Sentenza del Tribunale di Trento del 15 gennaio 2013

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Sentenza del Tribunale di Trento del 15 gennaio 2013
REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE DI TRENTO
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
il dott. Giorgio Flaim, quale giudice del lavoro, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa per controversia in materia di pubblico impiego promossa con ricorso
depositato in data 18.4.2012
d a
D. P. D.
rappresentata e difesa dagli avv.ti F. C., C. M., P. B. ed E. F., ed elettivamente
domiciliata presso lo studio di quest’ultima, in …
ricorrente
c o n t r o
P.
in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti
N. P., S. D. e F. S., e domiciliata presso l’avv. S. D. nella sede …
convenuto
CONCLUSIONI DI PARTE RICORRENTE
“Previa fissazione dell’udienza di comparizione, voglia:
accertare e dichiarare l’illegittimità e/o nullità della condotta posta in essere da
parte resistente, per la mancata puntuale indicazione delle ragioni alla base
dell’apposizione di un termine ai vari negozi contrattuali succedutisi tra le parti, in
violazione del disposto dell’art. 1 d.lgs. 368/2001 e successive modificazioni, per
l’inosservanza della previsione di cui all’art. 4 d.lgs. 368/2001 in tema di proroghe
dei contratti di lavoro a termine e per il superamento del tetto massimo di 36 mesi
nella relazione lavorativa fra le parti in forza di una pluralità di contratti a termine:
per l’effetto, accertare e dichiarare la sussistenza tra le parti di un rapporto di
lavoro subordinato a tempo indeterminato, in forza della conversione piena e
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definitiva del contratto di lavoro dell’istante, a far data dalla prima assunzione del
ricorrente;
per l’effetto ancora, condannare l’ente resistente alla reintegrazione del ricorrente
nel suo posto di lavoro;
per l’effetto ancora, condannare l'ente resistente alla corresponsione in favore della
ricorrente di tutte le retribuzioni mensili maturate e non corrisposte, a seguito della
richiesta conversione del contratto di lavoro, oltre interessi e rivalutazione a
decorrere dalle rispettive scadenze e sino all’effettivo soddisfo, unitamente al
versamento dei dovuti contributi assistenziali e previdenziali;
per l’effetto ancora, condannare l'ente resistente al risarcimento dei danni patiti
dalla ricorrente, nella misura compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell'ultima
retribuzione globale mensile di fatto, secondo la previsione dell’art. 32 co.5 L.
183/2010, ovvero nella diversa misura maggiore o minore che il giudice intenderà
liquidare secondo giustizia, il tutto comunque oltre rivalutazione e interessi a
decorrere dalle rispettive scadenze e fino all’effettivo soddisfo.
In via subordinata al mancato riconoscimento del diritto alla conversione della
relazione lavorativa a termine in contratto a tempo indeterminato, condannare
l’ente resistente al risarcimento dei danni sofferti dalla ricorrente per l’illegittimo
ricorso ad una pluralità di contratti a termine, in violazione delle previsioni del
d.lgs.
368/2001 e successive modificazioni, nella misura pari a 24 mensilità
dell'ultima retribuzione globale mensile percepita dall'istante ovvero nella diversa
misura maggiore o minore che il giudice adito intenderà liquidare secondo giustizia,
il tutto comunque oltre rivalutazione ed interessi a decorrere dalle rispettive
scadenze e fino all’effettivo soddisfo.
Con vittoria di spese, diritti ed onorari del presente giudizio, da distrarsi in favore
dei sottoscritti procuratori che se ne dichiarano anticipatari”
CONCLUSIONI DI PARTE CONVENUTA
“In via pregiudiziali di rito:
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dichiarare l'inammissibilità del ricorso per intervenuta decadenza ex art. 32 L.
183/2010.
Nel merito:
1) dichiarare le domande tutte infondate in fatto ed in diritto e, per l'effetto,
respingere il ricorso;
2) in subordine, dichiarare il difetto del diritto alla riassunzione ex art. 36 d.lgs.
165/2001 e, per l’effetto, respingere la relativa domanda;
3) in ulteriore subordine, stabilire la decorrenza della riassunzione nel senso
indicato in narrativa (par. 3);
4) accertare in tal caso l’insussistenza del diritto agli emolumenti maturati dopo la
cessazione dell'ultimo rapporto ex art. 32 co.5 L. 183/2010 e, comunque, per
difetto di messe in mora e, per l'effetto, respingere la relativa domanda;
5) riconoscere, sempre in caso di conversione del rapporto, l’eventuale
risarcimento del danno esclusivamente del minimo di legge e, previa rimessione
alla Corte costituzionale dell’art. 32 co.6 L. 183/2010, comunque in misura non
superiore a 6 mensilità ex art. 32 co.6 L. 183/2010;
6) in caso di mancata conversione del rapporto, respingere la richiesta di
risarcimento danni o, in subordine, accoglierla in misura non superiore a quattro
mensilità;
7) respingere la domanda di cumulo di interessi e rivalutazione monetaria ex art.
16 co.6 L. 412/1991;
8) vittoria di spese, diritti, onorari e accessori di legge”
PREMESSA
Il ricorso risulta depositato in data 18.4.2012.
Ne consegue che:
1)
Trova applicazione la novella dell’art. 429 co.1 cod.proc.civ. introdotta dall’art. 53
co.2 D.L. 25.6.2008, n. 112, conv. con L. 6.8.2008, secondo cui “nell'udienza il
giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia
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sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione
delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”, mentre solo “in caso di particolare
complessità della controversia” (certamente non ricorrente nella fattispecie in esame)
“il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni, per il
deposito della sentenza”;
infatti l’art. 56 D.L. 112/2008 prescrive che il novellato 429 cod. proc. Civ. “si
applica ai giudizi instaurati dalla data della sua entrata in vigore” ossia, alla luce del
disposto ex art. 86 D.L. cit., a decorrere dal 25 giugno 2008.
