The Awful Truth (L`orribile verità) - Dipartimento di Arti e Scienze

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The Awful Truth (L`orribile verità) - Dipartimento di Arti e Scienze
The Awful Truth (L’orribile verità)
di Elizabeth Rendall
“The Awful Truth” [“L’Orribile Verità” 1937 di Leo McCarey] ha origine come una commedia da
salotto di Broadway sul matrimonio e sul divorzio, scritta da un drammaturgo americano, Arthur
Richman, il quale venne chiamato a quel tempo su Vogue “un fresco, elegante e forse non molto
importante talento”.
Tuttavia, il soggetto dello spettacolo era tutto fuorché fresco, visto che l’affrontare la tematica del
divorzio era diventata ormai una consuetudine per gli spettacoli nei teatri sia inglesi che americani
sin da “The Second Mrs. Tanqueray” di Pinero nel 1893. Il tono di questo spettacolo era più
pomposo che arguto. “Oh, cara, sono stato un bruto!” dice Norman Satterly alla sua giovane exmoglie, Lucy Warriner. Poi aggiunge sentimentalmente: “Può un edificio, una volta distrutto, essere
rimesso insieme come era originariamente? Mattone per mattone, stanza per stanza, le stesse porte e
finestre?”
Comunque, “The Awful Truth”andò bene a Broadway nel 1921, probabilmente perché la sua
situazione era così semplice e contenuta in se stessa: la signora divorziata, alla ricerca di un nuovo
marito, ha bisogno di liberare il suo nome dal quello del suo ex-marito.
Lei si mette in contatto con il suo ex, solo per trovarsi innamorata nuovamente di lui – così respinge
il fidanzato e si risposa con il suo primo marito. Oltre alla chiara equazione drammatica, lo
spettacolo beneficiava dell’abbagliante tecnica comica della sua star, Ina Claire. Divenne così
popolare che Hollywood lo traspose due volte, prima della Depressione, una volta come film muto
nel 1925 con Agnes Ayres, e in seguito come uno dei primi film parlati del 1929, avente come
attrice la stessa Ina Claire. Nel 1935 Harry Cohn, seguendo un astuto intuito, comprò la proprietà
dalla RKO-Pathé.
Quando Cohn incominciò a preparare “The Awful Truth” per la trasposizione cinematografica
all’inizio del 1937, affidò a Dwight Taylor, il dotato figlio dell’attrice Laurette Taylor, l’incarico di
aggiornare le parti ormai datate. Questo era logico: Taylor era conosciuto come uno specialista nel
divorzio farsesco, avendo scritto “Gay Divorce” [http://en.wikipedia.org/wiki/Gay_Divorce], oltre
alla sceneggiatura del film “Top Hat” [1935 di Mark Sandrich] con la coppia Astaire-Rogers.
Come prima cosa da fare, Taylor fece alla Columbia il servizio di cambiare il nome del marito da
Norman Satterly a Jerry Warriner. Poi, per controbattere la formalità dello spettacolo, aggiunse un
po’ di suo umorismo screwball e un po’di disillusa sensibilità da “collasso nervoso” che sembra
aver preso in prestito dal suo contemporaneo F. Scott Fitzgerald. Rese il matrimonio nel suo “The
Awful Truth” una versione comica del matrimonio che va in pezzi così amaramente nel romanzo del
1934 di Fitzgerald, “Tender Is the Night”. Il Jerry Warriner di Dwight Taylor, come il Dick Diver
di Fitzgerald, è tendente alla violenza. Lui fornisce Lucy di un occhio nero quando combattono
riguardo la loro proprietà comune, che nella prima sceneggiatura di Taylor era una collana
portafortuna con un amuleto a forma di elefante, non il piccolo cane del film.
“Il suo indirizzo è 49 East Quarantanovesima Strada,” racconta Lucy al giudice, “ma vive al Ritz
bar.” In verità, nella sceneggiatura di Taylor, Jerry passava la maggior parte del suo tempo in una
località di fantasia – una prigione che sembra simile ad un club di atletica, dove i divorziati di Wall
Street vivono volontariamente “così le loro mogli non prenderanno i loro soldi.”
Dopo molti incidenti, nei quali appare evidente che Warriner sta crollando, accompagna Lucy
all’asta della loro ex-casa. La visita riporta alla mente così tanti ricordi che sono costretti a
risposarsi. L’amara sceneggiatura di Dwight Taylor era solo l’inizio dei cambiamenti che la
Columbia compì su “The Awful Truth”. In vari momenti nella storia della sceneggiatura, vennero
assunti degli scrittori come Mary McCall, Jr., e Sidney Buchman, oltre ai free-lance Dorothy Parker
e suo marito, Alan Campbell. Ralph Bellamy, recitò il secondo attore principale e a cui piaceva
raccontare aneddoti circa tutti questi scrittori che lavoravano separatamente ma simultaneamente
sulla sceneggiatura di “The Awful Truth”; nella sua autobiografia ha scritto (“When the Smoke Hit
the Fan”) che quando iniziarono a girare nel giugno del 1937, nulla era collegato e quasi non c’era
una sceneggiatura. I protagonisti, Irene Dunne e Cary Grant, hanno confermato l’impressione di
Bellamy, ricordando che McCarey era solito portare loro i dialoghi su pezzetti di foglio marrone e
che sembrava non avesse nessun metodo nel girare il film.
Il primissimo giorno, secondo Bellamy, McCarey filmò la famosa scena di Bellamy che cerca di
cantare un duetto di “Home on the Rage” con Irene Dunne, che si colloca cronologicamente a metà
del film.
