Il fedelissimo di Renzi conferma “Ci chiesero di

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Il fedelissimo di Renzi conferma “Ci chiesero di
Per un giorno le Borse rimbalzano ma in tutta Europa si discute del problema
della banche italiane. Potremmo rimpiangere l’estate dello spread nel 2011
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Mercoledì 29 giugno 2016 – Anno 8 – n° 178
e 1,50 – Arretrati: e 3,00
Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma
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Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
LO SPETTRO DELL’ISIS Esplosioni e raffiche di mitra ai controlli di sicurezza
Premio di minoranza
Istanbul, kamikaze all’aeroporto:
“Almeno dieci morti e 60 feriti”
» MARCO TRAVAGLIO
P
q BARBONAGLIA A PAG. 19
COMPLOTTO SULL’ENI Andrea Bacci sentito come teste dai pm di Siracusa
Il fedelissimo di Renzi conferma
“Ci chiesero di fermare Descalzi”
p L’imprenditore vicino
al premier ha rivelato
che da ambienti iraniani
erano giunte pressioni:
“Dovete sostituirlo con
Umberto Vergine nel ruolo di ad”. E nei prossimi
giorni la procura sentirà
anche Lotti e Carrai
IL VERTICE La stima di Draghi ai leader
Il conto della Brexit: -0,5%
del Pil europeo in tre anni
q SOFFICI A PAG. 4
Mannelli
q BARBACETTO, FELTRI E MASSARI
A PAG. 2 - 3
La cattiveria
Per la Brexit decisivo il voto
degli anziani. Aveva ragione
Studio Aperto, non bisogna
farli uscire con il caldo
WWW.SPINOZA.IT
AMICI DI GOVERNO
Volley, miracolo:
Firenze ripescata
dai soliti noti
q DI FOGGIA A PAG. 14
Petrolio Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni LaPresse
QUEGLI UOMINI
IMPAGLIATI CHE
REGGONO L’UE
REFERENDUM
L’Agcom si sveglia, pronta la delibera
per dare spazio anche al “No” in tv
» BARBARA SPINELLI
N
el Parlamento europeo di
cui sono membro, quel
che colpisce, osservando la
reazione alla Brexit, è la diffusa assenza di autocritica.
A PAGINA 5
q TECCE A PAG. 7
PRETE DI STRADA
ISLANDA & EURO2016 Lo scrittore Stefànsson: “Come è nato il miracolo”
NORI CORBUCCI
“LA NOSTRA SAGA DI VULCANI E PALLONE”
» FRANCESCO MUSOLINO
I
Giuliani, De André
e la politica: ecco
i diari di don Gallo
q SANSA A PAG. 10 - 11
l segreto della squadra islandese? Gioca come una sola
persona. Tutti ci prendono
sottogamba e noi possiamo
giocare senza nessuna pressione contro tutti. Tanto,
c os ’abbiamo da perdere?”.
Considerato il più importante
scrittore islandese, Jòn Kalman Stefánsson – classe ’63,
poeta e autore della potente
trilogia Paradiso e Inferno (in Italia tutti i
suoi romanzi sono
pubblicati da Iperborea) – dopo aver
trascorso qualche
giorno in Italia per
presentare Grande come
l’universo – la seconda parte
della saga familiare avviata
con I pesci non hanno gambe –
è volato a casa, a Reykjavík,
per seguire “senza nessuna di-
strazione”, le prodezze dell’Islanda a Euro 2016. Nei suoi libri, aulici e al contempo affini alle tradizionali saghe scandinave, ritrae potenti
affreschi della sua terra
ma nel suo ultimo romanzo
pone al centro della scena il
rapporto del protagonista, Ari, con il padre morente.
SEGUE A PAGINA 20
“Bud e Sergio
chiusi in roulotte
con gli spaghetti”
q FERRUCCI A PAG. 21
overa Spagna, se avesse
l’Italicum, anzi l’Ispanicum, avrebbe un bel governo stabile. Invece niente. Il
trust di cervelli che guida il Pd e
purtroppo anche l’Italia ha riattaccato col solito mantra.
“Quanto accaduto in Spagna –
spiega il vicesegretario Pd Lorenzo Guerini – dovrebbe indurre a qualche riflessione chi
ci propone di cambiare l’Italicum che garantisce rappresentanza e governabilità”. E
q ue l l’altro genio di Stefano
Ceccanti, costituzionalista de
noantri, aggiunge: “Il voto spagnolo dimostra che in una situazione non più bipolare, se non si
opta per un sistema elettorale
che consenta ai cittadini di scegliere da chi essere governati
come avviene col doppio turno,
o si aprono le porte a larghe intese o si condanna la democrazia all’impotenza”. Già, perché
questi spudorati continuano a
definire “democrazia” il loro
modello antidemocratico. Intanto la cosiddetta “sinistra”
Pd, dopo aver votato l’Italicum
e la controriforma costituzionale, ora fa la boccuccia schifata
e chiede qualche ritocco qua e
là. Posizione ridicola. A pag. 13
Gianfranco Pasquino spiega
perché l’Italicum non è migliorabile: va cestinato e basta. Ma,
siccome i renziani tirano in ballo la Spagna, tanto vale prenderli sul serio. “Con un ballottaggio
tra Rajoy e Sanchez – sdottoreggia il Ceccanti – la Spagna avrebbe finalmente un vincitore
e un governo”. Bel “democratico”.
Il Ppe di Rajoy è arrivato primo alle penultime e alle ultime
elezioni, dove ha raccolto il 33%
dei voti. Cioè, avendo votato il
69% degli aventi diritto, rappresenta il 23% degli spagnoli.
Meno di un quarto. Perché mai
dovrebbe avere il 54% della Camera, come prevede l’Italicum,
e governare da solo? I premi di
maggioranza si chiamano così
perché aiutano a governare chi
ha la maggioranza, non chi è minoranza nel suo Paese. Per questo la Corte costituzionale, nella storica sentenza 1/2014 che
radeva al suolo il Porcellum,
ammetteva l’ipotesi di un premio di maggioranza, purché
fosse legato a una soglia minima, sotto la quale nessun premio è legittimo perché calpesta
l’art. 1 della Costituzione: la sovranità popolare. Allora i furbastri che ci governano, infischiandosene di non avere una
maggioranza legittima in Parlamento (gliel’ha regalata il premio illegittimo del Porcellum),
hanno studiato il modo di ingannare la Consulta, fissando una soglia così alta che nessuno ci
arriverà mai: il 40%. E hanno
previsto un trucchetto per annullarla quando non la si raggiunge, cioè sempre: il ballottaggio, unico al mondo, fra i primi due partiti.
SEGUE A PAGINA 24
2 » PRIMO PIANO
VIAGGIO PRESIDENZIALE
Mattarella dieci giorni
in America Latina
per le imprese italiane
| IL FATTO QUOTIDIANO | Mercoledì 29 Giugno 2016
IL PRESIDENTE Sergio Mattarella
sarà per dieci giorni in America Latina
(dal primo al 10 luglio) con l’obiettivo di cementare definitivamente i rapporti con Paesi da tempo considerati strategici dalla politica estera italiana. È soprattutto l’Argentina uno dei mercati più attraenti per l’Italia
e per sue grandi e medio piccole imprese.
L’Italia e l'Argentina hanno potenzialmente
q
un rapporto bilaterale privilegiato e possono avere un ruolo chiave nelle relazioni tra
l’Unione europea e il Mercosur. La visita del
presidente Mattarella partirà dal Messico:
un Paese di oltre 119 milioni di abitanti,
membro dell’Ocse e del G20, undicesima economia mondiale, la seconda dell’America
Latina. Un Paese strategico per le sue relazioni con gli Stati Uniti e le prospettive di
crescita nonostante la piaga del narco-traffico. Il capo dello Stato si sposterà poi in Uruguay dove avrà colloqui con il presidente
Tabaré Vazquez. Quindi l’Argentina con la
partecipazione, il 9 luglio a San Miguel de
Tucuman, alle celebrazioni del bicentenario
dell’indipendenza. Non mancheranno in
questa lunga visita al nuovo mondo incontri
con i nostri connazionali.
Bacci conferma tutto ai pm:
“Il complotto anti-Eni c’era”
Il primo testimone dei fedelissimi renziani in procura: ambienti iraniani
avrebbero preferito Vergine a Descalzi nel ruolo di amministratore delegato
“pressioni sul Giglio magico”
che Gaboardi, negli interrogatori, ha raccontato ai pm.
è un primo riscon- Pare che Bacci e Gaboardi,
tro alla tesi del com- peraltro, non si conoscano,
plotto internazio- circostanza che rende più atnale per far cadere tendibile, dal punto investil’amministratore delegato di gativo, la testimonianza
Eni, Claudio Descalzi. E arriva del l’uomo vicino a Renzi.
da un personaggio di primo Che però non ha definito copiano del Giglio magico: l’im- me una vera e propria presprenditore Andrea Bacci, sione l’intervento dell’i ml’uomo che ristrutturò la villa prenditore iraniano sul quale
del premier, grande amico e ha piuttosto nutrito parecchi
sostenitore di Matteo Renzi. dubbi, sia in quanto a capaciBacci ieri è stato sentito, come tà finanziarie, sia in quanto
persona informata sui fatti, alla solidità dei progetti. In
dalla Procura di Siracusa. altre parole, non l’ha giudicaL’indagine – come rivelato ie- to un personaggio attendibiri da il Fatto Quotidiano – ri- le.
Più che una pressione, coguarda un fascicolo per corruzione internazionale. L’ipote- munque, Bacci ha interpresi dell’accusa, che nasce dalla tato le parole dell’i r a n ia n o
testimonianza dell’indagato come una raccomandazione
Massimo Ga– pro VergiGaboardi ha rivendicato
governo nigeriano. Ed
boardi, è che
ne – rivolta a Gaincarlo Longo. Gli inquila paternità del docuè proprio da qui che
un gruppo di Primo riscontro
un intimo a- renti intendono verificare o- Prossimi teste
mento raccontando tutti
nasce l’accusa di conpersone si sia Quanto riferito
mico del pre- gni dettaglio fornito da Ga- Verranno ascoltati
i passaggi del presunto
corso in corruzione inmosso affinm i e r . Q u e l boardi.
come informati
complotto. Se la pista
ternazionale. L’origine
ché Descalzi ai magistrati
che conta, a
investigativa fos–
e
in
fondo
anche
il
rev e n i s s e r i- avvalora le accuse
questo pun- La promessa
sui fatti anche Carrai
bus – di questa indase confermata,
mosso. Non
t o , è c h e l a di denaro e preziosi
gine è tutta racchiuil complotto sasolo. Dall’in- dell’indagato Gaboardi versione di Nulla può escludere, per e- e Luca Lotti
sa in un dossier rerebbe stato
G a b o a r d i , sempio, che l’indagato sia
c h i e s t a ecapitato in procura
doppio, visto
sulle “p r e s- semplicemente venuto a comergono anche anche
che trame per danneggiare lo sioni” nei confronti di Bacci, noscenza di questo episodio rio Luca Lotti e Marco Car- circa un anno fa. Un
Renzi avrebbe
stesso Renzi, nel caso in cui a- sono state riscontrate: l’inda- e lo abbia poi inserito in un rai che, come nel caso di Bac- dossier dettagliadovuto subire
vesse continuato a sostenere gato aveva parlato proprio di teorema ancora tutto da ve- ci, avrebbero ricevuto pres- to. Un documento
un “a t ta c co ”
Descalzi, con lo scopo di con- un incontro tra Bacci e un i- rificare. E per verificarlo la sioni per cambiare la guida di che raccontava
pur di raggiunvincerlo ad abbandonare l’at- raniano. Il che non basta an- procura convocherà tutte le Eni. La lista dei testimoni è p a s s a g g i o p e r
gere l’ob ie tt icora, però, a rendere intera- persone che, a detta di Ga- lunga. Gaboardi ha elencato passaggio come
tuale numero uno di Eni.
vo. Uno scenamente credibile la versione boardi, sono a conoscenza decine di nomi a conoscenza raggiungere l’oA capo di imprese
rio da spy story
fornita alla Procura di Sira- sia del presunto complotto del presunto complotto. Per biettivo di far
da 70 milioni l’anno
che ovviamente
cusa, guidata da Francesco contro Descalzi, sia dell’e- il quale avrebbe ricevuto la cadere Descalzi
v a c o m p l e t aDel progetto, secondo la pi- Paolo Giordano e coadiuvato ventuale trama contro Ren- promessa di denaro o pietre e spingere al suo
mente verificato
sta investigativa, avrebbe be- n e ll ’indagine dal sostituto zi. A partire dal sottosegreta- preziose da esponenti del posto Vergine.
neficiato Umberto Vergine,
che dal giugno del 2015 ricopre in Eni la carica di chief
La mega tangente Il Cane a sei zampe e la concessione con la “mediazione” di Bisignani
LA STORIA
midstream gas & power officer: a lui sarebbe spettato, secondo i piani, il ruolo di nuovo amministratore delegato
del colosso petrolifero italiano. Vergine non è indagato né » GIANNI BARBACETTO
esiste alcuna prova che fosse
Milano
al corrente del presunto
ivelazioni o depistaggio, le
complotto. Ma è proprio di
notizie che arrivano da Si- Southwark Crown Court a veva comprato nel 2011 la con- condo le ipotesi d’accusa, per nigeriano Etete e l’italiano Di
Vergine che Bacci, ieri, ha
parlato ai pm. L’imprendito- racusa su un presunto com- renderlo esplicito, accoglien- cessione, pagando 1 miliardo e ottenere la concessione O- Capua, per piazzare la conre – a capo di un gruppo che plotto contro l’amministrato- do la richiesta dei pm Fabio De 90 milioni di dollari. Allora pl-245, l’Eni pagò una mega- cessione petrolifera. Era il
fattura circa 70 milioni di eu- re delegato di Eni Claudio De- Pasquale e Sergio Spadaro di Paolo Scaroni era ammini- tangente in Nigeria che in par- 2010 e le intercettazioni becro l’anno in settori che spa- scalzi? Per provare a capire, sequestrare in via preventiva stratore delegato e Descalzi te doveva rientrare in Italia. cavano Descalzi preavvisare
al nigeriano E- capo della divisione Oil. I soldi Protagonisti dell’operazione i Bisignani che l’affare in Nigeziano dalla moda all’immobi- bisogna tornare
meka Obi due andarono al governo nigeria- vertici dell’azienda petrolife- ria sembrava concluso. Poi
liare – ha raccontato di aver a l s e t t e m b r e
conti anglo-sviz- no, ma a incassare fu anche un ra, Scaroni e Descalzi, gli in- tutto era tornato in alto mare
incontrato, nel 2015, durante 2014, quando da
zeri di 110 e di 80 ex ministro del petrolio, Dan termediari italiani Luigi Bisi- e si era aperta la trattativa diil “forum del made in Italy”, Londra piomba
milioni di dolla- Etete, che per soli 20 milioni si gnani e Gianluca Di Capua, i retta tra Eni e Nigeria.
