Print Current Page

Transcript

Print Current Page
Parole e poesia
Una raccolta di saggi della poetessa Patrizia Valduga, ora in edizione elegante e
aggiornata
/ 17.10.2016
di Stefano Vassere
«Che brutta parola la parola femminicidio: non mi piace perché non mi piace la parola femmina. In
biologia la si usa per indicare l’animale destinato a partorire i figli o a deporre le uova, e in botanica
per indicare la pianta che sa fare fiori solo di sesso femminile. Gli altri significati hanno una
connotazione decisamente spregiativa: si riferiscono a veri o presunti difetti o debolezze della donna,
oppure alla sua nuda e cruda sessualità».
Patrizia Valduga è Patrizia Valduga, la poetessa. La cosa non andrebbe certo ribadita non fosse che
per il fatto che questo Italiani, imparate l’italiano! non è un libro di poesie, e nemmeno di prose. Qui
la Patrizia si occupa, certo non rinunciando al vestito tutto suo che ormai le riconosciamo, di lingua
italiana e di sue rovine. Si tratta di articoli usciti nelle pagine del «Corriere della Sera», di
«Panorama», della «Repubblica». Alcuni sono anche di molto tempo fa, se si considera che le date di
pubblicazione vanno dal 1998 al 2012; poi, come annunciato in copertina, l’accrescimento di una
nuova edizione (che è peraltro molto elegante, in una collana delle «Edizioni d’if» di Napoli, una
copertina con risvolti di un rosso granata molto valdughiano e nobili caratteri mobili argentei che
corrono su tutta la superficie, sul recto e sul verso: molto bello).
Il procedere di questo libro è brontolone e assertivo, e l’intento è economicistico («perché dire così
quando si potrebbe dire più semplicemente cosà?»); la linea è quella, ma con maggiore eleganza, del
normativismo più classico e tradizionale. I consigli della poetessa sono qui tutti concentrati verso la
conservazione, e il cambiamento linguistico, quello che il supremo Chomsky chiama «creatività del
codice», non è legittimato. Un esempio? Tutta la predica a pagina 27 sulla scomparsa dei suffissi: «la
tendenza a mozzare, mozzicare, dei suffissi (–zione, –tura e soprattutto –mento) i sostantivi esistenti:
accavallo, allaccio, prolungo». È opinabile: la neutralizzazione dei suffissi è spesso salutare
operazione di pulizia, soprattutto quando non si sa scegliere tra –mento o –zione e si finisce per
pasticciare.
Con le parole l’esercizio viene decisamente più semplice. La scorribanda nel Dizionario Garzanti dei
Sinonimi e dei Contrari è tutto un cercare di non andare a cozzare con alternative anglofone ai
termini italiani: così, se al lemma attuale il dizionario risponde con up to date e a sitting room si
affianca, con grande dignità e amore per la nostra lingua, soggiorno, il Garzanti cede
miserevolmente alla tentazione di «trovare delle voci angloamericane con sinonimi angloamericani»,
con tanti saluti per l’italiano: «surf, Sinonimo windsurf, staff Sinonimo team». Ma bravi! Da piccoli ci
insegnavano che un vocabolario deve evitare la circolarità del rinvio a qualcosa che rimanda al
punto di partenza: un po’ traslato, si potrebbe dire che rinviare da prestito anglofono a prestito
anglofono, da parola inglese a parola inglese, dovrebbe essere, nella lessicografia italiana, pratica
severamente proibita.
Insomma, la predica di Patrizia Valduga è un po’ scontata e un po’ molto divertente. Ragionare sul
costume della nostra lingua italiana non è compito invidiabile, ma il libro si legge in un battibaleno e
in più punti con profitto. Non è in discussione che della nostra si facciano proferire (e qui non c’è
partita) i mirabili versi delle sue liriche; per fortuna, a portare dignitoso e silenzioso rispetto alla
lingua italiana, ci pensano le consone sedi delle sue raccolte poetiche. Come questa: «Io mi arrendo,
congedo i miei soldati, / la mia legione di sogni e di versi. / Combattete per altri disarmati, / vincete
in verità, miei sogni in versi».