Il controllo sindacale nei licenziamenti collettivi. Spunti dal Regno

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Il controllo sindacale nei licenziamenti collettivi. Spunti dal Regno
Il controllo sindacale nei licenziamenti collettivi. Spunti dal Regno Unito. 1. Premessa. 2. Il controllo sindacale nei licenziamenti collettivi: Italia e Regno Unito a confronto. 3. Le recenti modifiche e le ricadute sul ruolo del sindacato nei due ordinamenti. 4. Una proposta ricostruttiva: la buona fede come criterio per la verifica dell'effettività della procedura. 1. Premessa. La procedura per l'intimazione di un licenziamento collettivo fornisce l'occasione per verificare l'effettività del potere sindacale in un momento in cui la tensione tra datore di lavoro e sindacato è particolarmente elevata. Il confronto sindacale assume rilevanza centrale nella disciplina degli esuberi per effetto della direttiva comunitaria1 che enfatizza un modello di tutela basato su una tecnica procedurale intesa come limite al potere imprenditoriale. Per questa ragione si intende verificare se le recenti disposizioni introdotte dalla c.d. Riforma Fornero, ed in particolare l’art. 1 comma 45 della legge n. 92 del 2012 che attribuisce efficacia sanante dei vizi della comunicazione iniziale all’accordo collettivo eventualmente concluso nel corso della procedura, abbiano modificato, ed eventualmente in quale misura, il potere del sindacato (rectius delle rappresentanze dei lavoratori). Anche il Regno Unito è da poco intervenuto sugli equilibri della consultazione collettiva durante la collective redundancy, riducendo il periodo minimo della consultazione per i licenziamenti di grandi dimensioni: appare quindi particolarmente interessante la comparazione tra i due Paesi. L'analisi riguarderà da un lato la ricostruzione e il confronto dei modelli di controllo sindacale e dall'altro le recenti riforme. 2. Il controllo sindacale nei licenziamenti collettivi: Italia e Regno Unito a confronto. In Italia, il ruolo assegnato al sindacato dalla legge n. 223 del 1991 è centrale: il sindacato infatti non è chiamato semplicemente a controllare i provvedimenti già assunti dall'impresa (in un'ottica esclusivamente limitativa del potere) avendo il diritto di partecipare attivamente al processo decisionale. Ancorché sia eccessivo parlare di una 1
Direttiva75/129/CEE del Consiglio del 17 febbraio 1975 in G.U.C.E. 22 febbraio 1975, n. L 48 del 1975, n. 29., cui ha fatto seguito la Direttiva 92/56/CEE del Consiglio, del 24 giugno 1992, in G.U.C.E. 26 agosto del 1992 , n. L 245, 3 e la Direttiva 98/59/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, in G.U.C.E. 22 agosto 1998, n. L 225, 16. 1 funzione di codeterminazione dell'operazione di riduzione2, dal momento che l'ultima parola spetta pur sempre al datore di lavoro, è evidente che la legge riconosce al sindacato il potere di influire attraverso la sua azione sulla gestione della crisi e di incidere, seppure in via mediata, sugli interessi dei lavoratori coinvolti nella procedura. Da quanto precede si comprende perché sia essenziale che il coinvolgimento del soggetto sindacale sia effettivo, sostanziale, e ciò a maggior ragione per quella parte di dottrina e giurisprudenza che ritiene che la valorizzazione degli obblighi procedurali e del controllo sindacale riduca parallelamente la necessità di un controllo giudiziale sulla giustificazione dei licenziamenti collettivi. Ed invero, se la partecipazione del sindacato è essenziale ai fini del giudizio sulla legittimità dei licenziamenti, ne consegue che questa debba essere effettiva. Quindi, da un lato, il datore di lavoro dovrà adempiere in buona fede agli obblighi procedurali prestabiliti, così da far emergere le reali ragioni dell'operazione e permettere al sindacato di effettuare un controllo di merito sulla scelta gestionale/organizzativa3; dall'altro lato, il soggetto sindacale si dovrà dimostrare sufficientemente rappresentativo ed in grado di opporsi alla volontà del datore di lavoro. In questa prospettiva la legge n. 223 del 1991 affida alle rappresentanze dei lavoratori delle "carte da giocare"4, degli strumenti adeguati ad una gestione consensuale delle crisi aziendali. Viene incentivato l'esito contrattuale della procedura (che potrà chiudersi in anticipo e con una riduzione dei costi dei licenziamenti) e il ricorso a misure alternative; inoltre il quadro è completato da un sistema sanzionatorio che, prima delle modifiche introdotte dalla legge n. 92 del 2012, risultava particolarmente adatto a sostenere l'effettività del modello procedimentale5. Dalle considerazioni che precedono consegue che l'individuazione dei soggetti sindacali coinvolti nella procedura non è questione secondaria: l'interesse collettivo tutelato dalla procedura coincide con l'interesse sindacale espresso dalle rappresentanze dei lavoratori. A differenza degli accordi interconfederali degli anni '60 il 2