un facoltoso uomo d’affari i- un fulmine a ciel Dall’Africa
ri. Secondo i ma- era intestato, attraverso pre- nigeriani Etete, Obi e il figlio
Nell’aprile 2011 Eni versa 1
raniano. Durante l’incontro, sereno che cade Il neo presidente
gistrati italiani e stanomi, la concessione, ai dell’ex presidente Abacha, ol- miliardo e 90 milioni di dolil businessman iraniano gli a- su Roma e Milabritannici, sono tempi del dittatore Sani Aba- tre al russo Ednan Agaev. Ro- lari, Shell ne aggiunge altri
vrebbe parlato della possibi- no: l’informazio- Buhari
soldi che pro- cha. La notizia arrivata da ba da farci un film di 007.
lità di chiudere affari piutto- ne che la procura ha promesso
200. Nel 2013 però una causa
sto consistenti ma, nello stes- milanese sta invengono dall’af- Londra fu una bella botta, per
Era stato il pm napoletano civile a Londra rimette tutto
so tempo, si sarebbe presen- dagando Descal- pulizia e risposte
fare Opl-245: il Descalzi, prima nomina pub- Henry Woodcock, indagando in discussione. Il mediatore
tato come un convinto spon- zi per corruzione alle rogatorie
grande campo di blica importante dell’era di sulla premiata ditta Bisignani nigeriano Obi fa causa in Gran
sor di Vergine alla guida i n t e r n a zi o n a l e .
esplorazione pe- Matteo Renzi, che non aveva e la cosiddetta P4, a tirar fuori Bretagna a Etete che non gli
dell’Eni. In sostanza, Bacci Sono i giudici italiane
trolifera in Nige- confermato al vertice di Eni il dalla melma bituminosa i pri- riconosce il compenso per la
ha confermato una delle londinesi della
ria di cui l’Eni a- suo predecessore Scaroni. Se- mi contatti tra l’ex ministro mediazione. Deposita sms ed
» ANTONIO MASSARI
C’
inviato a Siracusa
R
Tutto cominciò con i conti anglo-svizzeri
sequestrati al nigeriano Emeka Obi
PRIMO PIANO
Mercoledì 29 Giugno 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |
OGGI IL PIANO
Italgas, scissione
da Snam e quotazione
in Borsa entro l’anno
TUTTO PRONTO in Snam per il nuovo
piano 2016-2020, ieri al vaglio del cda:
l’attesa è di strategie in continuità, con l’importante svolta dello scorporo di Italgas, la società
per la distribuzione del gas naturale in Italia. Il
mercato guarderà poi con attenzione anche
alle stime sui dividendi futuri della società guidata da Marco Alverà (in foto). Il piano sarà comunicato oggi prima dell’apertura di Borsa e
q
presentato quindi a Londra nel pomeriggio ad
analisti e investitori. L’attesa, da quanto filtrato, è comunque che la separazione di Italgas,
avvenga con uno scorporo parziale proporzionale con quotazione, come già fatto da Fca per
Ferrari. Nell’arco di pochi mesi, entro fine anno
se non già in autunno, Italgas arriverà insomma in Borsa. Dopo la scissione sarà l’azionista
principale dell’ex controllata Eni, a detenere le
»3
quote in Italgas: la Cdp che è azionista Snam
tramite Cdp Reti al 28,98% e tramite Cdp Gas
all’1,12%. Nel capitale Snam figura anche il patron di Iris Ceramica Romano Minozzi con il
3%. Lo spin-off dovrà comunque passare al vaglio di un’assemblea straordinaria degli azionisti. Mentre un gruppo di dieci banche tra cui
Banca Imi, Mediobanca e Unicredit, è al lavoro
su un finanziamento da 3,9 miliardi a Italgas.
Quell’intreccio
tra inchieste, nomine
e Giglio Magico
Proprio il governo Renzi ha provato a modificare
lo Statuto dell’azienda per far decadere un ad imputato
» STEFANO FELTRI
L
Intreccio
Il premier
Matteo Renzi
con il suo
fedelissimo
Luca Lotti.
A sinistra,
Marco Carrai
e più in alto,
Andrea Bacci
Ansa
L’accusa
Il pubblico
ministero
Fabio
De Pasquale
Ansa
e sul quale, nonostante il primo riscontro giunto da Bacci, la procura sta procedendo
con la massima cautela.
Gli scenari
possibili
Se il complotto per prendere
il controllo dell’Eni fosse autentico, e a maggior ragione
se qualcuno avesse architettato di colpire Renzi, per
raggiungere i propri scopi,
saremmo dinanzi a uno scenario davvero grave. Altrettanto inquietante, però, sarebbe lo scenario inverso: una procura impegnata a indagare sulla base di un documento e di una tesi che, per
ipotesi, si rivela poi stram-
e-mail scambiati con Descalzi
e documenta incontri come una cena tra Obi, Agaev, Etete e
Descalzi all’Hotel Principe di
Savoia di Milano. I giudici inglesi si convincono che Obi
abbia ragione. Scaroni ribatte, in un’audizione al Senato:
“Come sempre, non abbiamo
dato una lira a nessuno, non
abbiamo usato intermediari e
palata e, nel frattempo, coinvolge sia il colosso petrolifero italiano – con tutte le conseguenze che comporta sul
piano internazionale – sia il
presidente del Consiglio. Alle dichiarazioni di Gaboardi, però, da ieri si può aggiungere il riscontro di un
uomo del Giglio magico: è
vero, come sostiene l’indagato, che un uomo d’affari iraniano si presentò da Bacci
sponsorizzando Vergine e
proponendosi per affari milionari. Nelle prossime settimane toccherà a Lotti e
Carrai confermare le eventuali altre pressioni. E anche
a molti altri testimoni.
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abbiamo fatto la transazione
solo con lo Stato nigeriano”.
Nel frattempo, in Nigeria è
cambiato il governo e il nuovo
presidente eletto, Muhammadu Buhari, ha promesso
pulizia e risposte alle rogatorie italiane. A questo punto arrivano le notizie da Siracusa:
rivelazioni o depistaggio?
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e notizie sull’inchiesta di Siracusa sul
presunto complotto
contro l’a mm in istratore delegato dell’En i
Claudio Descalzi, rivelate ieri
dal Fatto, si inseriscono in un
contesto delicato in cui si intrecciano cronaca giudiziaria
e politica. Entro l’estate, la
Procura di Milano chiuderà
l’inchiesta per corruzione internazionale che vede indagato anche Descalzi. Come sempre, gli esiti possibili sono due:
i pm possono chiedere l’archiviazione o il rinvio a giudizio.
Verranno depositati gli atti di
indagine, si capirà molto di
più su quello che i pm hanno
scoperto sull’acquisto da parte di Eni e Shell nel 2011 della
concessione Opl245, con il pagamento di 1,3 miliardi al governo nigeriano che poi ha girato 1,1 miliardi alla società
Malabu, che sarebbe riconducibile a Dan Etete, che da ministro del Petrolio aveva assegnato la concessione proprio
alla Malabu.
A MAGGIO DEL 2014, Claudio
Descalzi viene nominato ad
dell’Eni, nonostante il suo predecessore, Paolo Scaroni, avesse provato di tutto per ottenere un terzo mandato. Il disappunto di Scaroni e di tutto
il blocco di potere che negli anni si è consolidato attorno a lui
è notevole. Dopo meno di tre
mesi, a settembre, esce la notizia che Descalzi è indagato
per corruzione internazionale, insieme a Scaroni dal quale però l’ad prende subito le distanze in
un inusuale colloquio con Gad Lerner, su Repubblica. Pochi giorni
dopo, un altro
degli accusati
nell’inchiesta
milanese, l’ex
manager Eni
in Africa Vincenzo Armanna, rivela a magistrati e giornali molti dettagli. In una
lunga conversazione con Rep u b b l i c a , A rmanna racconta tra l’altro di un
suo incontro con
Etete che avrebbe detto:
“Quando Descalzi non e-
I numeri
1,3
I miliardi
di euro pagati
da Eni e Shell
alla Nigeria
per la
concessione
Opl245
1,1
I miliardi
girati
dal governo
nigeriano
alla società
Malabu
200
I milioni
di dollari che
secondo
Armanna
sarebbero
serviti per
pagare
mazzette
L’impianto Xerox in Nigeria. Sotto, l’ad di Eni, Claudio Descalzi LaPresse
Poteri
È ormai chiaro
che gli “amici”
del premier sono
più influenti di Padoan
ra nessuno prendeva ordini da
me”. Secondo la versione di
Armanna, il compenso da 200
milioni di dollari preteso dal
mediatore Emeka Obi –poi accantonato quando Eni inizia a
trattare direttamente con il
governo – doveva servire a pagare mazzette, tra gli altri, anche ai manager italiani di Eni.
Di buona parte del miliardo
che il governo nigeriano ha pagato a Malabu si sono poi perse
le tracce. Armanna parla addirittura di “sponsor politici”
dell’operazione in Italia.
Se Descalzi sarà archiviato,
i sostenitori del complotto
troveranno altri argomenti. Se finirà a
processo, per il governo la situazione
potrebbe diventare imbarazzante:
era stato proprio il governo Renzi ad
aver provato, tramite
il ministero del Tesoro azionista, a
modificare lo stat u t o
dell’Eni
per far decadere un amministratore delegato imputato. I fondi di investimento internazionali
azionisti di Eni avevano mes-
so in minoranza il governo e
l’inasprimento dei requisiti di
onorabilità è stato abbandonato. Ora che alle accuse a Descalzi si sovrappone la teoria
del complotto, per il governo
potrebbe essere più agevole
difendere la poltrona di Descalzi dopo un’eventuale imputazione almeno fino alla
sentenza di primo grado. E
magari riconfermarlo nella
primavera del 2017, quando
scadrà il suo mandato triennale.
IN QUESTA LUNGA vigilia della
stagione delle nomine – il momento in cui i professionisti
delle relazioni non risparmiano colpi – l’inchiesta di Siracusa ha già avuto almeno un
effetto concreto: rendere esplicito che qualcuno è convinto che sull’Eni abbiano
molta più influenza gli amici
personali di Matteo Renzi anzichè i referenti ufficiali, come
il ministro dell’Economia Pier
Carlo Padoan. Sulla carta il
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti ha
la delega all’Editoria, Marco
Carrai è un imprenditore che
si occupa di sicurezza informatica e aeroporti; Andrea
Bacci ha ristrutturato la casa
del premier Matteo Renzi, ma
neppure lui ha alcun legame
con il settore energetico, eppure l’ex ad di Telecom Italia,
Marco Patuano, lo voleva a capo della controllata Sparkle
che gestisce i cavi transoceanici (che interessano a molti
del mondo dei servizi segreti).
I tre hanno iniziato a sfilare
davanti ai pm di Siracusa. Per
spiegare cosa sanno del presunto complotto contro Descalzi. E magari anche chi comanda davvero sull’Eni.
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4 » ESTERI
| IL FATTO QUOTIDIANO | Mercoledì 29 Giugno 2016
EDIMBURGO EUROPEISTA
L’Ue stoppa la Scozia:
“Non potete chiedere
subito di restare”
“IL PRESIDENTE Tusk è molto grato
per la richiesta d’incontro bilaterale da
parte della first minister della Scozia Nicola
Sturgeon ma ritiene che questo non sia il momento più appropriato data la situazione in
Gran Bretagna”. Così il portavoce del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, che
di fatto ha rifiutato un potenziale incontro tra i
due. I deputati scozzesi hanno ieri attribuito al-
la premier della Scozia Nicola Sturgeon un
mandato per tenere colloqui diretti con le istituzioni Ue e gli Stati membri in modo da tutelare il posto della Scozia nell’Unione europea. La mozione che assegna a Sturgeon il
mandato è stata approvata con 92 voti a 0, con
il sostegno di laburisti, libdem e Verdi, mentre i
Tories si sono astenuti. “Rispettiamo il volere
dei cittadini britannici, ma dobbiamo anche ri-
q
spettare i nostri trattati. In accordo con questi,
è il governo britannico a dover iniziare il processo di uscita dall’Unione europea. Questa è
l’unica via legale che abbiamo” il che “significa
che dobbiamo essere pazienti”, ha poi detto
Tusk parlando con i giornalisti a Bruxelles.
“L'Unione europea - ha aggiunto - è pronta a
iniziare il processo di divorzio anche oggi, senza alcun entusiasmo”.
BRUXELLES Scontro tra Juncker e Farage nell’Europarlamento,
Commissione e Consiglio litigano su chi deve trattare con Londra
Brexit, l’Ue sprofonda
nella rissa continua
» STEFANO FELTRI
I
l presidente della Bce Mario
Draghi ha presentato al
Consiglio europeo dei leader la stima del costo della
Brexit: il Pil dell’Unione perderà
lo 0,5 per cento nei prossimi tre
anni, anche per effetto delle svalutazioni della sterlina, secondo
un documento rivelato da
Bloomberg. In realtà nessuno sa
ancora davvero che forma avrà
la Brexit.
In superficie le istituzioni europee tengono una linea dura:
fuori subito e a condizioni che
faranno passare la voglia ad altri
movimenti populisti di proporre l’uscita dall’Unione. Nel Parlamento europeo convocato per
una seduta plenaria straordinaria, il presidente della Commissione Jean Claude Juncker è andato allo scontro con Nigel Farage, l’europarlamentare che
guida Ukip, gli indipendentisti
inglesi che sono i primi vincitori
del referendum sulla Brexit.
“Devo dire di essere sorpreso
dal vederla qui, lei non era per la
Brexit?”, dice Juncker. “Quando
sono arrivato qui 17 anni fa dicendo che volevo lanciare una
campagna perché la Gran Bretagna lasciasse la Ue mi avete riso tutti in faccia. Ora non ridete
più, vero?”, contrattacca Farage.
Juncker deve smentire di essere stanco e malato, dopo gli attacchi prima di Politico.eu, poi
della tedesca Faz, i malumori di
Le conseguenze
Draghi spiega ai leader
che il referendum
ridurrà il Pil dell’Unione
dello 0,5% in tre anni
altri Paesi Ue e l’umiliazione subita dal Consiglio, cioè dal coordinamento dei governi, che ha
deciso di non coinvolgere la
Commissione nel futuro negoziato con la Gran Bretagna
sull’uscita.
