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La Società Nazionale Officine Savigliano 1
Ivan Balbo
1. Le premesse: un’impresa ottocentesca
La storia della Società Nazionale Officine Savigliano affonda le proprie radici a metà dell’Ottocento, nell’ambito del programma cavouriano
di modernizzazione della rete infrastrutturale sabauda.2. È lo stesso
Cavour, insieme ad alcuni banchieri di fiducia (Bolmida, Barbaroux,
Denina, Dupré) a promuovere nel 1850 la società anonima (cioè la
Società per azioni) incaricata di costruire il ramo ferroviario TorinoSavigliano e di prolungarlo fino a Cuneo. Con la successiva diramazione
Savigliano-Saluzzo (1855), Savigliano diventa nodo centrale di smista1
La scarsa letteratura specifica sulla Società nazionale delle officine di Savigliano (Snos)
si è occupata in prevalenza di studiare composizione e dinamiche della manodopera o si è
concentrata sulle relazioni industriali, ed ha tra l’altro focalizzato l’interesse su alcune fasi
eccezionali, come la crisi del 1907 o il tracollo di inizio anni Cinquanta. Il saggio costituisce
un primo tentativo di tracciare un quadro sintetico e di lungo periodo della storia dell’impresa, ma con una particolare attenzione per l’aspetto imprenditoriale e finanziario, un versante che è stato possibile indagare con maggiore efficacia grazie al recente deposito dell’Archivio storico Snos (d’ora in poi ASNOS) presso le Sezioni riunite dell’Archivio di Stato
di Torino. Il materiale è stato oggetto di un primo inventario, sommario ma decisivo, da parte di Lidia Arena, Cristina Delpiano e Michele Sisto, che hanno anche fornito suggerimenti
utili ad un miglior orientamento all’interno del fondo. In nota i documenti vengono citati
proprio con gli estremi attribuiti da questo provvisorio intervento archivistico.
2
Sulla vicenda delle officine di Savigliano precedente la costituzione della Snos e in
generale sui primi anni di vita della società cfr. LAURA FERRARI, Preistoria e storia delle officine
di Savigliano, Tesi di laurea, Facoltà di Lettere e Filosofia di Torino, a.a.1965-66, rel. A. Garosci, pp. 200 e segg.; GIANFRANCO SACCIONE, L’evoluzione del lavoro alle officine di Savigliano, Tesi di laurea, Facoltà di Scienze Politiche di Torino, a.a. 1985-86, rel. G. Bonazzi, pp.
3 e segg. e LAURA PALMUCCI QUAGLINO, Il declino delle manifatture antiche e il proporsi di nuove iniziative, in Ritorno all’Europa. Un profilo di storia dell’industria cuneese dal Settecento ad
oggi, a cura di Claudio Bermond, Unione industriale della provincia di Cuneo, Cuneo, Edizioni l’Arciere, 1995, pp. 43 e segg. Indicazioni anche in Cento anni di storia alle Officine di
Savigliano, 1880-1980, s.d., dattiloscritto a cura di Marina Acerbi depositato presso l’Archivio storico Snos.
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mento della strada ferrata che percorre il Piemonte meridionale: un ruolo di primo piano sancito dall’apertura di una grande officina per la riparazione di materiale ferroviario fisso e mobile nel 1859. Ma nello stesso
anno il passaggio allo Stato dell’esercizio di tutta la linea, comprese le
officine, avvia il progressivo declino dello stabilimento. Nel 1864 la rete
piemontese viene ceduta alla Società ferrovie alta Italia, già proprietaria
delle linee della Lombardia e dell’Italia centrale, che in breve chiude le
officine di Savigliano distribuendone il personale e le macchine negli altri
stabilimenti, soprattutto di Torino e Verona. Nel 1869 delle officine di
Savigliano non restano che capannoni abbandonati: lo smantellamento di
una realtà produttiva di rilievo, che nel 1862 si estende su 16.850 m2 (di
cui 6.000 coperti) e occupa 460 dipendenti, determina gravi ripercussioni sull’economia locale. Negli anni Settanta sono dunque reiterate le
pressioni dei rappresentanti politici saviglianesi sul governo affinché le
officine riaprano, soprattutto in seguito al riscatto della Società ferrovie
alta Italia da parte dello Stato, avvenuto nel 1876. Nel 1880, finalmente,
il municipio di Savigliano ottiene un contratto di affitto degli stabilimenti, e lo gira alla casa belga E. Rolin, storica produttrice di materiale ferroviario. L’azienda straniera si impegna a mantenere in esercizio le officine
per tutta la durata del contratto (50 anni) impiegandovi non meno di 400
operai al giorno. Il municipio, per parte sua, incoraggia l’impresa con un
contributo finanziario e l’esenzione dal dazio sulle materie prime e sui
combustibili ad uso industriale. Il 17 luglio 1880 viene così steso l’atto
costitutivo della Società Nazionale Officine Savigliano (Snos), dotata di
un fondo sociale di 1 milione diviso in 2.000 azioni: la società nasce con
il contributo maggioritario di risorse di origine belga, aspetto che suscita
sui giornali locali le proteste di chi contesta «.lo sfruttamento del lavoro
nazionale da parte del capitale straniero.».3. Ma l’elenco dei sottoscrittori
mette in luce come anche tra gli italiani gli apporti saviglianesi scarseggino a favore di una netta prevalenza dei torinesi, a testimonianza di una
marginalità della partecipazione finanziaria locale destinata a caratterizzare anche la storia novecentesca dell’impresa.4.
Sotto le cure del presidente Michele Fenoglio e del direttore generale
Ottavio Moreno, procuratore del direttore generale Ernest Rolin residente in Belgio, la Snos assume subito alcune commesse della Società ferrovia alta Italia per la costruzione di vetture miste e carri bagagli, e viene
incaricata della fornitura di 200 vagoni per la Amministrazione delle
3
4
FERRARI, Preistoria e storia… cit., pp. 304-306.
L’elenco dei fondatori della Snos in Ibidem, p. 337.
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Ferrovie romane. Ma negli anni Ottanta la gamma di attività offerte dalla Snos è ampia: dalla sistemazione dei ponti alla costruzione di gru, cassoni per fondazioni pneumatiche, travate, tettoie e materiale fisso vario.
La società si distingue in particolare nella copertura di grandi spazi: risalgono al periodo 1885-1889 le grandi commesse per i viadotti sull’Adda a
Paderno e Trezzo, sul Po a Casalmaggiore, Casale e Cremona, sul Tanaro
ad Asti, oltre alla copertura dei binari nella stazione centrale di Milano.
Nel 1889 la Snos assorbe la Società ausiliare strade ferrate, tramvie e
lavori pubblici, altra impresa a capitale prevalentemente belga impegnata nello stesso settore con cui già da 4 anni intercorrono rapporti di collaborazione: dalla società acquisita l’azienda di Savigliano eredita tutti gli
immobili e i macchinari costitutivi dello stabilimento torinese di corso
Mortara. Con l’accordo del 1889 la Snos assume dunque i tratti peculiari di una società dalla doppia fisionomia, localizzativa e merceologica:
nello stabilimento di Savigliano finisce infatti per concentrarsi la produzione di materiale ferroviario, mentre le officine di Torino vengono adibite alla realizzazione di macchine e impianti per la produzione di energia elettrica ed in generale all’attività elettromeccanica.
Alla base dell’assorbimento vi sono da una parte considerazioni relative al versante produttivo: lo sviluppo della Snos durante gli anni
Ottanta ha reso le sue strutture insufficienti a smaltire le ordinazioni ricevute, tanto da costringere nel 1888 il gruppo dirigente ad affidarne una
parte alla Società ausiliare, allora concorrente. Ma decisive risultano
anche motivazioni di ordine finanziario: l’accordo consente la creazione
di una società dotata di capitale più consistente ed autorizzata dunque ad
emettere obbligazioni collocabili con vantaggio sul mercato belga.5. Nel
1889, insieme all’assorbimento della Società ausiliare, viene quindi approvato un aumento di capitale da 1 a 2,5 milioni, insieme all’emissione
ed al piazzamento all’estero di 4.900 obbligazioni. Ad una decina di anni
dalla costituzione si manifestano dunque i primi sintomi di una sensibile
inadeguatezza delle risorse finanziarie rispetto alle dimensioni produttive raggiunte e alle necessità generali dell’azienda.
Né la congiuntura pare propizia all’operazione progettata. L’assorbimento della Società ausiliaria si colloca da una parte nel pieno della crisi
dell’industria meccanica subalpina, legata soprattutto alla smobilitazione
di alcune strutture produttive statali (officine ferroviarie, Arsenale militare) e tanto grave da suggerire addirittura, nel 1891, l’ipotesi di una
5
ASNOS, Atti deliberativi, Libro 4, Verbale del Consiglio d’amministrazione (VCA)
5-11-1888.
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«.chiusura della officina di Torino.».6. Dall’altra il capoluogo piemontese
è segnato, proprio tra il 1889 e il 1894, da una profonda contrazione della disponibilità all’investimento: il crack edilizio-finanziario brucia infatti
ingenti risorse, benché colpisca soprattutto tra le fila dei piccoli risparmiatori. Per raccogliere i mezzi necessari all’aumento di capitale, la Snos
non può dunque certo rivolgersi alle banche torinesi, gravemente scosse
dalle ripercussioni della crisi speculativa: nonostante l’ingresso nel Consiglio d’amministrazione (Cda) della Banca di Torino da parte di Michele
Fenoglio (1890), l’istituto di credito si limiterà a svolgere per la Snos il
servizio di cassa. È vero che nel 1892 l’impresa meccanica in cerca di una
sovvenzione progetta di servirsi del Credito industriale, soggetto sorto
nel 1890 per salvare alcuni dei maggiori capitali bancari e con cui la Snos
condivide tra l’altro un amministratore (Charbonier) e un sindaco.7. Ma
sono soprattutto gli istituti di credito belgi (Banque liègeoise, Banca
Nagelmakers, Crédit général du Belgique, D’Aoust e fils) a sostenere
l’aumento di capitale del 1889, e si deve forse alla provenienza extralocale delle risorse l’apparente impermeabilità della Snos ai rovesci del
panorama bancario torinese e nazionale.8.
Nel corso degli anni Novanta le esigenze finanziarie tendono a crescere anche in relazione alla sempre più spiccata diversificazione produttiva
dell’azienda. Da un lato, infatti, prosegue e si intensifica l’attività nella
grande carpenteria e nel ramo ferroviario: la struttura della biblioteca di
Atene, il completamento del viadotto di Paderno d’Adda, motivo d’orgoglio per la Snos con il suo arco di 150 metri, e la realizzazione della sta6
Ibidem, Libro 4, VCA 31-7-1891.
Ibidem, Libro 4, VCA 18-5-1892.
8
Ibidem, Libro 4, VCA 18-5-1892; Ibidem, Libro 5, VCA 9-11-1896; Ibidem, Libro 7,
VCA 8-1-1906. Sulla difficile congiuntura della meccanica subalpina all’indomani del crack
bancario ed in generale sulla transizione della Torino di fine secolo da città capitale a città
industriale attraverso i rovesci finanziari dei primi anni Novanta cfr. VALERIO CASTRONOVO,
Torino, Roma-Bari, Laterza, 1987; FABIO LEVI, Da un vecchio a un nuovo modello di sviluppo
economico, in Storia di Torino. Da capitale politica a capitale industriale, VII, a cura di Umberto Levra, Torino, Einaudi, 2001; PARIDE RUGAFIORI, Alle origini della FIAT. Imprese e
imprenditori in Piemonte (1870-1900), in Grande impresa e sviluppo italiano. Studi per i cento
anni della FIAT, a cura di Cesare Anibaldi e Giuseppe Berta, Bologna, Il Mulino, 1999, pp.
