cercano
d’affrontare problemi concreti (problem solving) che ogni interprete può incontrare nel
corso della mediazione. Tuttavia, sottolinea come non si presti particolare attenzione ad
un solo ambito lavorativo, ma tutto ha una portata molto generale.
Per quel che riguarda la propria esperienza come interprete in ambito sanitario
afferma di non avere riscontrato particolari problemi. Afferma come nella maggior parte
dei casi il personale sanitario fosse preparato a collaborare con lei. E’ abbastanza
frequente, mi spiega, che nel corso della conversazione triadica l’operatore sanitario ed
il paziente non parlino direttamente fra loro, ma tendano a comunicare con l’interprete
che poi ritrasmette il messaggio (l’interprete H non considera questo fatto un ostacolo
alla comunicazione o un problema per l’interprete). Parlando del proprio ruolo
nell’evento mediato l’interprete H sostiene che è suo dovere non intervenire in nessun
caso nella conversazione, in quanto non si ritiene responsabile del suo andamento. In
merito afferma: “I’m like a computer”, ovvero un semplice mezzo che interpreta e
ritrasmette un messaggio.
Interprete di comunità: condizioni lavorative in Irlanda
Lavorare come interprete di comunità, afferma l’interprete H, oggigiorno è molto
complesso, e con la crisi economica che ha coinvolto l’Irlanda la situazione non sembra
migliorare. Mi dice che l’interprete non ha diritti, cosicché il proprio status
professionale e le proprie condizioni lavorative non vengono tutelate a dovere. Lo stesso
rapporto con le agenzie d’interpretariato, unico tramite fra interprete e contesto
lavorativo, non viene descritto positivamente. L’interprete H dice: “agencies are more
merchant than professional, they don’t care. They are not professional”. Cercando di
motivare le ragioni di questo assunto mi spiega che nel momento in cui l’agenzia
seleziona gli interpreti non svolge controlli sulle certificazioni possedute, ma la lingua
parlata è quasi sempre l’unica variabile tenuta in considerazione. Da un punto di vista
formale all’interprete viene fatto firmare un documento denominato “confidentiality
agreement” in cui viene esplicitato cosa ci si aspetta dall’interprete e quale dovrà essere
110
la propria condotta nel contesto lavorativo. Tuttavia, sottolinea come poi in realtà non
venga fatto nessun controllo qualitativo sull’effettiva qualità del servizio offerto dai
propri interpreti. L’impossibilità d’avere un rapporto diretto con la struttura ospedaliera,
o generalmente con i propri clienti, viene considerato uno dei principali problemi legati
alla propria professione. I contratti fra agenzie e strutture sanitarie fanno sì che la
maggior parte del compenso per il servizio di mediazione venga destinato all’agenzia
stessa, cosicché solo una minima parte venga riservata all’interprete. Inoltre, anche dopo
che l’interprete ha accettato un incarico, l’agenzia si riserva di poterlo annullare in
qualsiasi momento, senza fornire alcun risarcimento. Mediamente, afferma, la tariffa
oraria con cui viene retribuita va dai 18 ai 25 euro. Mi racconta come in passato abbia
avuto modo di lavorare come interprete per un periodo d’otto messi nel Regno Unito e
di avere riscontrato una profonda differenza rispetto al contesto irlandese. Sia in ambito
giuridico che in quello sanitario ogni struttura possiede una sorta di albo contenente la
lista di interpreti che risultano, previo controllo, essere certificati venendo così chiamat i
direttamente senza intermediario alcuno. Nella fase conclusiva dell’intervista afferma
come lo stesso governo irlandese attualmente in carica sembra non prendere in
considerazione le problematiche legate alla propria professione. Finché non saranno
stabiliti dei regolamenti precisi che tutelino e controllino l’attività degli interpreti di
comunità in Irlanda le cose tenderanno a rimanere immutate, rendendo così la propria
professione frustrante.
111
CONCLUSIONI VIII
In questo nostro progetto si sono presi in considerazione molteplici aspetti legati alla
figura professionale dell’interprete di comunità. L’impianto teorico iniziale ha costituito
le fondamenta della ricerca vera e propria che, nella seconda parte del lavoro, si è
concretizzata nella raccolta di testimonianze lavorative reali fornendo un’immagine
d’insieme dell’attività degli interpreti di comunità operanti all’interno di diverse
strutture ospedaliere della Repubblica d’Irlanda. Cercando di ripercorrere questo nostro
progetto di seguito verrà proposta la sintesi dei concetti principali affrontati arrivando
poi a formulare alcune considerazioni conclusive.