Sulla linea della cancelliera
Angela Merkel e del presidente
del Consiglio Donald Tusk, anche il presidente dell’Europarlamento Martin Schulz ha intimato a Londra di attivare la trattativa per l’uscita prevista
dall’articolo 50 del Trattato di
Lisbona (l’iniziativa spetta allo
Stato secessionista). Al suo arrivo a Bruxelles per il primo
Consiglio europeo dei 28 che
stanno per diventare 27, David
Cameron ha ribadito di non avere fretta e di aspettarsi un negoziato “co st ru tt iv o”, in cui
Londra perda cioè il meno possibile. “La Gran Bretagna lascerà l’Ue, ma non volterà le spalle
all’Europa, questi Paesi sono amici, alleati, partner”, ha detto il
premier dimissionario che poi
ha spiegato di auspicare cooperazione anche sul commercio e
sulla difesa.
Anche a Bruxelles al registro
della durezza si alterna quello
del dialogo. Schulz ha annunciato, un po’ a sorpresa, che la
Gran Bretagna dovrà indicare
un nuovo commissario europeo
dopo le dimissioni di Lord Jonathan Hill, che era titolare dei
servizi finanziari. Fino al termine del negoziato, in effetti, la
Gran Bretagna resta un Paese
membro a pieno titolo. E anche
da Tusk e Juncker è arrivato un
segnale in codice: dall’agenda
del vertice che si è aperto ieri sera è sparito il tema del Ttip, il
Quando
sono
arrivato qui
17 anni fa
dicendo
che volevo
lanciare
una
campagna
perché la
Gran
Bretagna
lasciasse la
Ue mi avete
riso tutti in
faccia. Ora
non ridete
più, vero?
NIGEL
FARAGE
Bandito
Farage
Il presidente
della Commissione Ue Juncker proibisce
di fotografare
il leader del
partito nazionalista britannico Farage. A
sinistra, Draghi Ansa/Reuters
trattato di libero scambio tra Usa e Ue che dovrebbe essere il
primo grande sviluppo europeo
dal quale la Gran Bretagna sarà
esclusa. Juncker e Tusk volevano che i leader ribadissero il loro
impegno, ma il tema è stato sospeso.
In questo contesto non stupisce che Draghi, dopo aver an-
nunciato maggiore cooperazione tra Banche centrali per gestire la conseguenza della Brexit,
abbia avvertito i leader del rischio che l’Unione europea appaia “i n g o v e r na b i l e ”. Per un
giorno le Borse rimbalzano, Milano chiude a +3,3%, ma chissà
per quanto durerà.
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Labour Corbyn, sfiduciato dall’81% dei parlamentari, non si dimette: “Ci vuole una nuova elezione”
LA STORIA
Tutti contro Jeremy: “Non sei un leader”
» CATERINA SOFFICI
Londra
C
e di non essersi impegnato a
fondo nella campagna del Remain contro il Leave pur di far
perdere David Cameron.
he le cose si mettevano
male per il leader laburista
Jeremy Corbyn si è capito ieri CON LUI il Labour non vince,
mattina: lo hanno sfiduciato ha sempre detto la fronda del
dal suo stesso collegio eletto- partito. Adesso possono dire:
rale, dove nelle Politiche del lui ci fa perdere. E non è più
maggio 2015 era
una fronda di
stato eletto con
blairiani centriuna sorta di plesti, ma una valanbiscito. Un collega, che contesta
gio particolare, British style
la sua leadership
quello di Islin- Intimidazioni,
al grido: “Sei una
brava persona,
gton, il quartiere
di Londra Nord, minacce, guerra
ma non sei un leader”. La rivolta è
roccaforte della intestina: più
sinistra radical
montata fin da
chic, che ha fatto che un partito
subito, dalla matsapere di non so- inglese sembra
tina dopo il voto
stenere più la sua
del referendum il
leadership. E così il Pd di Renzi
23 giugno, fino a
ieri è arrivato il
sfociare nel voto
responso della
di ieri. Nel weevotazione tra i parlamentari a kend è iniziata l’implosione
una mozione di sfiducia con- del Labour, con le defezioni
tro di lui: 172 contrari, 40 a fa- nello Shadow Cabinet, il govore, 4 astenuti. Ossia l’81 per verno ombra, che in due giorni
c e n t o . L a m a g g i o r a n z a sono state 46: 23 ministri (su
schiacciante dei deputati la- un totale di 30) e altrettanti
buristi vuole la sua testa. Ma il sottosegretari.
vecchio leader ha detto che
E mentre Corbyn prova a
non intende dimettersi. Cor- sostituire i dimissionari arriva
byn è accusato di aver brigato il voto di sfiducia. Cosa farà a-
C’eravamo
tanto amati
Jeremy
Corbyn con i
membri del
“governo ombra” formato
dai laburisti
LaPresse
desso? Resisterà contro l’evidenza, ora che anche la sinistra del partito ha deciso di farlo fuori? Si vedrà nelle prossime ore. Corbyn aveva avvertito i parlamentari ribelli che
non lo costringeranno mai a
dimettersi, perché vuole rispondere solo agli iscritti che
lo hanno eletto nelle primarie.
Il suo portavoce è stato chiaro:
“Non potrà essere un colpo di
mano tramato nei corridoi, ma
solo un nuova elezione a sostituirlo”. Sempre il portavoce
definisce “irrilevanti” le richieste di dimissioni e la diserzione in massa dei suoi mini-
stri, perché Corbyn sostiene di
avere l’appoggio della base.
SE CORBYN non si dimetterà
da solo, il Labour dovrà indire
una nuova elezione interna,
per contarsi e vedere se anche
gli elettori hanno voltato le
spalle al segretario come l’81
per cento dei parlamentari.
Per il momento è solo una
grande confusione, con i giornali britannici che raccontano
scenari da guerra intestina,
con intimidazioni, telefonate
minatorie, messaggini di fuoco e trame che fanno assomigliare il Labour più al Pd
nell’era Renzi che a un compassato partito anglosassone.
Sul fronte dei conservatori le
cose non sono più tranquille,
ma almeno si stanno chiarendo le dinamiche della successione al premier dimissionario David Cameron. Chi vorrà
proporre la propria candidatura (anche alla guida del governo, ammesso che non si vada a nuove elezioni) dovrà farlo entro domani a mezzogiorno. Almeno un punto fermo,
insieme a un’altra data: Cameron non si dimetterà più a ottobre ma ai primi di settembre,
quando sarà annunciato il suo
successore. Il Cancelliere dello Scacchiere, molto amico di
Cameron, ha già smentito le
voci che lo volevano tra i pretendenti: “Sarei troppo divisivo”. A sfidare la candidatura di
Boris Johnson sarà quasi sicuramente Theresa May, la nuova lady di ferro dei Tory, ministro dell’Interno, donna di
peso politico e di esperienza di
governo. Secondo un sondaggio di YouGov per il Times, la
May piacerebbe al 31% dell’elettorato conservatore, mentre l’ex sindaco di Londra sarebbe al 24% (ad aprile era al
36%).
E spunta anche un terzo nome, “seriamente intenzionato”a candidarsi: Jeremy Hunt,
ministro della Sanità, un falchetto poco popolare nel Paese, in guerra con i giovani dottori che vuole fare lavorare nel
weekend senza pagarli una
sterlina di più, contro il quale
ci sono stati già vari scioperi.
Sul fronte Brexit invece fa il
moderato, e la sua linea sarebbe quella norvegese: essere
fuori dalla Ue ma rimanere legati commercialmente all’Europa.
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ESTERI
Mercoledì 29 Giugno 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |
L’INTERVENTO
N
Chi è
BARBARA
SPINELLI
Dal maggio
del 2014 è
eurodeputata
nel gruppo
Sinistra
Unitaria
Europea/
Sinistra
Verde
Nordica
Barbara Spinelli Il risultato del referendum britannico è la vendetta
della realtà sulle astrazioni e i calcoli errati dei burocrati comunitari
menti collettivi vietati espressamente dalla legge internazionale e dalla Carta europea
dei diritti fondamentali.
Quanto ai migranti dell’Unione che vivono in Inghilterra, erano già a rischio in seguito
all’accordo dello scorso febbraio tra Ue e Cameron. Le politiche dell’Unione sui rifugiati sono un cumulo di rovine
che ha dato le ali alla xenofobia.
» BARBARA SPINELLI
el Parlamento europeo di cui
sono membro, quel che innanzitutto colpisce, osservando la reazione alla Brexit,è
la diffusa assenza di autocritica, di memoria storica, di allarme profondo – e anche di
qualsiasi curiosità – di fronte
al manifestarsi delle volontà
elettorali di un Paese membro. (Perché non va dimenticato che stiamo parlando di
un Paese ancora membro
dell’Unione). Una rimozione
collettiva che si rivela quanto
mai grottesca e catastrofica,
ma che dura da decenni. Meriterebbe studi molto accurati; mi limiterò a menzionare
alcuni punti essenziali.
5. Il ritorno alla sovranità che
n
1. Quel che manca è l’ammissione delle responsabilità, il
riconoscimento esplicito del
fallimento monumentale delle istituzioni europee e dei dirigenti nazionali: tutti. La cecità è totale, devastante e volontaria. Da anni, e in particolare dall’inizio della crisi del
2007-2008, istituzioni e governi conducono politiche di
austerità che hanno prodotto
solo povertà e recessione. Da
anni disprezzano e soffocano
uno scontento popolare crescente. Non hanno memoria
del passato –né quello lontano
né quello vicino. Sono come gli
uomini vuoti di Eliot: “Uomini
impagliati che s’appoggiano
l’un all’altro, la testa riempita
di paglia”. La loro ignoranza si
combina con una supponenza
senza limiti. Il suffragio universale ha tutte le colpe e le
classi dirigenti nessuna. È co-
LA COLPA DI AVER DIMENTICATO LA GREXIT
L’oblio del voto contro
il memorandum della troika
È diventato enorme il divario
tra volontà popolare ed élite
C’È OSTILITÀ PER LA DEMOCRAZIA DIRETTA
Da una parte la diffidenza
delle istituzioni comunitarie
Dall’altra politiche sui rifugiati
che alimentano la xenofobia
me se costoro, trovandosi a dover affrontare un esame di storia al primo anno d’università,
dicessero che le cause dell’avvento del nazismo sono addebitabili solo a chi votò Hitler,
senza mai menzionare le istituzioni di Weimar. Sarebbero
bocciati senza esitazione; qui
invece continuano a dare lezioni magistrali.
2. Nessun legame viene stabi-
La guerra
ateniese
Scontri tra polizia e manifestanti nel maggio 2011, una
delle fasi più
calde della crisi ellenica Ansa
lito tra la Brexit e l’evento disgregante che fu l’esperimento con la Grecia. Nulla hanno
contato le elezioni greche,
nulla il referendum che ha respinto il memorandum della
troika. Dopo i negoziati del luglio scorso il divario tra volontà popolare ed élite europea si
è fatto più che mai vasto, tan-
»5
I leader di paglia
dell’Unione: così
sono falliti i sogni
gibile e diffuso. Con più peso
evidentemente della Grecia, il
Regno Unito ha posto a suo
modo la questione centrale
della sovranità democratica,
anche se con nefaste connotazioni nazionalistiche: il suo
voto è rispettato, quello greco
no. Le lacerazioni prodotte dal
dibattito sulla Grexit hanno
contribuito a produrre il Brexit, e il ruolo svolto nella campagna dal fallito esperimento
Tsipras è stato ripetutamente
ostentato. Ma nelle classi politiche ormai la memoria dura
meno di un anno; di questo
passo tra poco usciranno di casa la mattina dimenticandosi
di essere ancora in mutande. È
per colpa loro che la realtà ha
infine fatto irruzione: Trump
negli Usa è la realtà, l’uscita inglese è la realtà. Il voto britannico è la vendetta della realtà
sulle astrazioni e i calcoli errati di Bruxelles.
3. La via d’uscita prospettata
dalle forze politiche consiste
in una falsa nuova Unione, a
più velocità e costituita da un
“nucleo centrale” più coeso e
interamente dominato dalla
Germania. Le parole d’ordine
restano immutate: austerità,
smantellamento dello Stato
sociale e dei diritti, e per quanto riguarda il commercio internazionale – Ttip, Tisa, Ceta
– piena libertà alle grandi cor-
I PROTAGONISTI
la maggioranza degli inglesi
ha detto di voler recuperare
mette in luce un ulteriore e più
vasto fallimento. L’Unio ne
doveva esser un baluardo per i
cittadini contro l’arbitrio dei
mercati globalizzati. La scommessa è perduta: le sovranità
nazionali escono ancora più
indebolite e l’Unione non protegge in alcun modo. Non è uno scudo ma il semplice portavoce dei mercati. La globalizzazione ha dato vita a una
sorta di costituzione non scritta dell’Unione, avversa a ogni
riforma-controllo del capitalismo e a ogni espressione di
scontento popolare, e in cui
tutti i poteri sono affidati a
un’oligarchia che non intende
rispondere a nessuno delle
proprie scelte. Sarà ricordata
come esemplare la risposta
data dal Commissario Malmström nell’ottobre 2015 a chi
l’interrogava sui movimenti
contrari a Ttip e Tisa: “Non ricevo il mio mandato dal popolo europeo”. Questa costituzione non scritta si chiama governance e poggia su un concetto caro alle élitefin dagli anni 70 (il vero inizio della crisi
economica e democratica): obiettivo non è il governo democratico ma la governabilità.
Il cittadino “governabile” è
per definizione passivo.
6. L’intera discussione sulla
Fatto a mano
Brexitsi sta svolgendo come se
l’alternativa si riducesse esclusivamente a due visioni
competitive: quella distruttiva dell’exit e quella autocompiaciuta e immutata del Remain. Le cose non stanno così.
C’è una terza via, rappresentata dalla critica radicale della
presente costruzione europea, dalla denuncia delle sue
azioni e dalla ricerca di un’alternativa. Era la linea di Tsipras prima che Syriza andasse
al governo. È la linea di Unidos
Podemos, che purtroppo non è
stata premiata. Resta il fatto
che questa tripolarità è del tutto assente dal dibattito.
JEAN CLAUDE
JUNCKER
L’ex premier
lussemburghese guida la
Commissione
Ue dal 27
giugno 2014
7. La democrazia diretta, i re-
DONALD
TUSK
L’ex premier
polacco
è presidente
del Consiglio
europeo
dal 2014
porazioni e ai mercati, distruzione delle norme europee,
neutralizzazione di contrappesi delle democrazie costituzionali come giustizia, Parlamenti e volontà popolari.
Lo status quo è difeso con
accanimento: nei rapporti che
sto seguendo come relatore
ombra per il Gue mi è stato impossibile inserire paragrafi
sulla questione sociale, sul
Welfare, sulla sovranità cittadina, sui fallimenti delle terapie di austerità.