Ma questa visione delle cose non è abbastanza accurata. C’era una sceneggiatura, ed era stata scritta
dallo stesso McCarey, in collaborazione con il suo sceneggiatore preferito – o, piuttosto,
sceneggiatori – i Delmar, che ancora si chiamavano Viña Delmar.
McCarey parlò qualche volta di come aveva raccolto una ragazza carina al tavolo da gioco a Palm
Springs giusto prima che iniziasse a girare “Make Way for Tomorrow” [1937], e si dimostrò essere
Viña Delmar. Sia che questo è vero sia che non lo sia, McCarey si avvalse dei Delmar, che erano
originariamente scrittori di libri e di riviste, incluso il best-seller del 1929 “Bad Girl”, come suoi
principali collaboratori alla sceneggiatura in entrambe le opere di “Make Way for Tomorrow” e
“The Awful Truth”. Ma in tutte e due le sceneggiature i Delmar stabilirono della condizioni che
erano bizzarre nell’industria cinematografica. Determinarono che il loro lavoro doveva essere fatto
a casa loro. Rifiutarono di visitare l’ufficio dello studio, di presentarsi sul set, o incontrare gli attori
– un fatto che spiega il perché nessuno degli attori sapeva di loro. McCarey andò a casa loro per
lavorare, prima su “Make Way for Tomorrow”, poi su “The Awful Truth”.
“Lavoravamo per Leo nel nostro salotto a Beverly Hills”, ricorda Viña Delmar. “Parlavamo delle
corse, di politica, ristoranti, e qualsiasi altra cosa. Leo non credeva nell’accanirsi persistentemente
su di un solo argomento. Oscillavamo avanti e indietro sul tema che avevamo a portata di mano.
Leo suggeriva una scena, la quale non riscuoteva un insistente compiacimento da parte dei suoi due
ascoltatori. Allora diceva qualcosa come ”Okay, okay. Solo non dite a nessuno cosa ho detto ora.”
Se accoglievamo un’altra idea con un’onesta risata lui era tanto felice quanto poteva esserlo.
Quando introducevamo un’idea che non gli piaceva, era prodigo di scuse. Un brav’uomo, quel Leo
McCarey.”
I risultati di questa collaborazione emersero come una sceneggiatura finita il 15 giugno 1937, sei
giorni prima delle riprese effettive che iniziarono il 21 giugno. Contiene la struttura di base del film:
le scene in un ordine approssimativo come sarebbero apparse sullo schermo. L’esistenza di una tale
sceneggiatura prova che McCarey non aveva interamente improvvisato il film. Ma molte delle
battute più fresche e sorprendenti nel film ultimato non appaiono nella sceneggiatura di McCareyDelmar (questo è vero anche per “Make Way for Tomorrow”).
McCarey inventa queste battute, e la situazione comica che ne scaturisce, nel corso delle riprese di
“The Awful Truth”, con l’aiuto dei suoi attori, che consultava attivamente. Certo, era una
caratteristica della metodologia della “romance comedy” collaborare con gli attori; ma McCarey
probabilmente dipendeva da questa più degli altri registi – particolarmente con un’opera come “The
Awful Truth”, che non forniva una successione di eventi, solo una situazione orientativa.
McCarey usò questa situazione come una scusa per mettere gli attori in uno schermo improvvisato,
quasi non preparato. Gli piaceva vederli in uno stato di semi-selvatichezza.
Nel caso di Irene Dunne, la personalità di McCarey le si dimostrò così congeniale che non ebbe
alcun problema nel mettersi nelle sue mani, nonostante l’apparente disordine di quei primi pochi
giorni di ripresa. Non fu così per il protagonista maschile di “The Awful Truth”, Cary Grant, che
aveva appena lasciato la Paramount e stava contrattando con la Columbia, e che era stato
gentilmente forzato a prender parte in questo film da Harry Cohn. I metodi sconclusionati di
McCarey innervosivano così tanto Grant che propose di comprarsi lui stesso il film pagando
cinquemila dollari a Cohn per coprire le spese – un’offerta da cui venne dissuaso.
Non è sorprendente che Grant fosse spaventato dai metodi di Leo McCarey. Aveva passato la
maggior parte del suo tempo a Hollywood nel grande studio-catena-di-montaggio della Paramount,
interpretando romantici protagonisti maschili con un senso dell’umorismo così sottile da essere
quasi invisibile. La Paramount lo aveva utilizzato per gettare una luce neutrale ed umana sulle star
dei suoi film – Nancy Carroll, Sylvia Sidney, Charles Laughton (nel melodramma sottomarino del
1932 intitolato “The Devil and the Deep”), e, notoriamente, Mae West, che lo scelse lei stessa per
supportarla in “She Done him Wrong” [“Lady Lou - La donna fatale” 1933 di Lowell J. Sherman] e
in “I’m No Angel” [“Non sono un angelo” 1933 di Wesley Ruggles]. Ma per la maggior parte del
decennio, Grant non era una star che poteva chiamare “sue” le riprese; era solo un caratterista che
giungeva sul set e faceva quello che gli veniva detto di fare.
Il primo barlume di qualcosa di interessante nel personaggio di Grant emerse quando venne prestato
alla RKO per recitare un truffatore nato nell’Est di Londra nel film del 1936 “Sylvia Scarlett”[“Il
diavolo è femmina” del 1935, rilasciato nel 1936] di George Cukor e con Katharine Hepburn – un
ruolo che non fu incompatibile con Cary Grant tanto quanto uno potrebbe supporre.
Grant, si chiama in realtà Archibald Leach e viene da una famiglia travagliata inglese. E’ scappato
da suo padre che fa il droghiere a Bristol con una squadra di ragazzi acrobati all’età di tredici anni.