In particolare Riccardo Del Punta ha individuato nella legge 223 del 1991 un chiaro esempio del passaggio dalla logica del controllo sindacale a quella della collaborazione e finanche di ipotetica corresponsabilità dei soggetti sindacali, cfr., DEL PUNTA R., I licenziamenti collettivi, in PAPALEONI M., DEL PUNTA R., MARIANI M. (a cura di), La nuova cassa integrazioni guadagni e la mobilità, Padova, Cedam, 1993, 297. 3
Cfr. ZOLI C., Subordinazione e poteri dell'imprenditore tra organizzazione, contratto e contropotere, in LD, 1997, n.2, 250 ss. 4
L'espressione è utilizzata da D’ANTONA M., Riduzione di personale e licenziamenti: la rivoluzione copernicana della l. 223/91, FI, 1993, I, 2030, ora in B. CARUSO – S. SCIARRA (a cura di) Massimo D’Antona. Opere, Giuffré, Milano, 2000. 5
Sulla centralità della sanzione ai fini dell'osservanza della procedura, cfr. NATULLO G., Il licenziamento collettivo. Interessi, procedure, tutele, Milano, Franco Angeli, 2004, 102 e DEL PUNTA R., op. cit., 316. 2 legislatore ha affidato il controllo ad organismi endoaziendali ossia l'istanza sindacale di base, benché la partecipazione dell'organizzazione sindacale propriamente intesa rimanga. Le RSA unitamente alle rispettive associazioni di categoria (e le RSU successivamente6) sono chiamate a trattare e raggiungere accordi che generalmente prevedono l'adozione di criteri di selezione dei lavoratori da licenziare alternativi a quelli legali nonché la quantificazione dell'eventuale incentivo all'esodo. I problemi relativi alla conduzione unitaria delle trattative, alla legittimità di accordi sottoscritti solo da alcune delle organizzazioni sindacali e con l'opposizione di altre, alla possibile pretesa da parte di queste ultime a non veder applicato l'accordo ai propri iscritti o al dissenso tra le organizzazioni sindacali ed i propri iscritti non sono risolti dal legislatore, ed aprono alla più ampia problematica dell'efficacia soggettiva di questi accordi7 ed in particolare alla fonte della stessa. Questione particolarmente delicata nell'ipotesi in cui il soggetto sindacale si trova davanti alla difficoltà di distribuire sacrifici ed in cui il bene in gioco è la salvezza del posto di lavoro (o meglio di alcuni posti di lavoro a discapito di altri). Anche in tale prospettiva, la possibilità riconosciuta ai singoli lavoratori di verificare giudizialmente la correttezza procedurale dell'operazione appare significativa, soprattutto per il lavoratore che non si senta rappresentato dall'agente negoziale sindacale. Nel Regno Unito l'implementazione della direttiva comunitaria è attuata dalla sec. 188 e ss. del Trade Union and Labour Relations Consolidation Act (TULRCA) del 19928. Il TULRCA si occupa di disciplinare gli obblighi di informazione e consultazione connessi ai licenziamenti collettivi effettuati dal datore di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, qualora venga superata la soglia dei 20 o più lavoratori licenziati nell'arco di 90 giorni e all'interno della medesima attività produttiva. La normativa utilizza una definizione di redundancy molto più ampia di quella inserita nella 6
La cui procedura di costituzione non rispecchia più cosi fedelmente il collegamento associativo con le articolazioni sindacali di categoria ma risulti maggiormente espressiva dell'interesse collettivo dei lavoratori. Cfr. NATULLO G., op. cit., 91. 7
E' stata generalmente accolta la tesi che estende l'efficacia vincolante dell'accordo a tutti i lavoratori, come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 30 giugno 1994 n-­‐ 268 in RIDL, 1995, II, 237 con nota di Manganiello. In particolare la Corte ha ricondotto gli accordi sindacali sui criteri di scelta ai contratti collettivi di tipo gestionale sancendone l'efficacia soggettiva anche nei confronti dei lavoratori dissenzienti o non iscritti ad un'organizzazione sindacale. L'efficacia generale deriva dal potere attribuito dalla legge alle rappresentanze sindacali per il carattere collettivo e indivisibile degli interessi protetti. Ciò premesso, la questione si pone diversamente in relazione ai possibili contenuti dell'accordo, ad esempio nell'ipotesi in cui si faccia ricorso ai contratti di solidarietà, al prepensionamento, alla cassa integrazione guadagni, al comando o l'adibizione a mansioni inferiori divisa in relazione. Cfr. LASSANDARI A., Il contratto collettivo aziendale e decentrato, Milano, Giuffrè, 2001, 243 ss. 8