135-183; e ID., Una città-fabbrica?, in 1852-2002 Una scuola, una città. I 150 anni di vita dell’istituto “Germano Sommeiller” di Torino, a cura di Angelo D’Orsi, Torino, ITCS Germano
Sommeiller, 2003. Si rinvia inoltre a IVAN BALBO, Banche e banchieri a Torino: identità e strategie (1883-1896), in “Imprese e storia”, 21, gennaio-giugno 2000, pp. 61-102, per una prima analisi dell’evoluzione del panorama creditizio, mentre una più generale indagine sulle
dinamiche della locale comunità imprenditoriale in ID., La business community torinese attraverso gli Atti di società (1883-1907), Tesi di dottorato in “Storia delle società contemporanee”, XV ciclo, Università degli studi di Torino, 2003.
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zione di Zurigo e di un ponte sul Danubio testimoniano tra l’altro di una
ormai solida dimensione internazionale e di una sempre più accentuata
vocazione all’export. Dall’altro la Snos si avvia sulla strada della produzione elettromeccanica: il settore, di recente nascita in Italia e in Europa,
si configura subito come capital intensive ed impone dunque rilevanti
sforzi finanziari per poter reggere una concorrenza agguerrita. Il panorama torinese, in particolare, è via via occupato da colossi finanziari e industriali svizzeri e tedeschi (Siemens e Halske, Schuckert, Compagnie général éléctrique di Ginevra) pronti nel fondare in loco società di fiducia
nel campo elettrocommerciale, cioè della produzione e distribuzione di
energia elettrica, così da assicurare un mercato alla propria produzione
elettromeccanica: la Siemens, per esempio, fin dal 1896 fonda la Società
di elettricità dell’alta Italia (Eai) e si garantisce un solido punto d’appoggio per i propri interessi a Torino. La Snos, per parte sua, prova a contrastare la concorrenza straniera attraverso due vie diverse. Innanzitutto
tramite accordi con altre iniziative locali nel campo elettromeccanico: a
fine secolo vengono stretti accordi sia con la Società Cruto che con una
società legata all’ingegner Arnò per l’applicazione di accumulatori elettrici su vetture Snos. In secondo luogo la Savigliano tenterà di fondare
società elettrocommerciali in grado di competere con la Eai e di costituire uno sbocco privilegiato per la propria produzione. Così Fenoglio
diventa prima presidente della Società anonima piemontese di elettricità
(Sape) dal 1893 al 1896, ma l’impresa sarà assorbita nel 1897 dalla concorrente Eai. Quindi, nel 1900, la Snos acquisisce una partecipazione di
5.000 lire nella Società forze idrauliche del Moncenisio (Sfim), società di
produzione di energia elettrica sorta per iniziativa del finanziere subalpino Jules Blanc, ed inaugura così la propria presenza nel redditizio campo
della costruzione di paratoie e condotte forzate.9. Il settore della produzione e distribuzione di energia elettrica, tuttavia, viene presto monopolizzato dai grandi gruppi stranieri, finanziariamente più attrezzati rispetto all’impresa italiana, che dunque incontrerà grandi difficoltà a farsi
largo in ambito elettrotecnico.10.
9
Incaricato della costruzione dell’impianto idroelettrico è l’ingegner Giovanni Marsaglia, già direttore dei lavori per il ponte ungherese realizzato dalla Snos: la presenza di Marsaglia nella Sfim, insieme alla partecipazione della società Cruto, facilita probabilmente l’intervento della Snos. Cfr. ID., Marsaglia, famiglia, di prossima pubblicazione nel Dizionario
biografico degli imprenditori italiani, a cura della Enciclopedia Treccani.
10
La vicenda dell’industria elettrica torinese al centro di GIACOMINA CALIGARIS, L’industria elettrica in Piemonte dalle origini alle prima guerra mondiale, Bologna, Il Mulino, 1993.
Riferimenti in particolare alla Snos in ID., Il rallentamento dei ritmi di crescita economica nella prima metà del ventesimo secolo, in Ritorno all’Europa… cit., p. 55 e segg.
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Nonostante la dura concorrenza la Snos di inizio secolo è comunque
una realtà in piena espansione: il dividendo medio, attestato nell’ultimo
ventennio dell’Ottocento sul 4,10%, si impenna al 9% nel 1901, e poi
sale ancora al 10% nel 1903 per toccare l’11% nel 1905.11. La società
non risente dunque del sensibile calo di ordinazioni di materiale ferroviario mobile registrato nel primo semestre del 1904 a causa dell’incertezza legata ai progetti di nazionalizzazione della rete ferroviaria realizzatisi l’anno successivo. Ma è proprio la crescita impetuosa dell’impresa a
rendere più evidente il gap in termini di dotazione finanziaria rispetto ai
competitori, soprattutto stranieri, ed a rendere improcrastinabile l’aumento di capitale deciso nel 1906.12. Non è più sufficiente l’apertura di
credito concessa dalla Comit nel 1905 ed estendibile fino a 2,5 milioni,
né l’anticipazione di 600.000 lire offerta dal Crédit général du Belgique:
il capitale è dunque aumentato da 2,5 a 4 milioni, con un primo parziale
mutamento degli assetti proprietari.13. Un considerevole numero delle
nuove azioni (1.602 su 3.000) viene ancora collocato in Belgio, ed il capitale straniero resta maggioritario per lunghi anni.14. Significativa risulta
però la quota sottoscritta dalla Comit (642 azioni) legata alla Snos da
«.antichi ed ottimi rapporti.» probabilmente agevolati dalla storica relazione dell’impresa meccanica con il Credito industriale, assorbito dalla
banca mista nel 1897, e con i Marsaglia, il cui banco familiare è riferimento privilegiato dell’istituto milanese sulla piazza subalpina.15.
Non è solo una generica carenza di capitali a determinare le scelte della Snos sul versante finanziario, ma esigenze più specifiche collegate alla
particolare produzione sociale, che il Cda denuncia con lucidità per la
prima volta nel 1905. I dirigenti sottolineano infatti come la società
11
ASNOS, Atti deliberativi, Libro 32, Verbale dell’assemblea ordinaria (VAO) 30-3-
1911.
12
Cfr. Ibidem, Libro 32, Verbale dell’assemblea straordinaria (VAS) 12-6-1906. « Se per
l’addietro abbiamo potuto ugualmente gareggiare colle società concorrenti che avevano
accresciuto il loro capitale, e mantenere una cifra di produzione tre volte superiore al ns capitale azionario, oggi per contro, di fronte al periodo di attività veramente eccezionale che attraversiamo, a tal segno che entro quest’anno dovremo corrispondere ad un aumento degli
impieghi che supera i 10 milioni, l’aumento di capitale si impone».
13
Ibidem, Libro 7, VCA 6-11-1905; Ibidem, Libro 7, VCA 8-1-1906.
14
Nel 1920 si segnala il collocamento in Belgio di «molte azioni della società»: cfr.
Ibidem, Libro 32, VAS 30-3-1920. Ed ancora dieci anni dopo gli interessi stranieri trovano
larga rappresentanza nel Cda, nel 1930 così composto: Paul Doat, Adriano De Sauvage
Vercour, Pierre Liénart, Ernesto Ferro (presidente), Felice Guidetti Serra, Virgilio Abbona,
Amedeo Poli. Ibidem, Libro 33, VAO 29-3-1930.
15
Sui legami tra la Snos e i Marsaglia cfr. nota 9. Per l’elenco dei sottoscrittori dell’aumento di capitale del 1906 cfr. ASNOS, Amministrazione, Contabilità, Faldone 272, Libro
dei soci 1.
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stante il cresciuto cumulo di affari, che implica un forte giro di danaro, e causa
principalmente le difficoltà con cui spesse volte si realizzano i crediti, si trova ad
avere il capitale circolante pressoché completamente immobilizzato, cosiché
(sic) si è costretti ad accendere periodicamente dei debiti a scadenza fissa per
soddisfare gli impieghi verso i terzi. Questo stato di cose rende disagevole il servizio finanziario, al quale sarebbe bene provvedere con mezzi più consentanei
all’importanza dell’azienda e che permettano una graduale estinzione della passività all’uopo incontrata.16.
L’impresa lavora dunque su grandi commesse, si confronta inevitabilmente con una domanda instabile, e d’altra parte offre una produzione
caratterizzata dai lunghi cicli di lavorazione, che esigono consistenti
immobilizzazioni di capitali. Un problema, questo, accentuato dal rapporto privilegiato con un cliente redditizio ma non sempre affidabile
come lo Stato, principale committente della società, soprattutto per il
materiale ferroviario, e noto per i ritardi nei pagamenti.
L’attività dell’azienda è dunque per definizione non programmabile,
non di serie, ed infatti la pubblicistica ha spesso fatto riferimento alla
Snos come esempio di «.grande artigianato.», di produzione ideale per
esaltare la «.fierezza del mestiere.» di un solido nucleo di operai qualificati e partecipi del processo produttivo perché depositari di una conoscenza del lavoro acquisita sul campo. Un’immagine corretta, almeno per
quanto riguarda i primi anni del secolo, dalla storiografia più attenta a
sottolineare gli alti tassi di turnover caratteristici della manodopera della
Snos di Torino fino alla prima guerra mondiale. Accanto ai montatori,
operai altamente qualificati e difficilmente sostituibili, sta infatti un maggioritario gruppo di lavoratori (circa 600 su 800) occupati nell’officina
con discontinuità ed impegnati nella realizzazione di piccole parti staccate di telai e meccanismi (dalle componenti in ferro alla sbobinatura) che
non richiedono abilità specifiche. Solo la presenza di una consistente quota di manodopera meno qualificata, oggetto di facile ricambio, spiega la
capacità della Snos di accumulare profitti nonostante l’alto turnover: per
un’impresa che lavora su singole commesse di grande ampiezza risulta
vitale la possibilità di scegliere di volta in volta qualità e quantità della
forza lavoro da assumere, con libertà di disfarsene a lavoro ultimato.17.
16
ASNOS, Atti deliberativi, Libro 7, VCA 21-2-1905.
ANNA DONVITO - GIOVANNI GARBARINI, “Senz’altra formalità che il reciproco preavviso”.
Le officine di Savigliano. 1904-1914, in “Italia contemporanea”, 157, 1984, pp. 47-62. Si
tratta in grande maggioranza di una manodopera maschile: nel 1907 nella Snos sono impiegate solo 35 operaie su 7.186. La quota è destinata a salire in fasi eccezionali come la prima
guerra mondiale, quando parte dei lavoratori maschi è richiamata al fronte; ma risulta anco17
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La consistenza numerica della manodopera meno qualificata trova
d’altronde motivazione anche nella decisiva presenza di un gruppo di
ingegneri distintisi nella Snos per la propensione a progettare e disegnare i pezzi nei dettagli, con una conseguente significativa limitazione dell’autonomia operaia. Gli ingegneri Ottavio Moreno, direttore generale
per 35 anni, Michele Fenoglio, presidente dagli anni Ottanta dell’Ottocento al 1927, Guido Fornaca, direttore tecnico della sezione elettrotecnica fino al 1906, sono figure essenziali nel mantenere la Snos all’avanguardia nel settore sul piano tecnologico, in continuità con una vocazione alla ricerca affermatasi fin dai primi anni Ottanta, su impulso di un
gruppo di tecnici stranieri.18. Fenoglio, Moreno e Fornaca esemplificano
in modo significativo i risultati di un processo destinato ad eleggere
Torino quale luogo privilegiato di alta formazione scientifica, specie nei
settori meccanico ed elettrico, con fulcro nel Museo industriale – antesignano del Politecnico – e nelle scuole di formazione professionale sorte
numerose nella seconda metà dell’Ottocento. Gli ingegneri Snos dimostrano inoltre l’efficienza della circolazione delle competenze sviluppatasi nel capoluogo subalpino a cavallo tra meccanica ed elettricità, con un
tratto tipico di un’esperienza distrettuale quale per alcuni aspetti Torino
costituisce in campo meccanico a fine Ottocento.19. Una sedimentazione
di saperi tecnici diffusi, nata nel felice incontro tra conoscenze teoriche e
pratica sul campo acquisita nelle officine e nei piccoli laboratori artigianali, ed elemento decisivo per il decollo dell’auto di inizio secolo. Così
Fornaca viene assunto nel 1906 dalla Fiat nel ruolo di direttore tecnico,
mentre l’ingegner Alberto Balloco compie un percorso inverso: già tecnico della Ceirano, si afferma come progettista di talento alla Fiat e all’Itala
ai primi del Novecento e verrà chiamato alla Snos nel 1919.20.