Cukor aveva visto poco di questo più complicato Cary Grant sotto le spoglie del fusto vestito da
sera della Paramount, un Grant che alternava goffezza puerile con una leggermente terrificante e
raffinata opacità. Questo è il personaggio che Cukor ha messo sullo schermo, e perciò presentato
nell’industria (non per niente sia George Stevens che Alfred Hitchcock lo scrittureranno più tardi
per interpretare il ruolo di un criminale sospettato). Al tempo in cui andò da McCarey, Grant aveva
già lasciato la Paramount e aveva interpretato un ruolo free-lance come il raffinato George Kirby in
“Topper”, una commedia del 1937 di Norman McLeod e Hal Roach.
“Topper” aveva mostrato il suo tono – la suggestione di una potente gioia foderata in un
atteggiamento leggermente pensieroso. Ma “The Awful Truth” aveva più bisogno di Grant rispetto
a “Topper”: lo mise al centro delle emozioni del film. Questo è dove Leo McCarey lo aiutò in un
momento di difficoltà – probabilmente, per la maggior parte, inconsciamente.
Se McCarey avesse visto in Irene Dunne il suo ideale di moglie, in Cary Grant potrebbe aver
riconosciuto il marito meno ideale da andare con quella moglie – qualcuno come lui stesso, un
donnaiolo felicemente sposato. ( McCarey era conosciuto a Hollywood per le sue tendenze da
sciupafemmine.) Entrambi gli uomini erano alti e con capelli molto scuri. McCarey
successivamente si spinse così in là da descriversi nelle interviste come un’“edizione promozionale
di Cary Grant”. L’abbagliante energia sullo schermo di Cary Grant, un energia che sembrava
repellere l’emozione, potrebbe aver aiutato McCarey a mascherare la colpevolezza del marito nella
storia del film. In ogni caso, dopo che Grant si era rilassato e aveva preso confidenza con “The
Awful Truth”, McCarey e Grant avrebbero costruito insieme il personaggio di Cary Grant così come
lo conosciamo – il marito/amante americano così distaccato da sembrare un po’ allarmante per noi
oggi, del quale gli unici mezzi di una comunicazione seria consistono nel prendere in giro se stesso
e gli altri, del quale le buone intenzioni devono essere immaginate, decifrate, e infine cavate fuori,
ma del quale la bellezza fisica e il potere comico erano innegabili.
Cary Grant si rivelò essere l’asso vincente in “The Awful Truth”. Accoppiando questo elegante e
crudelmente divertente gentiluomo, con la dispettosa ed ermetica signora che era Irene Dunne,
McCarey avrebbe tratteggiato un ritratto, forse anche più rivelatore di quanto intendeva essere, della
dinamica di un ricco matrimonio americano.
La primissima inquadratura del film segnala il concetto di “ricco”. E’ una splendida ripresa dall’alto
di New York, ma non è la New York alla quale il pubblico era stato abituato dai gangster-movie e dai
film strappalacrime, delle commedie romantiche come “Swing Time” [1936 di George Stevens] o
“My Man Godfrey”, o anche dal film di McCarey “Make Way for Tomorrow” – una New York che
conteneva il dramma di grandi conflitti sociali. Questo è il panorama dell’East River, la New York
che non accenna neanche un po’alla povertà della Depressione. La prima scena avviene in un
signorile club d’atletica, dove vediamo Cary Grant interpretare Jerry Warriner mentre si sta
abbronzando sotto ad una lampada solare, spiegando ad un amico che sta cercando di apparire come
se fosse stato in Florida durante le due settimane passate, per evitare di “imbarazzare” sua moglie.
Il film cristallizza la sua tematica – un matrimonio che sembra tranquillo in superficie ma che ha
perso il nucleo sentimentale. Jerry Warriner poi si reca a casa nel suo splendente appartamento,
trascinandosi dietro due compagni del club d’atletica e le loro ragazze, per fargli da copertura di
fronte a sua moglie, solo per scoprire che la situazione non è tra le sue mani: sua moglie non solo è
uscita, ma non è stata a casa per tutta la notte. Inoltre, lei entra mentre gli ospiti sono ancora lì,
indossando un piumoso vestito da sera bianco e seguita dal suo insegnante di canto, Armand Duval
[da IMDB: Armand Duvalle] , in abito da sera (interpretato da Alexander D’Arcy e chiamato così
dopo l’eroe di “Camille” [1936 di George Cukor]) – la sua macchina, lei dice, si è rotta la sera
precedente, così erano stati costretti a passare la notte in uno “sporchissimo piccolo albergo”.
Jerry Warriner è tutto educato e ironico durante questa spiegazione; Lucy Warriner è di una
maliziosa innocenza. Nessuna meraviglia se non riescono a parlare l’uno con l’altra. Dopo che gli
ospiti se la sono squagliata, la loro incomunicabilità aumenta. Jerry obietta la “storiella” di Lucy;
Lucy gli passa una delle sue arance della “Florida” sulla quale è stampato “California”, Jerry
pronuncia il ritornello del film, “Non possono esserci dubbi nel matrimonio” e Lucy prende il
telefono per chiamare il loro avvocato. Nei primi dieci minuti del film hanno concordato di
divorziare. Ci sembra di aver vagato lontano dalle parabole della Depressione di Capra, con i loro
campeggi e uomini dimenticati, le loro eroine che sopportano allegramente la solitudine, in un
mondo alla Ernst Lubitsch di difficoltà matrimoniali in mezzo ad un’ambientazione elegante. Negli
anni ’20 e nei primi anni ’30, Lubitsch aveva perfezionato la commedia sessuale hollywoodiana,
adattata dalla farsa dell’Europa orientale, in cui matrimoni prosperi impantanati nella noia venivano
rimessi in sesto. Lubitsch era un ammiratore e un amico di McCarey e mentore alla Paramount – e
ne “The Awful Truth”, sebbene venisse realizzata dopo che McCarey aveva lasciato la Paramount,
rimane tanto vicino al modo di fare film alla Lubitsch di quanto mai gli fosse accaduto. La sua New
York sembra l’equivalente di Parigi e Vienna nei film chic di Lubitsch, e la sua farsesca confusione
tra le coppie espone la coreografia formale, gli impassibili duetti, trio, e quartetti che Lubitsch
amava mettere sullo schermo. Tuttavia, nonostante tutto il suo sapore lubitschano, “The Awful
Truth” ha più affinità con lo stile di Capra nelle “romance commedy” piuttosto che con quello di
Lubitsch. Il restare a distanza tra i due protagonisti non è un elaborato gioco lubitschano di
amoreggiamento; è più una contesa alla Capra tra due individui orgogliosi che non sanno come
comunicare. McCarey sottolinea l’inadeguatezza dei Warriner dando loro un cagnolino, “Mr.