4. Migrazione e rifugiati. È
stato un elemento centrale
della campagna per il Leave –
che ha puntato il dito sia su rifugiati e migranti extraeuropei, sia sull’immigrazione interna all’Ue –, ma le politiche
dell’Unione già hanno incorporato le idee delle destre estreme, negoziando accordi di
rimpatrio con la Turchia (e in
prospettiva con 16 paesi africani, dittature comprese come
Eritrea e Sudan) e non hanno
quindi una visione alternativa
a quella dell’Ukip. La Brexit su
questo punto è un disastro:
rafforzerà, ovunque, la paura
dello straniero e le estreme destre che invocano respingi-
ferendum, la cosiddetta e-democracy. Il gruppo centrale
del Parlamento li guarda con
un’ostilità che la Brexit accentuerà. La democrazia diretta è
certo rischiosa, ma quando il
rischio si concretizza, quasi
sempre la causa risiede nel fallimento della democrazia rappresentativa. Se per più legislature successive e indipendentemente dall’al t e r n ar s i
delle maggioranze la sensazione è che sia venuta meno la
rappresentatività e con essa la
responsabilità di chi è stato incaricato di decidere al posto
dei cittadini, i cittadini non ci
stanno più.
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6 » POLITICA
| IL FATTO QUOTIDIANO | Mercoledì 29 Giugno 2016
CINEGIORNALE LUCE
DALLA BREXIT
ALLA BRACE
» TO. RO.
,
NON TUTTE le Brexit vengono per
nuocere. I Tg Rai, ancora in lutto per le
Amministrative italiane e il referendum inglese, vogliono tornare a sorridere. Nel Tg1
delle 13 e 30, Matteo Renzi è protagonista solitario del secondo servizio. Il premier sfoggia il suo luccicante profilo internazionale da
Bruxelles. Nonostante il momento assai complesso, è
grande l’ottimismo. Con gli inglesi fuori – la teoria –
siamo di nuovo importanti. L’incipit: “Un ruolo dell’Italia tornato centrale per voltare rapidamente pagina e lavorare a un rilancio
dell’Europa”. Scorrono le immagini di baci,
abbracci e mani strette negli incontri con
Martin Schulz e Donald Tusk. Poi si cita un’intervista con la Cnn. Qui, malgrado la buona
volontà, la Rai è costretta a mandare un (breve) estratto in lingua inglese: “Nau is time tu have, ehm, so-
liditi of Iurop and olso cammon vellius”. Evidentemente
non si poteva scegliere di meglio. Malgrado i noti problemi di argomentazione e pronuncia, il servizio si
sforza di rendergli un ritratto credibile e rassicurante.
“Renzi risponde anche ai timori sulle manovre speculative sui mercati: le banche italiane sono solide, in
ogni caso siamo pronti a fare tutto il necessario per
garantire la sicurezza dei risparmiatori e dei cittadini”.
Durata del video monografico: un minuto e mezzo.
TRATTATIVA La principale richiesta italiana, la garanzia comune sui depositi, è bloccata da Berlino
Renzi promette: “Farò ciò che è necessario”, ma non sa cosa. Bruxelles tentenna sugli aiuti di Stato
» MARCO PALOMBI
L
a trattativa in corso con
l’Ue per sospendere il
divieto di aiuti di Stato
in materia di banche - e
varare così strumenti che consentano di intervenire in caso
di bisogno - è ufficiale. Il Fatto
l’aveva anticipata lunedì e ieri
il vicepresidente della Commissione Ue Dombrovskis,
l’ha confermata a Bloomberg:
“Siamo in stretto contatto con
le autorità italiane in merito a
possibili passi. Le diverse modalità sono ancora oggetto di
discussione”. Problema: non
c’è alcun accordo e, anzi, non
c’è alcuna visione comune su
come procedere. La garanzia
europea sui depositi bancari,
principale richiesta italiana, è
esclusa dalla Germania nonostante gli inviti di Mario Draghi (“non possiamo non risolvere i problemi delle banche”): restano solo i provvedimenti d’urgenza da prendere
col beneplacito Ue. Forse.
IERI MATTEO RENZI è parso
conscio della situazione: “Siamo pronti a fare tutto il necessario, se servirà, per garantire
la sicurezza dei risparmiatori
e dei cittadini”. Il premier però, pur baldanzoso a parole,
non è ancora convinto di procedere con la sospensione del
bail in (che vieta aiuti di Stato
in caso di crisi bancarie) anche
senza il consenso di Bruxelles
e Berlino. La situazione resta
pessima: il rimbalzo di ieri in
Borsa non deve ingannare (U-
IL COMMENTO
Banche, niente accordo nell’Ue
L’Italia dovrà cavarsela da sola
I numeri
84
miliardi:
le sofferenze
nette (cioè
detratte
le perdite già
coperte) nelle
nostre banche
Quelle lorde
sono 200
miliardi
40
Il vertice
L’incontro
di ieri tra
Matteo Renzi
e il presidente
del Consiglio
europeo,
Donald Tusk
Ansa
nicredit ha chiuso in rosso),
perché i grandi fondi Usa stanno ancora disinvestendo
dall’Europa. “Renzi farà quel
che deve, se serve”, dice una
fonte: in sostanza, non lascerà
crollare le banche senza far
nulla ed è escluso che ricorra
agli aiuti europei tipo Fondo
Esm, che significa Troika.
Come procederà allora?
Nessuno lo sa, neanche lui.
Tutte le opzioni sono sul tavolo: “Le banche italiane - ha detto, tra le altre cose, ieri - sono
solide, ma hanno un problema:
la mancata decisione da parte
dei miei predecessori di utilizzare una bad bank pubblica”
per le sofferenze. La bad bank
pubblica o con piena garanzia
pubblica è la vera richiesta degli istituti italiani, assai preoccupati invece dall’ipotesi che
lo Stato diventi loro azionista:
“Non auspico che l’orologio
della storia torni indietro”, dice il presidente dell’Abi Antonio Patuelli.
In realtà, l’ipotesi di interventi anche a livello di capitale
(magari con una versione ag-
miliardi: le
dimensioni
dell’intervento
allo studio del
governo (che
ne sta
discutendo
con l’Unione
europea) tra
aumenti di
capitale e
interventi nei
crediti
deteriorati
le hanno a bilancio. E qui serve
una breve spiegazione.
Le sofferenze, com’è noto,
sono i crediti che le banche
non riescono a farsi ripagare:
nei bilanci vengono svalutate,
nel senso che gli istituti coprono le probabili perdite. In generale, nelle banche italiane ce
ne sono per 200 miliardi di euro, svalutate del 58% (84 miliardi di “sofferenze nette”):
significa che, in media, le nostre banche pensano di recuIL TEMA centraperare 42 euro ole, e più oneroso,
gni 100 di prestiti
resta comunque
in sofferenza
quello delle sof(vendendo le gaferenze. I desi- Ordini da Intesa
ranzie). Messina
derata dei grandi L’ad Messina
e soci pensano
istituti li mette a
che i futuri acquiv e r b a l e C a r l o vuole la bad bank r e n t i d e b b a n o
Messina, mana- “Le sofferenze
comprare dalle
ger di Intesa Sanbanche le soffepaolo: “Il Fondo vanno comprate
renze a 35-40 euAtlante adesso ai valori scritti
ro (quelle di Etrudeve lavorare
ria furono valutasulle sofferenze e nel bilancio”
te 17 euro): può
farlo a valori
farlo un fondo
prossimi a quelli
privato che ha
di carico. Sennò mi prendevo quasi finito i soldi? No, non c’è
Blackrock”(un fondo che vuo- guadagno. Resta lo Stato, che
le specularci sopra, ndr). L’i- ci può anche perdere: senza
dea di fare aumenti di capitale però – a questo i banchieri ci
per svalutare ancora le soffe- tengono – mettere in discusrenze non mi sembra buona”. sione proprietà della banca, i
Messina, in sostanza, ordina loro stipendi, i futuri dividendi
ad Atlante – ma in realtà al go- degli azionisti. “Sennò mi
verno – di comprare le soffe- prendevo Blackrock”.
renze al prezzo a cui gli istituti
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giornata dei Monti bond) non
è tramontata: portati a casa gli
aumenti di capitale di Pop Vicenza e Veneto Banca (sgravando, peraltro, Unicredit e
Intesa dall’impegno di garantirli), il Fondo Atlante ha praticamente finito i fondi messi
assieme a questo fine grazie a
banche, assicurazioni, Cdp e
Fondazioni. Problema: gli istituti che hanno bisogno di soldi
non sono finiti.
Il caos dopo la riforma Sindaci e consiglieri regionali si troveranno a decidere sulle questioni chiave dell’Ue
L’EUROPA OSTAGGIO DEL NUOVO SENATO
» GIULIO TREMONTI
L’intervento
Pubblichiamo uno
stralcio
dell’intervento
di due giorni
fa in Senato
di Giulio
Tremonti,
ex ministro
dell’Economia,
ora senatore
di Gal. Ha
appena
pubblicato
“Mundus
Furiosus”
(Mondadori)
n
I
I fatti di questi giorni ci dimostrano in modo drammatico la centralità della
questione europea. Certo, l’Europa era già entrata, e vastamente, nella nostra vita. L’80%
circa della legislazione interna
italiana è già di matrice europea: si va dalle materie più importanti, si pensi ad esempio alla materia del risparmio; per arrivare alle materie più stravaganti. A titolo indicativo, ancora due mesi fa l’ultima legge comunitaria si occupava imperterrita di basilico e rosmarino,
di salvia e di tartufi. Ma la centralità della questione europea
emerge oggi in forma assoluta e
drammatica con l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
A fronte della crisi europea
il Capo del Governo ha detto
che la sua visione, la sua azione
e, soprattutto, la sua nuova
Costituzione, sono fatte per di-
fenderci. Ci si permetta di
dubitarne. Anche di dubitare di quest’ultima, della nuova Costituzione.
Sul quadrante europeo
la nuova Costituzione
non è infatti, e non sarà
affatto, uno scudo protettivo, ma piuttosto un
pericolo aggiuntivo. Nella
storia e nel mondo non c’è infatti il caso, il precedente, di una Camera – come sarebbe il
nuovo Senato – una Camera
con origine locale, ma con competenza internazionale ed in
specie con competenza proiettata su di una materia strategica e decisiva come soprattutto oggi è la materia europea.
Materia intorno a cui, tanto
nel caso che si scelga di restare
nell’Unione, quanto nel caso
che si scelga di uscirne, ruota e
ruoterà l’asse della politica di
tutti gli Stati europei.
La nuova Costituzione italiana sarebbe un male in tempi
normali, ma sarà un tragico er-
L’ex ministro
Giulio
Tremonti, 68
anni, è stato
ministro
dell’Economia
fino
al novembre
del 2011
Ansa
rore nel tempo di ferro che
sta arrivando. Se c’è stato,
e c’è stato, un tragico errore da parte dei “costituenti” è stato quello di
scambiare le Regioni
con il Senato e di attribuire al Senato competenze “europee” più o meno simili a quelle che hanno
le Regioni. Ma non considerando che la competenza legislativa delle Regioni è comunque limitata dallo Stato, mentre quella del nuovo Senato è
illimitata. Ed anzi, sempre nella nuova Costituzione, è assurdamente estesa (secondo tragico errore) anche alla revisione costituzionale! In specie,
negli articoli 55 e 70 si parla 4
volte di Unione europea per
dare al nuovo Senato competenza legislativa concorrente,
paritetica, forse anche esclusiva, in materia di: “ra p po rt i
dell’Italia con l’Unione europea”. A chiusura, nell’articolo
87 si dispone che il Presidente
della Repubblica: “ratifica i
Trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’U ni on e
europea previa autorizzazione di entrambe le Camere”.
Tanto per parlare di fine del bicameralismo. Così che: 21 Sindaci casuali ed a tempo parziale; 5 nuovi padri della patria,
ma a tempo determinato, solo
per 7 anni; una settantina di
consiglieri regionali; la somma
di questi addendi eterogenei avrà competenza sul rapporto
dell’Italia con l’Europa e perciò competenza sul nostro destino.
Saranno senatori meno numerosi, ma proprio per questo
molto più potenti. Una compagine che, così fatta, per forza di
cose sarà via via sempre più asimmetrica, rispetto alla maggioranza politica della Camera; sempre più eterogenea, casuale ed erratica; comunque
fatalmente saranno senatori
destinati ad avere un proprio e
crescente potere di voto, di ve-
to, di ricatto.
Più di due anni fa il presidente Renzi si è presentato
nell’Aula del Senato annunziandosi come l’ultimo Presidente a chiedere la fiducia al
Senato. In un prossimo futuro
potrebbe avere ragione per
pentirsene, dovendo recarsi
nel suo nuovo Senato, un Senato che per certo sarà certamente vischioso e paludoso, per
chiedere voti che saranno sempre più decisivi per le sorti del
Paese, ma senza poter imporre
la fiducia. Per avere i voti dovrà andarci, nel nuovo Senato,
in compagnia di indovini, di
cartomanti o peggio.
Dobbiamo constatare che il
bicameralismo non è stato affatto abolito, come è nella narrazione televisiva, ma concentrato e distorto: un bicameralismo suicida, dentro una Costituzione che non porterà la
fine della confusione, ma una
confusione senza fine.
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POLITICA
Mercoledì 29 Giugno 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |
LIVORNO A 5STELLE
Nogarin, rimpasto
in Municipio con
due nuovi assessori
LA POLEMICA
» CARLO TECCE
C
on plateale ritardo, e
forse per inerzia, l’Agcom sta per intervenire
sul referendum costituzionale di ottobre per raddrizzare lo squilibrio televisivo. I resoconti di Geca, società
che monitora i programmi per
l’Autorità, hanno delineato una situazione d’emergenza.
L’argomento è la riforma che
porta il nome di Maria Elena
Boschi: le ragioni del Sì debordano ovunque, il comitato del
No racimola secondi (addirittura due minuti per il presidente, il professore Alessandro Pace).
All’Autorità di garanzia per
le comunicazioni, mercoledì
prossimo, è previsto un consiglio per licenziare un provvedimento che dovrebbe assicu-
UN RIMPASTO “per essere più incisivi”. Così il sindaco M5s di Livorno, Filippo Nogarin, spiega il cambio di due assessori
della sua giunta, accompagnato da una redistribuzione delle deleghe. La prima novità è
Francesco Belais, giornalista e dj, volto di Livorno Rainbow (la rete che si batte per i diritti della
comunità Lgbt e contro l’omofobia) che prende le deleghe alla Cultura e al turismo al posto
q
di Serafino Fasulo. Andrea Morini, ex portavoce del sindaco, prende invece le deleghe al
Coordinamento del programma e allo Sport,
sostituendo Nicola Perullo. I due uscenti Fasulo e Perullo verranno compensati con incarichi
di consiglieri del sindaco. L’assessore al bilancio Gianni Lemmetti viene invece alleggerito
delle competenze su patrimonio e demanio
per passarle a Giuseppe Vece, nominato tre
rare una corretta informazione
nel periodo estivo fino all’avvento della par condicio (scatta
un mese e mezzo prima del voto, dunque agli inizi di settembre). Come funziona: si tratta di
un atto di indirizzo, una prescrizione per intimare le emit-
ROMA
» ANDREA MANAGÒ
S
alvo sorprese dell’ultima ora,
sarà Daniela Morgante l’assessore al Bilancio della giunta di Virginia Raggi. Ieri, infatti, il giudice
della Corte dei conti è stata circa
due ore in Campidoglio a colloquio con la neo sindaca di Roma.