Secondi i primi commenti dottrinali il modello di sentenza delineato dal nuovo art.
429 co.1 cod.proc.civ. è riconducibile a quello descritto dall’art. 281-sexies
cod.proc.civ., il quale dispone che “il giudice, fatte precisare le conclusioni, può
ordinare la discussione orale della causa nella stessa udienza o, su istanza di parte,
in un’udienza successiva e pronunciare sentenza al termine della discussione, dando
lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto
della decisione.
In tal caso, la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del
giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria”.
2)
Trova, altresì, applicazione la novella dell’art. 118 disp.att. c.p.c., introdotta dall’art.
52 co.5 L. 18.6.2009, n. 69, secondo cui “La motivazione della sentenza di cui
all’articolo 132, secondo comma, numero 4), del codice consiste nella succinta
esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione,
anche con riferimento a precedenti conformi”;
infatti l’art. 58 L. 69/2008 prevede: “Fatto salvo quanto previsto dai commi
successivi, le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura
civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai
giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”;
ne consegue che la presente sentenza non conterrà alcuna descrizione dello
svolgimento del processo.
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Ma vi è di più:
l’obbligo di immediata lettura comporta necessariamente che la motivazione possa (e
debba) contenere unicamente gli elementi indispensabili al fine di non cadere nel
vizio di omessa o insufficiente motivazione, ricorrente, secondo gli insegnamenti
della Suprema Corte (ex multis, anche di recente, Cass. S.U. 21.12.2009, n. 26825;
Cass. sez. L. 23.12.2009, n. 27162; Cass. sez. L. 6.3.2008, n. 6064; Cass. sez. L.
3.8.2007, n. 17076;), quando le argomentazioni del giudice non consentano di
ripercorrere l'iter logico, che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo
convincimento, o esibiscano al loro interno un insanabile contrasto ovvero quando
nel ragionamento sviluppato nella sentenza sia mancato l'esame di punti decisivi della
controversia e/o di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione.
Il perseguimento dell’obiettivo, imposto al giudice del lavoro dalla novella dell’art.
429 co.1 cod. proc.civ. di redigere una sentenza priva di elementi non essenziali ai
fini della decisione, appare agevolato dal principio, consolidato nella giurisprudenza
della Suprema Corte (ex multis, di recente, Cass. 24.11.2009, n. 24542; Cass. sez. L.
18.6.2007, n. 14084; Cass. sez. L. 2.2.2007, n.2272; Cass. 27.7.2006, n. 17145;),
secondo cui, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito
adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al
fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è
sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in
questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente
incompatibili con esse.
MOTIVAZIONE
le domande proposte dalla ricorrente
La ricorrente eccepisce la nullità:
 della clausola di apposizione del termine finale (23.3.2005) al contratto di lavoro
subordinato a tempo determinato stipulato dalle parti con decorrenza dal
24.3.2004 (prodotto dalla ricorrente sub 1);
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 delle proroghe del suddetto termine finale convenute in data 8.3.2005 fino al
23.3.2007 (doc. 2 fasc.ric.), in data 6.3.2007 fino al 30.11.2007 (doc. fasc. 3 ric.),
in data 27.9.2007 fino al 31.12.2007 (doc. 4 fasc.ric.), in data 15.11.2007 fino al
15.2.2008 (doc. 5 fasc.ric.), in data 9.1.2008 fino al 31.5.2008 (doc. 6 fasc.ric.),
in data 10.4.2008 fino al 31.7.2008 (doc. 7 fasc.ric.), in data 11.6.2008 fino al
30.9.2008 (doc. 8
fasc.ric.), in data 27.8.2008
fino al 31.12.2008 (doc. 9
fasc.ric.), in data 18.12.2008 fino al 31.1.2009 (doc. 10 fasc.ric.), in data
15.1.2009 fino al 28.2.2009 (doc. 11 fasc.ric.), in data 23.2.2009 fino al
31.12.2009 (doc. 12 fasc.ric.), in data 20.11.2009 fino al 30.6.2010 (doc. 13
fasc.ric.), in data 25.5.2010 fino al 31.12.2010 (doc. 14 fasc.ric.),
in data
20.12.2010 fino alla copertura del posto di personale a tempo indeterminato (doc.
15 fasc.ric.), circostanza avvenuta in data 10.10.2011, come da comunicazione
dell’ente datore di data 22.9.2011 (doc. 16 fasc.ric.).
Sostiene che:
1)
il contratto originario non contiene, in contrasto con la prescrizione ex art. 1 d.lgs.
4.9.2001, n. 368, una sufficiente specificazione delle ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo che lo svolgimento del rapporto di lavoro a
tempo determinato era diretto a soddisfare;
2)
le successive proroghe del termine finale non contengono, in contrasto con la
prescrizione ex art. 4 d.lgs. 368/2001, l’indicazione delle ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo che il prolungamento del rapporto di lavoro a
tempo indeterminato era diretto a soddisfare;
3)
la complessiva durata del rapporto di lavoro subordinato scaturito dal contratto
stipulato in origine e dalle proroghe successivamente convenute ha superato il termine
di 36 mesi previsto dall’art. 5 co.4bis d.lgs. 368/2001.