Smith”, che è più emotivamente articolato di quanto lo siano loro due. Mr. Smith, un’inspirazione da
ultimo minuto di McCarey ( non appare nella sceneggiatura dei Delmar), è un tributo, almeno in
parte, alla serie Thin Man presso la MGM – un altro indizio che McCarey pensava che i Warriner
fossero più “americani” che “continentali” (Mr. Smith è interpretato dall’attore canino Astra, che
era il Fox Terrier di Myrna Loy e William Powell in quei film).
Ma questo cagnolino ha una più importante funzione ne “The Awful Truth” che ricordare agli
spettatori “The Thin Man” [1934 di W.S. Van Dyke] : simboleggia il residuo dei sentimenti lasciato
in questo matrimonio.
Quando viene portato in tribunale per aiutare il giudice a decidere a quale Warriner affidare la sua
custodia, il lungo primo piano che McCarey dedica al desideroso ma perplesso muso del Fox
Terrier, mentre guarda avanti e indietro da Grant a Dunne, mostra il desiderio che non riescono a
dimostrarsi a vicenda. Lubitsch non avrebbe mai dato ad un cane un tale ruolo – i suoi personaggi
erano troppo comicamente eloquenti da soli. Comunque, Jerry e Lucy dimostrano costantemente
quel non riuscire ad essere capaci di parlare tipico di Capra, o forse anche il non riuscire a sentire
l’amore che li unisce.
Lucy Warriner è più Capriana che Lubitschana. Non è adorabile alla maniera della Jeanette
MacDonald di Lubitsch, né è tesa a imparare, come lo era sempre MacDonald nei film di Lubitsch,
come essere seducente in uno stile educato. Il suo orgoglio significa per lei molto di più della sua
seduttività. Ora che è divorziata, quel orgoglio mette tutto in ballo. La vediamo giocare
distrattamente con Mr. Smith nel suo appartamento, perché non vuole uscire senza un
accompagnatore: qui lei è la femmina tutta sulle sue, alla Capra, più consapevole delle emozioni
rispetto a suo marito, e più onesta. Jerry stava mentendo riguardo il suo viaggio in Florida – ci
viene raccontato così nella prima scena- così supponiamo che Lucy stava dicendo la verità
sull’essere rimasta fuori tutta la notte con il suo insegnante di canto.
E tuttavia, sebbene fosse appropriata alla tradizione di Capra, Lucy Warriner porta anche un nuovo
tono all’eroina della “romance comedy”. Lei potrebbe sostenersi da sola, ma non è stata privata di
risorse materiali come l’eroine della “romance comedy” prima di lei. Lucy non è una donna della
Paramount che lavora cercando di fare il suo dovere nel mondo; non è neanche un’ereditiera alla
Capra, temporaneamente degradata a vagabonda. Sarebbe stato facile per McCarey, nel corso delle
molte revisioni della sceneggiatura di “The Awful Truth”, renderla povera, o impaurita, o anche
coraggiosa dopo la sua separazione. Ma invece di soffermarsi sugli svantaggi di Lucy, McCarey
decise che sarebbe dovuta essere quanto più uguale possibile a suo marito, nella circostanza,
ricchezza, e stato morale. I Warriner hanno commesso “peccati”, anche se uno è reale e l’altro solo
sospettato, appaiono essere simmetrici (non scopriremo mai con certezza se Lucy stia mentendo).
Dopo la loro separazione, mantengono equivalenti standard di vita. Lucy prende il loro splendido
appartamento, portando la zia Patsy [Cecil Cunningham] a vivere con lei invece di suo marito.
Jerry prende un altro splendido appartamento. Lucy non deve andare a lavorare. Neanche Jerry
sembra andare al lavoro. Tutti e due possiedono una varietà di vestiti eleganti (i cappelli della
Dunne in questo film sono particolarmente degni di nota), ed entrambi esibiscono una tagliente
arguzia. E’ come se McCarey si fosse assegnato l’esercizio di creare un personaggio femminile con
gli stessi privilegi, lo stesso risoluto senso di sé, come di un uomo, e poi l’avesse impiegato nella
battaglia con il suo “gemello”.
Ma nell’alzare il livello sociale dell’eroina, McCarey ha anche sacrificato alcune espressività del
genere. La dignità sociale di Lucy le impedisce di mostrare vulnerabilità, non solo verso suo marito
ma anche verso il pubblico. Gli ospiti del club d’atletica di Jerry nella scena d’apertura non
riescono ad imbarazzarla, né il divorzio sembra ferirla molto – almeno non nei modi che mostrerà.