Così come modificato dal Trade Union Reform and Employment Rights Act (TURERA) del 1993. 3 sec. 98 dell'ERA tra le cause potenzialmente legittime di licenziamento9, ricomprendendo anche ipotesi che non attribuiscono al lavoratore il diritto ad ottenere la c.d. redundancy compensation10. Benché la consultazione con la trade union (cui fa seguito la consultazione individuale con ogni lavoratore interessato) sia generalmente attuata anche qualora i licenziamenti per redundancy non superino le soglie indicate in precedenza11, l'obbligo è normativamente previsto solo per le collective redundancy come individuate dal TULRCA. Per comprendere e valutare il ruolo assunto dal sindacato nell'ambito della procedura di licenziamento collettivo è necessario evidenziare brevemente alcune peculiarità dell'istituto. La prima riguarda l'individuazione dei soggetti titolari dei diritti di informazione e consultazione, diritti che il TULRCA inizialmente assegnava esclusivamente ai rappresentanti autorizzati di una trade union riconosciuta dal datore di lavoro, con la conseguenza che, in assenza di recognition o nel caso di de-­‐recognition, il datore poteva sottrarsi all'applicazione della procedura. In seguito alla sentenza EC Commission v. UK del 199412 la lacuna è stata colmata. Oggi la sec. 188 (1B) del TULRCA assegna una posizione prioritaria ai rappresentanti della trade union riconosciuta cui è attribuito il diritto esclusivo di partecipare alla procedura13; ove questa manchi il datore 9
Nella Sec. 98 dell'ERA sono indicate le Potentially fair reasons di licenziamento; le ragioni di carattere economico possono essere ricondotte, da un lato, alla nozione di redundancy (che ricorre, ai sensi della Sec. 139 dell'ERA, in due macro ipotesi: in primo luogo, qualora il datore abbia cessato o intenda cessare l'attività in ragione della quale l'intera forza lavoro è stata assunta o qualora intenda cessarla solo nel luogo ove il lavoratore presta servizio; in secondo luogo, qualora l'attività svolta da uno specifico lavoratore non sia più richiesta oppure non sia più richiesta nel luogo dove viene prestata dallo stesso) e, dall'altra, alle "some other substantial reasons (SOSR) of a kind such as to justify the dismissal of an employee holding the position which the employee held" (la categoria, ampia e indefinita, è stata utilizzata ad esempio nell'ipotesi del lavoratore licenziato per aver rifiutato di accettare dei cambiamenti nell’orario di lavoro e nella turnazione, decisi nell’interesse dell’attività svolta dal datore di lavoro. Si deve trattare di ragioni che possono definirsi come "sound, good business reason"). Per un'analisi approfondita del licenziamento per redundancy, cfr. Mc MULLEN J., Redundancy. The Law and Practice, Oxford University Press, Oxford, 2011. Per la definizione di SOSR, cfr. DEAKIN S. -­‐ MORRIS G., Labour Law, Sixth Edition, Oxford, Hart Publishing, 2012, 574. 10
Qualora il licenziamento sia stato intimato per redundancy ai sensi della Sec. 139 dell'ERA e risulti soddisfatto il requisito del qualifyng period, il datore di lavoro è tenuto a versare al lavoratore una somma di denaro di entità contenuta, commisurata alla paga settimanale nonché all'età e all'anzianità di servizio. La funzione della compensation, introdotta nel 1965 dal Redundancy Payment Act, è quella di rendere i lavoratori maggiormente disposti ad accettare il licenziamento e di favorire la mobilità del lavoro offrendo il supporto finanziario per la formazione e la ricerca di un nuovo posto di lavoro. Cfr. COLLINS H., EWING K.D., MCCOLGAN A., Labour Law, Cambridge University Press, 2012, 864 ss. 11
Qualora ricorra l'ipotesi della redundancy come definita dall'ERA sia l'avvertimento circa l'impellente licenziamento che la consultazione con i singoli lavoratori sono requisiti rilevanti ai fini della legittimità della procedura di licenziamento. Cfr. ad esempio Mugford v. Midland Bank [1997] IRLR. 12
Case C-­‐ 383/92 Commission v UK [1994] IRLR 412. 13
Per questa ragione è evidente che il tema della recognition è di fondamentale importanza. Vi sono tre modalità differenti di riconoscimento: a) voluntary recognition, b) semi-­‐voluntary recognition, c) involuntary recognition. Sul punto, cfr. GALL G., The First Ten Years of the Third Statutory Union Recognition Procedure 4 di lavoro è obbligato ad informare e consultare i rappresentanti dei lavoratori appositamente eletti a tal fine14 oppure che siano parte di un corpo consultivo già esistente. La presenza di una trade union volontariamente riconosciuta dall'imprenditore pone il rischio che il sindacato si dimostri accondiscendente così da salvaguardare la sua relazione con il datore, soprattutto qualora la riduzione non coinvolga lavoratori iscritti15. La seconda particolarità attiene alla previsione che permette al datore di lavoro di sottrarsi all'obbligo della consultazione ove dimostri l'esistenza di special circumstaces che avrebbero reso “non ragionevolmente praticabile” il rispetto della legge. Il datore di lavoro dovrà dimostrare di aver fatto tutto ciò che era ragionevolmente possibile per adempiere agli obblighi previsti nelle circostanze del caso16: qualora la prova venga soddisfatta, non dovrà sopportare alcuna conseguenza sanzionatoria per l'inadempimento. Nonostante costituisca un'ipotesi utilizzata solamente di rado, la