Diritto di abitazione spettante al coniuge superstite

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Diritto di abitazione spettante al coniuge superstite
Comunicazione SP n. 154 del 26/06/2012
Allegato 1
Diritto di abitazione spettante al coniuge superstite
Il diritto di abitazione è un diritto reale di godimento su cosa altrui che spetta al coniuge
superstite ai sensi dell’articolo 540, comma 2, del codice civile, il quale dispone che al
coniuge superstite, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti
d’abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se
di proprietà del defunto o comuni.
Il diritto di abitazione si acquisisce immediatamente al momento dell'apertura della
successione ereditaria.
Tale diritto grava sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il
rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli.
Secondo la giurisprudenza, il diritto di abitazione del coniuge superstite della casa
familiare costituisce l’oggetto di un legato, a favore del coniuge superstite, disposto “ex
lege” allo scopo di tutelare interessi non patrimoniali connessi alla sua qualità di erede.
Infatti, in questo modo, l’ordinamento giuridico, oltre a tutelare l’interesse economico del
coniuge ad avere un alloggio, tutela soprattutto l’interesse morale, legato alla
conservazione dei rapporti affettivi con la casa familiare, oltre al mantenimento dei
rapporti sociali goduti durante il matrimonio.
Oggetto del diritto è dunque la casa coniugale, ossia l’abitazione in cui i coniugi
svolgevano la loro vita di coppia e, quindi, l’abitazione adibita a residenza familiare.
I diritti di uso e di abitazione non si possono cedere o dare in locazione.
Sotto il profilo fiscale, il diritto di abitazione è sicuramente rilevante, infatti, la titolarità
del diritto di abitazione costituisce presupposto dell’imposta sul reddito delle persone
fisiche e, in particolare, il reddito derivante dal diritto di abitazione è qualificato reddito
fondiario ai sensi dell’art. 6 del Tuir.
Ugualmente gravano sul titolare del diritto di abitazione i tributi locali, in particolare
l’IMU e la tassa rifiuti.
Il titolare del diritto di abitazione, al pari dell’usufruttuario, è, infatti, soggetto passivo
d’imposta e deve corrispondere i tributi in relazione all’intero immobile sul quale grava
il diritto, indipendentemente dalle sue quote di possesso. Gli altri eredi, in quanto nudi
proprietari, non sono invece soggetti passivi d’imposta e quindi in relazione all’immobile
non devono versare alcun tributo.
Trattandosi di un diritto che si incontra con una certa frequenza, è importante conoscere la
relativa normativa che, per alcuni aspetti, è piuttosto controversa e richiede spesso l’aiuto
della dottrina e della giurisprudenza per cercare di chiarire e interpretare al meglio alcune
carenze insite nella stessa norma.
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Ad esempio, la norma è inserita nella Sezione dedicata ai diritti riservati ai legittimari e
non è richiamata nel Titolo Secondo dedicato alla disciplina delle successioni legittime e
ciò ha creato non pochi problemi di interpretazione.
L’opinione prevalente, anche in giurisprudenza, ritiene che il diritto di abitazione spetti
anche in assenza di testamento e quindi in presenza di successione legittima.
La risposta offerta dalla giurisprudenza è articolata e prende le mosse dalla constatazione
della differenza di disciplina tra successione legittima e necessaria.
In tema di successione necessaria la disposizione di cui all'art. 540, comma 2 del c.c., che
ha ad oggetto la riserva a favore del coniuge superstite dei diritti di abitazione sulla casa
adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, determina un incremento
quantitativo della quota in favore del coniuge stesso, considerato che i diritti di abitazione
e di uso (e, quindi, il loro valore capitale) si sommano alla quota riservata al coniuge.
Nel caso di successione legittima, non potendo trovare applicazione gli istituti della
«riserva» e della «disponibile», i diritti di abitazione e di uso, pur spettando al coniuge
superstite, costituiscono una mera indicazione di beni che concorrono a formare la sua
quota ex lege. In questo caso, pertanto, i diritti in esame non si aggiungono, ma devono
essere compresi nella quota di eredità di pertinenza del coniuge.