Dato che la vulnerabilità dell’eroina di solito serve da barometro delle emozioni nella “romance
commedy”, questo film nella fase iniziale acquista una sorta di rigidità. Dunne e Grant, recitano con
una vitalità sbrilluccicante e una contagiosa spontaneità, ma senza nessuno degli “anticlimax” che
suggerirebbero la tenerezza, che teoricamente, fa parte del passato dei Warriner.
Quando Jerry va a farle visita una sera poco dopo la loro separazione, apparentemente per andare a
trovare Mr. Smith, trova Lucy e l’elegante zia Patsy mentre intrattengono il comicamente egregio
Daniel Leeson [da IMDB: 'Dan' Leeson] interpretato da Ralph Bellamy, che aveva incontrato Patsy,
fuori all’ascensore. Jerry compromette l’ospitalità di Lucy con un duetto con il cane al pianoforte,
un rumoroso ragtime [http://it.wikipedia.org/wiki/Ragtime] con una tonalità bassa, al quale Mr.
Smith risponde con un doppio abbaiare nelle pause. La nostra idea di buone maniere viene spazzata
via da questa immagine di Cary Grant, smagliante, con irrefrenabile e sprezzante fascino nel mezzo
di
un’acrobazia
da
vaudeville
[un
tipo
di
spettacolo
di
varietà
http://en.wikipedia.org/wiki/Vaudeville] con il suo cane. Noi sentiamo il potere dell’uomo; lui
inghiotte ogni altra cosa nella scena, protraendo la conversazione tra Dunne e Bellamy, fino a
quando il damerino Bellamy è costretto ad andarsene. Ma la scena lascia un’impressione
sconvolgente. Da una parte, i Warriner esibiscono un’esilarante audacità quando vanno uno
dall’altra; dall’altra parte, rivelano un evidente potenziale di crudeltà. Lo slancio infantile dei loro
reciproci insulti ricorda Stanlio & Ollio, i quali erano sempre pronti a distruggere reciprocamente
qualsiasi cosa potevano dell’altro. Ma la “romance comedy”, come è stata concepita fino ad ora,
non potrebbe esattamente contenere un rapporto alla Stanlio & Ollio – non senza alterare la sua
ideologia.
Si suppone che i Warriner, in accordo con le convenzioni del genere, abbiano imparato qualcosa
sulla tolleranza e sull’amore adulto alla fine del film. Ma non è apparso nessun tratto in entrambi i
personaggi dei Warriner a indicare che sono capaci a fare ciò. E’ come se la loro grande agiatezza
abbia permesso a McCarey di mascherare lo stato delle loro anime. Proprio come il suo “Make Way
for Tomorrow” si era dimostrato ingenuo nel supporre che un hotel di lusso sarebbe stato
orgoglioso di ospitare il vecchio trasandato Bark e Lucy Cooper, così anche “The Awful Truth” è
pronta a credere che l’eleganza dei Warriner comporti qualche valore etico in loro.
Questa noncuranza sociale appare anche nella concezione di uno dei personaggi minori, Dixie Bell
Lee ( Joyce Compton), la nuova fidanzata di Jerry, che incontriamo in una scena in un elegante
nightclub. Vediamo Grant e Dixie Bell seduti ad un tavolo, mentre parlano. In seguito Irene Dunne,
accompagnata dal suo ragazzo, Ralph Bellamy, entra nel club. Jerry porta Dixie Bell al tavolo di
Lucy e Daniel, dando luogo ad un virtuosa scena di un quartetto di imbarazzanti pause, sguardi, e
non facili, piccoli discorsi. Dixie Bell rivela, in una delle pause, che lavora al club. Lascia subito il
tavolo e riappare con l’orchestra per cantare il suo numero. “Ero solita immaginare un piccolo
cottage/ Un piccolo cottage vicino ad una cascata,” lei incomincia timidamente. “Ma io non sono
affatto avvolta dai sogni / I miei sogni sono volati via col vento!” – e una macchina del vento le
gonfia la gonna, mentre cerca di tenerla giù in un imbarazzo canzonatorio.
Questa scena ci fornisce un’intelligente parodia di un numero da nightclub di second’ordine. Era
stato perfezionato sul set: nella sceneggiatura di McCarey-Delmar, Dixie Bell era una cantante
chiamata Toots Biswanger, che cantava la sua canzone in piena regalia (danza) del Sud, come
“tributo” al romanzo “Gone with the Wind” (che non era ancora un film). Si supponeva che Jerry
Warriner dicesse “E’un libro!” e poi il costume di scena di lei volasse via pezzo per pezzo – il
cappello, i guanti, la cappa – in un effetto-vento. Ma anche se moderata di tono, c’è qualcosa di
meschino riguardo alla scena. Sotto la parodia, Dixie Bell sta venendo incolpata per il cattivo gusto
del proprietario del nightclub che l’ha assunta, per il “caprone” che ha scritto la sua canzone, e per
lo stesso Jerry Warriner, che l’ha invitata. Un personaggio che in un’altra “romance comedy”
sarebbe l’eroina, un tipo alla Ginger Rogers che è giunta in città per lavorare, qui serve a fare da
contrasto fin troppo superficiale alla raffinata soavità di Irene Dunne. “L’ho appena conosciuta,”
bisbiglia Cary Grant verso la fine del suo numero, innervosito dal fatto che il cattivo gusto di Dixie
Bell lo svilisca agli occhi di sua moglie. La Lucy di Irene Dunne risponde con una brillante battuta
di spirito su come deve essere stato più facile per Dixie Bell cambiare il suo nome piuttosto che per
la sua intera famiglia cambiare i loro. Il rivale di Cary Grant, dall’altro versante, Daniel Leeson
dell’Oklahoma interpretato da Ralph Bellamy, è un bersaglio più degno di satira. Infatti lui è
praticamente una caricatura della pomposità mascolina, come l’Anthony Powell di Adolphe Menjou
in “Palcoscenico”. La lenta pronuncia strascicata che Bellamy e McCarey inventarono per Leeson;
le sue insignificanti omelie; il pseudosconcertato sorriso con la testa sospesa; la sua insensibilità
rispetto la storia matrimoniale di Lucy e Jerry (in una scena mette il suo braccio intorno a Lucy di
fronte a Jerry) – tutto è indizio di un ragazzo che fa il pallone gonfiato e il cocco di mamma e che è
accecato dall’intenso piacere che immagazzina in se stesso. L’orribilità di Leeson trova il suo
apogeo in questa scena del nightclub, nella danza che fa con Lucy. “Preoccupata di danzare? Perché,
potrei danzare finchè le mucche tornano a casa!” esclama Leeson. Bellamy, dal suo primo valzer
farcito di gomitate, dà un terrificante spettacolo di un uomo che non ha nessuna idea di non starsi
minimamente armonizzando con ciò che lo circonda e con i desideri della sua partner. McCarey
aggiunge ancora più dettagli della fatuità di Leeson nella scena successiva, il duetto di “Home on
the Range” tra Dunne e Bellamy, in cui Bellamy, del tutto inconsapevole, perde la melodia quando
Dunne tenta di cantare armoniosamente. Per quel compositore mancato che era McCarey, il peccato
sociale originario – anche peggiore che essere maleducato – era non avere orecchio musicale.