previsione si pone in contrasto con la direttiva. La terza caratteristica riguarda la possibile perdita del diritto al redundancy payment come sanzione per la partecipazione ad un'azione di autotutela17. Tuttavia il lavoratore conserva l'indennità qualora abbia ricevuto il preavviso del licenziamento per redundancy, successivamente abbia preso parte ad uno sciopero di protesta durante l'obligatory period of notice, e sia stato licenziato a ragione di ciò18. Questa eccezione, prevista al fine di tutelare i lavoratori, non offre loro una garanzia piena dal momento che non comprende il periodo che intercorre tra l'annuncio da parte del datore dei possibili futuri licenziamenti e l'invio della "notice of dismissal" ai lavoratori19. L'ultimo elemento concerne l'assenza di sanzioni efficaci per la violazione degli obblighi di informazione e consultazione: in questi casi l'Employment Tribunal, su richiesta del sindacato (o dei rappresentanti dei lavoratori) può emanare un protective in Britain, in ILJ, n. 39, 2010; GALL G., Union Recognition in Britain The End of Legally Induced Voluntarism, in ILJ, n. 41, 2012; OXENBRIDGE S., BROWN W., DEAKIN S., PRATTEN C., Collective employee representation and the impact of law: initial responses to the employment relations act 1999, in ESRC Centre for Business Research, University of Cambridge, Working Paper No. 206, 2001; ANDERMAN S., Labour Law. Management decisions and workers' rights, London, Butterworths, 2000, 335 ss. 14
Nel caso in cui si debba procedere all'elezione dei rappresentanti in occasione dei licenziamenti collettivi, spetterà al datore di lavoro assicurare che l'elezione si svolga correttamente e determinare il numero dei rappresentanti da eleggere. Cfr. Sec. 188 A (1) TULRCA. 15
Cfr. DEAKIN S. -­‐ MORRIS G., op. cit., 944. 16
Una ipotesi di "special circumstance" potrebbe ricorrere nel caso di insolvenza. Cfr. Mc MULLEN J.,op. cit. 17
Cfr. Sec. 140 (1) dell'ERA. 18
Cfr. Sec. 140 (2) dell'ERA. 19
Cfr. COLLINS H., EWING K.D., MCCOLGAN A., op. cit., 864; Mc MULLEN J., op. cit., 116 ss; HALL J., Redundancy in the United Kingdom, in AA.VV., I licenziamenti per riduzione di personale in Europa, Bari, Cacucci, 2001, 471-­‐472. 5 award condannando il datore di lavoro a corrispondere ai lavoratori licenziati la normale paga settimanale per un periodo massimo di 90 giorni. E' dunque sottratto al Tribunale sia il potere di annullare i licenziamenti intimati, sia di imporre la ripetizione della procedura viziata. Il quadro così descritto, completato dal dato relativo al livello di affiliazione sindacale20 in costante calo, appare in linea con un ordinamento in cui la tutela dei lavoratori incontra un limite forte nella contrapposta tutela delle prerogative imprenditoriali. In occasione di una situazione di eccedenza di personale le trade unions si occupano principalmente di concordare livelli di pagamento più elevati rispetto ai minimi, di stabilire i piani per le redundancy volontarie e di vigilare sul processo di selezione dei lavoratori da licenziare al fine di scongiurare il pericolo di abusi21. Più che altri fattori, la legislazione sul Redundancy Payment sembra aver inciso sia sul ricorso alla contrattazione collettiva sia, più in generale, sulla stessa modalità di gestione delle riduzioni di personale da parte dell'imprenditore22. Se negli anni 80 alcune trade unions attuavano una strategia di netta opposizione agli esuberi, successivamente i margini di azione si sono ridotti. In alcuni casi gli stessi lavoratori si sono dimostrati propensi ad accettare piani di eccedenze volontarie potendo così accedere a livelli di pagamento più elevati rispetto a quelli previsti dalla legislazione23. Inoltre, il rischio di perdere l'indennità di eccedenza per la partecipazione ad azioni industriali di protesta non ha certo accresciuto la forza delle trade unions. 3. Le recenti modifiche e le ricadute sul ruolo del sindacato nei due ordinamenti. 20
Il numero dei lavoratori iscritti alle Trade Unions è calato drasticamente, passando dai 13 milioni e 200 mila iscritti del 1979 (in coincidenza con il Governo conservatore di M. Thatcher) ai poco meno di 7 milioni e 200 mila nel periodo 2012-­‐2013 (in leggero calo rispetto al periodo 2009-­‐2010, in cui si registravano 7329 iscritti, e al periodo 2010-­‐2011, con 7261 iscritti). A partire dal 1983 il trend associativo resta in negativo, sia per le Trade Unions che per le Employers Associations. Se nel 1983 si contavano 502 trade unions e 375 employers’ associations, nel periodo 2012-­‐2013 scendono rispettivamente a 165 e a 99. Sul punto, cfr. Annual Report of The Certification Officer for 2012-­‐2012, all'indirizzo http://www.certoffice.org/CertificationOfficer/files/28/28ce62b6-­‐fdcc-­‐407d-­‐bd31-­‐891995998af2.pdf e i dati contenuti nel Trade Union Membership statistics 2012, redatto dal BIS Department for Business, Innovation & Skills e dall'Office for National Statistics e reperibile all'indirizzo https://www.gov.uk/government/publications/trade-­‐union-­‐statistics-­‐2012. Per una ricostruzione storica delle ragioni del declino, cfr. DEAKIN S. -­‐ MORRIS G.,op. cit. . Per una valutazione critica dei dati, BRYSON A. e FORTH J., Trade Union Membership and Influence 1999-­‐2009, NIESR Discussion Paper, No. 362, http://pc9.niesr.ac.uk/pdf/010910_144250.pdf in cui si analizza l'influenza delle Trade Unions sia dal punto di vista del c.d. Monopoly Effect, ossia della capacità di contrattare condizioni lavorative migliori ed in particolare di ottenere livelli salariali più elevati, sia del c.d. Voice Effect, che indica l'abilità delle Unions di farsi carico dei problemi dei lavoratori e di comunicarli efficacemente al datore di lavoro. 21
DE GIOIA CARABELLESE P., Analisi del quadro normativo del licenziamento economico nel Regno Unito. Un possibile modello di riferimento per l'Italia, in DRI, 4, 2012, 1097 ss. 22
ANDERMAN S., op. cit., 197 ss. 23
DEAKIN S. -­‐ MORRIS G., op. cit., 941 ss. 6 E’ noto come in Italia la giurisprudenza maggioritaria abbia tendenzialmente limitato il proprio vaglio alla regolarità formale dell’operazione imprenditoriale, escludendo un’indagine diretta sul profilo della giustificazione del licenziamento collettivo. In particolare se un orientamento più tradizionale24 ha attuato un controllo stringente sulla procedura, negando al sindacato il potere di disporre del procedimento e dunque di sanare le irregolarità25; la giurisprudenza26 più recente ha aperto a criteri di tipo funzionalistico, salvaguardando la legittimità della procedura qualora il fine perseguito (ossia l’effettivo e corretto confronto tra le parti) fosse comunque raggiunto e riconoscendo all'accordo sindacale un rilievo fondamentale per la valutazione della regolarità del licenziamento27. Accogliendo quest'ultimo orientamento e al fine di deflazionare il contenzioso originato dai vizi della procedura sindacale28, l’art. 1 comma 45 della legge n. 92 del 2012 stabilisce che "gli eventuali vizi della comunicazione iniziale possono essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell'ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo". La disposizione ha l'obiettivo di limitare il controllo svolto in sede giudiziale attribuendo un peso rilevantissimo alle determinazioni del sindacato. Nonostante sia generalmente ritenuta una previsione ragionevole, perché destinata a porre fine ad una situazione di incertezza, la disposizione lascia irrisolti molteplici quesiti. In particolare resta in dubbio se sia richiesta la stipula di un accordo specifico e l'espressa attribuzione del carattere sanante allo stesso; quali vizi possano 24
Accolgono tale interpretazione Cass., sentenza 6 aprile 2012 n. 5582, in FI, 2012, I, 1734; Cass. sentenza 5 aprile 2011 n. 7744; Cass. sentenza 2 marzo 2009, n. 5034 in Foro It., 2009, 4, 1, 1011; Cass. sentenza 23 maggio 2008 n. 13381, in Mass. Giur. It., 2009. 25
Sul punto, cfr. Cass. 12 gennaio 1999 n. 265 in Mass. giust. civ., 1999, 62, in Mass. giur. lav. 1999, p. 430, in Notiziario giur. lav. 1999, p. 368, e in Foro it. 1999, I, p. 476, secondo cui "In materia di licenziamenti collettivi, la procedura di cui agli art. 4 e 5 della l. n. 223 del 1991 è finalizzata alla tutela non solo di interessi delle organizzazioni sindacali, ma anche dell'interesse pubblico correlato alla occupazione in generale ed ai costi della mobilità, e dell'interesse dei lavoratori alla conservazione del posto di lavoro -­‐ e, in particolare alla verifica dei criteri di scelta sotto il profilo del loro carattere di generalità, obiettività e coerenza con il fine dell'istituto della mobilità -­‐ sicchè è da escludere che l'accordo tra il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali faccia perdere rilevanza al mancato espletamento o al radicale stravolgimento della procedura medesima". 26
Cfr., Cass. sentenza 12 agosto 2009 n. 18253; Cass. 5 giugno 2003, n. 9015 in RIDL, 2004, II, 105 ss. 27
Fino alla riforma la giurisprudenza più che riconoscere all'accordo vera e propria efficacia sanante, lo utilizzava come criterio per valutare la sufficienza delle informazioni relative alle esigenze aziendali e rilevanti sul piano della tutela dei lavoratori. Cfr. ad esempio Cass. 5 giugno 2003, n. 9015, cit. Ovviamente in mancanza di accordo sindacale la questione dei vizi rimane oggi immutata: spetterà quindi al giudice valutare la rilevanza degli stessi ai fini della validità della comunicazione iniziale. 28