Nella prima parte del nostro lavoro ci si è dedicati a descrivere il concetto
d’interpretazione ed a delineare la fisionomia della natura dell’interprete. Tramite
l’analisi ed il confronto di teorie formulate da diversi studiosi in questo campo ci siamo
allontanati dalla concezione d’interpretazione come mero atto meccanico. L’interprete
non viene più considerato un “mezzo” tramite il quale avviene la comunicazione ma al
contrario esso ne è parte attiva e contribuisce alla negoziazione del significato. Questo
assunto, che così nettamente prende le distanze da metafore meccanicistiche, ha così
portato a prendere in esame il concetto di “invisibilità” che più di ogni altra variabile
può influenzare la condotta e definire il ruolo dell’interprete stesso. Vero pomo della
discordia fra studiosi e professionisti, tale principio è stato rivisitato al punto di
promuovere l’interprete da “fantasma” a “essere sociale” soggetto e partecipante
all’evento comunicativo. Abbiamo così messo in evidenza la natura dialogica della
conversazione triadica basata sull’interazione fra tutti i partecipanti che, in base al
proprio “status di partecipazione”, forniscono un contributo del tutto personale alla
costruzione del discorso.
Proseguendo la nostra trattazione, abbiamo puntato l’attenzione sulle modalità
d’impiego dell’interprete di comunità in ambito socio-sanitario ed in particolare sulle
dinamiche relazionali che s’instaurano fra partecipanti primari e l’interprete stesso, non
dimenticando di definire tuttavia il ruolo giocato dal cosiddetto “terzo cliente
dell’interprete”, le agenzie d’interpretariato. A tal fine è risultato centrale il concetto di
“rapporto di potere” che si crea nel corso della conversazione e che coinvolge ogni
partecipante all’evento comunicativo. Seguendo questo filo conduttore, e le ricerche di
112
diversi studiosi, si è messo in evidenza come tali dinamiche possano avere un impatto
rilevante sia sull’andamento dell’evento mediato che sulla compilazione della diagnosi
finale. Circoscrivendo la nostra indagine alle strutture sanitarie d’Irlanda ci siamo poi
soffermati sul concetto di “accessibilità”, presentando una riflessione qualitativa sui
servizi offerti ai pazienti LEP, e sulle politiche linguistiche adottate dal paese. Si è
messo in evidenza come i forti flussi migratori riscontrati negli ultimi decenni abbiano
condotto a nuove dinamiche relazionali fra istituzioni e società, implicando la creazione
ed il potenziamento di servizi di PSI. Sebbene di cruciale importanza, l’impiego di
interpreti di comunità formali in tale ambito si presenta piuttosto carente, cosicché il
ricorso ad “interpreti ad hoc” si rivela una tendenza piuttosto diffusa all’interno delle
strutture sanitarie irlandesi, pregiudicando sia la qualità che il risultato dell’evento
mediato. Le stesse soluzioni adottate dagli organi governativi in materia di tutela dei
diritti delle minoranze linguistiche sono risultate spesso “chiuse” ed inefficaci ad
assolvere i bisogni di una società linguisticamente e culturalmente sempre più
eterogenea.
Nel tentativo d’approfondire il discorso legato alla regolamentazione della
professione dell’interprete di comunità in Irlanda, si è fatto riferimento poi alla “Irish
translators’ and interpreters’ association” che, come si è avuto modo d’appurare,
costituisce l’unica associazione del paese dedita alla normalizzazione e tutela di tale
professione. Tramite l’analisi dei Codici etici promossi da tale organismo abbiamo
avuto modo di mettere in evidenza i principi basilari che, in linea squisitamente teorica,
determinano il ruolo e la condotta dell’interprete professionista durante l’evento
mediato. Seguendo questo percorso ci siamo soffermati in particolar modo su tematiche
legate alle condizioni lavorative dell’interprete e, usando due Codici etici californiani
come elemento di confronto, sul processo decisionale in caso di dilemma etico.
Avvicinandoci alla conclusione della parte iniziale del nostro lavoro ci siamo
concentrati sulle azioni governative irlandesi intraprese in materia di tutela del diritto
alla non discriminazione linguistica detenuto da ogni cittadino comunitario.