Superata senza apparenti scosse la crisi del 1907, pur contrassegnata
alla Snos da intense agitazioni operaie, la crescita dell’impresa riprende a
pieno ritmo: l’aumento di capitale del 1906 fa salire gli utili dall’11 al
ra consistente, almeno per l’officina di Torino, alla fine degli anni Quaranta, come emerge
chiaramente dai ricordi di Gianni Alasia.
18
Su Guido Fornaca cfr. in particolare FIAT 1915-1930. Verbali del Consiglio d’Amministrazione, Vol. II, 1923-1930, Milano, Fabbri, 1991, p. 958-962.
19
Sul ruolo decisivo degli ingegneri nel plasmare il profilo del settore meccanico torinese di inizio secolo già RUGAFIORI, Alle origini della FIAT… cit. Per una valutazione in
una prospettiva distrettuale della meccanica subalpina, in connessione con settori sussidiari
come l’elettrico, si rimanda a BALBO, La business community torinese attraverso gli Atti di
società… cit.
20
Cfr. GIANCARLO AMARI, Torino come Detroit, Bologna, Cappelli, 1980, p. 34.
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12% nei due anni successivi, e al 13% tra il 1909 e il 1910. Approfittando degli ultimi lucrosi esercizi, la dirigenza decide un nuovo
aumento di capitale nel 1911, da 4 a 6 milioni, sostenuto in gran parte dai
capitali belgi, allo scopo di rinnovare radicalmente impianti e locali.21.
La forte vocazione all’aggiornamento tecnico è d’altronde scelta obbligata per affrontare una concorrenza sempre più aspra e disponibile a vendite sottocosto. E tuttavia anche nel 1911, come già in occasione del precedente aumento di capitale, l’operazione non sembra dettata da una
programmazione finanziaria di medio periodo: si tratta di una decisione
presa da una parte per la pressione della competizione nazionale e internazionale, dall’altra esposta alle oscillazioni del mercato. E infatti già
negli anni successivi la Snos si trova in difficoltà. Se il 1911 è ancora un
esercizio nettamente favorevole, a partire dall’anno seguente gli utili calano sensibilmente: il pagamento degli interessi sul capitale impegnato nel
rinnovamento degli impianti controbilancia la riduzione dei costi che se
ne è ottenuta; influisce negativamente, inoltre, il calo delle ordinazioni da
parte delle Ferrovie dello Stato (F.S.).22. Tra il 1914 e l’inizio del 1915,
infine, lo scoppio della “guerra europea” determina un rincaro delle
materie prime, del denaro e delle maestranze, oltre a causare difficoltà
negli approvvigionamenti: gli utili della Snos crollano così in un anno dal
12 all’8%.23.
Le risorse finanziarie non sembrano avere l’elasticità necessaria per
affrontare la strutturale instabilità della domanda, ed il potenziamento
delle strutture produttive impone l’affannosa ricerca di nuovi lavori in
grado di mantenere gli impianti a pieno regime e di conseguire una riduzione dei costi.
2. Dalla prima alla seconda guerra mondiale attraverso la conquista
dell’Etiopia: tre conflitti redditizi
L’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale offre una soluzione
alle difficoltà della Snos. L’ingente mole di ordinazioni affluite alla
società elettromeccanica consente lo sfruttamento pieno delle potenzialità degli impianti: i consistenti utili ricavati sono a loro volta in parte
reinvestiti nel perfezionamento e nell’adattamento delle strutture produttive in funzione delle nuove esigenze belliche. Alle «.eccezionali
21
ASNOS, Atti costitutivi e deliberativi, Libro 32, VAO 30-3-1911.
Ibidem, Libro 32, VAO 26-3-1913.
23
Ibidem, Libro 32, VAO 27-3-1914; Ibidem, Libro 32, VAS 10-4-1915.
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occorrenze.» create dal conflitto, ed in particolare all’improvvisa crescita
della richiesta di una variegata produzione bellica, la Savigliano risponde
con un allargamento della sfera dei propri interessi.
Lo sviluppo impetuoso della Snos durante il conflitto è testimoniato
non tanto dai dividendi annuali distribuiti, in ogni caso attestati sempre
sul massimo consentito dal decreto luogotenenziale del 1916, quanto dai
due successivi aumenti di capitale da 6 a 10 e quindi da 10 a 15 milioni
decisi rispettivamente nel 1917 e nel 1918.24. E i profitti di guerra non
mancano di ripercuotersi con effetti benefici sugli esercizi sociali dell’immediato dopoguerra quando la Snos sembra superare senza traumi la
riconversione ad una produzione di pace. La liquidazione delle forniture
belliche da parte dello Stato consente infatti l’ammortamento delle
immobilizzazioni legate ai contratti rescissi prima di completare i lavori;
inoltre i già consistenti dividendi sono rimpinguati con gli utili non distribuiti negli anni precedenti.25. Così, nel 1920 si propone un ulteriore
aumento di capitale da 15 a 30 milioni attraverso l’utilizzo «.fino alla concorrenza di 5 milioni.» delle riserve e degli ammortamenti accantonati
durante la guerra (Appendice).
Nel tentativo di allargare le proprie basi finanziarie, tra l’altro, la Snos
conosce un significativo mutamento nella composizione del capitale
sociale: gli aumenti di capitale 1917 e 1918 sono ancora sottoscritti con
il largo concorso della Comit, ma nei primi anni Venti un cospicuo pacchetto azionario risulta controllato dall’industriale conserviero Ernesto
Ferro, direttamente o indirettamente attraverso la sorella Emma, moglie
di Amedeo Poli, altro azionista di rilievo e consigliere alla fine del decennio.26.
24
Ibidem, Libro 32, VAS 12-11-1917; Ibidem, Libro 32, VAS 14-10-1918.
Ibidem, Libro 32, VAO 30-3-1920.
26
Il percorso imprenditoriale di Ernesto Ferro si muove tendenzialmente in consonanza
con il padre Emilio. I due Ferro partecipano infatti tra Otto e Novecento alla società Cinzano, che Emilio ha contribuito a fondare, ma sembrano uscirne nel 1904. Entrambi hanno
inoltre interessi nel settore meccanico ed automobilistico. Anche nella Snos Ernesto segue le
orme del padre, amministratore dal 1905 fino alla morte (1918), ed entrerà a sua volta nel
Cda nel 1916, giungendo più tardi ad occupare la carica di presidente. Ferro junior raccoglie
infine il testimone del padre anche nel ramo conserviero: Emilio concorre infatti nel 1907 alla
trasformazione in anonima della Birra Peroni, ghiaccio e magazzini frigoriferi, ed Ernesto ne
ricopre la carica di vicepresidente dal 1913 e di presidente dal 1921 al 1954. Cfr. Archivio della società Birra Peroni. Inventario, a cura di Daniela Brignone, Roma, Ministero per i beni e le
attività culturali. Direzione generale per gli archivi, 2001; Guida di Torino, Paravia, ad annos
e, per i ruoli all’interno della Snos, ASNOS, Atti costitutivi, Libro 32, VAS 31-1-1916; Ibidem, Libro 32, VAO 31-3-1919. Per gli aumenti di capitale 1917, 1918 e 1920 cfr. ASNOS,
Amministrazione, Contabilità, Faldone 272, Libri dei soci 2-3-4, e Ibidem, Faldone 269,
25
la società nazionale officine savigliano
199
Ma ancora una volta l’ampliamento delle risorse finanziarie viene
deciso senza reale programmazione, sull’onda delle urgenze imposte dal
conflitto. Ed infatti l’aumento di capitale del 1920 è finalizzato a completare un programma di ingrandimenti impegnativo e ormai avviato,
e l’adeguamento del capitale appare una soluzione forzata allo scopo
di affrontare i costi di produzione cresciuti con gli investimenti negli
impianti.
Inoltre la grande diversificazione produttiva, giudicata orgogliosamente nel 1917 significativa delle potenzialità e dell’efficienza organizzativa dell’azienda, nel dopoguerra inizia a destare qualche preoccupazione nonostante il Cda si sforzi di rassicurare gli azionisti. Nel 1925, infatti,
si segnala che
la varietà dei […] prodotti, che […] hanno permesso nel periodo bellico di essere sin dall’inizio un validissimo aiuto al nostro esercito, che va dal pezzo semplicemente fucinato e fuso, al locomotore elettrico, dal barattolo in ferro al serbatoio di undicimila metri cubi, dalla più elementare capriata in ferro al più
grandioso hangar per dirigibili, dalla passerella pedonale ai più arditi ponti ferroviari, e dal rozzo carro merci alle più moderne ed eleganti vetture letto, pure
costituendo una notevole difficoltà nell’esercizio dell’industria, dà la garanzia, in
tempi normali, di continuità ed abbondanza di lavoro.27.
L’estensione delle lavorazioni eseguite da una parte conferisce all’azienda flessibilità e capacità di resistenza alla crisi, ma dall’altra impone
costi crescenti e affrontabili solo con un adeguato sostegno finanziario.
E d’altronde l’ampliamento degli scopi sociali risulta una scelta legata
al tentativo di ridurre la dipendenza rispetto alla committenza pubblica,
negli anni Dieci-Venti rivelatasi con sempre maggiore chiarezza decisamente rischiosa per l’azienda. Lo Stato è infatti cliente decisivo nel favorire la crescita della società, in particolare attraverso la grande richiesta di
forniture militari; tuttavia, già nel 1918 il Cda fa notare come la lentezza
con cui soddisfa i propri impegni, a dispetto delle condizioni contrattuali, «.assoggetta (la Snos) a un’ingente esposizione di fondi, che negli
attuali momenti costituisce un gravissimo sacrificio di interessi.» contro
cui la società appare senza difese.28. Inoltre, se il piano di elettrificazione
ferroviaria e conversione del sistema di alimentazione della corrente
Libro dei soci 5. Su Emilio Ferro v. FIAT 1915-1930. Verbali del Consiglio d’Amministrazione, Vol. II, 1923-1930, Fabbri, Milano, 1991, pp. 264-265 e la scheda curata da Walter
Tucci in Le radici della città. Donne e uomini della Torino cremazionista, a cura di Giovanni
De Luna, Torino, Fondazione Ariodante Fabretti, 2003, p. 101.
27
ASNOS, Atti costitutivi, Libro 32, VAO 31-3-1925.
28
Ibidem, Libro 32, VAO 14-10-1918.
200
ivan balbo
alternata alla corrente continua varato dalle F.S. nel 1922 offre alla Snos
l’occasione di produrre il primo locomotore elettrico, tuttavia nel 1927 la
società deve denunciare il crollo della produzione del materiale rotabile
ferroviario perché l’aggiudicazione della fornitura di carri e carrozze per
le F.S. viene rimandata più volte in attesa della costituzione del «.Consorzio dei costruttori italiani di veicoli ferroviari e tranviari.».29. E ancora,
nel 1935, la scelta di assumere ordinazioni a prezzi non remunerativi
«.assecondando le direttive del Governo Fascista.», di cui peraltro i dirigenti si dichiarano ferventi seguaci, è ripagata con un atteggiamento di
chiusura: la committenza si irrigidisce nell’applicazione delle norme dei
capitolati, nel respingere ogni richiesta di compensi e nell’imporre collaudi particolarmente severi, obbligando la Snos a sospendere più volte le
lavorazioni.30.
