Licenziamenti collettivi e criteri di scelta
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Licenziamenti collettivi e criteri di scelta
Licenziamenti collettivi e criteri di scelta di Pierluigi Panici, Avvocato in Roma La necessità di una riflessione comune tra operatori del diritto e sindacalista deriva dalla rilevanza dei tema, oggetto di un ampio contenzioso giudiziario, e di innovazioni legislative. La disciplina dei licenziamenti collettivi posta dalla l. 223/91 ha rappresentato (per usare l'efficace titolo di un saggio del Prof M. D'Antona, - in Foro Italiano 93, I, 2027 - le cui considerazioni sono state poi largamente condivise dalla giurisprudenza ) una vera e propria rivoluzione copernicana. Questi i punti fondamentali: 1) innanzitutto la "comunitarizzazione" della nozione di licenziamento per riduzione di personale con il passaggio dal controllo a posteriori di giustificazione., al controllo procedurale e di merito ex ante sindacale, e pubblico; 2) come logica conseguenza il rilievo assunto dalla procedura di negoziazione sindacale o sulle cause della riduzione di personale, sulla adozione di misure alternative e sul rispetto datoriale degli obblighi di correttezza e buona fede: doveri non sanzionabile sia con la procedura di cui all'art. 28 l. 300/70, sia attraverso l'impugnativa individuale; 3) la "legificazione" dei criteri di scelta dei licenziabili, la pubblicizzazione delle modalità di applicazione e la sindacabilità in sede giudiziaria; 4) la esplicita applicazione della tutela reale (art. 18 l. 300/70) sia in caso di licenziamento attuato in violazione della procedure e dei complessi obblighi negoziali e di comunicazioni sia per violazione dei criteri di scelta. Perchè flessibilità regolata? La nozione di cui all'art. 24 l. 223/91, secondo una opinione largamente condivisa dalla dottrina e dalla giurisprudenza, supera la cosiddetta diversità "ontologica" del licenziamento collettivo rispetto a quello individuale plurimo. L'effettivo e stabile ridimensionamento strutturale e produttivo della impresa non è più richiesto :come condizione essenziale per l'adozione dei licenziamenti collettivi: la sola scelta dimensionale - quanto al numero dei dipendenti - legittima di per sé la procedura di riduzione di personale. Questa nozione "flessibile" dell'organico aziendale - insindacabile in sede giudiziaria - è colta da Cass. 3896 del 26.4.96 e dalla giurisprudenza di merito. L'espressione più pregnante di questo nuovo assetto è contenuta in Trib. Milano 22.12.93: "La legge 223/91 ha introdotto la trasparenza nell'azienda nella fase in cui il diritto soggettivo alla stabilità degrada a interesse legittimo. cioè da diritto al posto a diritto alla legalità del procedimento. I sindacati sono chiamati a elaborare con l'azienda criteri per mediare il consenso, per escludere patti i, per controllare e rendere effettivo nella fabbrica quell'aspetto della democrazia che è costituita dalle pari opportunità soprattutto nel momento del sacrificio...". I criteri di scelta legali (carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnico-produttive ed organizzative) non sono sovraordinati rispetto a quelli contrattuali, bensì residuali. L'art. 5 prevede infatti l'individuazione dei licenziamenti in base agli "accordi collettivi" e, solo in assenza di essi, l'applicazione di quelli legali. La Corte Costituzionale, con la sentenza 268 del 30.6.94, ha riconosciuto la legittimità della norma che dà prevalenza ai criteri dell'accordo sindacale rispetto a quelli legali; afferma, tuttavia, che la determinazione negoziale dei criteri deve rispettare non solo il principio di non discriminazione, "ma anche il principio di razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell'obiettività e della generalità e devono essere coerenti col fine dell'istituto della mobilità dei lavoratori ". La Corte indica gli stessi criteri legali come "parametro del giudizio di razionalità o di ragionevolezza", in quanto connessi alla radicata tradizione delle relazioni sindacali nel settore industriale, "sicché, lo scostamento da essi deve essere giustificato". Infine, la sentenza esprime alcune valutazioni sul criterio contrattuale più diffuso, e cioè quello della "pensionabilità": "la svalutazione del privilegio tradizionale dell'anzianità di servizio, nei confronti dei lavoratori prossimi al raggiungimento dei requisiti di età e di contribuzione per fruire di un trattamento di quiescenza, può essere giustificata in una situazione del mercato del lavoro tale da escludere per i lavoratori più giovani la possibilità di trovare a breve termine un altro lavoro " (ovvero, aggiunge la Corte, nei casi di ristrutturazione caratterizzata da elevata innovazione tecnologica). La giurisprudenza di merito si è ampiamente occupata della comunicazione prevista dal comma 9 dell'art. 4 ove è richiesta la "puntuale, indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta" alle organizzazioni sindacali, alla