Ipertrofia della ragione e disagio affettivo

Transcript

Ipertrofia della ragione e disagio affettivo
Tratto da “Lo Straniero e l’altro”, S. Tabboni, 2006, Napoli, Liguori Editore (p. 53-56).
6. Ipertrofia della ragione e disagio affettivo
Lo straniero diventa talvolta, nel pensiero sociologico, la metafora dell’intellettuale
cosmopolita, o meglio di quella condizione culturale tipica in cui vivono coloro che, per scelta
o necessità, si trovano a vivere fra due culture, senza tuttavia appartenere fino in fondo a
nessuna di esse.
Questa condizione li predispone ad una forte capacità critica, ad una intelligenza
analitica particolarmente brillante, ma anche ad un costante disagio psicologico: quel disagio
che da sempre caratterizza l’intellettuale, che Sartre definiva il “bastardo”, proprio per la sua
capacità di aderire totalmente ad un ambiente ed a una cultura, a riconoscere e a coltivare le
sue radici.
Colui che Robert E. Park definisce in modo improprio “l’uomo marginale”, l’“uomo dal
sé diviso” non ha nessuna delle caratteristiche che in sociologia si associano alla “marginalità”
come generica inferiorità sociale. Al contrario, è spesso, agli occhi dei più, un privilegiato che
tende ad essere infelice ed insicuro, psicologicamente instabile e fragile, proprio in ragione
dell’impossibilità di aderire saldamente ad una cultura. Il suo interesse risiede in gran parte
nella sua straordinaria capacità di leggere i contesti sociali di cui fa parte così come
autenticamente funzionano, di osservare con uno sguardo analitico quasi infallibile le forme
sociali e le ideologie fra cui vive, e questo proprio in ragione della distanza da cui le osserva.
L’uomo “marginale” è una figura che manifestamente Park ammira, che probabilmente gli
ricorda il fascino esistenziale e intellettuale di tanti scienziati, e scrittori ebrei trapiantati negli
Stati Uniti perché perseguitati in Germania e la difficile vita del suo maestro, Simmel, uno
straniero e un outsider per tanti aspetti della sua esperienza biografica e accademica.
Ma l’ammirazione di Park non si ferma a quella dell’uomo dal sé diviso: ciò che più lo
incanta nella storia umana sono i momenti di grande trasformazione culturale, quei momenti
in cui vengono abbattute tutte le abitudini e i saldi riferimenti della tradizione, perché tutto
viene sovvertito dall’intrecciarsi e scontrarsi di culture diverse. Quando, in seguito ad una
guerra o ad una grande migrazione, ogni consuetudine va in pezzi, quando la mescolanza di
mondi diversi provoca il caos, è il momento in cui dalle rovine nascono i più preziosi frutti di
LO STRANIERO E L’ALTRO
!1
civiltà, le innovazioni culturali di una ricchezza irraggiungibile in tempi di relativa continuità.
Ciò che un tempo accadeva in seguito alle grandi invasioni di interi popoli che ne
sottomettevano altri sovvertendone le leggi e i costumi e generando, dopo un periodo di
confusione, un fertile connubio di civiltà diverse, un fermento di invenzioni individuali libere
dagli antichi intralci, oggi accade nelle metropoli, dove si scambiano le merci, dove
s’incontrano gli stranieri, dove si avvicinano culture differenti. La grane città moderna è
diventata il focolaio del cambiamento, dell’emancipazione individuale e collettiva, un
laboratorio di indipendenza di giudizio e di critica di ogni opinione scontata, in cui gli
individui appartenenti a culture diverse si incontrano modificandosi reciprocamente. È
questa, per Park, l’immagine del progresso: l’accelerazione della vita, ciò che impone
incessantemente nuove rotture e nuovi inizi, ciò che esige di essere continuamente alimentato
dal confronto, dal dialogo, dalla distruzione e dalla ricostruzione.