Ma anche più in generale la politica del regime si rivela ambivalente
per la società elettromeccanica, potenzialmente portatrice di grandi vantaggi ma anche responsabile di scelte fortemente dannose. La dirigenza
manifesta infatti apprezzamento per l’azione repressiva del governo
fascista nei confronti del movimento operaio, tema particolarmente sentito in un’azienda teatro, nel corso del biennio rosso, di agitazioni intense e prolungate. Verso la fine degli anni Venti, tuttavia, sono ricorrenti le
lamentele del Cda per gli indirizzi di politica monetaria ed economica del
governo. La rivalutazione della lira inaugurata da Mussolini con il discorso di Pesaro (1926) risulta molto penalizzante per una società con una
forte vocazione all’export.31. Ma anche la pressione governativa in favore
della formazione di cartelli siderurgici è particolarmente sgradita alla
dirigenza Snos. All’inizio degli anni Trenta, infatti, i Consorzi, insieme
con la elevata protezione doganale e l’obbligo di preferenza per la produzione nazionale, spingono verso l’alto il prezzo di alcune materie prime strategiche per la Snos e rendono rischiosa «.l’assunzione di lavori in
cui il ferro abbia parte preponderante.», come quelli relativi alla produzione ferroviaria «.formanti l’antica specializzazione sociale.».32. L’impre29
Ibidem, Libro 32, VAO 30-3-1927.
Ibidem, Libro 33, VAO 24-3-1934; Ibidem, Libro 33, VAO 23-3-1935.
31
Ibidem, Libro 33 VAO 24-3-1928.
32
Ibidem, Libro 33, VAO 25-3-1933. Per un quadro dinamico del sistema industriale
torinese negli anni tra le due guerre mondiali cfr. STEFANO MUSSO, La società industriale nel
ventennio fascista, in Storia di Torino. Dalla Grande Guerra alla Liberazione (1915-1945),
VIII, a cura di Nicola Tranfaglia, Torino, Einaudi, 1998, pp. 313-423. In particolare sui
Consorzi siderurgici MARTINO POZZOBON, L’industria padana dell’acciaio nel primo trentennio
del Novecento, in Acciaio per l’industrializzazione, a cura di Franco Bonelli, Torino, Einaudi,
1982, pp. 159-214.
30
la società nazionale officine savigliano
201
sa deve inoltre affrontare la «.anormale concorrenza.» di un’azienda sua
fornitrice, le Ferriere Consorziate, alla base della contrazione nelle ordinazioni di costruzioni metalliche registrata nel 1932.
Le difficoltà non sembrano ripercuotersi sul piano della ricerca e dell’innovazione, come conferma l’alta qualità tecnica dei principali lavori
portati a termine dalla Snos negli anni Venti, in particolare nella grande
carpenteria, nella meccanica e nelle applicazioni elettromeccaniche:
l’ampia navata centrale della stazione di Milano, i treni Reale e Presidenziale, sette grandi gru a volata mobile per il porto di Genova, un hangar
per idrovolanti, locomotori elettrici a scartamento normale per la linea
Aosta-Pré St. Didier e diversi locomotori elettrici per le F.S.33.
E tuttavia alla fine degli anni Venti la difficile congiuntura dell’economia italiana, inserita nel contesto della grave situazione mondiale, determina una fase di flessione per la Snos. La varietà delle produzioni sociali
ne attutisce probabilmente la sensibilità alla crisi rispetto ad altre concorrenti, ma nel 1930, anche in conseguenza di una mancata ordinazione
da parte delle F.S., il Cda ammette una riduzione sensibile delle maestranze e l’impiego delle officine «.molto al di sotto della loro piena
potenzialità.».34.
A partire dal 1931 la situazione migliora lentamente, grazie in particolare alle vendite sui mercati esteri. La ripresa delle esportazioni, iniziata già sul finire degli anni Venti con la fornitura di grandi gru a ponte
scorrevole per l’Argentina, di ponti ferroviari per l’Egitto e di vetture per
le ferrovie bulgare, viene trainata a partire dal 1931 dalla politica commerciale estera della Fiat. Sfruttando il trattato tra Roma e Mosca, essenziale nel far cadere i vincoli politici rispetto ad accordi di collaborazione,
l’azienda automobilistica ottiene una serie di contratti vantaggiosi per
piazzare i propri prodotti in URSS, ed apre così la strada alla penetrazione nel mercato sovietico da parte di altre industrie torinesi.35. La Snos, in
particolare, si impegna ad offrire locomotori elettrici capaci di resistere a
rigidissime condizioni climatiche ed i più grandi complessi trasformatori
mai prodotti dalle proprie officine.36.
33
Ibidem, Libro 33, VAO 29-3-1930.
Ibidem. I verbali confermano le indicazioni suggerite in EMMA MANA, Savigliano nel
regime fascista: 1925-1939, in “Bollettino storico-bibliografico subalpino”, 1982, secondo
semestre, pp. 589-595, sulla scorta di altre basi documentarie (Archivio del comune di
Savigliano e Archivio centrale di Stato).
35
VALERIO CASTRONOVO, Imprese ed economia in Piemonte dalla “grande crisi” a oggi,
Cassa di risparmio di Torino, Torino, 1977, pp. 20-21.
36
ASNOS, Atti deliberativi, Libro 33, VAO 24-3-1934.
34
202
ivan balbo
Ma è un nuovo sforzo produttivo bellico, finalizzato a sostenere la
conquista dell’Etiopia, a far da volano alla ripresa dell’azienda: non a
caso la crescita graduale dei primi anni Trenta accelera decisamente a
partire dalla metà del decennio, come testimonia il numero di operai,
pari a 1.215 nel 1931, attestatosi tra i 1.430 e i 1.485 negli anni fino al
1934, e impennatosi l’anno seguente a 2.224.37. L’avventura coloniale
determina l’immediato incremento delle ordinazioni pubbliche, soprattutto nei settori delle carpenterie metalliche, delle condotte, dei serbatoi,
dei locomotori elettrici e dei materiali bellici. Non mancano le difficoltà,
legate da una parte alla carenza di manodopera specializzata, che il
richiamo sotto le armi ha contribuito a contrarre, e dall’altra alle sanzioni delle Nazioni Unite, decisive nell’aumentare il prezzo delle materie
prime e nell’ostacolare gli approvvigionamenti. La stessa politica autarchica del regime, rilanciata da Mussolini nel 1935 in risposta alle sanzioni, da una parte, favorendo la produzione nazionale, amplia forzatamente il mercato interno per il settore meccanico e per la Snos; dall’altra,
però, contribuisce a mantenere elevati i prezzi delle materie prime anche
quando, dopo il 1936, le sanzioni vengono ritirate.
Nel complesso, in ogni caso, la seconda metà degli anni Trenta segna
una forte espansione della Snos, come conferma l’andamento degli utili,
crollati a 30 lire per azione nel 1934-35 e risaliti successivamente a 33,50
(1936), 42 (1937), poi a 48 lire per azione (1940).38. Si tratta tuttavia,
ancora una volta, di un’espansione dettata da contingenze politiche e
militari, determinanti nello stringere ulteriormente il rapporto con la
committenza pubblica e nell’accelerare il processo di diversificazione
produttiva: la guerra in Etiopia spinge la direzione a sviluppare negli stabilimenti in Italia «.lavorazioni nuove e urgenti.» e ad organizzare in
Africa orientale «.cantieri importanti impegnati in lavori di vario genere.».39. È dunque nuovamente sull’onda delle necessità immediate e in
particolare delle esigenze imposte dalla guerra che si decide l’aumento di
capitale del 1937, da 30 a 45 milioni. L’operazione è improrogabile perché occorre dotare la società di adeguato circolante e conferire elasticità
al bilancio, in tensione «.per gli impegni assunti in relazione alle urgenti
forniture commesse specialmente dallo Stato e gli importanti lavori
richiesti in Africa orientale.».40.
37
Ibidem, Libro 33, VAO 23-3-1935.
Ibidem, Libro 33, VAO 28-3-1936; Ibidem, Libro 33, VAO 24-3-1937; Ibidem, Libro
33, VAO 30-3-1940.
39
Ibidem, Libro 33, VAO 28-3-1936.
40
Ibidem, Libro 33, VAO e VAS 24-3-1937.
38
la società nazionale officine savigliano
Certificato azionario al portatore della Società Nazionale Officine di Savigliano.
203
204
ivan balbo
La situazione si riproduce durante la seconda guerra mondiale, ma
con un’accentuazione sempre più spiccata della fame di capitali, che
induce il Cda a proporre nel 1941 e nel 1945 due successivi aumenti
rispettivamente a 60 e 100 milioni (cfr. Appendice).41. Le commesse pubbliche legate alle esigenze belliche sono sempre più consistenti e varie e
comportano un’accelerazione nel potenziamento e nella diversificazione
degli impianti, con una conseguente impennata dei costi. Già nel 1940 si
segnala la sproporzione tra gli utili e le dimensioni produttive dell’azienda: l’andamento, nel complesso soddisfacente, «.deve essere considerato
appena normale ove si tenga conto dell’ingente capitale investito e del
rilevante ammontare dei lavori eseguiti.».42.
Alla crescita delle spese concorrono d’altronde altri elementi: innanzitutto la mancanza, almeno fino alla seconda guerra mondiale, di un meccanismo che consenta di adeguare il prezzo finale al variare dei prezzi
delle materie prime, spesso soggetti a forti oscillazioni durante i lunghi
cicli di lavorazione della Snos. Ma pesano anche la maggiore incidenza
degli oneri sociali, e, una volta iniziata la guerra, i ritardi nelle consegne
e la difficoltà negli approvvigionamenti. Infine, tra il secondo semestre
del 1943 e l’inizio del 1945, la Snos subisce le ripercussioni legate alla
dissoluzione del regime e alla fase finale del conflitto. Dopo l’8 settembre
molte lavorazioni commesse dai «.Ministeri Militari.» vengono troncate,
con il risultato del mancato incasso di molti e ingenti crediti proprio
quando è «.difficile ottenere nuovi fidi e mantenere quelli avuti.».43. Tra il
1944 e il 1945, inoltre, gli stabilimenti sono colpiti dai bombardamenti
alleati e dai danni provocati dalle mine dei guastatori tedeschi in ritirata,
tanto che si decide di trasferire temporaneamente parte delle produzioni
in alcune officine di Borgosesia.
Ma nel frattempo gli aumenti di capitale hanno modificato profondamente gli assetti proprietari della Snos.44. Nel 1937 infatti nella società
interviene massicciamente Virginio Tedeschi, proprietario della Ceat,
azienda produttrice di gomma in genere, di cavi e di conduttori elettrici
e cresciuta negli anni Trenta fino ad assumere una dimensione internazionale, con l’apertura di uno stabilimento in Francia. I legami tra la Snos
e la Ceat risalgono in realtà almeno ai primi anni Trenta, e sono radicati
41
Su un primo aumento di capitale da 60 a 80 milioni, proposto nel 1944, « non è stato
possibile ottenere l’autorizzazione ministeriale». Quindi l’anno successivo se ne propone uno
a 100 milioni. Ibidem, Libro 33, VAO 5-4-1941; Ibidem, Libro 33, VAO 22-3-1945.
42
Ibidem, Libro 33, VAO 30-3-1940.
43
Ibidem, Libro 33, VAO 15-4-1944.