Analizzando parte della Costituzione irlandese, e grazie a studi precedentemente svolti
dalla Prof.ssa Phelan, abbiamo avuto modo di confermare la mancanza di norme
specifiche che garantiscano la provvisione di servizi di PSI all’interno delle strutture
sanitarie nazionali. Allo stesso modo non tutte le direttive emanate dall’Unione
113
Europea, legate a tale diritto, vengono integrate nella legislazione irlandese. Si è così
potuto evidenziare come, in particolar modo il settore sanitario, risenta di questa
mancata
tutela
normativa
lasciando
che
ogni
struttura
ospedaliera
agisca
autonomamente.
Nella seconda parte del nostro progetto, vero cuore della ricerca, si sono riportate le
testimonianze lavorative di diversi interpreti di comunità che lavorano o hanno lavorato
nel contesto sanitario irlandese: in particolar modo nelle città di Dublino, Cork e
Galway. Abbiamo potuto osservare come sia le interviste che i questionari abbiano
rivelato esperienze lavorative eterogenee che talvolta si sono distaccate dall’impianto
teorico delineato nella prima parte del nostro lavoro. La maggior parte degli interpreti
presenti nell’elenco stilato dall’ITIA sono donne, così come coloro che hanno accettato
di prendere parte a questa nostra ricerca. Si è appurato come nella maggior parte dei casi
il proprio percorso di studi sia iniziato nel paese d’origine per poi essere proseguito in
Irlanda, sovente seguendo il corso dedicato all’interpretariato di comunità alla DCU.
Ognuna di esse/i nel corso della propria esperienza ha avuto modo di lavorare in ogni
contesto istituzionale, comprese associazioni no profit come SPIRASI, cosicché
nessuna/o è stata impiegata nel solo ambito sanitario. La struttura ospedaliera risulta
essere un contesto lavorativo piuttosto complesso, emotivamente coinvolgente e spesso
stressante, dove la delicatezza degli argomenti trattati nella sessione di mediazione ne
rendono particolarmente complessa la gestione. La qualità del rapporto interpreteoperatore sanitario-paziente è fortemente legata alla comprensione e rispetto dei
reciproci ruoli, cosa che come si è potuto provare non sempre avviene. Data la scarsa, o
del tutto assente formazione del personale sanitario in materia di cooperazione con un
interprete, l’esperienza acquisita sul campo risulta così sovente fondamentale per
comprenderne la funzione e le modalità di comunicazione nel corso dell’evento
mediato. Essere interprete di comunità in Irlanda significa offrire il proprio servizio
tramite agenzie d’interpretariato che di norma firmano contratti con le aziende
ospedaliere. Spesso noncuranti della stessa preparazione dei propri interpreti, sono
questi organi che affidano loro la maggior parte degli incarichi, sovente senza preavviso
e compensi molto bassi. Da parte loro, le strutture ospedaliere spesso non presentano
nessun protocollo che fornisca linee guida alternative, cosicché il ricorso alle agenzie
d’interpretariato è una prassi consolidata. Probabilmente, la mancanza di fiducia degli
114
operatori sanitari nei confronti della figura dell’interprete, riscontrata in più
testimonianze, potrebbe essere attribuita alla frequente collaborazione con interpreti non
certificati o ad hoc.
I Codici etici promossi dall’ITIA vengono considerati unanimemente utili al fine di
fornire una linea guida a cui ogni interprete possa fare riferimento. Tuttavia, la portata
generale dei principi in essi contenuti spesso fa sì che non riescano a trovare
applicazione concreta nella realtà, essendo incompatibili con regolamenti o procedure
interne alle strutture ospedaliere. In merito si sono potute riscontrare due correnti di
pensiero: la prima, basata sul rispetto totale dei principi prescritti dai Codici a
prescindere dal contesto lavorativo e situazionale; la seconda, invece fondata su un uso
critico di tali principi, adattandoli ad ogni situazione senza rinunciare alla propria
professionalità. Generalmente, facendo riferimento al principio di “neutralità”
dell’interprete si è potuto osservare un’istintiva propensione al sostegno della totale
invisibilità nel corso della sessione di mediazione, anche se, confermando l’assunto
iniziale di Wadensjӧ, in un secondo momento sono stati riportati esempi concreti in cui
l’interprete ha effettivamente ricoperto un ruolo attivo e visibile.
