Piergiorgio Welby: non era eutanasia.

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1 febbraio 2007 PIERGIORGIO WELBY: NON ERA EUTANASIA.
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Piergiorgio Welby non è morto per eutanasia.
Ma cos'è l'eutanasia? Credo che il modo più
semplice per capirlo sia chiarire bene cosa
non è: “da essa [infatti] va distinta la decisione
di rinunciare al cosiddetto «accanimento
terapeutico», ossia a certi interventi medici
[...] sproporzionati ai risultati che si potrebbero
sperare o [...] troppo gravosi [...]. In queste situazioni, quando la morte
si preannuncia imminente e inevitabile, si può in coscienza «rinunciare
a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e
penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute
all'ammalato in casi simili». [...] Occorre cioè valutare se i mezzi
terapeutici a disposizione siano oggettivamente proporzionati rispetto
alle prospettive di miglioramento. La rinuncia a mezzi straordinari o
sproporzionati non equivale al suicidio o all'eutanasia; esprime piuttosto
l'accettazione della condizione umana di fronte alla morte.”
Chi scrive è Giovanni Paolo II, nell'enciclica Evangelium Vitae
(par.65), e sembra non vi sia nelle sue parole alcun disaccordo con la
sentenza che scagiona l'anestesista di Piero Welby dall'accusa di
eutanasia, giacché ricorrono tutte le condizioni che individuano una
rinuncia ad accanimento terapeutico accompagnata da cure palliative
(che, peraltro, sono considerate anch'esse lecite dalla Chiesa).
A partire da ciò, si possono trarre diverse riflessioni.
La prima, è che il codici legali e medico-deontologici italiani includono
norme sufficientemente chiare per poter distinguere i casi di eutanasia
da quelli di lecita rinuncia a cure mediche “sproporzionate rispetto alle
prospettive di miglioramento”, la seconda è che queste norme sono in
tutto coincidenti (per quanto concerne i lati giuridici della questione,
quindi al di fuori del problema di coscienza dell'ammalato) con quanto il
pensiero cristiano ritene legittimo, pur in virtù di una fonte legislativa
fondamentale diversa (la Costituzione, anziché la “legge naturale”).
Da queste due constatazioni, ne deriva un'altra a mio avviso meno
piacevole: il fatto, cioè, che i radicali (tutti i radicali, compresi quelli
religiosi) hanno mostrato al mondo la loro ipocrisia ancora una volta.
Prima di tutto i laicisti che, strumentalizzando la sofferenza di Welby e
la sua legittima pretesa di accettare la morte rinunciando a cure
mediche tanto inutili quanto gravose, l'hanno trasformata in un gioco di
retorica politica per favorirsi nella loro lotta in favore dell'eutanasia
mediante falsi sillogismi, del tipo “Welby ha il diritto di interrompere la
cura e poter morire; il diritto di decidere come e quando morire è il diritto
all'eutanasia; dunque difendere la causa di Welby è difendere il diritto
all'eutanasia”. Ed è semplicemente falso, perché interrompere le cure,
nel caso di Welby e in tanti altri casi simili al suo, è stato un atto di
accettazione di una morte comunque inevitabile nelle sue cause
cliniche e per gli attuali mezzi terapeutici, mentre invece l'eutanasia si
qualifica per altri due aspetti (non per forza compresenti): il primo è la
scelta di morire indipendentemente dalla prognosi medica, per il
desiderio di eliminare al dolore (proprio o altrui) quand'anche la malattia
fosse guaribile; il secondo è l'uso di mezzi atti a procurare la morte per
impedirne il naturale avvento in quanto eccessivamente doloroso.
Senza voler toccare qui il problema della liceità dell'eutanasia (che
lascio al libero dibattito pubblico, e sulla quale mi esprimo
negativamente), non posso fare a meno di rilevare quanto sia odioso il
tentativo di depistare l'opinione pubblica utilizzando menzogne e mezze
verità per attirala verso un obiettivo politico. Se infatti gran parte
dell'opinione pubblica è ora favorevole all'eutanasia (quella vera), è
anche perché è stata favorevole alla scelta di Piergiorgio Welby, gesto
che i laicisti hanno voluto annunciare al mondo con il nome di
eutanasia. Ma che eutanasia non era affatto!
Uno Stato è laico quando:
fa le leggi senza
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giugno, 2007
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Ma ne ho anche per i cattolici più reazionari! Già, perché ad un'azione
politicamente scorretta dei laicisti, ne hanno opposta un'altra altrettanto
sbagliata.