Per la Morgante si tratterebbe di
un clamoroso ritorno a Palazzo
Senatorio, visto che ha già ricoperto quel ruolo nella prima giunta di
Ignazio Marino. Nel 2014, poi, “la
lady dei conti” perse il posto, dopo
una lunga serie di schermaglie con
l’allora sindaco, in seguito a una divergenza di posizioni nella gestione di un accordo transattivo tra il
Comune e il consorzio dei costruttori della Metro C, per far ripartire
i cantieri dell’opera. Il suo nome si
è fatto strada dopo una serie di no
incassati nei giorni scorsi dalla
Raggi. Un incontro per un sempli-
mesi fa per occuparsi di Ambiente e mobilità.
Nogarin assicura: “Volevamo valorizzare
quanto fatto finora ed essere più incisivi nel
raggiungimento degli obiettivi”. A Livorno invece ancora ridono per la beffa del pugile Lenny
Bottai, uomo notoriamente di sinistra, che su
Facebook aveva annunciato di essere il nuovo
assessore allo Sport. Le agenzie avevano battuto la notizia. Ma era solo uno scherzo.
Il Consiglio Riunione la settimana prossima per risolvere gli squilibri
dopo l’occupazione delle tv da parte dei fautori della riforma Boschi
L’Agcom si sveglia
e interviene
sul referendum
LA PAGELLA
Studio
Geca
spettinato la seriosità istituzionale dei vertici Agcom. All’improvviso, però, l’Autorità si rianima. Perché? Semplice: lo scenario politico è mutato, se non
proprio stravolto, il renzismo è
calante dopo la disfatta nei Comuni, e fra esposti e denunce
l’Agcom è assediata. Per troppo
tempo s’è indugiato non sapendo – in maniera strumentale –
quale norma richiamare o quale precedente riesumare, adesso i commissari più preparati
fanno notare che non occorre
aspettare la convocazione elettorale per tutelare l’informazione sul referendum confermativo.
Comitati del Sì e del No
I commissari pensano
a un atto di indirizzo per
imporre alle emittenti
spazi uguali da subito
E la Rai si salva?
Al vaglio c’è anche
l’ipotesi di richiamare
l’azienda, che risulta
la meno corretta
»7
Il professore Angelo Marcello Cardani, presiede l’Agcom dal 2012 Ansa
tenti – le aziende private e pure
la pubblica Rai – a trattare il referendum all’interno dei palinsesti (non tribune politiche, è
ancora presto) e concedere identico accesso agli schieramenti opposti. C’è anche una
seconda ipotesi: inviare un ri-
chiamo a Viale Mazzini, perché
l’azienda pubblica è la più indisciplinata. Sul punto non c’è
accordo fra i commissari.
Neanche le statistiche Geca,
sfruttate per una vigorosa protesta di Cinque Stelle, Forza Italia e Sinistra Italiana, hanno
COSÌ L’AU TO R I T À , fra sette
giorni, tenterà di rimediare a una tenzone con la politica che
ha raggiunto l’apoteosi durante
l’audizione in Vigilanza Rai di
Angelo Marcello Cardani. Il
presidente, nominato dal governo tecnico di Mario Monti,
ha ingaggiato un battibecco con
Roberto Fico per ripudiare il lavoro di Geca (contestato da
molti in Agcom): “Questi dati
sono dati estremamente delicati, sono soggetti potenzialmente a uso improprio. Gli uffici, del
resto, lo dico con il massimo rispetto, hanno anche altro da fare e sono oberati dalle attività
che derivano dagli adempimenti di legge”. Il significato: il
referendum costituzionale, per
Cardani, non è una questione
Nigel Farage
Strano questo Nigel Farage.
Fuoco e fiamme per
uscirsene dall’Europa e
adesso dice che fino
all’ultimo, “finché tutto il
lavoro non sarà fatto”,
siederà a Bruxelles da
europarlamentare. E suo
malgrado sarà costretto a
farsi bonificare la
stramaledettissima
indennità, e purtroppo
continuerà ad avere amicizia
con gli odiatissimi euro. Il
professor Coerenza.
ANTONELLO CAPORALE
d’attualità, anzi è un fastidio.
Oltre ai rimproveri di Renato
Brunetta e agli sberleffi dei parlamentari di sinistra (“non s’è
accorto che la campagna è in
corso da mesi”), Cardani s’è ritrovato con il consiglio sfaldato
e un po’ irrequieto. E allora ha
deciso di decidere. Il professore Pace sollecita da mesi l’attenzione dell’Agcom sul referendum di ottobre, e da mesi – come dimostra una lettera protocollata a febbraio firmata da
Cardani – l’Agcom promette di
vigilare. Niente è accaduto.
Finché il renzismo non s’è inceppato.
La magistrata ricevuta in Comune, Frongia capo di gabinetto
vengono considerati
dalla Raggi i due assessorati chiave della
sua giunta, che dovrebbe essere presentata il 7 luglio. Con lei
lavorano alla composizione della squadra
di governo sia Paola
Taverna sia Roberta
Virginia Raggi, sindaco
Lombardi, impegnadi Roma per il M5s Ansa
te sottotraccia in un
GIÀ DURANTE la sua
precedente esperienza romana, il derby tutto interno ai 5Stelle sulle
giudice e i consiglieri pentastellati nomine. E al momento appare in
non avevano mai nascosto l’ap- vantaggio la senatrice. Perché
prezzamento reciproco. La Mor- Marcello De Vito, in predicato di
gante è stimata per il suo rigore, dal ottenere la presidenza dell’Asbilancio 2013, quando eliminò la semblea Capitolina, sembra l’uniconsueta “manovra d’aula” con co esponente vicino alla Lombardi
fondi da destinare a progetti dei sicuro di un ruolo di rilievo. Sull’alsingoli consiglieri. Casa e Bilancio tro nuovo tassello per la giunta e-
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Caporedattore centrale Edoardo Novella
Vicecaporedattore vicario Eduardo Di Blasi
Vicecaporedattore Stefano Citati
Art director Fabio Corsi
Raggi, un po’ di Marino nella giunta
Al Bilancio l’ex assessore Morgante
ce “saluto di cortesia”, la versione ufficiale dello staff a
5Stelle. Ma dal Comune filtra che alla
Morgante sarebbe
stato chiesto formalmente di tornare a
occuparsi dei conti
della Capitale.
La scorsa
settimana, in
Vigilanza Rai
s’è discusso
dello spazio
concesso al
fronte del Sì
(che sostiene
la riforma
Boschi) e al
fronte del No
sulla base
delle
rilevazioni
che la società
Geca fornisce
all’Agcom.
Un dato:
il premier
Matteo Renzi
ha parlato per
sette ore, in
due mesi,
contro un
minuto e 19
secondi
concessi al
professore
Alessandro
Pace,
presidente
del comitato
del No,
contando
tutti i
programmi
gestiti dai
telegiornali
Rai (Tg1,
Tg2, Tg3 e
Rainews)
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Editoriale il Fatto S.p.A.
sede legale: 00193 Roma , Via Valadier n° 42
merso ieri, Laura Baldassarre, responsabile dell’advocacydell’Unicef Italia, in lizza per la delega al
Sociale, sembra che invece abbia
pesato la sponsorizzazione di Luigi Di Maio. Di sicuro ieri la Raggi si
è assicurata che a ricoprire il ruolo
di capo di Gabinetto vada Daniele
Frongia, nonostante i dubbi su una
possibile incompatibilità con il
ruolo di un consigliere eletto in base alla legge Severino.
Per giovedì, intanto, è attesa una
riunione informale dei capigruppo. Sembra sia a buon punto la lista
dei presidenti di Commissione. In
casa Pd, invece, acque agitate per
un altro derby tra Michela De Biase
e Valeria Baglio, per chi debba ricoprire il ruolo di capogruppo.
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8 » POLITICA
INSIDER
| IL FATTO QUOTIDIANO | Mercoledì 29 Giugno 2016
INTERPELLANZA DEM
CONTRO I SITI DEL M5S
» INSIDER.ILFATTOQUOTIDIANO.IT
DOPO LA BATOSTA
» GIANLUCA ROSELLI
A
vete visto i numeri
come calano? Per la
fiducia 336 voti a favore non sono un
granché, qui di solito si viaggia su cifre più alte…”. Seduti
su un divanetto del Transatlantico di Montecitorio alcuni deputati del Pd, naturalmente di minoranza, guardano quasi divertiti quello che
succede davanti a loro. Ieri a
Montecitorio è stato approvato con la 59esima fiducia
(336 voti a favore, appunto, e
178 contrari) il quarto decreto
banche, un provvedimento il
cui esito era scontato. Ma il
punto è un altro. “Dopo la
sconfitta alle urne, il governo
non può più andare avanti in
questo modo, a colpi di fiducia su provvedimenti che ci alienano le simpatie degli elettori. Anche se questo decreto
può essere utile ai risparmiatori, quello che arriva all’opinione pubblica è l’ennesimo
provvedimento di un governo amico delle banche. E così
i consensi se ne vanno, volano
via verso i 5Stelle”, osserva uno dei deputati. Per la cronaca, mentre il Pd era intento a
puntellare l’ennesima fiducia, i grillini facevano un bel
sit-in a Via XX Settembre, davanti al ministero dell’Economia, per protestare contro il
decreto. “Ecco vedete, saranno pure populisti, ma passano
come quelli vicini ai cittadini,
mentre noi siamo quelli che
salvano i banchieri”, commenta un altro del gruppo.
IL PROBLEMA, manco a dirlo,
ha un nome e un cognome,
Matteo Renzi. Può andare avanti così, con i suoi modi da
bullo, usando il lanciafiamme
contro tutti, un premier che
ha preso una sonora batosta
alle amministrative e ora non
è più sicuro di vincere nemmeno il referendum sulle ri-
IL COMMENTO
,
UN’INTERPELLANZA del Pd al presidente del Consiglio e al ministero per lo
Sviluppo economico, per chiedere paletti per i
siti del M5s e il blog di Beppe Grillo. La depositerà oggi il deputato dem Paolo Coppola, invocando provvedimenti per limitare l’uso da
parte di “partiti e movimenti” del clickbait: ovvero, una
pratica promozionale basata sulla pubblicazione di
contenuti web con titoli sensazionalistici o immagini
per attirare, talvolta in modo fraudolento, gli utenti sulla propria pagina web o su quella della
propria azienda”. Ma dov’è la connessione con
la politica? “L'utilizzo del clickbait – continua il
testo – ha trovato ampia diffusione sul sito web
di una nota forza politica (il M5s, ndr) che, attraverso i social network, ne fa ampio uso indirizzando
gli utenti della pagina ufficiale Facebook del M5s verso
siti web di proprietà personale come quello di Beppe
Grillo, e successivamente indirizzati verso siti di proprietà aziendale, a loro volta di proprietà della Casaleggio associati”. Pertanto, si chiede “se non sia necessario adottare quanto prima provvedimenti per regolamentare la materia , e di valutare l’opportunità di
limitarne l'utilizzo da parte di partiti, movimenti e rappresentanti istituzionali”. E infine, “quale sia la valutazione del governo sull’utilizzazione del clickbaitquale forma di finanziamento dei partiti”.
“Renzi non può più
comandare come prima”
Viaggio in Transatlantico tra i malumori della minoranza e gli alleati riottosi
Maretta Il presidente del Consiglio Matteo Renzi a Montecitorio tra i parlamentari del Pd Ansa
Lo scontento
I dissidenti : “Governo
amico delle banche”
Portas: “Dovrà
spiegare in Direzione”
forme? “La Brexit l’ha salvato,
speriamo che questi giorni gli
abbiano portato consiglio, ma
lunedì in Direzione dovrà dare delle risposte. Qualcosa dovrà cambiare, nel governo e
nei rapporti con la minoranza,
anche se poi le elezioni le abbiamo perse tutti, non solo
lui”, osserva il deputato torinese Giacomo Portas che, dopo il 5 giugno, aveva quasi previsto la sconfitta di Fassino.
59
Il numero dei voti
di fiducia alla Camera
con questo esecutivo
“Dopo le amministrative l’aria è cambiata. Lo vediamo
dalle fibrillazioni all’interno
del Pd. Tra un po’ a v r em o
molta compagnia”, osserva
Davide Zoggia, minoranza.
“Da qui in avanti mi auguro di
vedere un Renzi diverso, senza abiti da bullo e lanciafiamme. In questo modo possiamo
aiutarlo a risollevare il Pd e
anche il Paese. A patto, però,
che il governo si decida a met-
tere in campo politiche di sinistra, l’unica strada per tornare a parlare con il nostro popolo in fuga”, continua. I movimenti delle correnti Pd fanno sorridere Nico Stumpo: “Si
vede che il renzismo è come
un’influenza, prima o poi passa. Tutti improvvisamente si
ricordano di quello che erano
prima…”.
IL TEMA , naturalmente, va ol-
tre il Pd e si allarga alla maggioranza. Sentite cos’ha detto,
due giorni fa, Paola Binetti
(Ap): “Si parla di banche e
riappare la fiducia, sembra un
rituale scontato. Il governo la
pone in un momento in cui di
fiducia, in giro, ce n’è sempre
meno: sorprende per la forte
inopportunità psicologica del
momento. E sorprende anche
il malumore che serpeggia nei
partiti che sostengono la maggioranza. Renzi sta su una
barca che ogni giorno si riempie di amarezze e delusioni…”.
Anche gli alleati, dunque,
fibrillano. E di fronte a queste
parole torna in mente l’ipotesi
ventilata da Angelino Alfano
qualche tempo fa, quella di un
appoggio esterno al governo
in autunno. È davvero così? Area popolare sembra divisa.
“Dopo la Brexit, la situazione
è troppo seria per fare gli
schizzinosi. Togliere aiuto alle banche significa toglierlo ai
risparmiatori. Detto questo,
un malcontento nella maggioranza è evidente, Renzi arranca stretto tra referendum e
polemiche interne al Pd”, osserva un altro deputato di Ap,
Sergio Pizzolante. Insomma,
un cambio di passo, e di atteggiamento, lo invocano tutti.
