La mia droga si chiama Cyber Sex

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La mia droga si chiama Cyber Sex
LAMIA
DROGA
SI CHIAMA
LA STORIA
CYBER
SEX
Dalla
trasgressione
casuale su
una sexy chat
all’ossessione di
giorni e notti
a inseguire
il piacere su uno
schermo. Una
produttrice
televisiva inglese
racconta
la sua
dipendenza
di Deborah Ameri
D 98
A
volte trascorreva intere notti sveglia, nuda sotto le lenzuola, ticchettando furiosamente sulla tastiera del suo portatile, offrendo e
dandosi piacere, colmando il vuoto che sentiva dentro. Quando il
sole sorgeva chiudeva il computer,
appena prima che il marito arrivasse con il caffè. Per mesi è stata
la vita di Lucy Dent, uno pseudonimo che nasconde l’identità di una produttrice televisiva
inglese ossessionata da un nuovo e crescente fenomeno: il
cyber sesso. Lucy ha appena pubblicato in Gran Bretagna,
con l’editore Doubleday, un libro in cui racconta la sua vita intossicata dal piacere virtuale, la fine del suo matrimonio e infine il perdono del marito. Si intitola Turned on
(“Eccitata”), e ha acceso sui giornali e su blog un dibattito sui confini virtuali della sex addiction.
«Quello di cui ho sofferto è la malattia del ventunesimo
secolo. Guardatevi intorno. In treno, in metropolitana,
al bar, al parco, tutti fissano lo schermo di un computer
o di uno smartphone. Ho scritto questo libro perché so
che non sono sola e voglio che tutti quelli che ci sono
passati lo capiscano: non siete soli», dice l’autrice.
PER GUARIRE
T
utto comincia cinque anni fa,
quando Lucy si trova alla soglia
dei 40 anni, senza figli per scelta,
licenziata dal lavoro per via della
crisi, con un marito che torna a
casa sempre più ubriaco. Russa
così tanto che Lucy lo manda a
dormire nella stanza degli ospiti e
lui accetta di buon grado. Così inizia la sua solitudine.
«Andrew ed io eravamo diventati come coinquilini. La
nostra vita sessuale non esisteva. Io mi annoiavo e così
ho cominciato a cercare distrazioni», racconta Dent.
«Con il senno di poi posso dire che vorrei non averlo mai
fatto. In poco tempo mi sono trovata dipendente dai flirt
e dalle storie online. La spalla virtuale su cui piangere è
disponibile 24 ore al giorno. Uno dei miei primi incontri è stato quello con un uomo che mi ha scritto: “Sono
piuttosto eccitato, mi andrebbe di masturbarmi. E tu?”.
Sono rimasta scioccata dal brivido illecito di piacere che
ho provato. Se uno sconosciuto mi avesse detto la stessa
cosa in un bar lo avrei schiaffeggiato. Ma sapere che un
uomo si stava per masturbare mentre chattava con me
mi ha infiammata».
Quel suo primo flirt virtuale si chiamava «The Pseud».
Era un medico e comunicava con Lucy tra un appuntamento e l’altro con i suoi pazienti o di notte mentre i rispettivi partner dormivano. «Quando lui non rispondeva subito venivo invasa dal panico. Lo volevo sempre e
temevo che potesse incontrare in chat qualcuna che lo
intrigasse di più», scrive Lucy. La relazione finisce quando lei scopre che Pseud era un seduttore seriale e la sua
foto appariva su un sito di scambisti: «Pensavo fosse così solo con me, come mi aveva detto. Quando ho visto i
suoi post su quel sito mi sono messa a piangere». Da
quel momento comincia a fare sexting, scambiare sms
erotici o messaggi in chat, con molti altri sconosciuti.
Persino a tavola, durante la cena, con il marito a fianco.
«Di solito, dopo uno scambio del genere chiudevo il laptop, mi mettevo comoda sotto le coperte e venivo in 30
secondi», scrive. Poi incontra sul web «Paranoidandroid», un 23enne altrettanto solo e in cerca di compagnia. I due cominciano una relazione virtuale ossessiva,
giorno e notte.
Paranoidandroid le scrive cose del genere: «Mi fai battere il cuore più forte, sai Lucy? Quando cominciamo a
farlo, subito sento l’eccitazione salire e poi, nel bel mezzo, tu dici qualcosa di meraviglioso e la lussuria si trasforma in qualcosa di diverso, di più profondo». Altre
volte era solo sesso: «Adesso ti tocco qui e le mie dita ti
8 GIUGNO 2013
Anche per la cyber sex addiction decidere di
curarsi è un passo fondamentale. «La terapia
viene poi articolata in tre modalità:
contenere il comportamento, porsi dei limiti e
riuscire a rispettarli», spiega Emiliano
Lambiase, coordinatore dell’Istituto
di terapia cognitivo-interpersonale e autore di
un capitolo sul cybersesso femminile
nel volume Donne che osano troppo (Magi
edizioni). «Quindi si punta alla ricostruzione:
di amicizie, relazioni, e tutto ciò che il sesso
patologico ha sostituito. Ma altrettanto
importante è capire quali sentimenti e quali
bisogni sono alla base del comportamento».
Si parte di solito da una terapia individuale, a
cui poi si può affiancare un percorso di
coppia o di gruppo nel caso si sia raggiunto un
certo grado di isolamento e difficoltà
a stabilire relazioni». Si può chiedere
aiuto all’Airs (Associazione italiana
per la ricerca in sessuologia, airs-online.org);
all’Istituto internazionale di sessuologia di
Firenze (www.irf-sessuologia.it); alla
Federazione italiana di sessuologia scientifica
(www.fissonline.it). Anche la Asl Milano 2
offre un numero verde, 800.184909. G.P.
sfiorano tutta. Come ti fa sentire?». «Per quanto suoni
ridicolo», ammette Dent, «Potevo davvero sentire le sue
mani sulla mia pelle e il mio corpo si eccitava».
L’ossessione va avanti finché non si scambiano delle fotografie e infine, inevitabilmente, si incontrano. «Mi
sentivo di nuovo una 15enne e per una donna della mia
età era come essere salita sulla macchina del tempo»,
confessa l’autrice. Il tradimento virtuale diventa reale, il
marito la scopre e la lascia. E così Lucy cerca l’aiuto di
uno psicologo: «Rivolevo mio marito, quello di cui ero
innamorata, non quello che era diventato. E io volevo di
nuovo essere la donna che lo aveva conquistato».
ndrew, dice, oggi l’ha perdonata
ma non del tutto. Oggi stanno incollando i cocci della loro relazione. Lui beve di meno, lei sta
lontano dal computer. Hanno
iniziato di nuovo a comunicare.
Lucy ammette di essersi pentita
di non aver avuto figli. «Adesso
mi rendo conto che ho evitato la
maternità perché non volevo ripensare alla mia infanzia. E ciò mi rattrista. Da bambina non ho avuto molta stabilità e molto affetto», scrive.
«Quando mi sono trovata in una relazione normale, con
mio marito, ho cercato di riprodurre lo stesso stato di
caos con il quale mi sentivo a mio agio».
Oggi Lucy non si considera guarita del tutto, ma sulla
strada dell’assoluzione dalle sue colpe. Con questo libro, sostiene, desiderava tirare una riga sul passato. Da
oggi per lei c’è un altro futuro.
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