art. 41 - I-133-08

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art. 41 - I-133-08
Confederazione Generale Italiana del Lavoro
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Osservazioni sull'art. 41 della legge n. 133/2008 in tema di orario di lavoro
di Andrea Allamprese
Con l’art. 41 del d.l. n. 112/2008 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 133/2008) sono
state apportate alcune modifiche peggiorative al d.lgs. n. 66/2003, che dà attuazione alla direttiva
n. 93/104 in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, come modificata dalla dir. n. 2000/34 e
ora “codificata” con la dir. n. 2003/88.
Intendiamo con queste brevi note segnalare alcuni profili di illegittimità costituzionale della
nuova disciplina modificativa nonché di difformità tra i contenuti della direttiva comunitaria e il ;
questi si aggiungono ai profili di illegittimità costituzionale - a suo tempo segnalati - della disciplina
del 2003. decreto di recezione novellato
L’approssimazione con cui sono state riscritte alcune norme del d.lgs. 66 fa presagire un nuovo
intervento del governo sulla materia in tempi brevi.
1)
Vengono anzitutto modificate le definizioni di “lavoratore notturno” e di “lavoratore mobile”.
Quanto alla prima definizione, il d.l. n. 112 (art. 41, co. 1) ha interpolato il testo previgente dell’art.
1, lett. e), punto 2), d.lgs. n. 66/2003, confermando che per “lavoratore notturno” si intende - in
difetto di disciplina collettiva - “qualsiasi lavoratore che svolga … lavoro notturno per un minimo di
80 giorni lavorativi l’anno”, ma aggiungendo “per almeno tre ore”. Si è provveduto così a
quantificare la durata del periodo di lavoro che dev’essere prestato nel periodo notturno “per
almeno 80 giorni l’anno” o per la diversa durata prevista dai contratti, perché si possa considerare
il lavoratore come “notturno”.
La modifica è peggiorativa sotto due profili. Essa infatti ha l’effetto di restringere:
–
il campo d’applicazione della disciplina di tutela di cui agli artt. 13, 14 e 15 del d.lgs.
66/2003 e del relativo apparato sanzionatorio, in quanto, se prima per essere considerato
“lavoratore notturno” (assoggettato alla suddetta disciplina protettiva) era sufficiente
svolgere magari solo per un’ora ”lavoro notturno per un minimo di 80 giorni lavorativi
all’anno”, ora invece il lavoratore deve svolgere “almeno tre ore” di lavoro notturno per un
minimo di 80 giorni se vuole essere considerato come “notturno”;
–
la platea degli aventi il diritto al pensionamento anticipato con requisiti inferiori a quelli
previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti, così come ricostruibile sulla base della
delega contenuta nell’art. 1, co. 3, della legge n. 247/2007. Questa norma infatti contiene
un rinvio (formale) ai “lavoratori dipendenti notturni come definiti dal decreto legislativo 8
aprile 2003, n. 66” (lett. b).
La nuova formulazione del punto 2) della lett. e) pone evidenti dubbi interpretativi, atteso che ai
sensi del punto 1) della medesima lettera per “lavoratore notturno” si intende “qualsiasi lavoratore
che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato
in modo normale”. La coincidenza tra la durata dei due periodi di lavoro (tre ore) rende difficile la
distinzione tra le ipotesi alternative di cui ai punti 1) e 2).
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2)
Vengono esclusi completamente dal campo d’applicazione del d.lgs. n. 66/2003 gli addetti
ai servizi di vigilanza privata, per i quali ora valgono solo le regole fissate dai contratti collettivi e
dalla legislazione speciale (art. 2, co. 3, d.lgs. 66, come modificato dall’art. 41, co. 3, d.l.
112/2008). Trattasi di lavoratori discontinui, come lo sono per esempio i medici del pronto
soccorso, i soccorritori del servizio di ambulanza, il personale infermieristico (tutti presi in
considerazione dalla Corte di Giustizia CE in una serie di positive decisioni degli ultimi 7 anni), gli
addetti ai servizi di pronto intervento (si pensi, ad es., agli addetti allo spegnimento incendi
all’interno di alcuni impianti industriali), i sorveglianti, ecc.
