Diritto di abitazione della casa coniugale e coniuge superstite

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Diritto di abitazione della casa coniugale e coniuge superstite
Breve nota alla Sentenza della Corte di Cassazione, Sez. II Civile, 22 ottobre 2014, n. 22456,
Pres. Oddo, Rel. Bucciante
Diritto di abitazione della casa coniugale e coniuge superstite.
Con la pronuncia in commento la Cassazione accoglie il ricorso proposto da R.L. avverso la
sentenza della Corte di Appello di Roma che, conformemente al giudice di primo grado, aveva
respinto la domanda di condanna dalla stessa formulata nei confronti del padre R.E.. L’attrice
invocava, infatti, il pagamento di un’indennità da parte del convenuto per il mancato godimento di
un appartamento di cui era stata dallo stesso spossessata e sul quale vantava un diritto di usufrutto
per la quota di metà, in qualità di erede testamentaria della madre deceduta.
R.E., infatti, dopo la morte del coniuge da cui era separato, aveva esercitato con esito positivo
l’azione di riduzione in qualità di legittimario pretermesso del testamento della moglie, ottenendo,
quale reintegra, l’assegnazione dell’appartamento in danno della figlia. Il Tribunale di prime cure,
nel rigettare la domanda di R.L., aveva osservato che il padre era titolare di un diritto di abitazione
sull’immobile in questione che, in costanza di matrimonio, costituiva la residenza coniugale, a
norma del combinato disposto di cui agli artt. 540 e 548 c.c. Esperito con esito negativo anche il
giudizio d’appello, ove la Corte territoriale confermava la pronuncia del Tribunale di Roma
censurando la mancanza di adeguata motivazione del gravame della sentenza di primo grado, R.L.
adiva, infine, la Suprema Corte articolando un unico motivo, ovvero se fosse conforme al disposto
dell’art. 540 c.c. l’attribuzione del diritto di abitazione al coniuge superstite quando lo stesso sia
legalmente separato e non più convivente nella casa oggetto della disposizione successoria.
I giudici di legittimità ritengono fondato il gravame e le argomentazioni svolte dalla ricorrente.
Come ribadito dalla stessa Corte, la questione era già stata oggetto di una recente pronuncia – Cass.
12 giugno 2014 n. 13407 – ove, preliminarmente, veniva chiarito che oggetto della tutela dell'art.
540, secondo comma, c.c., non è il bisogno dell'alloggio (che da questa norma riceve protezione
solo in via indiretta ed eventuale), ma altri interessi di natura non patrimoniale, riconoscibili solo in
connessione con la qualità di erede del coniuge, quali la conservazione della memoria del coniuge
scomparso, il mantenimento del tenore di vita, delle relazioni sociali e degli status symbols goduti
durante il matrimonio, con conseguente inapplicabilità, tra l'altro, dell'art. 1022 c.c., che regola
l'ampiezza del diritto di abitazione in rapporto al bisogno dell'abitatore. Fatte queste
puntualizzazioni riguardo alla natura ed all'ampiezza del diritto di abitazione previsto dal citato art.
540 c.c., i giudici rilevavano che l'art. 548 primo comma c.c. equipara, quanto ai diritti successori
attribuiti dalla legge, il coniuge separato senza addebito al coniuge non separato. Tuttavia,
nonostante la formulazione di tale ultima norma lascerebbe intendere, a una prima lettura, che anche
in favore del coniuge separato senza addebito debbano riconoscersi i diritti di abitazione e di uso di
cui al secondo comma dell'art. 540 c.c., in conformità del prevalente orientamento della dottrina,
deve ritenersi che, in caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della
convivenza, l'impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare faccia venire
meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell'attribuzione dei diritti in parola. Se, infatti,
il diritto di abitazione (e il correlato diritto d'uso sui mobili) in favore del coniuge superstite può
avere ad oggetto esclusivamente l'immobile concretamente utilizzato prima della morte del "de
cuius" come residenza familiare, è evidente che l'applicabilità della norma in esame è
condizionata all'effettiva esistenza, al momento dell'apertura della successione, di una casa
adibita ad abitazione familiare; evenienza che non ricorre allorché, a seguito della separazione
personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi.
Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte ritiene che le censure mosse dalla ricorrente avverso la
sentenza di primo grado fossero pertinenti e precise e che, pertanto, la Corte d’Appello di Roma
aveva errato nella loro valutazione. Accoglie, pertanto, il ricorso di L.R. e cassa la sentenza
impugnata con rinvio ad altro giudice.
Francesca Fioretti