Il diritto d’abitazione consiste nella facoltà d’abitare la casa coniugale, limitatamente ai
bisogni del titolare del diritto e della sua famiglia.
Presupposto affinché venga assegnato tale diritto è l’appartenenza della casa al coniuge
deceduto o comune.
Riguardo alla possibilità che i diritti di uso e di abitazione sorgano quando la casa adibita a
residenza familiare è di proprietà del de cuius in comunione con terzi, esistono due teorie
dottrinali:
1) i diritti in questione sorgono, in favore del coniuge superstite, sulla totalità
dell’immobile e dei beni mobili di arredamento, anche nell’ipotesi in cui il de cuius, in
vita, è comproprietario, con altri, dei beni in discussione (casa, arredi); diversamente, la
posizione del superstite potrebbe essere pregiudicata dal fatto che il de cuius,
nell’imminenza del proprio decesso, alieni a terzi una quota, anche minima, della
propria casa;
2) alla luce della ratio del diritto de quo e della sua stretta connessione con l’esigenza di
godere dell’abitazione familiare, si ritiene che il legislatore, prevedendo l’ipotesi della
casa comune, si riferisca esclusivamente alla comunione del de cuius con l’altro
coniuge. Inoltre, nel caso in cui comproprietario fosse un terzo, non potrebbero
verificarsi i presupposti per la nascita dei diritti di abitazione e di uso, non essendo in
questo caso realizzabile l’intento del legislatore di assicurare in concreto al coniuge il
godimento pieno del bene oggetto dei diritti stessi.
La giurisprudenza è divisa, invece, tra la seconda delle teorie sopra esposte e una terza
teoria, meno radicale:
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1) 1i diritti di uso e di abitazione sorgono in capo al coniuge superstite solo nel caso in cui i
beni in questione siano di proprietà esclusiva del de cuius o in comunione tra il de cuius
e il coniuge, con esclusione perciò di terzi.
La locuzione “se di proprietà del defunto o comuni” deve interpretarsi nel senso “se di
proprietà del defunto o comuni tra i coniugi”. Apparirebbe, infatti, inammissibile che la
morte di uno dei comunisti comporti che dei terzi, estranei alla vicenda successoria,
trovino gravata la loro quota a causa di un diritto reale parziale limitato a una quota
ideale dell’immobile o, per ipotesi, ad alcuni vani.
In questa ipotesi, la stessa ratio della norma sembra essere contraria alla configurabilità
del diritto di abitazione in favore del coniuge superstite, infatti, i diritti di uso e di
abitazione di cui all’art. 540 del c.c. mirano a tutelate interessi morali e non patrimoniali
(cfr. Corte Cost. 26.05.1989 n. 310 in Foro it., 1991, I, 446);
2) 2il diritto di abitazione non può essere esercitato a dispetto del diritto di proprietà
vantato dall’estraneo. Tuttavia, il coniuge superstite, nei limiti della quota di proprietà
del coniuge defunto, può ottenere l’equivalente monetario del proprio diritto.
Poiché si considera tale attribuzione un legato ex lege, il coniuge acquista tali diritti anche
se rinunzia all’eredità.
E’ possibile, però, rinunciare anche al diritto di abitazione. Si tratta di una rinuncia
abdicativa che deve essere effettuata per iscritto, infatti, ogniqualvolta essa abbia ad
oggetto diritti reali immobiliari, ai sensi del punto 5) dell'art. 1350 del c.c., risulta soggetta
allo scritto ad substantiam actus. Sarebbe pertanto insanabilmente nulla una rinunzia orale.
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Cass. 22/07/1991 n. 8171; Cass. 23/05/2000, n. 6691; Trib. Roma 26/03/2003 2
Cass. 10/03/1987 n. 2474; Cass. 30/07/2004, n. 14594 3