E' stato ritenuto che le impugnazioni dei licenziamenti da parte dei lavoratori per vizi procedurali abbiano reso le negoziazioni sindacali difficili e vanificato gli accordi raggiunti con fatica. Si esprime in questi termini GRAGNOLI E., Intervento, in AA. VV., Il sistema delle fonti nel diritto del lavoro, Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro 25-­‐26 maggio 2001, Milano, Giuffré, 2002, 279 ss. 7 essere sanati e con quale effetto; quali siano i soggetti legittimati a stipulare gli accordi e quale sia la loro efficacia soggettiva (in particolare il legislatore non affronta il tema della rappresentatività dei soggetti sindacali legittimati a sanare i vizi). In assenza di chiare indicazioni la novella deve essere interpretata alla luce della ratio sottesa alla legge n. 223 del 1991. Se è vero che la legge affida la tutela dei lavoratori alla capacità delle rappresentanze sindacali di discutere e negoziare le motivazioni e le modalità attuative della decisione di licenziare, e dunque la procedura ed in particolare l'effettivo coinvolgimento del sindacato sono imprescindibili per la legittimità dei licenziamenti, ne deriva che l'eventuale accordo potrà avere efficacia sanante solo ove, da un lato, le omissioni e le difformità siano state conosciute e sanate dai soggetti legittimi, e, dall'altro, la trattativa si sia svolta in buona fede (profilo su cui si tornerà nel paragrafo che segue). Non sembra quindi possibile ritenere che la norma garantisca l'immunità della comunicazione iniziale a prescindere dalla sussistenza di alcune condizioni; ancor più se si considera che dal riconoscimento del carattere sanante dell'accordo deriva l'impossibilità per il lavoratore licenziato di far valere in via giudiziale l'irregolarità della stessa. Quindi, se è eccessivo pretendere la stipula di uno specifico accordo, non lo è richiedere l'espresso richiamo della sanatoria dei vizi, a maggior ragione dal momento che la norma afferma il carattere solo eventuale della stessa ("i vizi (...) possono essere sanati"). Allo stesso modo dal riferimento ai vizi sanati "nell'ambito di un accordo" è possibile desumere che l'efficacia sanante debba essere riconosciuta solo qualora le manchevolezze o gli errori della comunicazione iniziale vengano resi palesi e discussi durante l'esame congiunto29. Le rappresentanze dei lavoratori, quindi, devono aver avuto consapevolezza dei vizi che intendono sanare. Nella medesima prospettiva si potrebbe imporre la puntuale indicazione nell'accordo dei vizi della comunicazione iniziale: un adempimento forse eccessivamente gravoso ma idoneo ad evitare un utilizzo della sanatoria come mera clausola di stile. Oppure, più limitatamente, ritenere sanati i vizi qualora dal contenuto espresso dell'accordo sia possibile constatare una seria discussione sui singoli profili rilevanti della procedura. Altro elemento non precisato attiene alla tipologia di vizi sanabili: mentre la giurisprudenza precedente alla riforma decideva caso per caso in relazione alla gravità 29
I vizi non sono sanati dall'accordo, ma nell'ambito di un accordo. Sul punto, cfr. C. CESTER, Il progetto di riforma della disciplina dei licenziamenti: prime riflessioni, in ADL, 2012 e SITZIA A., I licenziamenti collettivi, in CESTER C. (a cura di) I licenziamenti dopo la legge n. 92 del 2012, Padova, Cedam, 2013. 8 del vizio, il legislatore attribuisce generalmente l'efficacia sanante senza individuare un criterio discretivo. Risultano coperti sia vizi relativi alla ricezione della comunicazione, che quelli relativi al contenuto della stessa in punto di specificità e completezza30. Alcuni autori sostengono, comprensibilmente, che le reticenze informative più rilevanti (quelle su cui si regge lo stesso progetto imprenditoriale), la totale omissione della comunicazione e il suo mancato invio ad alcuni dei soggetti legittimati non possano essere sanati31: in queste ipotesi non potrebbe parlarsi di semplice "vizio". Se si valuta il ruolo del sindacato dopo la riforma Fornero limitando l'analisi alla sola prescrizione sull'efficacia sanante, questo pare rafforzato; ma se si considerano altri elementi, ed in particolare la revisione degli ammortizzatori sociali32 unitamente a quella del regime pensionistico (che probabilmente comporterà una riduzione dei casi in cui sarà possibile gestire le eccedenze licenziando i lavoratori vicini alla pensione attraverso dei piani di disoccupazione assistita) nonché la modifica del regime sanzionatorio in caso di vizi procedurali non sanati (per i quali viene prevista un'indennità risarcitoria e non più la reintegrazione33), la valutazione non può essere la medesima. Gli spazi di negoziazione, "le carte da giocare" assegnate al sindacato, si sono ridotti. Se si guarda oltremanica, la riforma della collective redundancy si inserisce nell'ambito di un progetto di revisione che mira alla massimizzazione della flessibilità al fine di fornire alle imprese gli strumenti per reagire velocemente ai cambiamenti del mercato, ristrutturando più efficacemente. Per quanto attiene ai licenziamenti collettivi, la risposta34 alle esigenze di allineamento delle dinamiche del sistema di relazioni 30