Infatti, per quanto pochi tra i cattolici abbiano avuto la faccia tosta di
denunciare come eutanasia (in senso giuridico) la scelta di Welby (ma
non manca chi ha addirittura parlato di suicidio volontario!), essi hanno
in generale opposto un muro di silenzio e indignazione di fronte alle
richieste di umana comprensione da parte sua. Opponendo ad esse un
tanto fiero quanto inutile inorgoglimento spirituale antilaicista, si sono
dimenticati di quanto afferma la propria stessa dottrina, cogliendone
solo gli aspetti atti a condannare le intenzioni e senza misurarsi con
quelli inerenti i metodi e le situazioni reali.
A questo punto è bene ricordare ancora che, con pregevole (e a mio
avviso invidiabile) tatto, il card.Martini, senza prendere posizione pro o
contro chicchessìa, ha ricordato ai cristiani (e non solo) il loro stesso
Magistero in materia di legittimità giuridica della rinuncia alle cure
mediche sproporzionate, per cercare, io credo, di riportare la questione
entro binari di discernimento e saggezza, e parlarne apertamente,
smorzando gli inutili radicalismi su una questione tanto delicata quanto
essenziale.
La giusta attenzione posta dai cristiani alle norme giuridiche che
regolano il dover essere sociale non può infatti misurarsi con le sole
intenzioni di chi agisce, ma deve tenere conto dei metodi e delle
conseguenze reali dell'azione, nonché delle necessità dell'agente.
Condannare Welby per aver avuto l'intenzione e il desiderio di morire è
un atto che spetta solo ed esclusivamente a Dio, quanto invece è
consentito giudicare all'uomo (e alle sue leggi) è l'azione compiuta, la
quale si commisura alla natura della realtà concreta. Ed è in questo
contesto che trova legittimità il gesto desiderato da Welby,
indipendentemente dalle sue stesse intenzioni.
Questo è un fatto concreto che dovrebbe spingere molti cristiani ad
uscire da quella scatola di moralismo radicalizzato in cui spesso si
trincerano pensando così di far fronte alle anti-catechesi del “mondo”.
Sia chiaro, tuttavia, ai più progressisti, che alla Chiesa non serve un
Magistero diverso da quello che ha, così come (io credo) non serve allo
Stato una legislazione più permissiva su questa materia. Ad esso,
piuttosto, serve una regolamentazione in grado di rendere meno
ambigue possibili situazioni reali, mediante, per esempio, l'attuazione
del “testamento biologico”, senza che ciò implichi il ricorso all'eutanasia.
Ciò che occorre al popolo cattolico è piuttosto una più chiara
conoscenza del proprio Magistero, unito ad una attenta e ragionata
lettura della realtà alla quale esso si applica.
In effetti, dal momento che la richiesta di Welby non era
giuridicamente un atto di eutanasia, senza necessariamente
assecondarne le intenzioni in coscienza (cosa sulla quale nessuno può
esprimersi), sarebbe stato opportuno per i cattolici manifestare con
chiarezza quanto opportunistiche erano le mosse dei radicali (quelli
laicisti) a fronte di una situazione che non avrebbe dovuto richiedere
alcuna battaglia, ma solo un po' di ascolto, di amore cristiano e di
corretta osservanza della legge.
C'è stato troppo rumore e troppo silenzio.
Ora, l'assoluzione dell'anestesista che fermò le cure di Piergiorgio
Welby e ne consentì la morte è salutata dai più con un brusio indeciso e
un po' umiliato: i radicali laicisti indietreggiano con passo felpato
cercando di non far notare la loro gaffe (se non era eutanasia, è chiaro
che emerge la strumentalizzazione messa in atto), mentre i cattolici più
conservatori si trovano di fronte a un bivio: dar torto anche alla
commissione medico-deontologica e tacciarla di menzogna, oppure far
finta di niente e tornare a far la guerra al “mondo” su altre questioni
ancora aperte, nascondendo anche a sé stessi il proprio errore?
Oppure, finalmente, cominciare a deporre le armi retoriche e a
cercare soluzioni ai problemi alla luce della propria fede?
La risposta giusta l'ha già data il
card.Martini.
Quanto al caso sofferto da Piero Welby, se
qualcuno lo avesse veramente ascoltato prima
di condannarlo o di osannarlo, avrebbe potuto
capire che era un semplice uomo, sofferente,
che stava ineluttabilmente morendo, e che
desiderava quella morte più di ogni altra cosa, proprio perché non era
né un vile, né un eroe.
Chiesa Cattolica Italiana
sito web ufficiale della
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(CEI)
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Compendio della dottrina
sociale della Chiesa Cattolica, a
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palliative, cardinale martini, piergiorgio welby morto, accanimento terapeutico, laicismo,
piergiorgio welby
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6 Commenti:
Per una volta che una vicenda si chiude nel modo più logico ed in fretta esprimo la mia
soddisfazione.