Agisce quindi:
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A)
in via principale, per la conversione del contratto di lavoro da tempo determinato a
tempo indeterminato a decorrere o dalla data di stipulazione del contratto originario,
nonché per la corresponsione dell’indennità ex art. 32 co.5 L. 4.11.2010, n. 183, a
ristoro del pregiudizio subito dal lavoratore nel periodo intercorrente tra la scadenza
del termine illegittimo e la sentenza di conversione, e per il pagamento delle
retribuzioni maturate successivamente;
B)
in via subordinata, in luogo della conversione del contratto da tempo determinato a
tempo indeterminato, per il risarcimento dei danni sofferti dalla ricorrente per
l’illegittimo ricorso ad una pluralità di contratti a termine in violazione del d.lgs.
368/2001, nella misura pari a 24 mensilità della retribuzione globale di fatto.
in ordine all’eccezione, sollevata dall’ente convenuto, di decadenza della ricorrente
dall’azione di nullità del termine apposto al contratto originario e delle successive
proroghe
La P. eccepisce la decadenza ex art. 6 co.1 L. 15.7.1966, n. 604 ed ex art. 32 co. 3 lett.
d) L. 183/2010 (nel testo all’epoca vigente);
ammette che “la ricorrente ha impugnato il contratto con nota dd. 6.12.2011”, ma
deduce che “dalla “prova di consegna” allegata dalla ricorrente sub n17 (doc. n. 30)
si evince esclusivamente che la P. ha ricevuto una raccomandata in data 12.12.2011,
consegnata agli uffici postali il 9.12.2011 (entro dunque il citato termine di legge),
ma difetta (o risulta illeggibile) invece qualsiasi indicazione in ordine al mittente ed
allo stesso contenuto della raccomandata medesima, gli elementi quindi che
consentano di collegare la prova di consegna alla nota di impugnazione”.
L’eccezione non è fondata:
in ordine all’identificazione del mittente della raccomandata, parte ricorrente ha
prodotto all’udienza del 16.10.2012 (tempestivamente, trattandosi di produzione
conseguente all’eccezione sollevata ex adverso) l’originale della “prova di consegna”
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della raccomandata da cui emerge che la missiva è stata spedita da “Candalice
Avvocati associati” con domicilio in “Bari, via S. Castromediano, 139”;
in ordine al contenuto della raccomandata, appare sufficiente richiamare il consolidato
orientamento della Suprema Corte (Cass. 18.10.2005, n. 20144; Cass. 24.11.2004, n.
22133; Cass. 3.7.2003, n. 10536; Cass. 27.7.2001, n. 10284;) secondo cui la lettera
raccomandata costituisce prova certa della spedizione attestata dall'ufficio postale
attraverso la ricevuta di spedizione, da cui consegue la presunzione, fondata sulle
univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell'ordinaria regolarità del
servizio postale e telegrafico, di arrivo dell'atto al destinatario e di conoscenza ex art.
1335 cod. civ. dello stesso, per cui spetta al destinatario l'onere di dimostrare che il
plico non contiene alcuna lettera al suo interno, ovvero che esso contiene una lettera di
contenuto diverso da quello indicato dal mittente; infatti l’ente convenuto, pur
sollevando la relativa eccezione, non ha offerto alcuna prova circa un contenuto della
raccomandata diverso da quello indicato dalla ricorrente mittente.
in ordine all’eccezione, sollevata dalla ricorrente, di nullità del termine finale
apposto al contratto originario stipulato in data 24.3.2004 per insufficiente
specificazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o
sostitutivo
La ricorrente eccepisce la nullità del termine finale apposto al contratto originario
stipulato in data 24.3.2004, asserendo l’insufficiente specificazione delle ragioni di
carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che lo svolgimento del
rapporto di lavoro a tempo determinato era diretto a soddisfare.
L’eccezione non è fondata.
Risulta per tabulas (doc. 1 fasc. ric.) che :
a) nel contratto de quo: è stato specificato che la stipulazione avveniva “in base alle
disposizioni di cui all’art. 35 co. 1 lett. c) e d) del contratto collettivo di lavoro per
il personale dipendente della P.” (secondo cui “l’Amministrazione può stipulare
contratti individuali per l'assunzione di personale a tempo determinato in
applicazione del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368. I contratti a tempo determinato
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possono essere stipulati per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo
o sostitutivo, ed in particolare nei seguenti casi: … c) per fronteggiare particolari
punte di attività non ricorrenti; d) per l’esecuzione di attività aventi carattere
occasionale o straordinario (es. pianificazione urbanistica, progetto speciale
opere pubbliche, ecc.) e per far fronte ad innovazioni organizzative, quando alle
stesse non sia possibile provvedere con il personale in servizio”).
b) è stata richiamata la determinazione del dirigente il Servizio per il personale n.
175 dd. 5.3.2004, la quale, a sua volta, richiama “la nota prot. n. 460-GEN
/04/D319 di data 18 febbraio 2004 con la quale il Dirigente generale del
Dipartimento Organizzazione e personale assegna al Servizio Opere idrauliche un
dipendente a tempo determinato della figura professionale di Funzionario –
indirizzo amministrativo/organizzativo - categoria D, livello Base, 1^ posizione
retributiva, per un periodo di un anno al fine di assicurare il necessario supporto
giuridico-legale al servizio”.
Orbene, l’art. 1 co.2 d.lgs. 368/2001 dispone che “l'apposizione del termine è priva di
effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono
specificate le ragioni di cui al comma 1”;
questo requisito di ordine formale è soddisfatto dal riferimento alla determinazione del
dirigente il Servizio per il personale n. 175 dd. 5.3.2004, la quale è una atto, se non
effettivamente conosciuto, quanto meno conoscibile alla lavoratrice.