Confrontando le teorie delineate nella prima parte di questo nostro progetto di tesi
con le testimonianze raccolte sul campo, abbiamo potuto notare alcune discrepanze che
hanno evidenziato il divario presente fra teoria e pratica legate alla disciplina
dell’interpretariato di comunità, dando ulteriore conferma agli studi svolti da Angelelli.
Avendo preso in considerazione le esperienze lavorative di interpreti professionisti,
regolarmente formati e certificati, abbiamo potuto mettere in evidenza le sfumature
d’impiego che ogni principio etico può presentare. Probabilmente la formazione/training
unita all’esperienza professionale può aiutare l’interprete di comunità a trovare il giusto
percorso nel dedalo della conversazione triadica, permettendogli così di attuare scelte
ponderate e consapevoli. Abbiamo potuto desumere che ogni contesto lavorativo
presenta le proprie peculiarità, a cui ciascun interprete deve fare fronte con intelligenza
e spirito critico. Gli interpreti che si ha avuto modo di conoscere nel corso di questa
nostra ricerca hanno messo in evidenza la propria passione per questa professione e la
volontà d’affermare il proprio status di professionisti. La regolamentazione e la tutela di
questa figura professionale da parte dello Stato irlandese rappresenterebbe un grande
traguardo, che offrirebbe la possibilità di migliorare i servizi di PSI all’interno delle
115
strutture sanitarie nazionali e di fornire il giusto riconoscimento a persone che con
dedizione hanno scelto d’intraprendere questo avvincente percorso lavorativo e di vita.
116
RINGRAZIAMENTI
Concludendo questi mesi di duro lavoro vorrei innanzitutto ringraziare la Prof.ssa
Rudvin per avere destato il mio interesse per una disciplina senz’altro affascinante e per
avermi offerto la possibilità di realizzare la ricerca in Irlanda. Vorrei inoltre ringraziare
la Prof.ssa Phelan per avere accettato di seguire il mio progetto presso la DCU, e per gli
innumerevoli consigli dati in corso d’opera. Naturalmente, un doveroso ringraziamento
va a tutti gli/le interpreti che hanno accettato di prendere parte a questa ricerca, le cui
testimonianze si sono rivelate fondamentali per la sua realizzazione. Ringrazio la mia
famiglia, che mi ha donato la possibilità di portare a termine il mio percorso di studi. Il
cui consiglio ed esempio ha rappresentato, e rappresenta, il migliore insegnamento che
io possa mai ricevere. In particolare, vorrei ringraziare la mia ragazza Tania per essermi
sempre stata accanto, ed avere compreso e sostenuto il mio desiderio di mettermi alla
prova. Il cui amore e forza mi hanno aiutato a superare i momenti di difficoltà ed a
raggiungere il mio obiettivo. Per questo non posso che esserle grato, e di ritenermi un
uomo fortunato. Infine, ma non per questo meno importanti, vorrei ringraziare i miei
amici di una vita che sebbene impegnati dalla proprie attività e, alcuni come me sparsi
per l’Europa, hanno trovato il tempo d’allietare la mia permanenza in Irlanda con
innumerevoli chiamate spensierate, e divertentissime visite. Grazie a tutti.
117
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http://www.garda.ie/
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www.spirasi.ie
122
APPENDICE A
Questionnaire
1) How long have you been working as a community interpreter in Ireland?
2) Which Language/s do you work with?
3) What course of study have you attended to become a professional interpreter?
4) Have you been working only in hospitals or also in courts, garda station etc?
5) Have you worked in both public and private hospitals in Ireland? If so, have you
noticed any differences?
6) Generally, how are you contacted by the healthcare bodies: directly by phone, by
means of an interpreting agency etc?
7) Do healthcare operators give you enough information about the case you are
about to follow: information about the patient (even confidential), documents
etc?
8) Have you ever found obstacles while working in the Irish healthcare system? If
so, which ones?
9) In your work experience have you found that healthcare operators are prepared
to cooperate with an interpreter? Are they aware of the complexities linked to
your role? Do they know the basics of a cross-linguistic communication?
10) Do you find the ITIA’s code of ethics useful? What are the merits and limits?
11) How do you perceive your role in the healthcare interpreting context:
neutral/active, visible/invisible? Do you think the work setting can affect these
elements?
12) What do you think of the gap between theory and practice in the healthcare
interpreting?
13) What do you think of the education of interpreters in Ireland (education and
training)? What are the merits and limits?