Ciò che MCCarey stava facendo qui era rovesciare uno stile di musical cinematografico alla
Astaire-Rogers. I momenti più intensi nella prima parte de “The Awful Truth” sono tutti numeri
musicali falliti, che ci ricordano, attraverso esempi negativi, di Astaire e Rogers, e, implicitamente,
dell’armonia romantica che Lucy si suppone abbia avuto prima con Jerry. Si capisce, dalla
conversazione nel nightclub, che Jerry e Lucy erano soliti danzare insieme meravigliosamente, ma
non comprenderemo mai esattamente cosa ciò significhi. “Non abbiamo mai vinto nessuna coppa,”
dice tristemente Lucy riguardo lei stessa e Jerry, prima di recarsi sulla pista da ballo con Leeson.
In questo senso, “The Awful Truth” potrebbe essere il seguito di qualunque dei film di AstaireRogers, la storia di un eroe e di una eroina che si sposano perché ballano così bene insieme, ma
rischiano di non sposarsi perché non imparano mai che quello era l’importante.
In alcuni momenti in questo film sembra assurdo che Lucy e Jerry non riescano a risolvere la loro
situazione parlando uno con l’altra – il modo del soave ménage a trois di Lubitsch in “Trouble in
Paradise” composto da Gaston, Lily e Mariette i quali parlano in un linguaggio civile caratterizzato
da allusioni erotiche e combattiva ironia. Ma gli americani, anche quelli eleganti come Fred e
Ginger o Cary e Irene, non conoscono quel linguaggio. Tutto quello che sanno è come comportarsi
insieme – come cantare, danzare, piangere, pronunciare incerte rime, o, quello che “The Awful
Truth” valuta sopra ogni altra cosa, cioè scherzare l’uno con l’altro e prendersi in giro a vicenda.
Le battute sono l’essenza del legame dei Warriner: per McCarey le battute equivalgono all’amore.
Come il film si muove verso una disintegrazione da commedia slapstick [tipo di comicità che si
basa sulla “violenza” fisica, come le torte in faccia - http://en.wikipedia.org/wiki/Slapstick] dei loro
tentativi di recuperare il matrimonio, Grant e Dunne mostrano un meraviglioso tempismo comico a
due. Queste sono le scene più forti del film, in cui le performance degli attori ci mostrano la
consistenza di una profonda familiarità e umorismo simile che si suppone spieghi la loro attrazione
reciproca.
Grant si nasconde dietro la porta di Dunne mentre lei accoglie Ralph Bellamy, che vuole leggerle
una poesia che ha scritto nella sua esuberanza (questa è la parodia di McCarey del personaggio
Longfellow Deeds di “Mr. Deeds Goes to Town” [“E’arrivata la felicità” 1936] di Capra
interpretato da Gary Cooper).
Mentre Dunne ascolta Bellamy (“A te, mio piccolo fiore di prateria,” lui recita, “Io penso a te ogni
ora”), Grant, nascosto, le fa il solletico con una matita cosicché lei ride in maniera incontrollabile su
un arpeggiato e volante “woo-hoo-hoo-hoo.” (questo è un altro momento che non è presente nella
sceneggiatura e così presumibilmente venne inventato sul set.)
Jerry partecipa al supposto appuntamento romantico di Lucy con il suo insegnante di canto, che
risulta essere un recital musicale. Lo interrompe – letteralmente – visto che fa crollare sotto il suo
peso un’alta ed esile sedia, e poi un tavolo. Lucy, convinta finalmente che lui la rivoglia indietro
(“Non avrebbe fatto queste buffe cose se non gli importasse di me!”), invita Armand Duval per
chiedergli di persuadere Jerry della sua originaria innocenza, solo per essere costretta a nascondere
Armand quando Jerry le fa una visita inaspettatamente, e poi vedere senza poter intervenire Jerry
che si nasconde dove è nascosto Armand quando Daniel Leeson e sua madre compaiono per una
chiacchierata amichevole. Fuori campo, dalla direzione della stanza con la porta chiusa, sentiamo
enormi schianti degni di Stanlio & Ollio [Laurel & Hardy], e poi Alexander D’Arcy spunta fuori
inseguito da Cary Grant.