L’art. 1 co.1 d.lgs. 368/2001 prescrive che “è consentita l'apposizione di un termine
alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria
attività del datore di lavoro”;
l’assegnazione, da parte del Dirigente generale del Dipartimento Organizzazione e
personale, al Servizio Opere idrauliche, di un dipendente a tempo determinato per un
periodo di un anno, al fine di assicurare il necessario supporto giuridico-legale al
Servizio costituisce un ragione organizzativa sufficientemente specificata e quindi
idonea a giustificare il ricorso alla stipulazione di un contratto a tempo determinato;
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Come già evidenziato dal giudice delle leggi (Corte Cost. 14.7.2009, n. 214;) nonché
dalla consolidata giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. 27.1.2011, n. 1931;
Cass. 12.7.2010, n. 16303; Cass. 27.4.2010, n. 10033; Cass.1.2.2010, n. 2279; Cass.
21.5.2008, n. 12895;) la ratio sottesa alla prescrizione formale ex art. 1 co.2 d.lgs.
368/2001 – che impone la specificazione (per iscritto) delle ragioni “di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria
attività del datore di lavoro”, di cui al co.1 (e, logicamente, dell’art. 4 co.1) – è quella
di garantire la trasparenza, la veridicità e l’immodificabilità di tali ragioni,
consentendo al lavoratore di conoscerle preventivamente ed al giudice di verificarne
l’effettiva connessione con la durata solo temporanea della prestazione (in particolare
accertando se il lavoratore sia state effettivamente utilizzato per soddisfare le ragioni
indicate specificamente per iscritto);
quanto al caso in esame, il riferimento alla determinazione, adottata dal dirigente del
Dipartimento Organizzazione e personale, di assicurare al Servizio Opere idrauliche
un supporto giuridico-legale
per il periodo di anno garantisce la
conoscibilità
preventiva della ragione posta a giustificazione del ricorso ad un contratto a tempo
determinato e la sindacabilità in sede giudiziale della sua sussistenza effettiva e della
connessione con la durata temporanea della prestazione.
in ordine all’eccezione, sollevata dalla ricorrente, delle proroghe del termine finale
apposto al contratto originario stipulato in data 24.3.2004 per mancata indicazione
delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo
La ricorrente eccepisce la nullità delle successive proroghe del termine finale,
asserendo la mancata indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo, che il prolungamento del rapporto di lavoro a tempo
determinato era diretto a soddisfare.
L’eccezione è fondata.
L’art. 4 co.1 e 2 d.lgs. 368/2001 dispone: “1. Il termine del contratto a tempo
determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la
durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi la proroga è
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ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si
riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a
tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del
rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni. 2. L'onere della prova
relativa all'obiettiva esistenza delle ragioni che giustificano l'eventuale proroga del
termine stesso è a carico del datore di lavoro.”.
Poiché le esigenze di trasparenza, veridicità ed immodificabilità si impongono anche
in ordine alle ragioni addotte a giustificazione della proroga, occorre che tali ragioni
siano preventivamente specificate, al pari di quanto accade per il contratto originario.
Venendo al caso in esame, emerge sempre per tabulas (doc. 2 fasc. ric.) che l’atto di
data 8.3.2005, con cui è stato prorogato al 23.3.2007 il termine finale del 23.3.2005
apposto al contratto originario, non indica alcuna ragione oggettiva diretta a
giustificare la prosecuzione del rapporto a tempo determinato;
inoltre non vi è alcuna prova che la nota del 22.2.2005, con cui il dirigente del
Servizio Opere idrauliche ha richiesto “il rinnovo del rapporto contrattuale d’impiego
della sig.ra D. P. D. per il periodo di 24 mesi sulla base della rilevante molo di lavoro
riguardante l’ambito giuridico legale…”, sia stata portata a conoscenza della
ricorrente e, quindi non può rilevare al fine della verifica della legittimità della
proroga.
in ordine alle conseguenze della violazione della mancata indicazione nell’atto di
proroga del termine finale al 23.23007
E’ vero che la Suprema Corte (Cass. 21.5.2008, n. 12895 (conf. Cass. 15.11.2010, n.
23057;) ha statuito che anche nella vigenza del d.lgs. 368/2001 alla nullità della
clausola di apposizione del termine finale consegue la nullità parziale ex art. 1419
co.2 cod.civ. relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato .
Tuttavia, attesa la natura di ente pubblico del datore di lavoro, il rapporto di lavoro de
quo è assoggettato alla disciplina dettata per i rapporti di lavoro alle dipendenze delle
pubbliche amministrazioni.
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In proposito l’art. 36 co.5 d.lgs. 30.3.2001, n. 165 dispone: “In ogni caso, la
violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di
lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la
costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche
amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore
interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro
in violazione di disposizioni imperative”.
Corte Cost. 13.3.2003, n. 89, nel decidere la questione se tale disposizione fosse
legittima nella parte in cui esclude che la violazione di disposizioni imperative
riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche
amministrazioni, possa comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo
indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ha statuito che “…il
principio fondamentale in materia di instaurazione del rapporto di impiego alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni è quello, del tutto estraneo alla
disciplina del lavoro privato, dell'accesso mediante concorso, enunciato dall'art. 97,
terzo comma, della Costituzione. L'esistenza di tale principio, posto a presidio delle
esigenze di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione, di cui al primo
comma dello stesso art. 97 della Costituzione, di per sé rende palese la non
omogeneità - sotto l'aspetto considerato - delle situazioni poste a confronto dal
rimettente e giustifica la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di norme
imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego dei lavoratori da parte delle
amministrazioni pubbliche conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio, in
luogo della conversione (in rapporto) a tempo indeterminato prevista per i lavoratori
privati”.
Inoltre la Suprema Corte, oltre a ribadire le considerazioni del giudice delle leggi
(Cass. 20.3.2012, n. 4417; Cass. 13.1.2012, n. 392; Cass. 15.6.2010, n. 14350; Cass.