Pur continuando - ai sensi dell’art. 16, co. 1, lett. d), d.lgs. n. 66 - ad essere esclusi dall’ambito
di applicazione della disciplina sulla durata settimanale dell’orario “normale” di cui all’art. 3 (ma non
dal tetto di 250 ore annuali di straordinario individuale di cui all’art. 5, co. 2, d.lgs. 66: Corte
d’appello Firenze 29.12.2003), i lavoratori discontinui - quali enumerati nella tabella allegata al
R.D. 2657/23 (che non è stato abrogato dalla legge n. 133/2008) - sono però assoggettati ai limiti
di durata media massima settimanale (48 ore) di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 66/2003, stante la
previsione per quest’ultima disciplina del diverso ambito derogatorio di cui all’art. 17. Orbene, la
nuova previsione legislativa - in qualche modo anticipata dal D.M. del 27.4.06 del Ministero
dell’Interno (per le deroghe al d.lgs. 66 in tema di organizzazione e gestione dell’orario di lavoro
per le guardie particolari giurate. ai sensi dell’art. 2, co. 2) - crea un’eccezione per gli addetti alla
vigilanza privata, i quali sono sottratti in toto all’ambito di applicazione della disciplina limitativa
dell’orario. La modifica è destinata ad avere un impatto notevole su numerosi procedimenti ispettivi
oggi in essere.
Peraltro, si può dubitare che l’esclusione in discorso sia compatibile con la dir. 2003/88 cui il
d.lgs. 66/2003 dà attuazione. I contenuti della direttiva si estendono “a tutti i settori di attività,
privati e pubblici, ai sensi dell’art. 2 della direttiva 89/391, fermi restando gli artt. 14, 17, 18 e 19
della presente direttiva” (art. 1, par. 3, dir. 2003/88). Il rinvio alla sfera di efficacia della direttiva
quadro 89/391 comporta che le disposizioni della dir. 2003/88 non trovano applicazione quando
“particolarità inerenti ad alcune attività specifiche nel pubblico impiego, per esempio nelle forze
armate o nella polizia, o ad alcune attività specifiche nei servizi di protezione civile, vi si
oppongano in modo imperativo” (art. 2, par. 2, dir. 89/391). Sennonché, ad avviso della Corte di
Giustizia CE, il campo d’applicazione della dir. 89/391 (e, quindi, della dir. 2003/88) “deve essere
inteso in senso ampio” e le eccezioni (incluse quelle di cui all’art. 2, par. 2, cit.) devono essere
interpretate in senso restrittivo (Corte di Giustizia 3 ottobre 2000, SIMAP).
3)
Viene abolito l’obbligo di informare a consuntivo l’organo ispettivo competente per territorio
“in caso di superamento delle 48 ore di lavoro settimanale, attraverso prestazioni di lavoro
straordinario”, per le imprese - industriali e non - con più di 10 dipendenti (art. 4, co. 5, d.lgs. 66,
oramai abrogato). Contestualmente si è provveduto ad eliminare la connessa sanzione per la
mancata comunicazione di cui all’art. 18-bis, co. 5. Si noti che lo smantellamento degli obblighi di
comunicazione all’ispettorato del lavoro dei regimi effettivi di orario è stato avviato nel 1998 (legge
n. 409 relativa alle imprese industriali) ed è proseguito con il d.lgs 66/2003. Infatti, l’elemento
fondamentale della disciplina originaria del lavoro straordinario era rappresentato dalla
tempestività della comunicazione per consentire all’organo ispettivo di attivarsi in caso di
violazione delle regole, laddove nel d.lgs. 66 l’esigenza di tempestività era scomparsa del tutto.
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4)
Viene meno il principio della consecutività del periodo di riposo giornaliero di 11 ore in ogni
periodo di 24 ore nel caso di attività caratterizzate da regimi di reperibilità (art. 7, co. 1, d.lgs. 66,
come modificato dall’art. 41, co. 4, d.l. 112/2008). L’ipotesi si aggiunge a quella relativa alle “attività
caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata”.
La nuova formulazione dell’art. 7 apparentemente accoglie nel testo della disposizione legale il
chiarimento fornito dal Ministero del lavoro con l’interpello n. 13/2008. Nel documento ministeriale
si afferma che il principio della “non frazionabilità del godimento dei riposi” è da riferirsi ai soli riposi
settimanali e “non pare potersi applicare in modo identico” in materia di riposi giornalieri; tuttavia si
dice pure che la deroga al principio di non frazionabilità del riposo giornaliero debba avvenire
tramite contratto collettivo nazionale ai sensi dell’art. 17, co. 1, d.lgs. n. 66 (nel testo precedente
alla modifica peggiorativa operata dall’art. 41 del d.l. n. 112/2008) e con le garanzie di cui all’art.