Cfr. TATARELLI M., Sette giorni al datore di lavoro per comunicare i recessi, in La Riforma del Lavoro, Il sole 24 ore; 62; RAUSEI P., TUTTOBENE M., Le novità sui licenziamenti collettivi tra semplificazione e complicazione normativa , in RAUSEI P. TIRABOSCHI M. (a cura di) Lavoro: una riforma sbagliata, ADAPT labour studies e-­‐book series n. 2/2012. 31
Così, SCARPELLI F., I licenziamenti collettivi per riduzione di personale, in FEZZI, SCARPELLI (a cura di), Guida alla riforma Fornero, 2012, in http://www.wikilabour.it; C. CESTER, Il progetto di riforma della disciplina dei licenziamenti: prime riflessioni, op. cit. 32
Cfr. SCARPELLI F., op. cit., 92 e 95 secondo cui "per effetto delle due modifiche si ridurranno i casi nei quali è possibile gestire le eccedenze di personale avviando i lavoratori, o parte di essi, al pensionamento tramite periodi di disoccupazione assistita"; SITZIA A., op. cit.; FERRARO G., Ammortizzatori sociali e licenziamenti collettivi nella riforma del mercato del lavoro, W.P.C.S.D.L.E.«Massimo D'Antona».it, 2012, 143; PELLACANI, Le modifiche alla disciplina dei licenziamenti collettivi, in Pellacani (a cura di), Riforma del lavoro, Milano, 2012, pp. 267 ss., qui pp. 277s.; CINELLI, Gli ammortizzatori sociali nel disegno di riforma del mercato del lavoro, 2012, in http://csdle.lex.unict.it/docs/generic/Il-­‐dibattito-­‐sulla-­‐riforma-­‐italiana-­‐del-­‐mercato-­‐del-­‐
lavoro-­‐/3206.aspx; SANDULLI, Il sistema pensionistico tra una manovra e l’altra. Prime osservazioni sulla legge n. 214 del 2011, in Riv. dir. sic. soc., 2012. 33
E' salva la possibilità per il sindacato di agire ex art. 28 St. Lav., con un'azione diretta non solo alla cessazione della condotta antisindacale ma anche alla rimozione degli effetti. 34
Nel Novembre 2011 il BIS (Department for Busines Innovation & Skills) ha pubblicato una call for evidence per verificare le modalità di applicazione dell'istituto dei licenziamenti collettivi. A seguito dei dati raccolti 9 industriali con i tempi del mercato è stata trovata nella riduzione del periodo minimo di consultazione sindacale (per i licenziamenti di 100 o più lavoratori effettuati nell’arco di 90 giorni) da 90 a 45 giorni35. La proposta è stata osteggiata dal Trade Unions Congress36 secondo cui il termine originario di 90 giorni è periodo minimo necessario per (i) condurre una consultazione significativa, soprattutto nelle ipotesi di licenziamenti su larga scala che originano questioni molto complesse, (ii) per permettere ai datori di lavoro di riflettere e rispondere ai commenti della union sulla proposta di redundancy e cercare soluzioni alternative ai licenziamenti, (iii) per consentire alle rappresentanze dei lavoratori di esaminare i contenuti della proposta, negoziare piani di eccedenza volontaria e un incremento del redundancy payment. La riforma tocca un aspetto che può apparire secondario in una visione complessiva dell'istituto, ma marginale non è. Il sistema di consultazione ne risulta indebolito, con un probabile impatto negativo anche sulle relazioni industriali in azienda. E' infatti probabile che i datori di lavoro meno responsabili intendano il termine dei 45 giorni come un periodo massimo anziché minimo. Inoltre la posizione del Governo, che al fine di raggiungere l'obiettivo della good consultation (individuata tra le finalità della riforma37) non introduce delle norme per migliorarne la qualità ma ne limita la durata, rende evidente quale sia lo scopo perseguito dalla riforma. A causa delle differenze presenti nel sistema delle relazioni industriali e più in generale nel diritto del lavoro nei due paesi, è difficile comparare il peso delle modifiche introdotte. Ciò non toglie che sia possibile osservare la linea di tendenza che sembrano perseguire. Nel Regno Unito, ordinamento in cui le prerogative manageriali sono particolarmente tutelate, la riforma conferma la precedenza delle esigenze dell'impresa, ed in particolare della necessità di ristrutturarsi in tempi ristretti, rispetto a quelle della protezione dei lavoratori. La scelta di ridurre il periodo minimo di consultazione per i licenziamenti collettivi di notevole entità può infatti interpretarsi come il segno della relativa rilevanza e utilità della consultazione, ed in parte del ruolo svolto dalle trade unions che verosimilmente vedranno diminuite le probabilità di convincere il datore ad che segnalavano l'inadeguatezza dell'istituto in relazione al mercato del lavoro, il 21 Giugno 2012 il BIS ha pubblicato un consultation paper contenente alcune proposte di modifica. 35
Cfr. Sez. sezioni 188 (a)(1A) e 193 (b)(1) del TURLCA. Cfr. la risposta del TUC, Trade Union Congress, alla Call for Evidence del BIS all'indirizzo http://www.tuc.org.uk/tucfiles/223.pdf 37
I tre obiettivi della riforma sono: migliorare la qualità della consultazione; migliorare l'abilità dei datori di 36