23.5.2003, n. 8229; Cass. 2.5.2003, n. 6699;), ha precisato (Cass. 7.5.2008, n. 11161;)
– a fronte dell’assunto di un ricorrente per cassazione secondo cui la trasformazione
del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato non è impedita dal
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divieto posto dall’art. 36 co.5 d.lgs. 165/2001 qualora il contratto di lavoro con
clausola appositiva del termine nulla si riferisca a soggetti già positivamente valutati
in una procedura concorsuale – che tale divieto si riferisce anche all’ipotesi in cui la
violazione di disposizioni imperative sulle assunzioni riguardi persone risultate
idonee in una procedura concorsuale atteso che l’osservanza del precetto ex art. 97
co.3 Cost. “è garantito solo dalla circostanza che l'aspirante abbia vinto il concorso,
non essendo sufficiente il mero risultato di idoneità”.
Il divieto, previsto dal legislatore nazionale, di conversione in contratti a tempo
indeterminato dei contratti di lavoro con
pubbliche amministrazioni contenenti
clausole appositive del termine finale affette da nullità, non appare in contrasto con il
diritto dell’Unione Europea alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia
(sentenza 7.9.2006, causa C-53/04, Marrosu e Sardino; 7.9.2006, causa C-180/04,
Vassallo; conf. 1.10.2010, causa C-3/10, Affatato;), la quale, in ordine alla questione
pregiudiziale “Se la direttiva 1999/70/CE (articolo 1 nonché clausole 1, lett. b, e
clausola 5 dell’accordo quadro (…)) debba essere intesa nel senso che osta ad una
disciplina interna (previgente all’attuazione della direttiva stessa) che differenzia i
contratti di lavoro stipulati con la pubblica amministrazione, rispetto ai contratti con
datori di lavoro privati, escludendo i primi dalla tutela rappresentata dalla
costituzione d’un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in caso di violazione di
regole imperative sulla successione dei contratti a termine”, ha così statuito (in
sentenza Marrosu e Sardino cit. punto 57):
“…si deve risolvere la questione
sollevata dichiarando che l’accordo quadro deve essere interpretato nel senso che
esso non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che esclude, in caso
di abuso derivante dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro
a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico,
che questi siano trasformati in contratti o in rapporti di lavoro a tempo
indeterminato, mentre tale trasformazione è prevista per i contratti e i rapporti di
lavoro conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato, qualora tale
normativa contenga un’altra misura effettiva destinata ad evitare e, se del caso, a
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sanzionare un utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato da
parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico”;
in particolare ritiene la Corte (Marrosu e Sardino cit. punti 47-55):
“47…dal momento che (la clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro ) non stabilisce
un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a
tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, così come non
stabilisce nemmeno le condizioni precise alle quali si può fare uso di questi ultimi
(sentenza Adeneler e a., cit., punto 91), essa lascia agli Stati membri un certo
margine di discrezionalità in materia. 48
Ne consegue che la clausola 5
dell’accordo quadro non osta, in quanto tale, a che uno Stato membro riservi un
destino differente al ricorso abusivo a contratti o rapporti di lavoro a tempo
determinato stipulati in successione a seconda che tali contratti siano stati conclusi
con un datore di lavoro appartenente al settore privato o con un datore di lavoro
rientrante nel settore pubblico. 49
Tuttavia, come risulta dal punto 105 della
citata sentenza Adeneler e a., affinché una normativa nazionale, come quella
controversa nella causa principale, che vieta, nel solo settore pubblico, la
trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di
contratti a tempo determinato, possa essere considerata conforme all’accordo
quadro, l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve
prevedere, in tale settore, un’altra misura effettiva per evitare, ed eventualmente
sanzionare, l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato stipulati in
successione. 50
Per quanto riguarda quest’ultima condizione, occorre ricordare
che la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro impone agli Stati membri l’adozione
effettiva e vincolante di almeno una delle misure enumerate in tale disposizione e
dirette a prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di
lavoro a tempo determinato, qualora il diritto nazionale non preveda già misure
equivalenti. 51
Inoltre quando, come nel caso di specie, il diritto comunitario non
prevede sanzioni specifiche nel caso in cui siano stati comunque accertati abusi,
spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate per far fronte ad una siffatta
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situazione, misure che devono rivestire un carattere non soltanto proporzionato, ma
altresì sufficientemente effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle
norme adottate in attuazione dell’accordo quadro (sentenza Adeneler e a., cit.,
punto 94). 52
Anche se le modalità di attuazione di siffatte norme attengono
all’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio
dell’autonomia procedurale di questi ultimi, esse non devono essere tuttavia meno
favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna (principio
di equivalenza), né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile
l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di
effettività) (v., in particolare, sentenze 14 dicembre 1995, causa C-312/93,
Peterbroeck, Racc. pag. I-4599, punto 12, nonché Adeneler e a., cit., punto 95).
53
Ne consegue che, quando si sia verificato un ricorso abusivo a una successione
di contratti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare una misura che
presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare
debitamente tale abuso ed eliminare le conseguenze della violazione del diritto
comunitario. Infatti, secondo i termini stessi dell’art. 2, primo comma, della direttiva
1999/70, gli Stati membri devono «prendere tutte le disposizioni necessarie per
essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla [detta] direttiva»
(sentenza Adeneler e a., cit., punto 102). 54
Non spetta alla Corte pronunciarsi
sull’interpretazione del diritto interno, compito che incombe esclusivamente al
giudice del rinvio, il quale deve, nella fattispecie, determinare se i requisiti ricordati
ai tre punti precedenti siano soddisfatti dalla normativa nazionale pertinente.