CRI e all'ufficio regionale dei lavoro. Il datore di lavoro, a pena di inefficacia dei licenziamento, è tenuto sia alla predisposizione e pubblicizzazione dei criteri di scelta, sia alla indicazione puntuale delle concrete modalità applicative di essi: "... vale a dire, la lista dei non licenziati e le ragioni della priorità riconosciuta loro" (M. D'ANTONA "Riduzione di personale", cit.). Sia in dottrina che in giurisprudenza è stata affermata la illegittimità dei cosiddetti criteri fotografici: "... ritagliati a secondo della situazione soggettiva dei prescelti, o, all'esatto opposto, mediante la indicazione di un singolo criterio, che si risolva in una decisione congiunta sui nomi dei licenziati assunta per relationenm ... " (M. D'Antona "Riduzione di personale.." cit.). Il Pretore di Bologna (sent. 8.8.96 in "Il lavoro nella giuriprudenza", 97,2,131) ha dichiarato illegittimo il licenziamento collettivo preceduto dalla comunicazione (ex art. 4 L. 223/91) che per la specificità dei suo contenuto comportava la identificazione dei dipendenti prescelti. ("… Nella comunicazione con la quale si apriva la procedura di mobilità sono state individuate con la collocazione e le mansioni specificatamente e concretamente svolte, le persone da estromettere dall'azienda. In altri termini fin dall'inizio della procedura sono state indicate - tranne che con il nome - i lavoratori da licenziare. Tale comportamento costituisce una palese anticipazione, all'inizio della procedura, della decisione..." Anche l'accordo sindacale deve intervenire sui criteri obiettivi di scelta e non sulla lista dei licenziati (Pret. Cassino 23. 7.93 in Foro It. 94, I, 2929 - e Trib. Milano 22.12.93 - cit. - che così afferma: "... Ad avviso del Collegio un'ottemperanza alla norma che non sia meramente apparente deve indicare le posizioni di lavoro soppresse nell'intero complesso aziendale e, a parità di livello, il peso dato a ciascuno dei criteri in concorso fra loro: ovviamente il peso deve essere precostituito e oggettivo e dotato di sufficiente astrattezza da evitare i tristemente noti criteri - fotografia …". Ili criterio di scelta di gran lunga più diffuso è quello della pensionabilità: appare senza dubbio ragionevole individuare in via prioritaria i licenziandi tra coloro che possono accedere alla pensione nel corso o al termine della mobilità. I dubbi di legittimità su tale criterio sono stati superati dalla Corte Costituzionale con la sentenza 268/94 innanzi citato. Il problema si pone quando i requisiti di pensionabilità sono in possesso di un numero di dipendenti superiore a quello dei licenziandi. Anche qui la scelta datoriale non può essere arbitraria. Pret. Nola 14.12.95 ritiene nullo l'accordo collettivo se indeterminato sul punto, con la conseguente applicabilità esclusiva dei criteri legali; una parte della dottrina ritiene necessaria l'integrazione con i criteri legali (F. Focareta "I criteri di scelta dei lavoratori nei licenziamenti collettivi" in Giur, dir, rel. ind. 1992,2,319); pretura Milano 26.3.96, 9.5.96 (tutte in Riv. Crit. Dir. lav. 96,4,1029) sostiene che: Il criterio di scelta individuato dall'accordo collettivo, ex art. 5L. 23.7.91 n. 223, relativo alla possibilità del lavoratore di accedere direttamente alla pensione nel corso o al termine della mobilità, deve essere interpretato non nel senso che il datore di lavoro può scegliere tra tutti coloro che in qualche modo al termine della mobilità godranno di una pensione, di vecchiaia o di anzianità. ma nel senso che devono essere scelti coloro che, per aver lavorato più a lungo degli altri, godranno di una pensione più elevata ". Anche la Corte di cassazione è intervenuta sulla questione relativa alle comunicazioni di cui all'art. 4 comma 9 L. 223/91 con tre decisioni. La sentenza 26 luglio 1996 n. 6759 contiene una ampia e rigorosa disamina della ratio delle procedure previste dall'art. 4 e della rilevanza (ai fini delle efficacia dei licenziamenti) della comunicazione delle modalità applicative dei criteri di scelta: " ... la puntale indicazione (l'uso del termine appare significativo) delle modalità con la quale sono stati applicati di scelta assume un importanza decisiva per il controllo dell'esercizio dei poteri datoriali fissando definitivamente nei termini indicati dalle comunicazioni la motivazione del singolo licenziamento ". La Corte quindi, conclude a seguito di una interpretazione sistematica e letterale dei testo normativo che tali adempimenti rientrano nell'ambito del regime sanzionatorio introdotto dall'art. 4 comma 12 e 5, comma 3, sancendo il principio in base al quale "i licenziamenti per riduzione di personale affettuati ai sensi dell'art. 4 della L. 23 luglio 1991 ti. 223, sono inefficaci, ai sensi dell'art.i. 5, comma 3 della stessa legge, qualora siano intimati in violazione della procedure previste dal medesimo articolo 4, che impone la comunicazione agli uffici competenti e alle organizzazioni sindacali delle