Ma quando McCarey raggiunge il nucleo emotivo del film, nel quale si suppone che Grant e Dunne
abbandonino la slapstick e interpretino la loro voglia di ritornare assieme, il film incomincia a
“zoppicare”. Lucy va a trovare Jerry l’ultimo giorno dei loro novanta giorni di separazione
assegnati, sapendo che lui sta per sposare Barbara Vance “un’ereditiera scervellata”.
Dunne fa uno sforzo per inscenare un “ricordo”sentimentale della loro storia d’amore, ma tutto
quello che riesce a fare è assumere un’espressione depressa di chi è sul punto di piangere.
Cary Grant non raddrizza mai la sua rigida ironia per venirle incontro. Questa scena si addice ai
requisiti drammatici del genere, ma perde quella potente miscela di vulnerabilità, desiderio, e
memoria della passata privazione che eguaglia l’attrazione sessuale nella formula originale della
“romance comedy” di Capra. Perde inoltre la luccicante, maliziosa, e intermittentemente lasciva
consapevolezza dell’attrazione sessuale tipica di Lubitsch.
Questo non è un problema solo degli attori ma anche della sceneggiatura. La feroce contesa che
McCarey e i Delmar hanno configurato per i Warriner non permette sempre loro di riconoscere
l’attrazione reciproca. Non permette neanche al regista di dare un’aura sessuale alla protagonista
femminile nei primi piani, che è quello che George Stevens ha fatto in “Swing Time” per
compensare la mancanza di sessualità tra Astaire e Rogers. Irene Dunne appare bella e maliziosa in
questo film, ma non esattamente sexy. A questo punto, l’assenza di qualsiasi scintilla erotica tra i
protagonisti ha iniziato a gettare fuori rotta il film. Ha riposto tutta la responsabilità della
riconciliazione – anche più del solito nei finali asimmetrici delle commedie romantiche – da parte di
Lucy. Si percepisce l’assoluta forza di volontà che si cela sotto l’eccentrica superficie, e sospettiamo
che è questa la qualità, piuttosto che ogni attrazione fisica tra lei e Jerry, che sarà chiamata a
cementare il matrimonio tra loro due.
Lucy gioca un brutto tiro a Jerry per farlo fuggire via dai suoi nuovi ricchi amici. Lei si reca a una
riunione presso la villa dei Vance sotto le spoglie dell’immaginaria sorella di Jerry, indossando un
vestito di seta con frange; parlando con una voce piatta, confidenziale e con accento del sud. Chiede
un bel bicchiere di sherry (in realtà bibita gassata allo zenzero, sussurra al maggiordomo) e lo
trangugia. Si accosta alla boriosa Mrs.Vance sul divano, spremendosi tra lei e Jerry sul divano – e
offre un’interpretazione della canzone di Dixie Belle Lee, “My Dreams Are Gone with the Wind” [“I
Miei Sogni Sono Volati Via col Vento”], accompagnata dalla sua andatura strascicata come nel film
“Show Boat” [1936 di James Whale] e esce di scena con una stramba camminata all’indietro.
Dunne è qui al suo massimo come personaggio contagiosamente divertente.
Ma come esempio di climax nella “romance comedy”, in cui le barriere di classe tra i due
protagonisti si suppone vengano dissolte, la scena presenta un insieme di personaggi non proprio
efficace.
Jerry e Lucy non hanno bisogno di essere riconciliati l’uno con l’altra in termini di classe sociale.
L’imitazione di Lucy della socialmente meno agiata Lola, è gratuita: è progettata per trascinare giù
Jerry dalla sua posizione, ma tradisce anche un chiaro snobismo nei confronti delle “Lole” di questo
mondo. Alla fine, questa scena rappresenta solo Irene Dunne che fa uno scherzo durante una festa,
non un’eroina della “romance comedy” che cerca di introdurre tolleranza nella vita sociale
americana.
Se lo snobismo di Lucy devia dai principi della “romance comedy”, l’atteggiamento di Jerry verso
le persone ricche con cui è riunito, tradisce totalmente questi principi.
Il film non ammette mai, che sotto l’influenza di Barbara Vance, Jerry si è trasformato nel “villain”
[“cattivo”] dell’universo della “romance comedy”, un arrampicatore sociale (Sappiamo questo dal
modo rispettoso con cui Jerry va incontro ai Vance, all’inizio della scena di Lola, rassicurandoli in
fretta che suo padre era stato a Princeton). Come poteva Jerry passare almeno due mesi con i Vance
e non capire che erano dei ricchi inamidati? Lui risponde allo spettacolo di Lucy/Lola con la sua
vecchia espressione pensierosa di gioia, ma non giunge a vedere l’errore dei suoi modi.
Per fare in modo di attrarlo ancora, Dunne deve continuare a manovrarlo fino alla fine del film. Lo
induce con l’inganno a darle un passaggio, nella cabriolet di lei, alla baita della zia Patsy in
campagna. In macchina crea tanta baldoria come se fosse una “banshee” [spirito di donna inquieta
noto per le sue grida strazianti] lasciata libera, ridendo e danzando sul suo sedile. Dei poliziotti li
fermano perché la loro radio si è incantata su uno strombazzante jazz. “Forza, tesoro, rimorchialo!”
grida Dunne a Grant, mentre il poliziotto lo fa camminare lungo la linea del traffico per verificare
che non sia ubriaco. Poi lei manda la sua auto contro un albero così i poliziotti, danno loro un
passaggio sulle loro motociclette, fino alla baita. Tutta questa isteria, solo per indurre Jerry a darle
un segno che l’ama ancora.