Tuttavia la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può fornire, ove
necessario, precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua
interpretazione (v. sentenza 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax e a.,
Racc. pag. I-1609, punti 76 e 77). 55
A tal riguardo occorre rilevare che una
normativa nazionale quale quella controversa nella causa principale, che prevede
norme imperative relative alla durata e al rinnovo dei contratti a tempo determinato,
nonché il diritto al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa del ricorso
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abusivo da parte della pubblica amministrazione a una successione di contratti o
rapporti di lavoro a tempo determinato, sembra prima facie soddisfare i requisiti
ricordati ai punti 51-53 della presente sentenza..”
Sussistono, quindi, ragioni ostative insuperabili alla condivisione di quel minoritario
orientamento della giurisprudenza di merito (Trib. Livorno 26.11.2010; Trib. Siena
13.12.2010; Trib. Napoli 16.6.2011; Trib. Trani 18.6.2011; ), che, seppur con diverse
motivazioni, ha accolto le domande, proposte da lavoratori alle dipendenze di
pubbliche amministrazioni, di conversione di rapporti di lavoro a termine in rapporti a
tempo indeterminato.
In definitiva deve essere rigettata la domanda, proposta dalla ricorrente, di
conversione dei rapporti di lavoro a termine intercorsi con l’ente convenuto in un
rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
--Una volta accertata la ricorrenza di assunzioni successive a termine effettuate senza
soluzione di continuità, ma ritenuto che il rapporto non può considerarsi a tempo
indeterminato (fin dalla data di stipulazione del primo contratto) in ragione del
divieto di conversione ex art. 36 co.5 d.lgs. 165/2001, occorre stabilire se, per effetto
dello svolgimento di prestazioni di lavoro in esecuzione di contratti con clausole
appositive del termine finale affette da nullità in quanto in contrasto con disposizioni
imperative (in particolare con il disposto ex art. 5 co.4 d.lgs. 368/2001), la ricorrente
abbia subito danni al cui risarcimento ha diritto alla luce del disposto ex art. 36 co.5
d.lgs. 165/2001.
Di recente la Suprema Corte (Cass. 392/2012 cit.), richiamando l’ormai consolidato
orientamento delle Sezioni Unite (sent. 11.11.2008, n. 26972; sent. 24.3.2006, n.
6572;), ha escluso anche nell’ipotesi ex art. 36 co.5 d.lgs. 165/2001 che possa trattarsi
di un danno in re ipsa ed ha così gravato il lavoratore dell’onere della prova dei
pregiudizi, da assolversi in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento e,
quindi, anche attraverso la prova per presunzioni (in tal caso sottoponendo alla
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valutazione del giudice precisi elementi in base ai quali sia possibile risalire
attraverso un prudente apprezzamento all’ esistenza dei danni denunziati subiti).
La giurisprudenza di merito non è concorde nell’individuazione dei criteri di
accertamento e di liquidazione del danno risarcibile ai sensi dell’art. 36 co.5 d.lgs.
165/2001.
Un primo indirizzo considera soprattutto il danno subito in concreto dal lavoratore,
suddividendosi tra chi computa il danno:
A) nella differenza tra quanto da lui effettivamente percepito e quanto lo stesso
avrebbe percepito qualora fosse stato assunto con contratto a tempo indeterminato
(Corte d’Appello Brescia, 8.7.2010; Trib. Milano, 27.1.2011; Trib. Oristano,
26.9.2010; Trib.Treviso 22.9.2010;);
B) nelle retribuzioni commisurate al tempo necessario, nella zona residenza, per
ricercare una nuova occupazione stabile, tenendo conto dell’età, del sesso e del
titolo di studio (Trib. Rossano, 13.6.2007;)
C) nelle retribuzioni commisurate all’intervallo di tempo tra la messa in mora
dell’amministrazione e la sentenza (Trib. Trapani 30.1.2007;);
D) nelle retribuzioni non erogate nei periodo intercorsi tra i vari contratti a termine
stipulati con l’amministrazione (Trib. Catania 19.1.2007; Trib. Catania,
6.12.2006;)
E) nelle maggiorazioni retributive ex art. 5 co.1 d.lgs. 368/2001 per l’intera durata
dell’illegittima prosecuzione del rapporto oltre la scadenza del termine originario
(Trib. Milano 25.5.2010; Trib. Bologna, 26.7.2007;);
sempre nell’ambito di questo indirizzo un orientamento più rigoroso richiede, invece,
una specifica allegazione e prova del pregiudizio derivante dalla prestazione resa in
virtù di un contratto con termine illegittimamente apposto un quanto il meccanismo
risarcitorio ex art. 36 co.5 d.lgs 165/2001 non persegue un’autonoma funzione
punitiva nei confronti dell’amministrazione, né ristora la precarizzazione del rapporto
in sé considerata (Trib. Trieste 31.5.2011); in senso diametralmente opposto si è,
invece, ritenuto che, posta la conformità ai principi comunitari della sanzione
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risarcitoria prevista dall'art. 36 d.lgs. 165/2001, il risarcimento del danno derivante
dall'illegittima apposizione del termine è conseguenza intrinseca all'accertata
violazione di legge, al cospetto dell'affidamento nella stabilità del rapporto (Corte
Appello Catania 9.1.2012).
Un secondo indirizzo, invece, ritiene possibile l’utilizzo di criteri indicati dal
legislatore in riferimento a fattispecie diverse, suddividendosi tra chi computa il
danno in riferimento:
A) all’indennità sostitutiva della reintegrazione ex art. 18 co.5 St.Lav. nei rapporti
assoggettati alla tutela reale, pari a 15 mensilità (Trib. Roma 28.4.2011; Trib.