specifiche modalità di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare ". Con la successiva sentenza 20.11.96 n. 1087 la Cassazione, con una decisione scarsamente motivata giunge a conclusioni difformi affermando che "La comunicazione prevista dall'art. 4 l. 23 luglio 1991 n. 223 all'URLMO e alla CRI, essendo prevista a recesso avvenuto non può incidere sulla validità ed efficacia di quest'ultimo; pertanto l'omissione di detta comunicazione può determinare solo un'azione di risarcimento dei danni". La sentenza si riferisce ad un caso estremamente particolare di cessazione dell'attività di una azienda di trasporti nel quale era intervenuto un accordo sindacale, nella prima fase di consultazione, che prevedeva la ricollocazione dell'intera forza lavoro all'esito del licenziamento collettivo. Questa ultima particolarità ha inoltre implicato ad avviso della Corte che "la comunicazione prevista dall'art. 4 della L. 23 luglio 1991 n. 223 concernente i motivi che hanno determinato l'eccedenza di manodopera e la necessità della dichiarazione di mobilità deve essere inviata all'ufficio provinciale del lavoro in vista dell'intervento di mediazione previsto dall'articolo in caso di mancato accordo: pertanto ove sia stato raggiunto un accordo con le organizzazioni sindacali l'omissione della comunicazione non può incidere sulla validità dell'accordo raggiunto e sull'efficacia del recesso" La Suprema Corte è nuovamente intervenuta sulla questione con la sentenza n. 2165 dei marzo 1997 confermando l'orientamento già espresso nella sentenza 6759/96. Nella motivazione si afferma: "Il recesso intimato senza l'osservanza della forma scritta o in violazione delle procedure disposte dall'art. 4 è inefficace" e specificando più oltre "l'art. 5 comma 3 subordina l'efficacia dell'atto, che pone fine al rapporto di lavoro all'osservanza delle regole fissate nell'art. 4 comma 9. Fra le quali vi è appunto la predeterminazione del modo di dar contenuto ai criteri di scelta, ne deriva ancora una volta la conseguenza che una siffatta omissione si riflette sulla legittimità del recesso, costituendo di questo un momento essenziale affinché possa essere attuati in conformità della disciplina, che regola la fattispecie ". La Cassazione ritiene ininfluente il successivo accertamento giudiziario sulla correttezza del procedimento di selezione "posto che, conte dispone l'art. 4 comma 9, la comunicazione ai sindacati ed agli organi amministrativi deve avvenire contestualmente" alla comunicazione del recesso ai lavoratori collocati in mobilità, non è pensabile che le modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta, possano essere elaborate in epoca successiva all'adottato recesso. Tutto questo sia a significare che, contrariamente a quanto si assume dalla società, il datore di lavoro, ancor prima di procedere nell'attuazione del piano di riduzione del personale deve predisporre nel rispetto dell'ari. 5 le modalità di applicazione dei criteri di scelta, se del caso coordinando gli stessi. E la necessità che vi sia questa predisposizione e combinazione dei criteri è confermata dalla considerazione che, a seconda del valore attribuito a ciascuno di questi in relazione alle esigenze tecnico produttive ed organizzative si hanno risultati diversi, così che non è possibile che il programma di riduzione del personale possa essere elaborato dopo i licenziamenti siano stati intimati. Il Decreto Legislativo di attuazione della direttiva U.E. sui licenziamenti collettivi n. 56 del 1992 fornirà sicuramente nuovi spunti di riflessione sulla materia. Alla relazione ha fatto seguito un dibattito. L'avv.ssa Gobessi ha evidenziato sia la lacuna normativa, che non prevede la comunicazione al lavoratore licenziato dei criteri e delle modalità attraverso i quali si è giunti alla sua scelta; ed inoltre la prassi generalizzata, laddove il licenziamento fa seguito ad un periodo di CIGS, di scegliere proprio questi ultimi: cosicché la collocazione in CIGS - a sua volta discrezionale - è preannuncio di chi sarà colpito dai licenziamenti successivi. La compagna responsabile dell'ufficio sindacale del regionale Piemonte ha riferito che tale criterio (licenziamento collettivo che riguarda solo i lavoratori già posti in CIGS) è stato ritenuto illegittimo dalla magistratura torinese. L'Avv. Bellotti ha evidenziato che con la richiesta dei motivi del licenziamento il lavoratore può ovviare alla lacuna normativa che lo esclude dai destinatari della comunicazione ex art. 4 comma 9. Il prof Liso ha espresso una diversa interpretazione dell'art. 4, 1° comma: la previsione ivi contenuta non fà obbligo al datore di lavoro di fornire la prova della impossibilità di ricorrere a strumenti alternativi ai licenziamenti. L'avv. Muggia ha evidenziato la residualità del momento giudiziario e la necessità che vengano forniti reali strumenti alla contrattazione collettiva affinché il licenziamento rappresenti davvero l'extrema ratio. Roma, 07.05.1997