123
APPENDICE B
Informed consent form for Interpreters
How professional Community interpreters manage communication with Limited
English Proficiency patients and what their relationship is with the Irish healthcare
system.
Researcher/Student: Daniele Boni
Course of study: Italian culture and Language for foreigners, University of Bologna
Contact at DCU: Professor Mary Phelan
Contact at UNIBO: Professor Mette Rudvin
This research aims to analyse the dynamics involved in Healthcare interpreting in
Ireland.
Participants will be asked to participate in interviews either face to face or over the
phone with the researcher, or to fill in an on-line questionnaire.
Participant – please complete the following (Circle Yes or No for each
question)
Face to face interview □
On-line Questionnaire □
1) I understand the aim of the research
Yes/No
2) I have had an opportunity to ask questions and discuss this study
Yes/No
3) I have received satisfactory answers to all my questions
Yes/No
4) I am aware that my interview will be audiotaped
Yes/No
(On-line questionnaire: questions 1,2,3)
124
I may withdraw from the Research Study at any point. There will be no penalty for
withdrawing before all stages of the Research Study have been completed.
I am aware that my name and my place of work will be kept anonymous to protect
confidentiality, which is subject to legal limitations.
I have read and understood the information in this form. My questions and concerns
have been answered by the researchers, and I have a copy of this consent form.
Therefore, I consent to take part in this research project.
Participant’s Signature:
Name in Block Capitals:
Date:
125
APPENDICE C
IRISH TRANSLATORS' AND INTERPRETERS' ASSOCIATION
ITIA CODE OF ETHICS FOR COMMUNITY INTERPRETERS
Preamble
Community Interpreters work in hospitals, garda stations, the courts, on Safe Pass
courses, driver theory tests, for social welfare, with solicitors and GPs. Without the help
of community interpreters, people with limited English could not communicate and
English speakers could not carry out their work.
This code outlines the elements which make up best practice in the profession of
community interpreting, and will serve as a guide to users of community interpreting
services as to what they may expect and to practitioners of community interpreting as to
how they should conduct themselves.
2. The role of a community interpreter
The primary aim of the community interpreter should be to facilitate communication
between two persons who do not speak the same language:
Therefore a community interpreter:
should never act on behalf of the user and should never speak on behalf of
either party.
is not employed by the beneficiary and should not act as their advocate.
While a community interpreter is expected to have a general understanding of the
cultural background of both parties s/he is not a cultural expert and should be wary
when offering cultural advice.
If asked to provide a written translation of a document, a community interpreter should
refuse this task, as this is the role of a translator, and not an interpreter
126
3. Confidentiality
The mutual trust and uninhibited transfer of information essential for effective
community interpreting is dependent on confidentiality
Therefore:
Nothing said in the session will be communicated outside the session.
A community interpreter will not reveal personal information gained from work that
may lead to the identification of the parties involved.
A community interpreter will not reveal information about either party learned from
any prior meeting.
The only exception being when either party is in immediate danger.
4. Impartiality
Impartiality is essential to ensure the transfer of an undistorted message. Therefore a
community interpreter will:
disclose any prior acquaintance with either party.
decline to interpret where a family or close personal or professional relationship may
affect impartiality.
inform the beneficiaries and users prior to the communication process that everything
said during the exchange will be interpreted, even when they say something not meant
for interpretation.
not impose his/her philosophical, religious or political views on any interpretation.
not offer advice or personal opinions either on own initiative or when asked.
never correct erroneous facts or statements that may occur, even though the error is
obviously unintentional. Neither should s/he infer a response, that is, if the beneficiary
is asked to clarify a prior response, the interpreter should pose the question as asked and
not volunteer what he or she thought the person meant.
bear in mind that lengthy conversations with a speaker can lead to suspicion and
distrust of the interpreter by the other party in the communication process, thus leading
to incorrect perceptions as to his or her objectivity
127
5. Accuracy
Accuracy is essential to ensure the transfer of an undistorted message. Therefore a
community interpreter should always use direct speech, using the first person as if the
interpreter does not exist. All parties involved in the communication process should be
informed of this, so as to avoid confusion.
An exception may be made in mental health interpreting, including counseling,
psychological or psychiatric sessions and assessments, where the interpreter may choose
to use either the first or third person singular, as considered appropriate by the
community interpreter and the clinician involved in the communication process. If a
community interpreter needs to refer to him or herself, s/he should do so in the third
person as "The interpreter".