Torino 11.11.2011;;
B) all’indennità sostitutiva della reintegrazione ex art. 18 co.5 St.Lav. con l’aggiunta
delle 5 mensilità ex art. 18 co.4 St.Lav. (Corte Appello Genova 9.1.2009; Corte
Appello Genova, 19.9.2008; Trib. Genova, 25.3.2011; Trib. Foggia, 5.11.2009;);
C) all’indennità alternativa alla reintegrazione ex art. 8 L. 15.7.1966, n. 604 nei
rapporti assoggettati a tutela obbligatoria, di misura variabile da 2,5 a 6 mensilità
(Corte d’Appello Catanzaro, 1.4.2010;);
D) all’indennità sostitutiva delle retribuzioni maturate nell’intervallo di tempo tra la
data di scadenza del termine oggetto della clausola nulla e la data della sentenza
di conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato ex art. 32
co.5 L. 4.11.2010, n. 183 (Trib. Milano 10.6.2011).
--Pur nell’incertezza che inevitabilmente suscita una norma, come quella ex art. 36 co.5
d.lgs. 165/2001, la quale considera possibile che dal mero svolgimento di prestazioni
di lavoro in violazioni di disposizioni imperative derivino danni risarcibili in
pregiudizio del prestatore, senza però indicare quali elementi di fatto assumono rilievo
e quale criterio di liquidazione va utilizzato, appaiono necessarie due osservazioni
preliminari:
a)
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da un lato, stante il divieto di conversione, il danno non può essere liquidato con
riferimento all’ipotesi della trasformazione in rapporto a tempo indeterminato; in
proposito Cass. 392/2012 cit. ha già precisato che i danni risarcibili ai sensi dell’art.
36 co.5 d.lgs. 165/2001 “assumono anch’ essi una propria caratterizzazione correlata
a negozi, la cui flessibilità assume natura e requisiti distinti da quelli risultanti nel
lavoro privato e su cui i suddetti danni vanno conseguentemente parametrati”;
quindi non sembrano condivisibili:
 né il criterio dell’indennità sostitutiva della reintegrazione ex art. 18 co.5 St.Lav ,
il quale presuppone l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (e
non già di un rapporto di lavoro a termine nullo non convertibile) e la rinuncia al
posto di lavoro da parte del lavoratore (e non già l’estromissione da parte del
datore);
 né il criterio dell’indennità alternativa della reintegrazione ex art. 8 L. 64/1966, il
quale presuppone l’originaria validità di un rapporto di lavoro indeterminato (e
non già un rapporto di lavoro a termine nullo non convertibile);
 né il criterio dell’indennità ex art. 32 co.5 L.183/2010, il quale forfetizza il danno
da mancata prestazione correlata ad un rapporto di lavoro convertito a tempo
indeterminato (e non già il danno da svolgimento di prestazioni esecutive di un
rapporto di lavoro a termine nullo per violazione di disposizioni imperative);
 né la commisurazione alle retribuzioni che sarebbero maturate nell’intervallo di
tempo tra la messa in mora dell’amministrazione e la sentenza, il che presuppone
un danno da mancata prestazione correlata ad un rapporto di lavoro convertito a
tempo indeterminato (e non già il danno da svolgimento di prestazioni esecutive
di un rapporto di lavoro a termine nullo per
violazione di disposizioni
imperative);
 né la commisurazione alle retribuzioni che sarebbero maturate nei periodi
intercorsi tra i vari contratti a termine stipulati con l’amministrazione, il che
presuppone un danno da mancata prestazione correlata ad n rapporto di lavoro
convertito a tempo indeterminato (e non già il danno da svolgimento di
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prestazioni esecutive di un rapporto di lavoro a termine nullo per violazione di
disposizioni imperative);
b)
dall’altro, considerando che alla luce del diritto dell’Unione Europea il risarcimento
del danno subito dal prestatore per effetto dell’utilizzo abusivo di una successione di
contratti a termine deve essere di misura tale da risultare sufficientemente dissuasivo
circa la reiterazione di condotte di tal genere così da garantire la piena efficacia delle
norme dell’accordo quadro attuato dalla direttiva 1999/70/CE, il danno risarcibile non
può essere escluso o ridotto ad una misura simbolica;
quindi non sembra condivisibile l’orientamento che limita il danno risarcibile ai
pregiudizi del solo interesse contrattuale negativo (rappresentato in tal caso soprattutto
dalla perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione con terzi di un contratto
maggiormente vantaggioso) in quanto l’art. 36 co.5 .d.lgs. 165/2001 riconosce la
risarcibilità del danno derivante dallo svolgimento delle prestazioni in concreto
eseguite, anche se in violazioni di disposizioni imperative, non solo e non tanto di
quello conseguente alla stipulazione di un negozio nullo.