La caciara è stata troppa, non era certo eutanasia e la decisione, lo scrivo dall'esterno, di
una chiesa di non concedere funerali religiosi si è dimostrata un errore. Quanto è distante
la decisione della persona Welby dalla persona Karol Woytila? Non tantissimo credo.
Commento inserito da zuccherinodolce il 2 febbraio 2007 01:02
Per quanto riguarda il funerale religioso, qualcuno dice che andasse negato perché Welby
voleva morire (una specie di "suicidio in coscienza"), mentre qualcuno dice che la Chiesa
non poteva celebrare una messa in suffragio di chi ha combattuto una battaglia politica
contraria ai valori cristiani. Ciò perché all'opinione pubblica non è stata presentata la
differenza tra quanto chiedeva effettivamenter Welby e l'eutanasia vera e propria (come ho
scritto nel post).
Ora, io mi ritengo quantomai perplesso, visto che una messa non si celebra per il solo
effetto che ha o può avere sull'opinione pubblica o per come può essere interpretata o
manipolata dalle frange anticlericali, anche perché, come si è visto, lo stesso accade se la
messa non si celebra. Tuttavia, non mi piace esprimere giudizi e/o interpretazioni sulle
scelte spirituali della Chiesa. Non sta a me e rischio di dire fesserie. La Chiesa sa quali
messe deve e quali non deve celebrare.
Piuttosto, ritengo alquanto bizzarro che atei e agnostici si prodighino a criticare la Chiesa
per non aver celebrato una messa di suffragio, dal momento che loro stessi non credono né
in Dio né nella Chiesa. Dunque, sulla base di cosa le dicono come dovrebbe comportarsi?
Avrei preferito che i cattolici partecipassero con più senso d'amore cristiano alla vicenda di
Welby quando ancora era in vita. Quanto al suo funerale: è la classica vicenda pronta da
strumentalizzare nell'inutile guerra tra clericali e anticlericali.
Signore.
II Lettura Eb
11,1-2.8-19 (forma
breve: Eb
11,1-2.8-12)
Aspettava la città il
cui architetto e
costruttore è Dio.
Vangelo Lc
12,32-48 (forma
breve: Lc 12,35-40)
Anche voi tenetevi
pronti.
Commento inserito da pavani il 2 febbraio 2007 12:02
La strumentalizzazione c'è stata da tutte e due le parti. Anticlericali (non tutti) e gerarchia
cattolica (non tutta) Uso volutamente gerarchia e non clericali di proposito. Come ho scritto
prima giudico dall'esterno, ma la chiesa cattolica non considera in maniera positiva
l'accanimento terapeutico (terribile definizione) da decine di anni.
Io non mi considero anticlericale, stimo troppo molti preti e di alcuni il rapporto va oltre la
stima, ma posso accettare le ingerenze integraliste nella mia vita privata della chiesa
cattolica e ultimamente anche dei nostri ultimi governi con poca distinzione di colore.
Welby è morto, spero serenamente, e rispero che venga in parte dimenticato da chi non lo
aveva caro durante la vita.
Se mi permetti, io dissento fortemente dall'uso strillato di molte situazioni da parte dei
radicali, la CEI nei suoi vertici nel negare il funerale non ha fatto una scelta legata allo
spirituale ma al secolare. Opinione mia personale e pertanto opinabile :)).
Commento inserito da zuccherinodolce il 2 febbraio 2007 13:02
Rispetto la tua opinione, e devo dire che in larga misura la condivido, anche se sostengo il
ruolo pubblico della Chiesa.
In merito alle cosidette ingerenze, infatti, ritengo sia diritto e dovere della Chiesa offrire alla
società un indirizzo, che questa può essere libera di rifutare (ovviamente): ne va della sua
stessa missione sulla Terra. Se essa non manifestasse apertamente e pubblicamente il suo
pensiero e se non indicasse la via giusta per i fedeli e per l'umanità, sarebbe inutile a Dio e
all'uomo.
Complimenti per il tuo blog a sostregno della causa Saharawi.
Commento inserito da pavani il 2 febbraio 2007 17:02
Siamo d'accordo su quasi tutto, possiamo litigare solo sui particolari :))
Per me la differenza sta fra l'integralismo e uso un termine caro ai credenti: la
testimonianza.
Ci sono cattolici (o di altri credi) integralisti e altri che puntano sulla testimonianza.
Simmetricamente c'è lo stesso fra chi credente non è.
Ti confesso che non sopporto nessun integralismo, preferisco "litigare in letizia" piuttosto
che essere d'accordo con integralisti che la pensano come me.
Commento inserito da zuccherinodolce il 2 febbraio 2007 18:02
Ritrovo nelle tue parole quello stesso pensiero che mi ha spinto a creare questo blog.
Commento inserito da pavani il 2 febbraio 2007 18:02
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