Anche se poi non è detto, se
le cose peggiorano, che tutti
remeranno nella stessa direzione. “Quando ti circondi di
opportunisti, sono loro i primi
a mollarti”, dice Franco Monaco. “Ho visto in Aula un
Renzi molto meno baldanzoso, come se avesse abbassato
la cresta”, sottolinea Raffaele
Volpi, leghista di lungo corso.
“Del resto – aggiunge - alle
amministrative il premier ha
preso una bastonata e ora rischia anche sul referendum.
Così debole, forse, non è mai
stato. Da qui in avanti la partita si fa molto interessante…”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Già vecchio Il premier cambia la Carta e inventa una legge elettorale mai vista per tenere il potere
NO A UNA RIFORMA PER USO PERSONALE
» PAOLO CIRINO POMICINO
C
aro direttore, i risultati
delle ultime Amministrative, per giudizio unanime, hanno registrato chiaramente una sconfitta del Pd,
una traballante tenuta del centrodestra e un successo del M5S
che va al di là della conquista di
Roma e Torino. Ma i risultati
dicono ben altro. Se il successo
dei grillini è frutto della voglia
di cambiamento, come dicono
tutti, compreso il premier che è
il primo degli sconfitti, è segno
che il sistema politico italiano
ha incorporato una volatilità
che ricorda quella dei mercati
finanziari.
Nelle elezioni europee del
2014 la novità, con annessa voglia di cambiamento, si chia-
mava Renzi e 24 mesi dopo
quella novità è già diventata
“vecchia” mentre resta intatta, anzi si accentua, quella voglia di cambiamento oggi intercettata dal M5S. Un sistema politico volatile alimenta
la instabilità politica e la governabilità di un Paese moderno non potrà mai essere recuperata a danno della democrazia come da due anni cerca di
fare disperatamente Renzi.
Non a caso il presidente del
Consiglio, in un raptus onirico
forse captando per tempo la
sconfitta alle Amministrative,
ha personalizzato il referendum popolare in maniera quasi fanciullesca affermando “o
il popolo vota SI o vado a casa”.
Così facendo Renzi conferma
un sospetto già largamente
presente nel Paese
secondo il quale la
riforma costituzionale approvata a maggioranza da uno
“st ra n o” Pa rl amento è funzionale solo a un disegno
di puro potere personale grazie anche all’aiuto di
una devastante legge elettorale. Questa personalizzazione
del referendum non ha precedenti nella storia repubblicana. Non lo fece De Gasperi durante i lavori della Costituente, non lo fece Amato quando
nel marzo del 2001 approvò la
sciagurata riforma del Titolo
V, non lo ha fatto Berlusconi
nel 2005. Nessuno lo ha fatto
perché la Carta è di tutti ed è
separata dal governo, che al contrario
resta l’espressione di una maggioranza transitoria. Inoltre gli
effetti di questa
riforma costituzionale mutano nel
profondo la nostra democrazia politica perché cadono in un contesto in cui campeggiano: a) una legge elettorale che non ha precedenti in
Europa; b) un sistema politico
fatto da partiti personali, nessuno escluso. Ebbene se vincesse il Sì, gli italiani non voterebbero mai più la stragrande maggioranza dei propri legislatori che verrebbero nominati, invece, dalle segreterie
dei cosiddetti partiti grazie ai
capilista bloccati alla Camera
e ai consigli regionali che sceglieranno i senatori. Gli effetti
devastanti del Si, però, non finiscono qui! Il governo del
paese, grazie ad un premio di
maggioranza del 15%, verrebbe dato ad una minoranza che
nel migliore dei casi avrebbe il
40% dei votanti, ma dopo il secondo turno avrebbe poco più
del 20% degli elettori.
È questa, dunque, la democrazia politica che la coppia
Renzi-Napolitano ha pensato
per l’Italia? Riflettano a fondo
gli organi del Pd e tutti quelli
che sia richiamano alla cultura del cattolicesimo politico e
del pensiero liberale perché
nessuno possa dire domani “io
non avevo capito”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
COSENZA
Giunta stile FI:
un condannato,
un frate
e Vittorio Sgarbi
» LUCIO MUSOLINO
D
alla Procura a Palazzo dei Bruzi.
Dalle stanze dei
pm che lo hanno sentito
per tre ore come persona
i nf o rm at a
sui fatti
n e l l ’ i nchiesta
s u g l i a ppalti alle ditte “am ic he ”, al
Comune di Cosenza dove
ha annunciato la sua nuova giunta. Il sindaco Mario
Occhiuto (Forza Italia),
appena rieletto, ieri si è dovuto barcamenare tra l’indagine a carico del suo ex
capo di gabinetto Carmine
Potestio e di alcuni dirigenti comunali e la conferenza stampa in cui ha presentato la sua squadra. Dopo aver vinto al primo turno il 5 giugno, Occhiuto ha
fatto i conti con tutti quelli
che lo hanno sostenuto: da
Sgarbi a Padre Fedele passando per il suo ex vicesindaco condannato tre mesi
fa.
Ancora prima dell’annuncio ufficiale Vittorio
Sgarbi postava su Facebook le foto del suo ufficio
di assessore alla Cultura,
al centro storico e alla bellezza. Ma Sgarbi non è l’unico esterno. Occhiuto ha
chiamato anche Matilde
Spadafora, la madre di
Roberta Lanzino uccisa
28 anni fa senza che ci sia
ancora un colpevole. A lei,
le deleghe alla Scuola e al
contrasto della violenza
di genere. Tra gli assessori, anche Padre Fedele Bisceglia, frate “ultrà” del
Cosenza, assolto definitivamente dall’accusa di
violenza sessuale. La deputata e coordinatrice regionale forzista Jole Santelli sarà il vicesindaco,
con le deleghe alla Programmazione dei fondi
europei. Spazio, infine,
anche per Luciano Vigna
già vicesindaco di Occhiuto, nominato al Bilancio. A marzo Vigna è
stato condannato a 2 anni
e 8 mesi nell’in c hi e st a
sulla società “Tesi” che,
stando agli inquirenti, avrebbe provocato passività per poco meno di 5
milioni di euro attraverso
operazioni ritenute illecite.
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ESTERI
Mercoledì 29 Giugno 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |
FRANCIA ”LOI TRAVAIL” ANCORA PIÙ DURA
Primo via libera del Senato alla Loi Travail, la contestata riforma del Lavoro, mentre i sindacati erano
tornati in piazza (con 27 persone fermate dalla polizia) per chiederne il ritiro. La versione approvata in
Senato è ancora “più dura” di quella approvata alla
Camera attraverso il procedimento 49.3, che impone il passaggio di una legge senza il voto dei deputati. Oggi il premier Valls incontra i sindacati. Ansa
SPAGNA
» ELENA MARISOL BRANDOLINI
Madrid
I
l giorno dopo gli effetti
della sbronza elettorale,
la stampa spagnola invoca patti e fine dei veti
contro il rischio di un nuovo
blocco istituzionale. La situazione è cambiata rispetto al 20 dicembre: il PP è ora
il chiaro vincitore della
competizione elettorale e il
blocco progressista si è fatto
più debole, ma nessun partito dispone della maggioranza per fare un governo in
solitario, la logica di coalizione s’impone, a meno di
non disporsi a un governo di
minoranza con appoggi
puntuali di volta in volta.
Quest’ultima sembra essere
l’intenzione di Mariano Rajoy che, dopo aver fatto appello alla grande coalizione
con il Psoe ed eventualmente Ciudadanos, si spinge oltre e, forte del risultato ottenuto, si dice pronto a governare con i soli deputati eletti con gli 8 milioni di voti
che hanno preferito la marca PP.
ANZI, AGGIUNGE IL LEADER
popolare, il governo ci sarà
già per i primi di agosto, la situazione interna e quella europea non consente ulteriori
dilazioni.
Ieri è andato a Bruxelles
come presidente “in funzioni” del governo spagnolo a
discutere della Brexit e a ricevere le congratulazioni
degli altri leader popolari.
Nella capitale europea ieri
c’erano anche il leader di
CiudadanosAlbert Rivera e il
segretario socialista Pedro
Sánchez, ognuno per riunio-
L’INTERVISTA
GERMANIA AUMENTA VIOLENZA NEONAZI
Sono aumentati del 40% gli episodi di violenza
commessi da estremisti di destra: emerge da un
rapporto dei servizi segreti. Nel 2015 le azioni violente dei neonazisti sono state 1.408 a fronte dei
990 dell’anno precedente. Nella maggior parte
dei casi, ha spiegato il ministro dell’Interno tedesco Thomas de Maiziere, gli obiettivi delle violenze sono stati i rifugiati e i migranti. Ansa
Rajoy ci prova, in arrivo
un governo balneare
Disposto a un esecutivo di minoranza. Ma Rivera fa da “pontiere” tra PP e Psoe
Gioco delle coppie Rajoy (PP) e Rivera (Ciudadanos); Iglesias (Podemos) e Sánchez (Psoe) Ansa/LaPresse
Tutti a Bruxelles
Ieri i segretari di
Popolari, Centristi
e Socialisti erano in
consulto al vertice Ue
ni differenti. Nella notte di
lunedì, Rivera, che nelle elezioni di domenica ha visto
parte del suo voto in fuga verso il PP, ha provato a ripren-
176
I seggi necessari: PpCiudadanos e partiti
minori si fermano a 175
dersi quel protagonismo che
nessuno ormai gli riconosce
più.
Telefonando a Rajoy e
Sánchez come mediatore
per un incontro a tre. Rajoy
gli ha risposto che incontrerà
tutti i partiti prossimamente
e Sánchez gli ha confermato
che l’iniziativa è ora nelle
mani di Rajoy.
IL PSOE RIMANE comunque
centrale, sia nell’ipotesi della grande coalizione che in
quella di un governo di minoranza del PP in cui la sua
astensione è indispensabile.
Anche a guardare nel blocco
conservatore e a volerci met-
tere dentro proprio tutti oltre il PP, ossia Ciudadanos, il
Pnv e Coalicion Canaria, i numeri si fermano a 175, a meno
1 dalla maggioranza assoluta. E qui potrebbe entrare in
gioco un’ipotetica astensione del deputato di Nueva Canarias Pedro Quevedo, che
ha concorso in collegamento
con il Psoe e che andrà a far
parte del gruppo misto.
Intanto, dentro la formazione viola la discussione è in
fermento. Pablo Iglesias
promette un congresso. Non
capiscono dentro Podemos
che cosa abbia fallito, se la
coalizione con Izquierda Unida, il tono della campagna
elettorale, i messaggi spesso
contraddittori che ne sono emersi, o il credersi troppo
forti per perdere. Complici i
sondaggi, che questa volta
hanno mostrato una realtà
immaginaria opposta alle vere dinamiche della società.
Sarà stato perché è difficile
capire che succede quando si
ripetono elezioni dopo sei
mesi, oppure per la volatilità
delle nuove formazioni politiche, può aver pesato la Brexit e un clima più generale di
paura favorendo un voto
d’ordine e di moderazione. E
poi c’è stata l’astensione e
quella quota importante di
indecisi. Che alla fine ha scelto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Clara Sánchez La scrittrice teme l’attendismo del premier: “Avrebbe dovuto lasciare”
“I politici non ci rubino il portafoglio”
» FRANCESCO MUSOLINO
Rajoy nei
suoi discorsi
sottolinea
quanto sia
difficile
governare,
come se
fosse un
martire. Ma
allo stesso
tempo è
attaccato
alla
poltrona
come una
cozza alle
rocce
R
ajoy avrebbe dovuto lasciare
la politica. Lo pensa tutto il
mondo, tranne lui che è attaccato
alla poltrona come una cozza alle
rocce”. La scrittrice Clara Sánchez analizza le recenti elezioni
in patria, la vittoria del PP di Mariano Rajoy e il mancato sorpasso
di Podemos, senza cedere alla diplomazia e auspicando un cambiamento che possa finalmente
trascinare il paese fuori dall’incertezza. Innamorata dell’Italia (dove, in anteprima mondiale il 12
settembre, uscirà Lo stupore di una notte di luce, il seguito del best-seller Il profumo delle foglie di
limone, pubblicati da Garzanti) guarda con timore alla Brexit e ai
politici spagnoli intima: “Non rubateci il portafoglio con false promesse d’amore”.
Cosa succede in Spagna?
I partiti spagnoli sembrano alle
prese con gli esami per la patente
di guida. Superano la parte teorica ma non quella pratica. E noi
cittadini guardiamo con timore le
loro auto, con il fondato rischio
che si schiantino e noi con loro.
Gli spagnoli hanno disperatamente bisogno di un po’ di sicurezza: non rubateci il portafoglio
con false promesse d’amore.
Il sorpasso di Podemos sul Psoe
non è avvenuto. È l’effetto Brexit?
Può darsi ma il problema è che Podemos sembrava troppo concentrato sulla sua immagine e il suo
leader, Pablo Iglesias, ha condotto la sua campagna negli studi tv.
Podemos ha comunque ottenuto
un ottimo risultato: in soli due anni ha rotto il bipartitismo PP-Psoe; soprattutto ha evidenziato
che le nuove generazioni sono
molto preparate ma senza alcun
spazio nel mercato del lavoro.
Dunque perché niente sorpasso?
I sondaggi erano talmente errati
che hanno falsato la nostra percezione delle elezioni ma lo
smarrimento di Podemos è comprensibile. Forse si sono mostrati
»9
troppo interessati ad
ottenere il potere?
Certamente possono
avere sottovalutato il
fattore “paura”, che
invece è stato la colonna portante della
campagna del PP.
mento.
Rajoy non la convince proprio.
Tutto il mondo pensa
– meno la sua famiglia
- che Rajoy avrebbe
dovuto lasciare. È
troppo strettamente
La vittoria di Rajoy
legato alla corruzione
faciliterà il dialogo
del suo partito. Rajoy,
con la Catalogna?
nei suoi discorsi pubDama da best-seller
L’atteggiamento di Clara Sánchez Ansa
blici, sottolinea quanRajoy è di non fare
to sia difficile goverproprio nulla. Sia nel caso della nare, come se fosse un martire del
Catalogna che per ogni altro a- potere. Ma allo stesso tempo è atspetto politico. Lui pensa che il taccato alla poltrona come una
tempo intorpidisca o risolva da cozza alle rocce.
solo i problemi e non gli resta che
Anche chi è favorevole alla Brecontemplare questo panorama
xit, pensa che la Ue vada riforcosmico seduto in poltrona menmata. E lei?
tre fuma un sigaro.