E’ vero che la riconciliazione nella “romance comedy”, sempre da quando Claudette Colbert in
“Accadde Una Notte” scappa via dal suo matrimonio per unirsi a Clark Gable, era sempre stata una
responsabilità della donna. In “Swing Time”, una terribilmente ferita Ginger Rogers, si riduce a
venire incontro alla risata. in “E’arrivata la felicità”, Jean Arthur lancia un appassionato appello
durante il suo processo. Per sposare William Powell in “My Man Godfrey” [“L’impareggiabile
Godfrey” 1936 di Gregory La Cava], Carole Lombard è costretta ad andare nel suo ufficio. Ma in
The Awful Truth, Irene Dunne è costretta a lavorare più faticosamente di tutte. La trama le chiede
di creare un autentico turbinio di gioia intorno al disponibile e educato Cary Grant. Lei deve
diventare tutti i lati della donna – una ragazzina in macchina, una distaccata donna matura alla Mae
West nella baita – per persuaderlo a tornare nel letto di lei prima che scada la mezzanotte del loro
novantesimo giorno di separazione.
McCarey inscena ciò come una gag incentrata sulla porta che si apre all’improvviso soffio del
vento, tra le loro stanze da letto comunicanti, e che rimane poi chiusa quando un gatto nero si
accoccola vicino ad essa. Jerry Warriner rimane attento, incerto, qualche volta confuso, durante
tutta la durata della gag, fino a quando Dunne, finalmente lo provoca, dicendogli che è stato uno
sciocco ad essere sospettoso di lei all’inizio. Ma c’è qualcosa di ancora non del tutto risolto nel
finale. Nell’intelligente conclusione kitsch [di cattivo gusto] di McCarey, la famosa sequenza con
l’orologio a cucù in cui l’uomo vestito da alpino sull’orologio cambia il suo percorso all’ultimo
minuto e se la svigna dentro con la donna vestita da alpina, tradisce il non riconosciuto disagio del
film riguardo il matrimonio e il sesso coniugale. Cary Grant indossa, in questa scena nella baita, una
lunga camicia da notte. Il suo sostituto simbolico, l’uomo meccanico sull’orologio, indossa
pantaloni di pelle con bretelle.
I costumi potrebbero essere venuti fuori dal guardaroba da bambini un po’ troppo cresciuti di
Stanlio & Ollio. L’inadeguatezza degli abiti di Cary Grant enfatizza una questione non risolta: vale
la pena rimettere insieme questa distorsione di un rapporto – vale la frenesia di Lucy e
l’infantilizzazione di Jerry?
Il fatto che questo film soddisfi e delizi nonostante le sconvolgenti caratteristiche della sua
risoluzione, indica quanto in profondità giace il mito de “The Awful Truth” nella nostra esperienza.
E’ abbastanza difficile nella maggior parte delle commedie romantiche vedere che un eroe abdica
parzialmente la sua volontà alla fine del film e che permetta all’eroina di compiere il gesto finale
verso la riconciliazione, perché questo tipo di sforzo da parte della donna era quello che la cultura
credeva fosse necessario (pensate a tutte le canzoni sentimentali popolari, tutte le canzoni di musica
country, tutti i film strappalacrime scritti o prodotti anche negli anni delle commedie romantiche).
Si supponeva che la donna ne sapesse di più riguardo le emozioni, e si pensava che le dovesse
insegnare all’uomo. Se i compromessi inerenti a questa situazione più visibili in “The Awful Truth”
che in altre commedie romantiche, è perché questo film perde il dramma di classe che di solito
oscura il patto maschio-femmina dentro la trama. Jerry e Lucy Warriner non devono vincere
pregiudizi di classe o di denaro per avere una storia d’amore nel modo in cui gli altri protagonisti di
commedie romantiche hanno fatto prima di loro. I Warriner hanno già la loro identità di classe. Per
stare insieme, hanno bisogno solo di ridefinire il loro gusto – la loro convinzione che il vivere bene
sia un’arte, come cantare o danzare – e di imparare ad ignorare gli antagonismi di genere che
accadono in ogni matrimonio.
Ma “The Awful Truth” non permette nemmeno di giungere insieme all’apprendimento finale: Jerry
è diventato snob; Lucy, con il suo essere freneticamente vivace, lo riporta sulla “giusta” strada.
Inoltre, la loro chic e selvaggia riconciliazione riporta il pubblico indietro al tempo del periodo
precedente alla Depressione, quando ricchezza e privilegio, permettevano alla gente di ignorare i
loro problemi e di uscire in giro e strapazzare la città. Per questa ragione, “The Awful Truth” segna
un importante momento nel breve e concentrato sviluppo della “romance comedy” nel periodo della
Depressione. Il genere che era nato quando Capra la sua macchina da presa riprese un selvaggio
party in un attico in “Ladies of Leisure”[“Femmine di lusso” 1930], con la supposizione che il
pubblico fosse costituito da scettici, qui si è spostato, quasi con nonchalance, verso la supposizione
che il pubblico guarda dall’alto in basso le persone della strada (le Dixie Belle Lee) perché gode di
un’esistenza da classe medio-alta proprio come quella dei Warriner.
L’eroina che si viene a formare quando la fradicia Barbara Stanwyck di “Ladies of Leisure” si
inerpica dalla riva per affrontare il ragazzo ricco, si trasforma nell’Irene Dunne de “The Awful
Truth” l’autorità temporale di una moglie borghese.
La moglie e il marito esercitano in questo film la stessa autorità; le tensioni di classe dell’universo
di Capra sono quasi scomparse. “The Awful Truth” e la sua enorme popolarità al box-office – serve
come prova che nel 1937 il dolore, il panico e l’agitazione sociale della Depressione avevano
iniziato ad affievolirsi nella memoria del paese, e una sofisticata, sebbene negligente, “normalità”
aveva preso il suo posto.
Tratto da: The Runaway Bride. Hollywood Romantic Comedy of the 1930’s
Traduzione: Roberta Carbone; adattamento e note: Nalut.