Fotografare il silenzio - circolo fotografico marianese

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Fotografare il silenzio - circolo fotografico marianese
Ripresa
Fotografare il silenzio
E’ tutt’altro che facile
fotografare il silenzio:
il silenzio non si sente,
il silenzio non si vede.
Questa però è la sfida che
Filippo Crea ha accettato,
con una mostra su
questo tema. Commenti e
considerazioni.
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In aprile la Libreria Mursia di Milano ha
ospitato una mia mostra, 29 fotografie,
titolata “Il Silenzio”. Ora mi servo di
questa esperienza per proporvi alcune
considerazioni che ritengo possano essere utili ai miei amici lettori.
Lorenza Sala, responsabile della comunicazione della Casa Editrice Mursia,
inaugurando l’esposizione, mi ha chiesto “Filippo, perché ‘il silenzio’ come
tema?” Ecco, io credo che il far-fotografia necessiti di un continuo aggiornamento culturale e stilistico. Ho voluto
sfidare me stesso su un qualcosa di non
facile. E’ tutt’altro che facile, infatti,
fotografare il silenzio. Il silenzio non si
sente, il silenzio non si vede. Ed io ho
voluto provare a raccontare questa cosa
impalpabile, delicata, personale. E credo, a giudizio dei visitatori della mostra,
e a giudizio di Giangiacomo Schiavi,
vicedirettore del Corriere della Sera,
che ne ha scritto con bella sensibilità, di
esserci riuscito.
Nel libro delle firme un solo visitatore,
Giuseppe, ha scritto “io il silenzio qui
non lo vedo”.
Bene, le sensazioni che una immagine
mette in moto, dipendono dal mix di
due fattori: le valenze dell’opera, e …
la formazione di chi la osserva. Una
visitatrice, credo latino/americana, ha
scritto “…molte di queste foto mi sono
sembrate straordinariamente significative, altre prive di un significato
apparente, ma egualmente cariche di
emozione”. Bene, eccomi a quanto ha
scritto questa persona. Io credo abbia
inteso dire che molte fotografie l’hanno
emozionata e che ne ha decodificato il
significato. Da altre, pur non avendone
percepito appieno le motivazioni di
base, è stata altrettanto emotivamente
catturata. Ecco, questa valutazione mi
è molto piaciuta. In breve, una narrazione fotografica deve comunicare, deve
prendere. E questa lettrice mi è venuta
magnificamente in aiuto. Un’opera puoi
anche non capirla, ma deve parlare, dire
qualcosa, deve emozionarti.
E così deve essere stato se è vero, come
è vero, che Mursia Editore ha ricevuto
molte sollecitazioni a prolungare i tempi
dell’esposizione.
Qui di seguito propongo alcune delle
immagini esposte in mostra con notazioni che spero formative per chi mi
legge. L’osservazione più significativa
è che un tema può essere trattato con
scritture differenti. Chiarisco: una
immagine può appartenere alla serie
‘pane e formaggio, pomodoro e basilico’, può cioè avere una struttura
narrativa e compositiva di facile ed
immediata lettura, oppure può essere
costruita con un linguaggio meno immediato, più sofisticato, e quindi più
difficile da cogliere. Fondamentale è,
però, che una foto… arresti lo sguardo ed arrivi al cuore.
Filippo Crea
Venezia. Oddio, quanto freddo mi sono beccato a girare per
Venezia di notte, a dicembre, a caccia dei fantasmi senza voce
che si muovono senza far rumore in questa specialissima città
del mondo. E però chi vuol fare fotografia deve “volerla fare”
e deve cercarla. Altrimenti, in casa davanti alla TV. Silenzio
facile o difficile? Stavolta, direi facile e potabilissimo.
Insieme. Un silenzio di matrice metropolitana. Qui è Milano, e i due
anziani si muovono quieti lungo un
percorso, lineare e rigoroso, che è
quello della loro vita “insieme”.
Così insieme che non hanno molto
di nuovo da dirsi e vanno avanti,
nel silenzio delle loro consuetudini.
Silenzio di carta. Una foto di non facile lettura.
Una presenza spenta, un volto senza sguardo, un
volto senza nome e, soprattutto, una faccia che
non ha voce. Una faccia di carta che non dialoga,
sconfitta dalla indefinibile rudezza di un muro che
non ha, neanche esso, niente da raccontare.
100%. Ecco un silenzio “difficile”, da metabolizzare. Un laboratorio, un luogo indefinito, non importa
dove e come. E quella scritta “100 %” cosa vorrà
mai dire, cosa nasconde, cosa prepara? Non lo so,
al di là ho intuito uno spazio vuoto, privo di voci
e di presenze. E, quindi, è silenzio. Lo so, la mia
non è una spiegazione, non è una decodifica, non
ho chiarito nulla. Ma “100%” è stata tra le foto
più gettonate, accreditata di grande suggestione e
coerenza con il tema.
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Il solaio. Il solaio è il luogo dove, magari per anni, dormono dimenticati o riposti a futura memoria,
oggetti, presenze e testimonianze della nostra vita. Dormono in un silenzio polveroso. Dalla strada
arrivano gli strombazzamenti isterici delle automobili? Possibile, verissimo, ma poco importa. Fuori ci
sono i rumori della vita. Qui no, qui c’è il silenzio
delle memorie. Di che storia è stata protagonista quella seggiola ortopedica? Il silenzio, così
come il rumore, non si misura solo in decibel. E’
anche uno stato d’animo.
Il garage. Molte volte, scendendo in garage a riporre la mia auto mi aveva
colpito, e come inquietato, l’assenza di rumori di quel luogo. Talora un rumorino improvviso o mal definito mi faceva arrestare alla ricerca di quel segnale
che aveva percorso il nulla di quello spazio. Una riprova che la narrazione
fotografica può essere ovunque, anche in un garage. Foto facile o difficile?
Non lo so.
Garfagnana. Un silenzio semplice, immediato, gettonatissimo. Estate, primo pomeriggio. La donna in nero coi
capelli bianchi ha le mani raccolte a difesa del “suo”
silenzio, le due seggiole vuote non le fanno compagnia,
ma aspettano che qualcuno venga a rompere il vuoto di
questo palcoscenico pulito, strutturato su poche ed essenziali presenze sceniche.
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