L’isolamento non porta mai buoEppure ha vinto.
ni frutti. Ben venga il cambiaSventolando la paura. Del resto mento a patto che ponga il cittanelle poche dichiarazioni pubbli- dino al centro delle riforme. Le
che, Rajoy ha suscitato timore per trasformazioni che tengono conle pensioni più basse. Non dimen- to solo di poteri economici e multichiamo che la Spagna ha una po- tinazionali, invece, sono sempre
polazione con una media d’età al- destinate al fallimento.
tissima, terrorizzata dal cambia© RIPRODUZIONE RISERVATA
CATALOGNA
La “vendetta”
di Madrid:
processo agli
indipendentisti
I
n Catalogna, a due
giorni dalle elezioni
spagnole, il clima politico non è dei più sereni. Ieri mattina, il magistrato del
Tribunal Superior de Justícia de Catalunya Joan
M a n e l Abril, incaricato d’istruire la
causa contro l’ex presidente della Generalitat Artur Mas e le due
ex-consigliere Joana Ortega e Irene Rigau, per aver
celebrato in Catalogna il 9
novembre 2014 il referendum consultivo proibito
dal Tribunal Constitucional, ha dichiarato conclusa
l’istruttoria e rimesso alle
parti la decisione di rinviare a giudizio gli inquisiti. Il
caso dell’ex consigliere
Francesc Homs rimane invece nelle mani del Tribunal Supremo, essendo stato interrogato quando già
era deputato alle Cortes
spagnole. Nessuna archiviazione del caso dunque
come era stato richiesto
dalla difesa, più vicino invece l’inizio del processo
per i delitti contestati di disobbedienza, prevaricazione, usurpazione di funzioni giudiziarie, malversazione di risorse che, se
confermati, comporteranno pene dall’inabilitazione
al carcere. Secondo Abril,
che chiude con questa decisione la sua carriera in
Catalogna avendo chiesto
il trasferimento al TS di
Andorra, ci sarebbero indizi circa il fatto che le operazioni di organizzazione, preparazione e svolgimento della consultazione
siano state portate a termine non solo da volontari,
come dichiarato dagli accusati, ma con un coinvolgimento istituzionale. La
consultazione si celebrò
dopo la sospensione del
TC del 4 novembre, intervenuta a seguito del ricorso promosso dal governo di
Mariano Rajoy, quindi gli
atti contestati si riferiscono al periodo tra il 4 e il 9
novembre. La decisione di
aprire la causa sulla consultazione del 9 novembre
era stata assunta dal TS,
perché i giudici catalani
del TSJC erano contrari. E
oggi si riunisce il parlamento catalano per discutere la destituzione del direttore della Oficina Antifrau de Catalunya, implicato assieme al ministro
degli Interni Fernández
Díaz nel presunto complotto ai danni dei partiti
indipendentisti catalani.
E. M. B.
10
| IL FATTO QUOTIDIANO | Mercoledì 29 Giugno 2016
Il Fatto Speciale
Il prete
“rosso”
Carlo Giuliani, De André,
i poveri e la politica:
ecco i diari di don Gallo
È
Sacerdote
di strada
Don Andrea
Gallo (19282013) è stato
un “prete di
strada”, come
lui stesso si
definiva.
All’inizio degli
anni 70 ha
fondato la
Comunità di
San
Benedetto al
Porto per
accogliere
chiunque
fosse in
difficoltà:
tossici,
prostitute,
madri sole,
immigrati.
Nel 1944
Gallo era
salito sulle
montagne con
il fratello Dino,
partigiano.
Poi, nel
Dopoguerra,
la scelta del
sacerdozio.
Un prete
scomodo,
fedele alla
Chiesa, ma
molto
“dialettico”
con i cardinali
genovesi
» FERRUCCIO SANSA
Genova
morto un ragazzo in corteo”.
È la sera del 20 luglio 2001. Le
foto di Carlo Giuliani steso a
terra mentre una ragazza della Croce Rossa tenta disperatamente di rianimarlo hanno
fatto il giro del mondo. E un
uomo prende la sua agenda di
pelle scura, consumata. Scrive poche parole –non c’è altro
da dire di fronte alla morte di
un ventenne –ma con una calligrafia che rivela la passione
e l’energia. Perché l’autore di
quel diario è don Andrea Gallo. E rileggendo i suoi appunti
ti sembra di vederlo nel suo
studio, quella stanza affacciata sul porto di Genova con
la luce accesa fino all’alba che
i genovesi passando avevano
imparato a cercare. Come una piccola Lanterna che indicava la rotta. Sì, il Gallo era
sveglio, era alla scrivania con
il sigaro in bocca.
C’era anche in quei giorni
del G8 che hanno cambiato la
storia della sua città e dell’Italia. Era lì, e sulle pagine
dell’agenda ha lasciato appunti essenziali come un libro di storia. Scritti per se
stesso, ma soprattutto forse
nella speranza che un giorno
qualcuno li trovasse. Non dimenticasse.
E OGGI È SUCCESSO. L’agenda
del 2001 è soltanto uno tra le
migliaia di documenti che
stanno riemergendo dallo
scaffale dello studio. Una raccolta sterminata, perché don
Gallo non buttava via niente:
agende, migliaia di fogli sparsi
con gli appunti per le prediche, i discorsi, i funerali di amici scomparsi, da Fabrizio
De André a Fernanda Pivano.
Non andranno persi: Domenico Chionetti – per tutti Megu – che era sempre a fianco
del Gallo ha raccolto tutto.
Con l’aiuto dell’a r c h i vi s t a
Carlo Stiaccini, dell’amico Alessandro Lombardo e della
fondazione Ansaldo ha cercato di riordinare quel magma
uscito per cinquant’anni dalla
penna di don Andrea. E infine
eccolo, il grande archivio di
don Gallo. L’Archivio di Stato
lo ha dichiarato “bene di notevole interesse storico”. Sarà
conservato.
“È come rileggere le parole
di un padre”, racconta Megu
indicando i faldoni dove sono
raccolte le carte. Davvero il
diario della vita di un uomo,
dai primi anni del sacerdozio
fino alla nascita della Comunità, per arrivare a quella ribalta che Gallo accoglieva con
divertita ironia. Calcandosi
appena un po’ di più il cappellaccio sugli occhi. Ma insieme
il racconto dei grandi avveni-
UNA LETTERA
DEL 1956
Non posso fare a meno di parlare
del massacro della gloriosa
nazione ungherese!! Avrete sentito
quali orrendi crimini sono stati
commessi contro una popolazione
inerme. Che dobbiamo fare noi
cattolici in questa occasione?
Le note
In alto, una lettera del 1956
ai familiari
in cui don Gallo scrive della
repressione
sovietica a Budapest; un appunto su De
André e uno
sulla riforma
elettorale
di Berlusconi
menti del mondo visti da quella piccola stanza. Finché la
storia, nei giorni del G8, gli
bussò alla porta.
Ecco l’appunto della mattina del 18 luglio, quando i grandi della terra cominciano ad
arrivare a Genova: “Città blindata, militarizzata!!!”, scrive
don Gallo. Con i punti esclamativi cui la sua voce dava vigore. Poi la speranza che la
protesta resti pacifica. Il concerto di Manu Chao, i ragazzi
che sfilano per le strade. Fino
alla sera del 20 luglio. “Ho tanti amici nelle Forze dell’ordine. Quanti “servitori” dello
Stato di Diritto ho stimato e
apprezzato in questi ultimi
anni! Abnegazione, sacrificio,
senso del dovere. Quanti hanno pagato con la vita, lasciando famiglie nel dolore”. Scrivendo il diario di quel venerdì
20 luglio, però, aggiunge:
“Cittadini in divisa hanno
sperimentato il potere puro,
l’arbitrio assoluto”.
Ma è lungo il cammino di un
uomo, ci ricordano i diari di
Andrea Gallo. A cominciare
dalle lettere del giovane sacerdote che scrive ai genitori e
al fratello Dino. Parlando di sé
e del mondo. Dell’invasione
dell’Ungheria del 1956: “Non
posso fare a meno di parlare
del massacro della gloriosa
nazione ungherese!! Avrete
sentito dai giornali, dalle radio, quali orrendi crimini sono stati commessi contro una
popolazione inerme che chiede siano rispettati i sacrosanti
diritti concessi da Dio a tutti
gli uomini: libertà, pace, lavoro. Che dobbiamo fare noi cattolici in questa occasione? Seguiamo le direttive illuminate
e sagge del nostro Sommo
Pontefice… non facciamo tante chiacchiere inutili e soprattutto non provochiamo altro
odio nelle nostre contrade!!!”.
Non è ancora il sacerdote “an-
gelicamente anarchico” della
maturità. Ma c’è già la sua energia. E quel tentativo faticoso, a volte doloroso, durato una vita di mettere insieme
l’obbedienza alla Chiesa con
la libertà.
DAVVERO QUANTE cose rac-
conta la scrittura. Proprio la
calligrafia. Addio alla macchina da scrivere, addio ai filtri.
Gallo ora scrive di proprio pugno, con le linee delle parole
che si fanno più morbide pagina dopo pagina. Come se arrivassero la tranquillità della
notte o la stanchezza. Scriveva, scriveva, mentre accanto a
lui dormivano i “tossici” della
Sul Porcellum “L’ultimo governo Berlusconi di quale
maggioranza dispone? Altro che semplificazione,
è l’inizio della demolizione della Democrazia”
Comunità San Benedetto con
cui condivideva la stanza. Basta una riga per raccontare chi
era don Andrea: “Diecimila lire a una madre musulmana
per il latte dei bambini”. Ancora: “Dieci euro a un egiziano. Povero, povero, povero”.
Ripetuto tre volte, per far risuonare la rabbia. E l’amore.
In tanti hanno lasciato un
messaggio nel diario della Comunità (anche questo nell’archivio): “La Ester adesso va a
battere”, scrive un ragazzo.
“Adesso andiamo a puttanazze!”, aggiunge un altro. Non
c’è censura. “Questo era il segreto del Gallo: non giudicare,
far sentire tutti amati”. È una
galleria di decine di personaggi: tossici – alcuni non ci sono
più, altri ne sono usciti, c’è chi
addirittura è diventato manager di successo – prostitute,
transessuali, immigrati. Ma
anche gli amici importanti.
Tutti sullo stesso piano. Tutti
IL FATTO SPECIALE
Mercoledì 29 Giugno 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |
Un archivio per riunire gli amici
“L’archivio di don Andrea dovrà essere il punto di ritrovo per i
vecchi amici del Gallo. Per accompagnare e sostenere la
Comunità e farle sentire che non è sola. Le parole e il
messaggio di Andrea ci sono ancora”. Così Domenico “Megu”
Chionetti, portavoce della Comunità San Benedetto al Porto
racconta la scommessa. Si vuole raccogliere il patrimonio
umano, oltreché materiale, lasciato dal sacerdote genovese
scomparso il 22 maggio 2013. Quella grande energia che il
giorno del funerale riempì le strade di Genova.
Don Andrea Gallo non ha buttato via niente. E dai suoi scaffali
stanno riemergendo migliaia di documenti: lettere, appunti
per messe e omelie, agende, fotografie. La Fondazione
Ansaldo ha deciso di sostenere l’iniziativa. L’Archivio di Stato
lo ha dichiarato “bene di interesse storico”. Dovrà quindi
essere conservato. I ragazzi di don Gallo – grazie all’aiuto
dell’archivista Carlo Stiaccini e al sostegno dell’amico
Alessandro Lombardo – stanno recuperando tutto.
Con gli
operai
Don Andrea
Gallo nel 2011,
davanti al
Duomo di Milano dopo il
comizio conclusivo del
corteo dei
metalmeccanici Ansa
Piazza
Alimonda
Carlo Giuliani,
ucciso a 23
anni da un carabiniere il 20
luglio 2001.
Sull’agenda
don Gallo annota: “È morto un ragazzo
in corteo”
Luglio 2001 “Ho tanti amici nelle Forze dell’ordine
Quanti hanno pagato con la vita. Cittadini in divisa
hanno sperimentato il potere puro, l’arbitrio assoluto”
uguali. Ecco gli appunti per
l’addio a De André: “Non voglio dire che Fabrizio abbia indicato una strada per coniugare il proprio riscatto e quello di tutti gli oppressi. Perché
Faber riconosce sempre agli
altri la libertà della scelta”. Poi
Fernanda Pivano: “La Fernanda! Una di quelle persone
che ci regala il cielo ogni tanto.
Ci ha insegnato un linguaggio
universale. Dialogare, ascoltare tutti”.
POI LE FOTOGRAFIE. Centi-
naia. Dalle immagini di Gallo
giovane. Un uomo bello, vigoroso, perché – questo sembra
dirci – non c’è proprio contraddizione tra corpo e spirito.
Anzi. E gli scatti con gli amici:
con un viado brasiliano o Vasco Rossi. Non fa differenza.
Nessuna lezione. Forse
soltanto qualche consiglio su
come “sentire” la vita con i
cinque sensi: “Vista: vedere i
colori della terra. Olfatto: annusare i profumi del vento. Udito: sentire l’armonia di tante voci. Gusto: assaporare gli
aromi del mondo. Tatto: sentire tante dita”. E poi appunti
civili, sacerdote e cittadino.
Nemmeno questa è contrad-
» 11
dizione in
don Andrea:
“La legge elettorale definita da tutti
u n a p o r c ata… ha prodotto una
semplificazione consentendo alla coalizione vincente la
tanto auspicata governabilità. Ma l’ultimo governo Berlusconi di quale maggioranza
dispone? Altro che semplificazione, è l’inizio della demolizione della Democrazia”.
Ci sono tutti. Non ci sono, o
non sono ancora emersi, messaggi scambiati con i suoi cardinali, da Giuseppe Siri ad
Angelo Bagnasco, con cui
Gallo ha avuto un rapporto
molto “dialettico”: obbedienza e libertà, appunto. Ma forse
quelle parole schiette don
Andrea non ha voluto scriverle. Le ha pronunciate soltanto
a voce.
Manca soltanto una persona: lui, don Andrea, che non
parla quasi mai in prima persona. Che cerca di scomparire
e si definisce soltanto attraverso gli altri. Fino a quell’ultimo messaggio: “Gesù disse… Vi ho tenuta nascosta una
cosa che ora non posso più nascondervi: devo proprio partire. Addio”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
12 »
P G
| IL FATTO QUOTIDIANO | Mercoledì 29 Giugno 2016
iazza rande
Una squadra normale
con un allenatore speciale
Italia nei quarti di finale degli Europei, grazie ai gol realizzati da
Giorgio Chiellini e Graziano Pellè:
non due campioni, ma due calciatori tenaci, grintosi, umili, attenti
ad applicare, con determinazione e
impegno gli schemi del bravo tecnico, Antonio Conte, che ieri ha
compiuto un capolavoro tattico.