44
ASNOS, Amministrazione, Contabilità, Faldone 269, Libro dei soci 6.
la società nazionale officine savigliano
205
in una rete di relazioni ed interessi che coinvolge anche la Fiat. Le tre
imprese, oltre ad essere impegnate in attività sussidiarie (la produzione di
cavi elettrici e di pneumatici della Ceat, le applicazioni elettromeccaniche della Snos e la varia attività meccanica della Fiat) fin dal 1931 stringono un’intesa finalizzata all’acquisizione dall’Iri delle partecipazioni
Sip. Il sindacato costituito per l’occasione, capeggiato da Agnelli, De
Benedetti e Frassati anche a nome della Ceat e della Snos, vedrà infine
rifiutata la propria offerta e la Sip resterà di proprietà dell’Iri.45. L’episodio, insieme alla già ricordata vicenda della apertura alla meccanica italiana del mercato sovietico, conferma tuttavia l’impressione dei rapporti
tendenzialmente cooperativi tra la Snos e la Fiat, imprese teoricamente
concorrenti. Tra i suoi variegati interessi, infatti, l’impresa di Agnelli
vanta anche una presenza nella produzione ferroviaria attraverso la
Materferro, società destinata anzi negli anni Trenta ad entrare in una
nuova fase di sviluppo con il lancio della “Littorina”, la prima automotrice ferroviaria.46. Inoltre la solidità dei legami tra la Snos e la Ceat, radicati in anni precedenti l’ingresso di Tedeschi nella società elettromeccanica, è confermata anche dalla comune partecipazione al sindacato,
guidato ancora da Frassati, costituitosi nel 1933 per l’acquisto del pacchetto di maggioranza dell’Italgas, già controllata Sip, in un’operazione
coronata dal successo, a differenza della precedente.47.
Tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta la Snos passa dunque in mano
alla Ceat, impresa con ramificati interessi nella produzione della gomma,
dei tessuti e dei cavi elettrici e con rapporti di collaborazione con la Fiat,
divenuta, dopo il crollo della Sip e del gruppo Gualino, leader incontrastata nella mappa del potere economico locale torinese. Tuttavia, pur
attraverso la profonda modifica degli assetti proprietari, alla fine della
seconda guerra mondiale la Snos mantiene il profilo di un’impresa dotata di impianti dalla grande potenzialità ma gravata da problemi dalle
45
Sul crollo del gruppo Panzarasa e l’acquisizione della Sip da parte dell’Iri, un primo
studio in ADRIANA CASTAGNOLI, La crisi economica degli anni Trenta in Italia: il caso della SIP,
in “Rivista di storia contemporanea”, 3, luglio 1976, pp. 321-346, e più recentemente BRUNO
BOTTIGLIERI, SIP. Impresa, tecnologia e Stato nelle telecomunicazioni italiane, Milano, Angeli,
1990; LUCIANO SEGRETO, Gli assetti proprietari, in Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 3,
tomo I, Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 89-173, e ADRIANA CASTAGNOLI, Il passaggio della SIP
all’IRI, in Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 3, tomo II, Roma-Bari, Laterza, 1993,
pp. 595-642.
46
CASTRONOVO, Imprese ed economia in Piemonte… cit., pp. 22.
47
La presenza nell’Italgas della Ceat, della Snos, di Ferro e di Tedeschi è ancora attestata negli anni Sessanta. Cfr. BRUNO BOTTIGLIERI, Dal periodo fra le due guerre agli sviluppi più
recenti, in Dalla luce all’energia. Storia dell’Italgas, Roma-Bari, Laterza, 1987, pp. 207-312.
206
ivan balbo
radici lontane: limiti nella programmazione, diversificazione produttiva
spinta all’eccesso, scarsa elasticità del bilancio e cronica carenza di capitali. Le difficoltà incontrate dall’azienda nell’immediato dopoguerra
sono forse anche riconducibili ad un elemento di casualità, cioè ai lutti
che colpiscono la direzione tecnica Snos e concorrono a renderne incerti
gli orientamenti in un frangente delicato: alla morte del direttore generale Felice Guidetti Serra, nel 1937, segue infatti quella improvvisa del suo
successore Emilio Poli, figlio di Amedeo, scomparso a soli 38 anni nel
1942 in un incidente, e quella di Alberto Balloco, direttore tecnico dell’officina di Torino, avvenuta nello stesso anno.48. E tuttavia soprattutto
sul versante finanziario vanno ricercate le cause del crollo della Snos ad
inizio anni Cinquanta.
3. I nodi al pettine: il tracollo della Snos
Domenica 1o giugno 1952, a conclusione di una lunga istruttoria, il
sostituto procuratore Giuseppe Otello spicca 7 mandati di cattura per i
componenti dell’ex-Cda della Snos: gli ingegneri Virginio Tedeschi,
Mario Loria e Piero Anfossi, l’avvocato Vittorio Ferreri, il dottor Corrado Lignana, il banchiere Fernando Pellegrini ed Ernesto Ferro. Solo
nel caso di Loria e Ferreri, però, è possibile eseguire immediatamente
l’arresto: Ferro riesce a fuggire su una bicicletta nonostante i 75 anni
compiuti, Pellegrini viene raggiunto ad Alassio la sera stessa, Lignana si
trova a Roma, Tedeschi forse negli Stati Uniti, Anfossi a Parigi. I principali capi di imputazione sono tre e chiamano in causa la gestione dell’impresa durante gli ultimi anni, a partire dalla fine della guerra. Si accusano
innanzitutto gli ex-consiglieri di falso in bilancio per il 1949 con dilatazione fraudolenta dell’attivo e svalutazione eccessiva del passivo: si
sarebbe in sostanza magnificata la situazione della società tacendone la
crisi profonda allo scopo di distribuire utili inesistenti per una ottantina
di milioni. Una seconda motivazione dei mandati riguarda l’illecito trasferimento, a condizioni di favore, di enormi quantità di rame dalla Snos
alla Ceat, di proprietà di Tedeschi: acquistato dalla Snos grazie ai fondi
dell’European Recovery Program (Erp), il metallo, prezioso conduttore,
sarebbe stato svenduto alla Ceat consentendole di assicurarsi grandi
appalti per l’elettrificazione del Sud Italia. Infine gli amministratori
devono rispondere dell’affare Pezzullo, un commerciante romano che,
48
1944.
ASNOS, Atti deliberativi, Libro 33, VAO 24-3-1937; Ibidem, Libro 33, VAO 15-4-
la società nazionale officine savigliano
207
dopo aver venduto alcuni trattori per conto dell’impresa piemontese,
non sarebbe riuscito a riscuotere gli importi: al fine di non perdere il credito, gli amministratori avrebbero finanziato l’azienda del mediatore con
il risultato di dilapidare anche le nuove somme nel suo successivo fallimento.49. In seguito il pubblico ministero ridimensionerà la prima delle
imputazioni a falso in bilancio ma senza finalità di frode; inoltre, tra il
1955 e il 1956, Tedeschi e Loria saranno assolti con formula piena «.perché il fatto non costituisce reato.» e nei confronti degli amministratori
l’istruttoria si concluderà con il non luogo a procedere. La sentenza allude dunque a scelte dettate da avventatezza e leggerezza, ed esclude il
dolo: in ogni caso concentra l’attenzione solo su alcuni aspetti specifici e
sugli ultimi esercizi sociali. Ma probabilmente gli errori di valutazione
degli uomini alla guida della Snos nell’immediato dopoguerra aggravano
una situazione dalle cause molto diverse, in parte remote.50.
All’indomani della seconda guerra mondiale il processo di riconversione ad un’industria di pace sembra procedere alla Snos senza gravi
intoppi: i danni patiti dagli stabilimenti durante il conflitto sono meno
gravi di quanto temuto, le ordinazioni tornano consistenti, soprattutto in
relazione a lavori di riparazione di ponti e veicoli ferroviari e degli alternatori necessari alla ripresa dell’erogazione nel Centro e Sud Italia, ed
infine si ritiene che alcuni trattori cingolati ad uso bellico possano trovare impiego nell’agricoltura o nei traini stradali.51. Ma è altresì chiaro che,
mentre la situazione produttiva e industriale appare soddisfacente, è il
versante finanziario ad allarmare. È vero che, a partire dal 1939-40, l’introduzione di una clausola di revisione dei prezzi consente di far leva sull’inflazione e garantisce cospicui sovrapprofitti.52. Tuttavia l’enorme
sforzo compiuto durante la guerra per rispondere alle consistenti e diver49
Gazzetta della sera, 2 giugno 1952.
La crisi della Snos all’inizio degli anni Cinquanta è stata oggetto di studio soprattutto
da parte della pubblicistica e con un interesse specifico per la lotta operaia. Cfr. GIANNI
ALASIA - DOMENICO TARIZZO, 30 mesi alla Savigliano. Cronaca di fabbrica, in “Mondo operaio”
6-7, giugno-luglio 1958, pp. 3-24, e GIOVANNA FARINA, Lavoratori, sindacato e impresa alla
SNOS nel decennio successivo alla Liberazione, Tesi di laurea, Facoltà di Lettere e Filosofia di
Torino, a.a. 1982-83, rel. D. Marucco.
51
ASNOS, Atti costitutivi, Libro 33, VAO 30-4-1946.
52
Con la pratica dei “conguagli prezzi” la Snos carica sul prezzo finale i costi (della
manodopera e della materie prime) rilevati al valore massimo raggiunto durante i lunghi cicli
di lavorazione, con scostamenti anche notevoli tra le spese calcolate e quelle effettivamente
sostenute. Cfr. GIANNI ALASIA, Manovre speculative e inflazione nel dopoguerra viste nell’ambito di un’esperienza aziendale, in Il Piano del lavoro della Cgil, 1949-1950, Atti del convegno
organizzato dalla Facoltà di Economia e commercio dell’Università di Modena, 9-10 maggio
1975, Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 237-249.
50
208
ivan balbo
sificate commesse è stato affrontato con l’aiuto delle banche e la società
si ritrova gravata dagli oneri dei debiti. Inizia dunque un quadriennio
segnato dalla corsa frenetica alla ricerca di capitali freschi in grado di riequilibrare il rapporto tra circolante e immobilizzi. La Snos ricorre ad una
serie di aumenti di capitale (cfr. Appendice), a giudicare dai documenti
sostenuta in larga parte dai vecchi azionisti di maggioranza: Tedeschi,
anche per la Ceat, e Ferro, in associazione con alcuni partners storici
come la società Sviluppo.53. Ma risulta decisivo anche il contributo degli
aiuti statunitensi per la Ricostruzione, affluiti con ampiezza: la Savigliano, riconosciuta società di interesse nazionale, è una delle 8 imprese
piemontesi gratificate tra il 1948 e il 1951 da un credito dell’Erp superiore al milione di dollari, ed ottiene una quota pari all’1,8% del totale
concesso alle aziende della regione.54.
Nel 1946 il capitale è portato da 100 a 300 milioni e si annuncia il
buon esito della domanda di finanziamento avanzata all’Imi per 160
milioni.55. Ma presto il fondo sociale si rivela insufficiente: nel dicembre
dell’anno successivo si propone un nuovo aumento di capitale a 600
milioni. L’operazione è la condizione vincolante posta dal Fondo per il
finanziamento dell’industria meccanica (Fim), costituito nel 1947, per
sostenere un’ulteriore sottoscrizione di azioni sino alla concorrenza di
300 milioni. Contemporaneamente, attraverso l’Imi, si richiede l’accesso
ad un prestito di 1 milione di dollari da parte dell’Export-Import Bank
(Eximbank) nell’ambito del suo programma di sostegno all’industria italiana per l’acquisto di materie prime e macchinario Usa. Di fatto, alla fine
53
ASNOS, Amministrazione, Contabilità, Faldone 269, Libri dei soci 6-7.
La Snos ottiene 1.023.000 dollari. Anche la Ceat, tra i maggiori azionisti Snos, riceve
un consistente contributo (1.120.000 dollari, pari al 2% del totale piemontese) in un quadro
caratterizzato comunque dalla preponderanza netta della Fiat, beneficiaria di 30.686.658
dollari, corrispondente al 53,4% complessivo. Per i dati e per un quadro generale dell’industria torinese negli anni della Ricostruzione cfr. GIANFRANCO ZUNINO, Struttura industriale, sviluppo tecnologico e movimento operaio a Torino nel II dopoguerra, in Movimento operaio e sviluppo economico in Piemonte negli ultimi cinquant’anni, a cura di Ettore Passerin et alii,
Torino, Cassa di Risparmio di Torino, 1978, pp. 61-128; e STEFANO MUSSO, Lo sviluppo e le
sue immagini. Un’analisi quantitativa. Torino 1945-1970, in La città e lo sviluppo. Crescita e
disordine a Torino 1945-1970, a cura di Fabio Levi - Bruno Maida, Milano, Angeli, 2002,
pp. 39-70.