This distinction is made so as to eliminate any confusion. A community interpreter
should:
interpret in a clear voice accurately, completely and objectively everything that is
said, without adding, omitting and changing anything.
not emulate the gestures made by the speakers; they have already been seen.
emulate the inflections and intonations of the speaker, in order to reinforce the
meaning and stresses of the speaker's words.
reflect the person's way of speaking as accurately as possible. The interpreter will
therefore interpret obscenities and colloquial language and will not simplify language
used.
acknowledge and correct promptly any interpreting errors made.
If one of the parties speaks too fast or for too long, a community interpreter should stop
them as appropriate in order to interpret as accurately as possible. If a message is
unclear the interpreter will ask for repetition or rephrasing where necessary with the
knowledge of all parties. Should a serious communication problem arise between the
interpreter and one party the interpreter should bring this to the attention of the other
party.
128
6. Professional Conduct
A community interpreter is a professional and should act accordingly at all times.
Therefore, a community interpreter will:
always interpret to the best of their ability.

have a good command of both languages including specialist terminology, current
idioms and dialects.
maintain and develop their command of both languages
keep up to date with the relevant procedures of the particular area in which they are
interpreting.
participate in continued professional development.
behave in a courteous, polite and dignified manner at all times.
aim to establish a compassionate but professional relationship with beneficiaries.
be on time and prepared for all assignments.
dress appropriately for the particular assignment.
not accept any gift in return for interpreting services from either party.
charge an appropriate fee for their services dependent on experience, certification and
the nature of the assignment. Services should only be provided free of charge in
exceptional circumstances.
not make any personal gain from any information learned on an assignment.
follow the code of ethics and conduct at all times.
7. Rights of an Interpreter
The rights of a community interpreter must be respected at all times. Where possible, a
community interpreter should receive accurate and sufficient information from the user
or agency regarding the assignment, place, time as well as an indication of the duration
of the assignment at least 48 hours before the assignment is due to take place. This is so
the interpreter can prepare for the assignment. A community interpreter has the right to
withdraw from an assignment if it becomes apparent that expertise beyond their
129
technical or language competence is required, or if an interpreter has been given
incorrect information or insufficient time to prepare for an assignment.
If a community interpreter feels exploited or discriminated against during the
assignment s/he has the right to withdraw his or her services. All parties must be
advised of this decision i.e. the users as well as the agency. A community interpreter
may refuse an assignment. S/he must advise the agency in advance. Any change or
cancellation should be made known to the user or agency the day before the assignment
and failure to do so will result in the client being billed for the service. Last minute
cancellations should incur a minimum payment for the interpreter. If the parties are late,
the cost will be based on the hourly rate established in advance. The session should not
last longer than previously established without the interpreter's consent. If asked to
provide a sight translation of technical documents, a community interpreter is quite
justified in saying that unless given adequate time and without proper preparation any
translation can at best be provisional. Interpreters’ travel expenses should be
reimbursed. This includes a proper mileage rate for those travelling by car and the
reimbursement of all train, bus, Luas and Dart tickets. Payment should also be made for
time spent travelling to assignments.
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APPENDICE D
IRISH TRANSLATORS’ & INTERPRETERS’ ASSOCIATION
CUMANN AISTRITHEOIRÍ AGUS TEANGAIRÍ NA HÉIREANN
CODE OF PRACTICE AND PROFESSIONAL ETHICS
1. Preface
1.1. This Code of Practice and Professional Ethics lays down the standards of
professionalism and integrity to which all members of the Association shall adhere with
respect to their work as translators and interpreters;
1.2. A person, upon becoming a member of the ITIA in any category of Association
membership, implicitly adheres to this Code;
1.3. In this Code, a translator is specifically that member of the profession who deals
with written text, while an interpreter deals with the spoken word;
1.4. In this Code, both cognates are taken as interchangeable save where the Code itself
indicates the specific profession.
1.5. The Code and any subsequent change to it shall be approved by the Annual General
Meeting of the Association by not less than two thirds plus one of the members of the
Association present and voting.
1.6. The Executive Committee shall have the power to enforce the provisions of this
Code under the constitution of the ITIA;
1.7. This Code is subject to and recognizes the provisions of the Constitution of the
Association, the laws of the Republic of Ireland and the directives of the European
Union.