Ogni grande civiltà storia è stata, secondo Park, l’esito del contatto e dello scontro
culturale, il prodotto di circostanze in cui gli uomini si sono trovati a cooperare o anche solo
ad interagire cercando di superare le difficoltà della differenza culturale. Come ogni grande
civiltà e ogni grande innovazione artistica, politica, sociale è prodotta dalla mescolanza fra
culture diverse, anche ogni grande uomo - poeta, artista, fondatore di religione - si è espresso
dopo aver molto viaggiato, conosciuto mondi diversi, messo in discussione la propria
formazione e le proprie radici. Il progresso, l’innovazione e la vita nascono tuttavia quando si
dà comunicazione interculturale. Quando le culture restano chiuse in se stesse, quando si
stabilisce solo un rapporto “simbiotico”, come nel caso degli zingari e degli hobo, non avviene
alcun cambiamento. L’uomo “marginale” di Park propone un tipo di estraneità più complessa
di quella dello straniero di Simmel: egli conosce angosce e difficoltà psicologiche che sono
sconosciute allo straniero di Simmel, in cui prevale la capacità di distacco, di rottura, l’aspetto
innovativo della modernità. Nell’uomo “marginale” compare molto più chiaramente quella
fragilità e disposizione alla crisi di identità, che diventerà il fardello tipico degli appartenenti
alle società altamente differenziate. L e capacità analitiche e lo squilibrio emotivo dell’uomo
“marginale” sono il segno della sua doppia ambivalenza e dello sforzo richiesto a chi non si
lascia mai coinvolgere fino in fondo da nessuna appartenenza e convinzione totalizzante: egli
è un uomo che “[…] combina la conoscenza e la perspicacia di chi sta dentro con
l’atteggiamento critico di chi sta fuori. La sua analisi non è necessariamente obiettiva. È
basata su una tensione emotiva troppo forte. Ma è molto acuto nel cogliere le contraddizioni
e le ipocrisie della cultura dominante. […] Se è vero che la “fonte del pensiero risiede in
LO STRANIERO E L’ALTRO
!2
qualche tipo di perplessità, di confusione o di dubbio” (Dewey 1910, 12), allora “l’uomo
marginale è probabilmente predisposto alla riflessione più di qualsiasi altra persona.” (Park
1928, 89)
Le figure dello straniero disegnate da autori che le analizzavano in rapporto a
condizioni diverse da quelle contemporanee possono dirci qualcosa?
Mi sembra di sì, se è vero che la convivenza di sentimenti opposti e interdipendenti
continua ad accompagnare l’incontro fra culture diverse, nonostante i grandi cambiamenti
storici intervenuti nel corso di secoli, a meno che lo straniero non sia determinato ad
abbandonare la sua cultura per abbracciare quella della maggioranza che lo ospita. Oppure
ancora che entrambe le parti decidano di rinchiudersi nella propria cultura o di farsi la
guerra.
La mescolanza di sentimenti che lo straniero avverte e che a sua volta suscita in chi lo
incontra ci fornisce una chiave di lettura in più, rispetto a quelle seguite dalla maggior parte
degli studiosi che, sotto l’etichetta del multiculturalismo, hanno analizzato quel che accade,
insieme a quello che sarebbe auspicabile accadesse, quando gruppi culturali diversi, in
condizioni asimmetriche di potere, si trovano a vivere all’interno dello stesso stato.
Quella mescolanza di sentimenti opposti è un particolare importante - quando ci si
abitua a provarla spesso e a riconoscerla - perché somiglia all’atteggiamento mentale di chi ha
appreso, vivendo fra stranieri, a valutare contemporaneamente gli aspetti affascinanti, positivi
e costruttivi e gli aspetti inaccettabili, negativi e distruttivi delle correnti culturali con cui entra
in rapporto. Sarebbe vitale, nell’epoca in cui viviamo, così dominata dalla paura e dal
sospetto verso i cambiamenti e soprattutto dall’identificazione della cultura islamica con
un’estrema minoranza di terroristi di origine islamica, che si diffondesse una mentalità
riflessiva e prudente davanti alle sfide delle altre culture. Occorrerebbe che si generalizzasse
un modo di reagire alle provocazioni anche estreme, provenienti da minoranze che parlano o
agiscono in nome dell’Islam, con la consapevolezza che quelle forme culturali non
definiscono per intero la cultura da cui provengono, che quest’ultima è plurale, disomogenea
e ricca di tensioni interne. Il dibattito politico, filosofico, sociologico sul multiculturalismo
dovrebbe essere completato dalle riflessioni che il lavoro sociologico sullo straniero ha
realizzato prima che i temi della comunicazione fra culture diverse assumessero i tratti
drammatici che stanno assumendo nel mondo contemporaneo.
~ Simonetta Tabboni, 2006
LO STRANIERO E L’ALTRO
!3