55
Per una ricostruzione puntuale delle vicende finanziarie della Snos fino al tracollo del
1952 cfr. ASNOS, Atti costitutivi, Libro 33, VAO 10-10-1946; Ibidem, Libro 34, VAO 15-121947; Ibidem, Libro 34, VAO 26-3-1948; Ibidem, Libro 34, VAO 15-12-1948; Ibidem, Libro
34, VAO 28-3-1949; Ibidem, Libro 34, VAS 3-11-1949; Ibidem, Libro 34, VAO 15-4-1950;
Ibidem, Libro 34, VAO e VAS 28-42-1951; Ibidem, Libro 34, VAS 9-6-1951; Ibidem, Libro
34, VAS 2-7-1951; Ibidem, Libro 34, VAS 28-7-1951; Ibidem, Libro 34, VAS 15-1-1952.
54
la società nazionale officine savigliano
209
del 1947 la società denuncia un fabbisogno finanziario di 900 milioni di
lire, nei progetti della società destinato ad essere coperto in parti uguali
dall’aumento di capitale, dal finanziamento Fim e dal prestito Eximbank.
Le mosse del Cda suscitano le prime proteste dell’assemblea, scontenta
del nuovo contributo richiesto agli azionisti, tra l’altro senza fornire un
quadro chiaro del bilancio dell’esercizio, pure vicino alla chiusura. Le
rimostranze sono momentaneamente messe a tacere, ma la situazione
non migliora affatto: nel 1948 si annuncia il fallimento delle trattative
con il Fim a causa dell’onerosità delle condizioni poste, ed il dimezzamento rispetto alle previsioni del prestito da parte dell’Eximbank, intenzionata a concedere solo 500.000 dollari. Nel dicembre dello stesso
anno, quindi, il Cda prospetta un nuovo aumento di capitale da 600
milioni a 1 miliardo: le risorse necessarie verranno recuperate per metà
attraverso l’emissione di 400.000 nuove azioni, per metà attraverso il passaggio a capitale di 200 milioni prelevati sui saldi attivi derivanti dalla
recente rivalutazione monetaria, convertiti in 400.000 azioni a titolo gratuito da distribuirsi ai vecchi azionisti. Si ricorre inoltre al pubblico
risparmio attraverso un prestito obbligazionario di 600 milioni. I malumori dell’assemblea riemergono, riguardano ancora la scarsa chiarezza
del gruppo dirigente sullo stato economico e finanziario dell’azienda, e si
manifestano nei 13.225 voti contrari all’ordine del giorno del Cda, pur
passato con 589.867 favorevoli.
Pochi mesi dopo, nel marzo 1949, si ostenta ottimismo: il prestito
accordato dall’Eximbank è stato elevato da 500.000 a 800.000 dollari, e
la Snos ha ottenuto dall’Erp una prima tranche di 980.000 dollari. E tuttavia, nel novembre dello stesso anno si propone l’emissione di un nuovo
prestito obbligazionario per 400 milioni. Il ricavato della vendita delle
obbligazioni circolanti a fine 1949, ammontanti a 1 miliardo, secondo le
accuse mosse in sede giudiziaria ma anche nelle assemblee roventi degli
anni successivi, verrà utilizzata dal Cda per distribuire utili inesistenti e
nascondere la crisi aziendale. Ed in effetti, se nel marzo del 1949 si parla
di una situazione finanziaria riequilibrata, capace di sostenere un vasto
programma di sviluppo, in novembre si minimizza il significato dei 200
licenziamenti presso le officine di Savigliano: la contrazione degli ordinativi da parte delle F.S. ha costretto a ridurre il personale, ma «.fortunatamente in misura limitata.», ed in ogni caso l’ecletticità della Snos la garantisce contro le difficoltà delle concorrenti.56. Ancora nell’aprile del 1950
il Cda sostiene che il calo degli utili rispetto all’anno precedente non è
56
Ibidem, Libro 34, VAS 3-11-1949.
210
ivan balbo
preoccupante, denuncia la campagna denigratoria «.a sfondo politicosindacale.» scatenata a fine 1949 e riguardante le presunte difficoltà della società, e sottolinea le pesanti conseguenze delle illazioni sugli ambienti finanziari e borsistici.
Ma in realtà ormai l’allarme è ben più diffuso: dopo i primi licenziamenti si svolge a Savigliano un’assemblea pubblica presieduta dal sindaco
e presenti i deputati di tutti i partiti politici e le rappresentanze sindacali
dei lavoratori, allo scopo di discutere la situazione della Snos. E a maggio
del 1950 gli annunci di nuove riduzioni di personale scatenano la reazione degli operai. Una risposta concretizzatasi in scioperi e cortei ma anche
in fattive proposte per il rilancio dell’azienda, elaborate in particolare dal
nuovo Consiglio di gestione (Cdg) insediatosi nel febbraio 1950.57.
Il Cdg oppone alla smobilitazione degli stabilimenti iniziative di tipo
produttivistico ispirate al Piano Cgil del 1949, entra nel merito delle questioni, propone soluzioni concrete. In due diverse relazioni, presentate
intorno al maggio del 1950, il Cdg ricorda innanzitutto l’importanza delle esportazioni per la Snos e chiede quindi alla dirigenza di agire presso il
governo perché riesamini la politica commerciale verso i Paesi socialisti e
rifiuti le limitazioni imposte dagli Usa come condizioni all’erogazione dei
prestiti Erp. Sulla base di un’indagine relativa al tradizionale mercato
Snos si evidenziano inoltre le attività da privilegiare: la produzione nazionale di energia elettrica è inferiore di 7 miliardi di kilowattora al fabbisogno complessivo, le ferrovie mancano di migliaia di carrozze, locomotori, carri merci, ed infine il parco trattoristico italiano è insufficiente e
dotato di macchine obsolete. Le risposte della dirigenza sono evasive: il
Cda accusa il Cdg di «.fare politica.», ma d’altronde non sembra disponibile neanche a discutere sui progetti più “tecnici”. Nel giugno del 1950,
infatti, un gruppo di operai e tecnici del Cdg propone di avviare la produzione di un motoscooter quale nuovo indirizzo per rilanciare la società.
Inizialmente incoraggiato da Tedeschi, forse attirato dalla possibilità di
integrazione con i pneumatici prodotti dalla sua Ceat, e dal direttore tecnico, l’ingegner Giancarlo Anselmetti, vede presto la luce il progetto del
motoscooter “Libellula”, corredato da una valutazione delle ore di lavoro
e da uno studio degli aspetti commerciali e pubblicitari. Ma Tedeschi
57
I Consigli di gestione sono organismi di rappresentanza operaia istituiti nel novembre
1945, distinti dalle Commissioni interne ma dalle attribuzioni incerte: intesi da parte della
forza lavoro come strumenti per collaborare alla definizione degli orientamenti produttivi,
vengono interpretati invece da parte imprenditoriale in modo assai più riduttivo. Non a caso
la dirigenza Snos preferirà sempre definire il Cdg “Commissione paritetica”. Cfr. ALASIA TARIZZO, 30 mesi alla Savigliano… cit.
la società nazionale officine savigliano
211
dimentica progressivamente l’iniziativa, destinata a non avere mai effettiva realizzazione.
Né il dialogo tra le rappresentanze operaie e la dirigenza risulta più
fruttuoso a Savigliano, pur su questioni altrettanto concrete. Il Cdg
segnala infatti la necessità di aggiornare gli impianti (specie la fonderia) e
di diversificare l’attività della falegnameria per sottrarsi alla dipendenza
dalle commesse F.S. Si accusa Tedeschi di trascurare la Snos, cui potrebbe passare le ordinazioni di bobine porta-cavi della Ceat. Si contesta infine la gestione commerciale e pubblicitaria dei prodotti Snos, con rilievi
legati all’eccessiva diversificazione produttiva: la società dispone infatti
di un solo ufficio vendite per alternatori, gru, locomotori e radio, con il
risultato di una scarsa competenza specifica degli addetti. Ma il direttore
dello stabilimento, Ascanio Ascani, reagisce con obiezioni speculari a
quelle opposte dal Cda qualche mese prima, ed accusa gli operai di avanzare proposte troppo dettagliate, invece di limitarsi alle più generali e
“politiche” indicazioni del Piano Cgil.
Intanto la Snos scivola verso il tracollo. Dopo gli 800 tra operai e
impiegati licenziati nel corso del 1950, tra la fine dell’anno e l’inizio del
1951 l’azienda minaccia altri 850 tagli a Savigliano e 250 a Torino.
A dicembre del 1950 si tiene a Savigliano la seconda conferenza di produzione Snos promossa dalla Fiom a sostegno del Piano Cgil: l’ennesima
iniziativa sorta per sensibilizzare la cittadinanza sul rischio concreto di
una chiusura degli stabilimenti in caso di perdurante assenza di ordinazioni ferroviarie. Ma nella fabbrica di Savigliano la mobilitazione è ostacolata da carenze organizzative interne e dal livello di coscienza politica
e sindacale degli operai più basso che nelle officine di Torino. Quando,
nel gennaio del 1951, i licenziamenti vengono confermati, sono anzi i
lavoratori dello stabilimento del capoluogo ad offrire un esempio di solidarietà concreta e diffusa con il blocco degli straordinari ed una sottoscrizione a favore dei colleghi saviglianesi. Ma non ha successo neppure
l’azione del Comitato cittadino nato a Savigliano nell’ottobre 1950 e formato da rappresentanti di diverse forze politiche e sindacali – con l’eccezione della Dc e della Cisl –: il viaggio a Roma presso il Ministro dei
Trasporti per sollecitare iniziative del governo a favore del rilancio delle
ordinazioni ferroviarie non ottiene risultati tangibili.
Lo scontro sociale si fa più aspro, reso incandescente dal ritardo nel
pagamento dei salari: un corteo organizzato a Torino viene attaccato dalla Celere nell’aprile 1951, e qualche settimana dopo una parte degli operai arriva a proporre l’occupazione e la gestione della fabbrica. Ma nell’estate i licenziamenti proseguono senza sosta nonostante gli sforzi da
212
ivan balbo
parte delle maestranze per mantenere un atteggiamento responsabile:
quando la Snos ottiene un pagamento anticipato da parte di alcune aziende municipalizzate, i lavoratori, che da mesi non percepiscono stipendi e
salari, accettano di utilizzarlo per sbloccare l’acquisto di un grande tornio a giostra.
Nel frattempo, in giugno, gran parte del Cda rassegna le dimissioni,
ma il rinnovamento appare più formale che sostanziale: Sismondi, neopresidente, è con ogni probabilità un uomo di fiducia del suo predecessore, Tedeschi. E d’altronde la via da percorrere sembra ormai obbligata:
il nuovo gruppo dirigente, preso atto di perdite superiori al terzo del
capitale sociale, chiede l’ammissione alla procedura di amministrazione
controllata, unica soluzione in grado di evitare il fallimento e di garantire i creditori. Nella stessa seduta, tra l’altro, si revoca anche l’ultima emissione di obbligazioni per 400 milioni e l’assemblea inizia a rivolgere
all’ex-Cda alcune delle accuse più tardi riprese in sede giudiziaria. Ma la
linea aziendale non muta neanche rispetto al ridimensionamento dell’organico sociale: ad inizio agosto vengono annunciati altri 1.170 licenziamenti nei due stabilimenti, decisione destinata ad avere piena realizzazione, nonostante le ultime dure proteste, a fine anno.