2. Professionalism
2.1. Acceptance of an assignment shall imply a moral undertaking on the member’s part
to work with all due professionalism on it;
2.2. Members of the Association shall not accept any assignment for which they are not
qualified or where they are not in possession of the specific translation tools outlined in
the client’s job specification;
131
2.3. Members of the Association shall at all times maintain standards of work at least
commensurate with those required for admission to the ITIA;
2.4. Members of the Association shall in all cases behave in accordance with the highest
standards appropriate to a professional body;
2.5. Members of the Association shall recognize the extent of their own competence in
terms both of language and subject matter and refuse to accept, unless with the prior
knowledge of their client, any work lying outside this competence or which he or she
feels cannot properly be completed with accuracy and punctuality within the agreed
deadline
2.6. Members of the Association shall refrain from any action likely to discredit their
profession or disadvantage their colleagues, in particular plagiarism, surreptitious
subcontracting or gazumping;
2.7. Where members of the Association have sufficient knowledge of some other
language, translation/ interpretation may be made into same, subject to notifying the
client in writing or email of any possible limitations;
3. Confidentiality
3.1. By the very nature of the profession, members of the Association are privy to a
range of confidential texts and verbal information in a variety of situations where
disclosure to third parties must never be made;
3.2. Members of the Association must be discreet and confidential at all times in their
dealings with a client;
3.3. Members of the Association shall not derive gain from information they may have
acquired in the course of their work.
4. Impartiality
4.1. Members of the Association shall endeavour to the utmost of their ability to provide
a guaranteed faithful rendering of the original text which must he entirely free of their
own personal interpretation, opinion or influence;
4.2. The client's approval must be sought before making any addition or deletion which
would seriously alter the original text or interpretation;
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4.3. Where an interpreter or translator is working in any matter relating to the law, the
client’s statements must be interpreted or translated by the idea communicated without
cultural bias in the presentation, by the avoidance of literal translation in the target
language or by giving of advice in the source language.
5. Working conditions
5.1. Translation
5.1.1. Members of the Association shall, in principle, translate into their mother tongue;
5.1.2. Members of the Association shall not append any name to the translated text other
than their own true name.
5.1.3. Members of the Association shall refuse to accept work which they believe to be
intended for illegal or dishonest purposes, or to be against the public interest;
5.1.3.1. Where such work is refused, the member shall advise the competent authorities
and/or the Executive Committee of the Association as appropriate;
5.1.4. The use of another translator's draft translation as a basis for a final work and with
his/her prior permission, or use of an intermediary translation in some other language,
must be brought to the knowledge of the client for his prior approval and must
subsequently be duly accredited.
5.2. Interpretation
5.2.1. Interpreters shall, when and where appropriate, make known to the client and to
other relevant parties the working conditions laid down in this Code of Practice and
Professional Ethics:
5.2.1.1. by supplying a copy of the Code or indicating its availability on-line;
5.2.1.2. by verbally translating the relevant Articles of the contents of the Code to a
client;
5.2.2. Interpreters shall not accept more than one assignment for the same day and time;
5.2.3. Interpreters shall not undertake, as a general rule, either open simultaneous or
whispered interpretation unless the circumstances are exceptional and the quality of
work is not impaired;
5.2.4. Interpreters shall not, as a general rule, when interpreting simultaneously, work
either alone or without a colleague being immediately available for relief;
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5.2.5. Interpreters shall request a briefing session with their client or with other relevant
parties when and where appropriate;
5.2.6. Interpreters shall require direct sight of the speaker and the conference room and
may thus refuse to accept the use of television monitors except in the case of video
conferencing post-video interpreting;
5.2.7. Interpreters shall require the relevant working documents and texts, to be read out
at the conference or to be used in court, be sent to them in advance.
6. Professional standards
6.1. The Association does not, and will not, support translation or interpreting work
done in the Republic of Ireland into or out of any other language on behalf of a citizen
of the Republic or other nationality by:
6.1.1. amateurs;
6.1.2. children, minors, teenagers, wards of court, family members of the person;
6.1.3. undocumented non-nationals or refugees whose status in the State has not yet
been determined;
6.1.4. persons related by blood, marriage or relationship to the client;
6.1.5. students attending third level institutes or colleges;
6.1.6. in certain and specific circumstances of custom and religion, a person of the
opposite sex;
6.1.7. persons who are not members of the ITIA, the Association Internationale des
Interprètes de Conférence or a recognised or associated body of the Fédération
lnternationale des Traducteurs.
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