lavoro di rispondere alle esigenze del mercato; bilanciare gli interessi dei lavoratori che sono licenziati con quelli ci coloro che mantengono il posto di lavoro. 10 evitare i licenziamenti o a stipulare piani di eccedenza volontaria più vantaggiosi per i lavoratori. In Italia la riforma introdotta dall'art. 1 comma 45 della legge n. 92 del 2012 premia la negoziazione sindacale, cui viene attribuito un peso molto rilevante. Ciò nonostante si può ritenere che questo sia solo un effetto indiretto, necessario al fine di raggiungere l'obiettivo primario del legislatore: ridurre tout court il contenzioso e la discrezionalità dei giudici in materia. Questa interpretazione troverebbe conferma, come ricordato in precedenza, anche nelle altre modifiche introdotte. 4. Una proposta ricostruttiva: la buona fede come criterio per la verifica dell'effettività della procedura. Nonostante il momento più rilevante della procedura sia l'esame congiunto in cui si attua la trattativa tra le parti, le Corti si sono concentrate sull'aspetto della completezza della comunicazione iniziale. In primo luogo perché si tratta di un campo meno sicuro per avvocati e giudici, maggiormente propensi a mantenere la discussione sul piano della regolarità delle comunicazioni piuttosto che su quello della valutazione dei comportamenti tenuti dalle parti. In secondo luogo, per l'interrogativo del limite fino a cui il giudice può spingersi nel sindacare la correttezza del comportamento dalle stesse38. Questa valutazione, ora più che in passato, deve tuttavia divenire centrale: se infatti il senso dell’apertura contenuta nella legge Fornero risiede nella volontà di salvaguardare la procedura nel caso in cui il soggetto sindacale sia stato informato degli eventuali vizi della comunicazione iniziale ed abbia consapevolmente deciso di sanarli, ne consegue che l'efficacia sanante venga meno in assenza di una trattativa trasparente ed effettiva, svolta in buona fede. In questa prospettiva il controllo sulla buona fede potrebbe diventare il criterio per verificare la legittimità stessa dei licenziamenti. A tal riguardo non sembrano esistere serie motivazioni che impediscano di ricomprendere nell'art. 1337 c.c., che si riferisce generalmente all'obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede sia nella formazione del contratto sia nello svolgimento delle trattative, anche la negoziazione collettiva39. A causa del carattere indeterminato della norma spetta all'interprete il compito di adeguarne la portata in 38
R. DEL PUNTA, DEL PUNTA R., La legge 223/1991 e i licenziamenti collettivi: un primo bilancio teorico, in AA.VV., I licenziamenti collettivi, QDLRI, 1997, 18. 39
Cfr. ZOLI C., La procedura di mobilità: contenuto e natura, in CINELLI (a cura di), Il fattore occupazionale nelle crisi d'impresa, Torino, Giappichelli, 1993, 117 e in La procedura, in Aa. Vv., I licenziamenti collettivi, QDLRI, n. 19/1997, 78. Vd. anche Cass. n. 18177 del 10 agosto 2009 e Cass. n. 168 del 8 gennaio 2009. 11 relazione al caso concreto e quindi agli interessi in conflitto. La dottrina civilistica ha precisato che la regola della buona fede "impone alla parte di comportarsi lealmente e di attivarsi per salvaguardare l'utilità dell'altra nei limiti di un apprezzabile sacrificio"40 ed ha configurato in chiave esemplificativa alcuni doveri tipici, tra cui quello di informare correttamente la controparte, di non suscitare intenzionalmente falsi affidamenti o di speculare su questi. Resta da chiarire quale sia il canone cui il giudice debba affidarsi nella valutazione della condotta delle parti ed in particolare se debba riferirsi esclusivamente alla volontà delle parti o se possa contemperare il principio dell’autonomia privata con altri principi costituzionali, in particolare quello di solidarietà. E' però da escludersi che il giudice possa intromettersi nella sfera più intima dell'autonomia negoziale valutando l'opportunità delle decisioni assunte, e in particolare l'oggettiva accoglibilità delle proposte sindacali. Sarebbe invece difficile attuare un controllo attento su questo profilo nel Regno Unito. Infatti, sebbene nel riformare l'istituto il Governo abbia dato mandato all'ACAS41 di predisporre un Code of Practice contente le regole di condotta per una consultazione collettiva di buona qualità al fine di creare relazioni collettive stabili, significative e improntate alla buona fede, la scelta di non attribuire allo stesso il valore di statute rende poco probabile che possa realmente imporre ai datori di lavoro un modello di comportamento, perlomeno in assenza di un'opera conformatrice dei tribunali. 40
Cit. M. Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Giuffré, Milano, 2000, 162. ACAS Advisory, Conciliation and Arbitration Service è un organismo sovvenzionato dal Governo. Tra le sue funzioni c'è quella di fornire consigli ed informazioni su questioni attinenti alle relazioni industriali. 41
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