La crisi aziendale corre dunque verso l’epilogo. Nella seduta del gennaio 1952 si annuncia la concessione di un mutuo di 2 miliardi da parte
dell’Imi subordinata a due condizioni: l’annullamento del capitale di
1 miliardo con successiva ricostituzione a 600 milioni e l’accettazione di un
concordato preventivo con i creditori al 40%. La proposta viene approvata nonostante la protesta del rappresentante dei piccoli azionisti Gianni
Alasia, già segretario del Cdg ed espulso dalla Snos con gli ultimi tagli al
personale insieme ai principali animatori della protesta operaia. La sua
dichiarazione rappresenta un estremo atto di accusa nei confronti del Cda:
Signor Presidente […] in considerazione del fatto che non vogliamo convalidare la manovra finanziaria ispirata dal gruppo dei maggiori azionisti al fine di
liquidare con quattro soldi i piccoli risparmiatori, così numerosi nel personale,
che avevano investito i propri sudati risparmi confidando nella onestà e capacità
di quella che volentieri si autodefinisce classe dirigente; né volendo, nell’ambito
della situazione attuale, ben sapendo con chi abbiamo a che fare, creare l’impressione che da parte nostra vi sia la volontà di far fallire il tentativo di finanziamento della Savigliano, dichiariamo di astenerci dal voto.58.
Nella grave crisi della Snos di inizio anni Cinquanta bruciano rilevanti capitali, appartenenti soprattutto a piccoli risparmiatori, ed una quota
58
Ibidem, Libro 34, VAS 15-1-1952.
la società nazionale officine savigliano
213
cospicua di posti di lavoro: dal dicembre 1949 al dicembre 1952 gli occupati nei due stabilimenti passano da 4.500 circa (numero massimo di tutto il dopoguerra) a 1.346. Il tracollo ha cause diverse: oltre a quelle già
emerse dalle contestazioni puntuali mosse dal Cdg durante il biennio critico, riguardanti soprattutto il versante produttivo, altre più generali vengono indicate in una relazione stesa nell’agosto del 1951 da Giovanni
Castellino, nominato commissario giudiziale della Snos in seguito all’entrata della società in amministrazione controllata. Alcune motivazioni
hanno radici lontane, come l’eccessiva dipendenza dallo Stato, storico
cliente dell’azienda e punto di riferimento troppo vincolante negli anni
dell’autarchia, oltre che da alcuni «.grandi Enti.», con un riferimento forse ad aziende come la Fiat e la Cogne, clienti della Snos di rilievo inferiore solo al committente pubblico.59. Un «.gruppo quasi monopolistico di
acquirenti.» decisivo nel rendere l’azienda particolarmente sensibile
all’oscillazione della domanda, e capace di imporre con facilità prezzi
antieconomici e dilazioni nei pagamenti, con un conseguente aumento
delle spese. Ma altrettanto costoso risulta lo sforzo fatto per sfuggire alle
imposizioni «.di un solo acquirente.», con un’abnorme estensione delle
attività determinante nel plasmare un profilo produttivo disorganico
ed incardinato su due stabilimenti dalle specializzazioni molto diverse.
A Torino si sono infatti venute concentrando le costruzioni meccaniche
ed elettromeccaniche, il macchinario elettrico generale e il macchinario
per la trazione elettrica, il materiale radiofonico e radio, i compressori
stradali con motori Diesel, i trattori cingolati, le costruzioni metalliche in
genere, chiodate e saldate; a Savigliano invece ci si occupa di materiale
rotabile per ferrovie e tramvie, condotte forzate, chiodate, saldate e blindate per impianti idroelettrici, tubazioni per acquedotti, serbatoi metallici, getti d’acciaio e di ghisa e pezzi di fucina, e di falegnameria in genere.60.
Nel documento stilato dal commissario giudiziale Castellino, inoltre,
l’estrema diversificazione produttiva viene attribuita anche ad una «.prevalenza della direzione tecnica su quella amministrativa.»: la stessa superiorità della Snos nel campo della ricerca e della sperimentazione, tradizionale elemento di forza e vanto dell’azienda, rischia dunque di essere
59
Cfr. Archivio storico Banca d’Italia (d’ora in poi ASBI), Consorzio sovvenzione valori
industriali (CSVI), Sede principale, pratiche, n. 418, fasc. 29. Nell’elenco dei principali lavori in corso di esecuzione nell’aprile del 1943 dopo lo Stato, il committente più rilevante con
le sue richieste per 284.325.000 lire (pari a circa l’80% del totale), vengono, seppure a grande distanza, la Cogne (9.630.000 lire) e la Fiat (8.200.000 lire).
60
ASBI, Segreteria particolare, pratiche, fasc. 27, “Schema indicativo delle cause remote e recenti della presente crisi della Società nazionale delle officine di Savigliano”.
214
ivan balbo
pagata ad un prezzo troppo alto e di diventare un peso finanziario insostenibile.
La relazione sulle cause della crisi accenna infine anche ad aspetti
sociali: si ritiene infatti decisiva la presenza di una manodopera «.esuberante, turbolenta, difficilmente licenziabile.». Il severo ridimensionamento dell’organico aziendale è anzi forse finalizzato anche a sconfiggere un
movimento operaio particolarmente forte alla Snos e a disfarsi della sua
parte più combattiva e sindacalizzata. Nel quadro di un decennio, gli
anni Cinquanta, segnato dalla reazione imprenditoriale alle rivendicazioni delle maestranze, l’atteggiamento della dirigenza Snos è particolarmente intransigente perché finalizzato a stroncare pericolose ipotesi di
cogestione dei programmi produttivi, miranti a replicare le contemporanee esperienze di altre realtà produttive del Paese (le Officine reggiane).
Tuttavia il versante finanziario resta del tutto prevalente nello spiegare il
tracollo della Snos: le spese legate alla monocommittenza ed alla diversificazione delle lavorazioni hanno imposto infatti il frequente ricorso a
finanziamenti bancari ad alto costo. Ma la dipendenza dal sistema creditizio non appare superata all’indomani della crisi, e la perdurante fragilità finanziaria dell’azienda condizionerà la sua vita anche nel successivo
ventennio, quando pure la società sembra poter tornare sana e florida.
4. Un’eredità finanziaria pesante: da una ripresa condizionata alla separazione delle due officine
L’annullamento e la ricostituzione del capitale sociale non producono
in realtà mutamenti radicali negli assetti proprietari: delle 1.200.000
azioni costituenti il nuovo fondo sociale la Ceat sottoscrive, direttamente
o attraverso la Società finanziaria industriale (Sofit) sua controllata, più
di 640.000 quote, Ernesto Ferro altre 130.574. La vera novità è invece
costituita dall’ingresso della Fiat e della Cogne, sottoscrittrici rispettivamente di 40.000 e 60.000 azioni.61. A garanzia delle proprie partecipazioni, la Fiat e la Cogne ottengono di collocare due uomini di fiducia
nel Cda, rispettivamente gli ingegneri Arnoldo Fogagnolo e Giancarlo
Anselmetti, quest’ultimo destinato a diventare vicepresidente e poi presidente dal 1959 al 1964, anno della morte.62.
61
ASNOS, Amministrazione, Contabilità, Faldone 271, Libro dei soci 14.
Anselmetti entra nella Snos nel 1927, vi lavora a lungo come caporeparto e ne diventa
direttore tecnico nel 1947. Nel 1950 viene chiamato dalla Cogne ad assumere la carica di
62
la società nazionale officine savigliano
215
È anche grazie alle consistenti ordinazioni della Fiat (macchine rotanti, gru, capannoni) e della Cogne che gli anni Cinquanta segnano una lenta ripresa della Snos. Ma utile ad un rilancio dell’azienda è anche la collaborazione con la società svedese Asea: l’intesa apre alla Snos il campo
dei turboalternatori (1956) e le consente di realizzare una rilevante fornitura di materiale specializzato per un nuovo impianto di laminazione
alla Cogne (1957). In generale, inoltre, dal punto di vista tecnologico, le
performance Snos restano di alta qualità: ne danno prova l’uscita del
nuovo trattore Ciclope, con motore Fiat (1953), e i successi nella grande
carpenteria, come l’aviorimessa per l’aeroporto di Caselle, lo stabilimento Fiat di Rivalta, la ricostruzione della guglia della Mole antonelliana
(1961) distrutta da un uragano.
Ma sotto l’aspetto finanziario la situazione resta pesante. Benché dal
1954 risulti liquidata la gestione commissariale e soddisfatta ogni pendenza concordataria, non si riesce ad ottenere nulla più che un annuale
pareggio di bilancio. La sottocapitalizzazione continua ad affliggere la
società, costretta a ricorrere ancora ad una serie di aumenti di capitale
(cfr. Appendice): da 600 a 800 milioni (1956), poi a 1 miliardo (1957),
poi a 1,3 miliardi (1959), infine a 2,6 (1962). Pesano in misura sensibile
le spese per l’aggiornamento progettistico condotto ora in collaborazione con grandi gruppi stranieri, ma soprattutto gli oneri passivi legati ai
finanziamenti Eximbank, Erp e Imi. Nel 1962, anzi, la società è costretta
a convertire in azioni il debito acceso dieci anni prima proprio con l’Imi,
in modo da ottenere una riduzione e una dilazione delle rate del mutuo.
L’Imi rileva dunque la quota sottoscritta solo tre anni prima dalle
Acciaierie e tubificio di Brescia, ed assume, direttamente o tramite la sua
finanziaria, la Società italiana per gestione imprese (Sige), circa 1,4 milioni di azioni dei 5,2 milioni totali: una presenza ormai decisamente ingombrante per i vecchi azionisti di maggioranza, la Ceat e Ernesto Ferro, pur
ancora intervenuti nell’aumento di capitale con quote consistenti (rispettivamente 575.000 e 940.000 azioni).
Inoltre, alla fine degli anni Cinquanta l’apertura del Mercato comune
europeo (Mec) favorisce il rilancio dell’export, sbocco di tradizionale rilevanza per la Snos, ma impone un più stringente confronto con una concorrenza straniera in grado di sostenere la ricerca con mezzi superiori.
Direttore Generale, ma già nel 1952 torna appunto alla Snos come amministratore.
Anselmetti è anche assessore e poi, all’inizio degli anni Sessanta, sindaco della città di Torino.
ASNOS, Atti costitutivi, Faldone 40 A, VAO 8-4-1965.
216
ivan balbo
Così, la Snos si giova solo in parte della crescita generale dell’economia nazionale connessa con il boom a cavallo tra gli anni CinquantaSessanta. Ed a partire dal 1962 si moltiplicano invece i segnali negativi.
La crescita dei costi del personale e dell’aggiornamento tecnologico impone un nuovo aumento di capitale da 2,6 a 3 miliardi (1963). Ed a partire dal secondo semestre 1963 la Snos deve affrontare per la prima volta
una grave contrazione della domanda di beni strumentali sul mercato
nazionale, contrastata solo in parte dal buon collocamento dei prodotti
all’estero. Le nuove difficoltà delle lavorazioni più prospere della Snos si
accompagnano allo storico declino delle produzioni ferroviarie concentrate nelle officine di Savigliano. Già penalizzate dalla cessione in affitto
della fonderia (1953) e dall’abbandono della costruzione delle condotte
forzate (1957), negli anni Sessanta gli stabilimenti delle città cuneese
subiscono il progressivo esaurimento delle ordinazioni da parte delle
F.S., nel 1957 ancora il maggiore committente della società.63.
Non valgono a risollevare la situazione gli indubbi successi sul piano
tecnico: dall’elettrotreno, realizzato nel 1961, particolarmente attento al
comfort dei passeggeri, al nuovo locomotore “Tartaruga”, varato nel
1967 e capace di una velocità massima di 240 km/h. Anche a Savigliano
si preferisce piuttosto puntare sulla grande carpenteria, con una nuova
fabbrica equipaggiata di una moderna linea continua, dello sviluppo di
circa 200 metri, per il taglio e la foratura dei profilati con procedimento
semiautomatico.