17, co. 4.
Col d.l. n. 112 invece è stata normativamente introdotta la deroga per le attività caratterizzate da
regimi di reperibilità, non ritenendosi opportuno rinviare ai CCNL.
In definitiva, in caso di interruzione del periodo di riposo giornaliero per prestazioni da rendere in
regime di reperibilità, lo stesso periodo di riposo non decorre nuovamente dalla cessazione della
prestazione lavorativa, e si computano le ore eventualmente già fruite.
5)
Nel d.lgs. 66/2003 non è più espressamente previsto un diritto sociale fondamentale al
riposo settimanale - sancito dalla Carta di Nizza - da calcolarsi su un periodo di soli 7 giorni. A
seguito della modifica apportata dal d.l. n. 112 (art. 41, co. 5) all’art. 9, co. 1, d.lgs. n. 66, il periodo
di riposo di almeno 24 ore consecutive, per ogni periodo di 7 giorni, “è calcolato come media in un
periodo non superiore a quattordici giorni”.
Si autorizza quindi lo svolgimento di prestazioni nell’ambito di turni di lavoro di sette giorni
consecutivi con godimento alla seconda settimana di due giorni di riposo (ad es., 48 ore
consecutive; oppure 24 ore l’8° giorno e altre 24 ore il 14° giorno; etc.).
E’ vero che l’art. 16, lett a) della direttiva sull’orario consente una dilatazione della periodicità
settimanale del riposo (“Gli Stati membri possono prevedere … per l’applicazione dell’art. 5 (riposo
settimanale), un periodo di riferimento non superiore a 14 giorni”). E tuttavia la novella in questione
difficilmente potrà superare il vaglio di costituzionalità.
Secondo la Corte costituzionale, l’art. 36, co. 3, Cost., configurerebbe la periodicità settimanale
del riposo come principio generale, destinato ad informare la disciplina dell'istituto, senza
precludere l’introduzione di regimi derogatori speciali. La regolarità costituzionale di discipline
siffatte è tuttavia - secondo un consolidato orientamento della Consulta - subordinata alla
ricorrenza di alcuni presupposti. Essi sono: a) il mantenimento di una media di 6 giorni di lavoro e
1 di riposo, con riferimento a un arco temporale complessivo e in modo da non snaturare la
periodicità tipica della pausa; b) la “evidente necessità” delle eccezioni a tutela di altri
"apprezzabili" interessi, identificabili di norma con quelli produttivi; c) il ragionevole
contemperamento tra le esigenze della salute dei lavoratori e quelle, particolari, di speciali attività
produttive (Corte cost. 23/82; Corte cost. 101/75; Corte cost. 65/73; Corte cost. 105/72).
La giurisprudenza più recente, assumendo posizioni meno garantiste che in passato, afferma
che la “evidente necessità”, la quale è condizione di ammissibilità della deroga alla cadenza
settimanale del riposo settimanale, non va concepita come una necessità assoluta (cioè come
un'impossibilità di soddisfare altrimenti i previsti interessi “apprezzabili”) ma come esistenza di un
ragionevole rapporto di strumentalità (cfr., fra le altre, Cass. 3634/96).
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A fronte di questo orientamento giurisprudenziale si può dubitare della legittimità di una norma,
come quella introdotta dall’art. 41, co. 5, d.l. n. 112/2008, che consente una dilatazione della
periodicità del riposo settimanale al di fuori dei limiti indicati dalla Corte costituzionale e, dunque, in
modo incondizionato.
Rispetto al vecchio testo del d.lgs. 66 è stata inserita tra le eccezioni alla regola del periodo
minimo di riposo di 24 ore consecutive cui si aggiungono le 11 ore di riposo giornaliero anche il
cambio turno e non soltanto il cambio squadra.
6)
Quanto all’individuazione dei livelli negoziali competenti a derogare alle norme del d.lgs. n.
66 in materia di riposi giornalieri, pause, modalità di organizzazione e durata del lavoro notturno, è
venuta meno la precedente previsione (di cui al testo originario dell’art. 17, co. 1) che vincolava la
contrattazione di 2° livello al rispetto dei limiti stabiliti nel CCNL. Infatti il nuovo comma 1 dell’art.