--In riferimento ai pregiudizi derivanti dallo svolgimento in favore di pubbliche
amministrazioni di prestazioni eseguite in violazione di disposizioni imperative (quali
quelle concernenti la validità della clausola appositiva del termine finale):
1)
In primo luogo è configurabile un “danno standard” derivante dalla lesione
all’affidamento del lavoratore verso la validità del negozio giuridico in esecuzione del
quale eseguiva le sue prestazioni;
non si tratta di un danno in re ipsa in quanto corrisponde ad un pregiudizio in concreto
arrecato ad un bene della vita giuridicamente tutelato, di cui il lavoratore è
effettivamente titolare;
siffatta situazione appare analoga a quella del lavoratore alle dipendenze di privati che
presta la sua attività oltre la scadenza del termine finale convenuto;
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in tale ipotesi l’art. 5 co.1 e 2 d.lgs. 368/2001 (nel testo vigente all’epoca: “1. Se il
rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o
successivamente prorogato ai sensi dell'articolo 4, il datore di lavoro è tenuto a
corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di
continuazione del rapporto pari al venti per cento fino al decimo giorno successivo, al
quaranta per cento per ciascun giorno ulteriore. 2. Se il rapporto di lavoro continua
oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, nonché
decorso il periodo complessivo di cui al comma 4-bis, ovvero oltre il trentesimo
giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza
dei predetti termini”) prevede una maggiorazione della retribuzione nella misura del
20%, la quale aumenta mano a mano che si avvicina il termine oltre il quale il
rapporto si considera a tempo indeterminato;
nella fattispecie in esame, poiché il rapporto non è suscettibile di conversione in
rapporto a tempo indeterminato stante il divieto ex art. 36 co.5 d.lgs. 165/2001, non
hanno ragion d’essere incrementi della maggiorazione iniziale del 20%.;
in definitiva alla ricorrente spetta, per effetto dello svolgimento delle prestazioni
eseguite nel corso del periodo 24.3.2005-10.10.2011, un risarcimento del danno pari
al 20% delle retribuzioni percepite in detto periodo;
la somma risultante dovrà essere maggiorata ai sensi dell’art. 16 co.6 L. 30.12.1991,
n.412 (per cui “l’importo dovuto a titolo di interessi è portato in detrazione dalle
somme eventualmente spettanti a ristoro del maggio danno subito dal titolare della
prestazione per la diminuzione del valore del suo credito”), norma richiamata
dall’art.22 co. 36 L. 23.12.1994, n.724, il quale, in ragione della natura pubblica del
datore di lavoro qui convenuto, trova applicazione nella presente controversia anche
dopo la declaratoria di illegittimità costituzionale, di cui alla sentenza Corte Cost.
n.459/2000;
ragioni di economia, non solo processuale, rendono opportuno consentire alle parti di
depositare e scambiare conteggi in proposito; solo in caso di insanabili contrasti sarà
disposta c.t.u...
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21
2)
Nel singolo caso concreto potrebbero verificarsi ulteriori pregiudizi di ordine più
strettamente patrimoniale (quale, ad esempio, la perdita, per effetto della scelta del
rapporto con la pubblica amministrazione confidando nella sua durata a tempo
indeterminato, di un’opportunità occupazionale più vantaggiosa);
si tratta però di danni in relazione ai quali incombe sul lavoratore uno specifico onere
probatorio;
non avendo la ricorrente nulla allegato e tanto meno provato, nulla le spetta a tale
titolo.
3)
La ricorrente adduce che dall’interruzione del rapporto con la P. le sarebbe derivato
“gonfiore alle mani, accompagnato da artralgie delle piccole articolazioni delle mani
da impotenza funzionale”, con successiva diagnosi di “probabile secca sindrome in
soggetto
con tiroidite autoimmune” e successivamente di “sclerosi sistemica
progressiva, tiroidite di Hashimoto”;
afferma che si tratta di “un quadro clinico estremamente precario nella cui genesi ha
inciso pesantemente la situazione lavorative di prolungata precarietà (con il
susseguirsi di una pluralità di contratti a termine da parte della P.) e la successiva
perdita dell’impiego per decisione dell’ente resistente. Con rilevante stress psicofisica accumulato dall’istante, in forza del venir meno della garanzia di un lavoro e
con esso della sostanziale tranquillità di poter tenere dietro alle spese del menage
familiare di riferimento”;
il carattere apodittico e generico di tali assunti in punto nesso eziologico tra le vicende
lavorative della ricorrente e le sue condizioni fisiche nonché la mancanza di qualsiasi
indicazione in tal senso nella documentazione medica prodotta dalla ricorrente (sub
doc. 21 e 22) comportano il rigetto della domanda, proposta dalla ricorrente, di
risarcimento del danno biologico, senza necessità di procedere a c.t.u..
ordine alle spese
La pronuncia sulle spese è differita alla sentenza definitiva.
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22
P.Q.M.
Il tribunale ordinario di Trento - sezione per le controversie di lavoro, in persona del
giudice istruttore, in funzione di giudice unico, dott. Giorgio Flaim,
NON
definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione rigettata, così decide:
1. Rigetta l’eccezione, sollevata dalla ricorrente, di nullità della clausola appositiva
del termine finale al contratto originario stipulato in data 24.3.2004.
2. Accerta la nullità, per mancata indicazione delle ragioni giustificative, dell’atto di
data 8.3.2005 con cui è stato prorogato al 23.3.2007 il termine finale apposto al
contratto di lavoro stipulato in origine dalle parti.
3. Rigetta la domanda, proposta dalla ricorrente, di conversione del contratto di
lavoro a termine intercorso tra le parti in un contratto di lavoro a tempo
indeterminato.
4. Condanna la P. al risarcimento del danno derivato dallo svolgimento di
prestazioni di lavoro in violazione dell’art. 4 co.1 e 2 d.lgs. 368/2001 e liquidato
in una somma pari al 20% delle retribuzioni percepite nel periodo 24.4.2005 –
10.10.2011, con gli interessi legali decorrenti dal giorno di maturazione dei
singoli crediti fino al saldo e con il maggior danno da svalutazione, liquidato sulla
base della differenza tra la variazione percentuale degli indici ISTAT, intervenuta
dagli stessi termini a quibus fino ad oggi, ed il saggio legale degli interessi.
5. Rigetta la domanda, proposta dalla ricorrente, di risarcimento del danno
biologico.
6. Riserva alla definizione del giudizio la pronuncia sulla liquidazione delle spese
processuali.
7. Dispone con separata ordinanza per il proseguimento della trattazione.
Trento, 15 gennaio 2013
IL FUNZIONARIO GIUDIZIARIO
IL GIUDICE
Tiziana Oss Cazzador
dott. Giorgio Flaim
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