Così, nel 1967, il Cda procede ad un «.abbondante alleggerimento del
personale […] soprattutto nello stabilimento di Savigliano.». Non si
tratta di una crisi produttiva, come dimostra il fatturato, salito nel 1967
al punto massimo mai raggiunto e superiore del 20% all’anno precedente, a conferma di una solida «.capacità di acquisizione e produzione.».
Nonostante la crisi del mercato di beni strumentali, il calo delle vendite
di materiale ferroviario è compensato con le nuove produzioni elettromeccaniche e la grande carpenteria. A preoccupare è tuttavia soprattutto la situazione finanziaria della società, aggravata dallo sciopero nazionale del 1966, causa della perdita di 60.000 ore di lavoro, e dalla
crescente concorrenza delle aziende a partecipazione statale: tra il 1966 e
il 1967 la Snos è costretta a ricorrere a due nuovi mutui Imi e ciononostante il bilancio del 1968 denuncia perdite per più di 190 milioni, salite
l’anno successivo a 600.
63
Ibidem, Libro 35, VAO 20-5-1957.
la società nazionale officine savigliano
217
Nel 1970, con una scelta da più parti suggerita già durante i terribili
mesi della crisi di inizio anni Cinquanta, si decide dunque di separare i
due stabilimenti di Savigliano e di Torino affinché ognuno sviluppi la
propria specializzazione e consegua un più alto livello di produttività.
La Snos si concentra sulle produzioni elettromeccaniche realizzate nel
capoluogo. Il complesso aziendale di Savigliano viene invece passato alla
Elfi - Elettrofinanziaria spa, società preesistente di cui la Snos possiede
l’intero pacchetto azionario e che assume la denominazione di Ferroviaria Savigliano spa; le azioni della nuova società vengono quindi cedute interamente alla Fiat.64.
Dal 1970 le vicende delle due società si divaricano.65. La Snos, ancora
legata alla Ceat, affronta una fase di profonda difficoltà: nel 1973, a fronte di gravi perdite, si decide la riduzione del capitale sociale da 4 a 1,5
miliardi con successivo aumento a 2. Ma la successiva crisi petrolifera,
l’inflazione e l’aumento dei costi della manodopera rendono necessari
provvedimenti più drastici: l’impresa si converte da produttrice in fornitrice di servizi di qualificata assistenza tecnica e riparazione per utilizzatori di grandi macchinari elettrici ed elettromeccanici. Con l’ingresso in
società di risorse fresche provenienti dalle grandi firme dell’elettromeccanica nazionale e internazionale (General Electric, E. Marelli, Ansaldo)
nel 1976 il bilancio torna in attivo: il capitale è ridotto a 1,2 miliardi e
riaumentato a 2,1 per rilanciare un ampio piano di investimenti. Negli
anni Ottanta l’azienda diventa dunque leader in Italia e nel Mediterraneo, con interventi presso costruttori diversi, grazie ad accordi di
licenza sia con l’azionista di maggioranza (General Electric) sia con altri
grandi produttori nazionali. Nel 1990 la Snos passa nelle mani del gruppo Fornara: la nuova proprietà inserisce l’impresa, insieme ad altre
società controllate, in un polo energia capace di stabilire rapporti privile64
L’assenza di una bibliografia specifica, eccetto le indicazioni offerte da SACCIONE,
L’evoluzione del lavoro alle officine di Savigliano… cit., ha costretto a ricostruire le vicende
della Snos tra il 1952 e il 1970 sulla base dei verbali delle assemblee annuali: cfr. ASNOS, Atti
deliberativi, Libro 35, VAO 29-5-1952, VAO 30-9-1952, VAO 24-4-1953, VAO 27-4-1954,
VAO 20-5-1955, VAO 10-4-1956, VAS 24-10-1956, VAO 20-5-1957, VAS 13-6-1957, VAO
19-5-1958, VAS 16-2-1959, VAO 23-4-1960, VAO 27-4-1961, VAO e VAS 28-4-1962, VAO
19-4-1963 e Ibidem, Faldone 40 A, VAO 14-4-1964, VAS 7-10-1964, VAO 8-4-1965, VAO e
VAS 29-3-1966, VAO 27-4-1967, VAO 30-4-1968, VAO 28-4-1969 e VAO 31-8-1970.
65
L’evoluzione dell’azienda di Savigliano è tratteggiata a partire ancora da SACCIONE,
L’evoluzione del lavoro alle officine di Savigliano… cit. e da materiale messo a disposizione
dalla dott.ssa Manuela Bozzolan, responsabile della comunicazione esterna della Alstom
S.p.a. Per lo stabilimento di Torino si è invece fatto riferimento al citato dattiloscritto Cento
anni di storia alle Officine di Savigliano, 1880-1980.
218
ivan balbo
giati con l’Enel, le cui ordinazioni coprono il 60% del fatturato. Ma nel
1993, in seguito alla crisi del gruppo Fornara, la Snos viene acquisita da
una nuova cordata di imprenditori piemontesi. A partire dal 1998 il crollo delle ordinazioni Enel, legato a ipotesi di privatizzazione, determina
nuove gravi difficoltà per la Snos, che nel 1999 progetta un ritorno all’originale vocazione di impresa costruttrice di macchine. E tuttavia la
svolta non dà i risultati sperati, né sono sufficienti a risollevare l’azienda
alcune positive sortite in ambiti mai frequentati prima: nel 1999 la Snos
cura il progetto di un campo eolico dotato di 18 torri in provincia di
Foggia, ma l’opera resterà l’unica realizzazione della società nel settore.
L’impresa passa dunque in mano a una nuova società, la Savigliano spa,
fondata da uomini non più legati alla produzione elettromeccanica tra
cui spicca Faussone, operante nel settore dello smaltimento rifiuti. Ma
intanto la nuova proprietà deve affrontare problemi rilevanti legati alla
ricollocazione fisica dell’azienda: lo stabilimento di corso Mortara viene
infine abbandonato sia perché ormai sovradimensionato rispetto al personale impiegato, ridotto a circa 300 unità, sia perché l’area è coinvolta
in un progetto di riqualificazione della zona detta “spina 3”, nell’ambito
del Piano regolatore. Del vecchio stabile è stata mantenuta la facciata,
soggetta al vincolo delle Belle Arti in quanto raro esempio sopravvissuto
a Torino di edilizia industriale di fine Ottocento. Il resto dell’immobile è
stato ceduto all’impresa Rosso che insieme al comune sta promuovendo
una ristrutturazione dell’area per destinarla a “spazio multiuso” (uffici,
spazi commerciali e residenziali, centri di ricerca). Intanto la Savigliano
spa non ha ancora trovato una nuova ubicazione ed il personale è stato
posto per la maggior parte in Cassa integrazione.
Nella Ferroviaria Savigliano, invece, a partire dal 1970 la Fiat avvia un
ampio ciclo di investimenti finalizzati alla produzione di materiale ferroviario più qualificato e complesso (carrozze gran comfort, metropolitane
in lega leggera). Ma la crescita delle spese legata ai maggiori immobilizzi
e alla formazione del personale è alla base delle perdite registrate dai
bilanci dei primi anni Settanta. La situazione non migliora nonostante la
decisione (1973) di svalutare il capitale da 1 miliardo a 400 milioni per
riaumentarlo a 2,5 miliardi. L’inflazione e politiche pubbliche orientate a
privilegiare gli investimenti verso il Sud penalizzano i risultati dell’esercizio 1974, negativo nonostante l’aumento del fatturato, degli investimenti e dell’occupazione.
L’assemblea del 1975 decide dunque un radicale ricollocamento dell’azienda, la cui denominazione sociale muta in Fiat-Ferroviaria Savigliano (Ffs). La Fiat promuove infatti la nascita del settore “Prodotti e
la società nazionale officine savigliano
219
sistemi ferroviari” strutturato, oltre che sulla Ffs, su alcune altre aziende
del ramo controllate o partecipate: la Omeca di Reggio Calabria, la
Ferrosud di Matera, la Im s.p.a. Intermetro di Roma e la società argentina Fiat Concord Saic di Cordoba. Inoltre la Fiat concentra nello stabilimento di Savigliano alcune attività in campo ferroviario prima svolte a
Torino (Materferro) e Milano (Om): la Ffs diventa così un’unità operativa completa, dotata di una totale autonomia nelle funzioni progettuali,
produttive e commerciali, nonché nell’assistenza post-vendita.
La fine degli anni Settanta è caratterizzata da alcuni brillanti risultati
tecnici come l’elettrotreno ad assetto variabile Etr 401, meglio noto come
Pendolino, capace di una velocità di crociera di 250 km/h in rettifilo. Ma
è anche una fase segnata da una più generale crescita dell’azienda: nel
1980 si decide l’aumento di capitale a 5 miliardi e si registra il massimo
livello occupazionale dall’inizio della gestione Fiat; inoltre la Ffs acquisisce partecipazioni in alcune società ferroviarie del gruppo Fiat (Omeca,
Ferrosud, Im Intermetro) ed assume dunque la connotazione di una holding del settore. Nel 1981 la società interviene anche nella Cafici international di Ginevra, nell’Elettromeccanica Panizzi di Milano e nella Fiat
Materfer di Buenos Aires. Negli stessi anni l’espansione dell’azienda
spinge in direzione di accordi con colossi dell’elettrotrazione come Aeg
Telefunken e la Ansaldo trasporti.
Elementi per condotte forzate costruiti dalla Snos in partenza dagli adiacenti binari ferroviari.
220
ivan balbo
Tra il 1983 e la fine degli anni Ottanta la società incontra alcune difficoltà legate alla crisi del mercato argentino e alla discontinuità delle commesse da parte delle F.S. L’azienda ha reagito puntando in due direzioni
diverse: la proiezione su altri mercati esteri (con forniture di veicoli per il
canale della Manica e di automotrici per le ferrovie turche) e, lungo gli
anni Novanta, lo sfruttamento delle opportunità offerte dall’alta velocità.
All’inizio del nuovo secolo la proprietà è mutata: nel 2000 la Fiat ha
ceduto il 51%, poi, due anni dopo, il restante 49% del pacchetto azionario al gruppo francese Alstom, uno dei leaders mondiali nelle infrastrutture per l’energia e i trasporti. Alstom transport in Italia impiega
2.762 persone e conta altri siti produttivi oltre a quello di Savigliano:
Sesto S. Giovanni, Verona, Bologna, Guidonia (Roma), Colleferro
(Roma) e Bari. Le officine di Savigliano hanno dunque conosciuto un
destino migliore, sul piano produttivo e occupazionale, rispetto allo stabilimento di Torino, pur se al prezzo del passaggio in mani straniere.66.
66
Sulle vicende dei due stabilimenti negli ultimi trent’anni è difficile fornire più che un
rapido quadro descrittivo: per un profilo più dettagliato e per valutazioni meno caute può
essere utile un’indagine sull’archivio Fornara, recentemente depositato presso l’Archivio di
Stato di Torino, e sull’Archivio storico Fiat, con un approfondimento della ricerca qui impossibile in considerazione degli scopi di questo lavoro.
221
la società nazionale officine savigliano
APPENDICE. Aumenti di capitale della Snos (1880-1970)
Anno
1889
1906
1911
1917
1918
1920
1937
1941
1945*
1946
1947
1948
1956**
1957
1959
1962
1963
Da (milioni di lire)
1
2,5
4
6
10
15
30
45
60
100
300
600
600
800
1.000
1.300
2.600
A (milioni di lire)
2,5
4
6
10
15
30
45
60
100
300
600
1.000
800
1.000
1.300
2.600
3.000
* Nel 1944 viene proposto un primo aumento da 60 a 80 milioni, ma non si riesce ad ottenere l’autorizzazione ministeriale. L’anno dopo ne è dunque approvato un altro da 60 a
100 milioni.
** Intanto, nel 1952, in seguito alla gravissima crisi dell’azienda il capitale di 1 miliardo è
stato annullato e ricostituito a 600 milioni.
Vista panoramica degli stabilimenti Snos - Fiat Ferroviaria, ora Alstom.
222
ivan balbo
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