17 (modificato dall’art. 41, co. 7, d.l. n. 112) attribuisce la facoltà di deroga ai contratti collettivi
“territoriali o aziendali” del settore privato “stipulati con le organizzazioni sindacali
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”, pur “in assenza di specifiche
disposizioni nei contratti collettivi nazionali”.
La modifica introdotta solleva alcuni dubbi circa la sua compatibilità con le previsioni della
direttiva sull’orario. L’art. 18, co. 1, dir. 2003/88 (relativo alla deroghe mediante contratto collettivo)
si riferisce espressamente ai soli “contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali a livello
nazionale o regionale o, conformemente alle regole fissate da dette parti sociali, mediante contratti
collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali ad un livello inferiore”.
7)
Quanto alle sanzioni, il punto più critico è rappresentato dalle modifiche apportate alle
sanzioni relative alla violazione della disciplina dei riposi giornalieri.
La nuova formulazione dell’art. 18-bis, co. 4, riduce drasticamente l’importo della sanzione per la
violazione dell’art. 7 sul riposo giornaliero (portandola da un importo edittale pari a 105 euro nel
minimo e 630 nel massimo, ad un importo pari 25 euro nel minimo e 100 nel massimo).
La violazione dell’art. 9, co. 1, sul riposo settimanale scompare dal co. 4 dell’art. 18-bis, che nel
testo previgente la accomunava a quella per le violazioni dei riposi giornalieri, e riappare nel
comma 3 dell’art. 18-bis, come riscritto dall’art. 41, co. 8, del d.l. n. 112/2008. La sanzione risulta
così lievemente inasprita rispetto a quella previgente.
Va infine segnalato che l’apparato sanzionatorio in materia di orario risulta indebolito dalla modifica
apportata all’art. 14 del d.lgs. n. 81 del 2008, che disciplina il provvedimento di sospensione
dell’attività imprenditoriale che il personale ispettivo può adottare in presenza di determinati
presupposti. Tra le ipotesi nelle quali si poteva procedere al provvedimento di sospensione vi era,
difatti, accanto all’impiego di personale in nero in misura pari o superiore al 20% del totale dei
lavoratori presenti sul luogo di lavoro, ed alle “gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della
salute e della sicurezza sul lavoro”, anche l’ipotesi delle “reiterate violazioni della disciplina in
materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui agli articoli 4,
7 e 9 del d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, e successive modificazioni, considerando le specifiche gravità
di esposizione al rischio di infortunio”.
In altre parole, la reiterata violazione delle disposizioni in materia di orario esponeva l’azienda alla
sospensione dell’attività. L’art. 41, co. 11, del d.l. n. 112/2008 modifica la norma eliminando i
riferimenti alle violazioni in materia di orario, e limitando il ricorso a tale strumento ai casi di lavoro
nero e di gravi e reiterate violazioni in materia di sicurezza.
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8)
Viene sottratto alla sfera d’applicazione degli artt. 4 e 7 del d.lgs. 66 (risp. sulla durata
complessiva media di 48 ore e sul riposo giornaliero) il personale medico dirigente degli Enti e
delle Aziende del SSN, “in ragione della qualifica posseduta e della necessità di conformare
l’impegno di servizio al pieno esercizio della responsabilità connessa all’incarico dirigenziale
affidato” (art. 41, co. 13, d.l. 112/2008). Per questi lavoratori vale solo la regolamentazione,
articolata in ragione delle specificità del settore, contenuta nel CCNL.
Attraverso questa operazione del comma 13 dell’art. 41 si ottiene il seguente risultato: pur nel
rispetto del CCNL cui è demandata la definizione delle “modalità atte a garantire ai dirigenti
condizioni di lavoro che consentano una protezione appropriata”, le aziende ospedaliere potranno
far lavorare i dirigenti medici (si pensi ai cardiochirurghi) in deroga agli artt. 4 e 7 del d.lgs. n.
66/2003, senza incorrere nelle sanzioni di cui all’art. 18-bis dello stesso decreto. Anche in questo
caso, la modifica è destinata ad avere un impatto su numerosi procedimenti ispettivi oggi in
essere.
Roma, 9 settembre 2008
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