Nella Nazionale, prevale lo spirito
del gruppo sulla classe dei “top player”. È la prima lezione, anche al di
là del calcio, trasmessa dagli Azzurri, che hanno “vendicato” l’umiliante sconfitta, subita 4 anni fa,
nella finale degli Europei, dalla
Spagna, rispedita, ieri, a casa
dall’intramontabile capitano, Gigi
Buffon, e dai suoi coraggiosi compagni.
PIETRO MANCINI
Renzi: l’amico di tutti
che chiama tutti per nome
Sentito in radio da Bruxelles con
tono conviviale, cameratesco e
compagnone (ma “compagnone” è
un po’ troppo), il Renzi delle buone
cose e dunque della buona diplomazia ha espresso piena condivisione su “quello che hanno detto
Angela e Francois” in merito all’uscita dall’Ue della Gran Bretagna.
Di sicuro ha anche twittato al dimissionario David, al sereno Mariano in festa a Madrid, all’amicone
Barack alle prese con buche e palline da golf e forse anche ai sempre
arrabbiati Recep tra un narghilè e
l’altro e il Kim nel corso dell’ennesima sfilata nel suo stadio da calcio
vuoto. Proprio una bella compagnia, ma tutti riservatini. Renzi, invece, si barcamena fra sorrisi, pacche e battute. Ricorda uno dei tanti
personaggi da film (Sordi e Gassman ne erano maestri) che partecipa ad una udienza in Vaticano e
stringe a malapena la mano al Papa,
dicendo in giro: “Jorge Mario mi avrebbe portato a cena se non avessi
avuto un impegno al Foro Italico
dove c’era Donald in parata militare appena arrivato dagli Usa”. Peccato che poi, tutti i potenti finiscano sempre col chiamarlo col cognome. Che tenere disdette.
B.G.
Il voto inglese: una lezione
per far ripartire l’Ue
Questa Brexit non ci voleva. Non
solo per l’Europa, ma per l’Italia.
Proprio adesso che potremmo essere vicini alla cacciata di Renzi. Il
referendum britannico ha frenato
la corsa di Podemos e ridato fiato ai
soliti partiti. Il Movimento Cinque
Stelle ne tragga lezione, a partire
A DOMANDA RISPONDO
Inviate le vostre lettere (massimo 1.200 caratteri) a: il Fatto Quotidiano
00193 Roma, via Valadier n° 42 - [email protected]
cambiato la Costituzione cancellando l’equilibrio dei poteri e il
principio di uguaglianza percependo stipendi inimmaginabili dopo la liberazione e tutti con ricca
diaria. Questa similitudine mi basta per votare “no, no’’ al referendum di ottobre. Sicuro che da queste premesse è scaturita una
Controriforma oscurantista. Comunque per la sostanza rimando
tutto alle considerazioni degli ex
presidenti della consulta. Tutti
contrari a questo aborto costituzionale.
FURIO COLOMBO
Statali furbetti? Cacciateli tutti
I grandi evasori lasciateli stare
CARO FURIO COLOMBO, premetto che non sono una
dipendente pubblica. Ma non ho mai visto una caccia
così furibonda a una categoria di persone che lavorano, pur con qualche mascalzone che timbra il cartellino e non lavora tra le loro file. Non ho mai visto
trattare così grandi e famosi evasori. Specialmente
quelli che sono noti a tutti e non devono mai risponderne.
EVELINA
SONO D’ACCORDO. Una parte del fenomeno è tipica
del giornalismo contemporaneo: poche grandi e
drammatiche notizie e un vasto spazio per cose che
bisogna raccogliere dal cassetto delle curiosità e trasformare in grande evento: il vigile che timbra il cartellino in mutande è una modesta spregevole truffa,
se si pensa alla corruzione italiana che coinvolge figure pubbliche di grande livello e cifre immense. Ma è
materiale prezioso per l’ingigantimento inutile con
cui si possono imbottire giornali, telegiornali, tavole
rotonde e commenti, dal comico al filosofico. Però il
tipo di argomento è contagioso. È partita subito una
legge, a cura del governo, niente iniziativa del Parlamento, come al solito, che vanta un primato mai
visto nel corso della civiltà italiana: si può, anzi si
deve licenziare entro un mese, meglio, da quel che si
capisce, se tutto avviene con ben reclamizzato disonore, perché i ladri sono ladri e se non li schiacci subito possono finire per occuparsi di trasporti, privatizzazioni, centri ospedalieri e grandi eventi sportivi.
Però ciò che scredita la legge non è la sua tempestiva
severità. Dopo tutto, oltre a ridicolizzare se stessi si
ridicolizza un Paese e la sua credibilità di sistema
dal saggio Di Maio: lascino perdere
il referendum sulla moneta unica e
professino una vocazione europeista, critica e innovativa (com'è giusto), ma salda e credibile a livello
internazionale. Non si preoccupino delle reazioni sulla rete: la loro
base è ormai molto più ampia: è l’elettorato italiano che non ne può
più di Renzi e del renzismo e cerca
una valida alternativa di governo.
Interpretino con coraggio e creatività questa fase: l’Europa per ripartire ha bisogno di idee e volti nuovi.
ANTONIO
Dalle ceneri di questa Europa
ne rinasca una vera e unita
In questi giorni si parla molto di
pensioni e di Europa. Sorprendentemente nessuno rileva più che fino al 2011 nel pubblico le lavoratrici andavano in pensione di vecchiaia a 61 anni. Dalla sera alla mat-
pubblico, anche con truffe stupide e cattive, più che
criminali, però altamente simboliche. Sfortunatamente tutto ciò avviene mentre apprendiamo che vi
sono centinaia di migliaia di provvedimenti giudiziari gravi e urgenti (carcerazioni, scarcerazioni)
che non possono essere eseguiti perché manca il personale, non ci sono cancellieri, non sono mai stati fatti
concorsi. E non sono in programma. Però tutto ciò
avviene mentre non ci sono abbastanza carabinieri
né poliziotti e devi sopperire con bravi e inesperti soldati che fanno un mestiere completamente diverso,
proprio in tempi di rischio in cui è richiesta esperienza. Ecco, dunque, il problema, grave e vistoso, che i
cittadini notano subito.
Finalmente nel Paese si può licenziare sui due piedi
un impiegato statale fedifrago (benché sia sembrata
eccessiva la festa).
Ma nell’Italia del pubblico impiego, su cui continuano a ricadere responsabilità molto grandi verso i cittadini (scuola, sanità, difesa, polizia, giustizia) non
viene in mente a nessuno (pensate, neppure alla Boschi) di assumere, attraverso tempestivi concorsi e
bene organizzata formazione, per colmare i grandi
vuoti di personale. Se tutto ciò si facesse, bene e subito, risveglierebbe orgoglio delle persone che partecipano e vengono assunte.
L’orgoglio della propria funzione è il più forte antidoto contro la sindrome triste del vigile che timbra in
mutande. La gogna, invece, non serve a niente.
FRANCESCO DEGNI
DIRITTO DI REPLICA
Furio Colombo - il Fatto Quotidiano
00193 Roma, via Valadier n° 42
[email protected]
tina nel silenzio dei sindacati (non
siamo in Francia) il limite fu portato dalla riforma a 66 anni, alla faccia dei privilegi acquisiti, che valgono solo per i (dis)onorevoli, “derubando” le interessate di 5 anni di
pensione, perché lo “c hie de va
l’Europa” (dove ridono ancora adesso). Ora si discute con il bilancino su come spostare i termini di
uno o due anni, ovviamente a carico dei lavoratori. Si riparla anche di
agire sul cuneo fiscale, ma qui stranamente l’Europa non conta e se in
Germania l’operaio che fa lo stesso
lavoro di un italiano guadagna molto di piuù, a parità di costo aziendale, non si indigna nessuno, basta
“parlarne” ogni tanto. Da europeista convinto dico che di “questa”
Europa ne faccio volentieri a meno
e spero che dalle ceneri rinasca una
Europa unita vera, con regole condivise in ogni campo.
LUCIANO BERTOLINO
Chi scrisse la Costituzione ieri
e chi la vuole riformare oggi
1947… 75 uomini e donne di grande
spessore, culturalmente formati
nell’antifascismo, costituirono le
commissioni da cui dopo mesi fu
partorita la Costituzione italiana.
Dopo fu presentata ai parlamentari, tutti eletti direttamente dal popolo scelti uno per uno direttamente dagli elettori. Tutti i componenti
della commissione avevano una
diaria per i pasti e per dormire di
1000 lire al giorno quando un pasto
costava 500 lire. E finalmente con il
voto favorevole di tutti i partiti dopo discussioni articolo per articolo
il 27 dicembre 1947 la Costituzione
fu approvata. 2016… un gruppo non
definito di “nuovi costituenti” ha
redatto “la controriforma costituzionale’’presentata ai parlamentari che tutti rigorosamente nominati, tramite diverse votazioni tutte
fatte con voto di fiducia, hanno
Nell’articolo di Mariateresa Totaro, “La scala e i tarli: a Napoli la conoscenza è vietata”, pubblicato il
18 aprile 2016, si fa riferimento alle
ricerche condotte dallo storico
Carlo De Luca sui documenti d’archivio della città di Polignano a
Mare. Nel condurre le indagini, De
Luca racconta di essersi recato
all’Archivio di Stato di Bari nell’aprile del 2015. Ciò che qui si intende rilevare è l’uso delle parole da lui
adoperate per descriverlo: “Un
luogo polveroso, frequentato da
pochi nostalgici come me”. Un’espressione che desta meraviglia e
sconcerto per l’evidente contrasto
rispetto alla realtà dei fatti.
L’Archivio di Stato di Bari dal 2007
ha sede in via Pietro Oreste n. 45,
all’interno della “Cittadella della
c ul tu ra ”, bellissimo complesso
monumentale degli anni Venti-Trenta, restaurato della Soprintendenza ai beni ambientali architettonici artistici e storici della
provincia. La luminosità ed ariosità della struttura e l’ampiezza dei
suoi ambienti interni sono costantemente a disposizione degli utenti. Di quale polvere si parla? Le carte sono infatti sottoposte a regolari
operazioni di spolveratura; tutti gli
ambienti sono oggetto di cure quotidiane da parte del personale
dell’impresa affidataria dei servizi
di pulizia. Colpisce e lascia perplessi il fatto che uno storico adoperi espressioni così logore ma soprattutto non veritiere.
L’Archivio di Stato di Bari riveste
non solo come luogo di conservazione permanente della memoria
storica per eccellenza, ma anche
come sede di manifestazioni culturali aperte al pubblico, finalizzate
al costante arricchimento del patrimonio di conoscenze dei cittadini, almeno per quanti accolgano
con piacere l’invito a prendervi
parte.
ANTONELLA POMPILIO
Direttore Archivio di Stato di Bari
PROGRAMMITV
10:25
11:10
13:30
14:00
14:05
15:35
16:30
16:40
18:45
20:00
20:30
21:25
23:40
23:45
01:20
01:55
02:25
02:55
04:20
05:15
Cedar Cove
Don Matteo st 07
Tg1
Tg1 Economia
Estate in diretta
SOAP Legàmi
Tg1
Estate in diretta
Reazione a Catena
Tg1
Techetechetè 2016
Stanotte al Museo Egizio
Tg1 60 Secondi
Premio Biagio Agnes
- VIII edizione
Tg1 NOTTE
Sottovoce
Moviextra
La vedova scaltra
DA DA DA
RaiNews24
10:30 Summer Voyager
11:20 TELEFILM Il nostro
amico Charly
12:10 TELEFILM La nostra
amica Robbie
13:00 Tg2 GIORNO
13:30 Il caffè degli Europei
15:35 TELEFILM Elementary
16:15 TELEFILM Guardia
Costiera
18:05 Tg Sport
18:20 Tg2
18:50 TELEFILM Blue Bloods
19:40 TELEFILM N.C.I.S.
20:30 Tg2 20.30
21:05 LOL ;-)
21:15 TELEFILM Squadra
Speciale Cobra 11
23:00 TELEFILM Strike Back
23:50 Tg2
00:05 Boss in Incognito
01:45 FILM I più grandi di tutti
08:00 Agorà Estate
10:10 Jack London - L’avventura
del Grande Nord
11:00 Tg3 Minuti
11:05 Martin Eden
12:00 Tg3
12:15 TELEFILM Doc Martin
13:10 Il tempo e la Storia
14:20 Tg3
15:00 La casa nella prateria
16:50 Due assi per un turbo
17:50 Geo Magazine 2016
19:00 Tg3
20:00 Blob
20:10 I giorni di Parigi
20:35 Un posto al sole
21:05 Chi l'ha visto?
00:05 Tg3 Linea notte estate
00:45 Rosario Livatino - Il ragazzo con la toga
01:45 Fuori Orario. Cose (mai)
viste
06:35
08:30
09:30
10:40
11:30
12:00
13:00
14:00
15:30
16:39
18:55
19:36
19:55
20:30
21:15
23:35
00:35
01:35
01:57
02:17
03:44
Hunter VII
Cuore Ribelle VII
Carabinieri 3
Ricette all'italiana
Tg4
Detective in Corsia
La Signora in Giallo
Lo Sportello di Forum
Hamburg Distretto 21
FILM Gioventù Bruciata
Tg4
Dentro La Notizia
Tempesta d'amore 10
Dalla Vostra Parte
Beverly Hills Cop 3 - Un
piedipiatti a Beverly Hills
Inarrestabili
Vai Con La Sigla
Tg4 Night News
Media Shopping
Casta e Pura
Help
07:59
08:45
09:45
11:00
13:00
13:41
14:10
14:45
15:43
16:44
18:45
20:00
20:40
21:11
23:31
01:19
02:06
02:37
04:30
05:00
Tg5
Centovetrine
Le Tre Rose di Eva
Forum
Tg5
Beautiful
Una Vita III - Prima Tv
Cherry Season - La Stagione del cuore
Il Segreto
Un amore di nonna
Caduta Libera
Tg5
Paperissima Sprint
Romanzo Siciliano
L’Ultima alba
Tg5
Paperissima Sprint
Tierra de Lobos - L’amore
e il coraggio
Tg5
Media Shopping
10:25
12:15
12:25
13:05
13:45
14:35
15:00
15:35
16:05
16:35
17:00
17:57
18:22
18:30
19:25
21:10
23:20
01:05
02:45
White Collar
Gusto dell'estate
Studio Aperto
Sport Mediaset
I Simpson
I Griffin
Big Bang Theory
My name is Earl
Due Uomini e 1/2
Suburgatory
Friends
Dharma & Greg
Camera Cafè
Studio Aperto
C.s.i. Miami
Ancora Tu!
Chicago P.d.
Suits
Studio Aperto
- La Giornata
03:00 Premium Sport News
03:25 Media Shopping
06:55
07:00
07:30
07:55
09:40
11:00
13:30
14:00
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PIAZZA GRANDE
Mercoledì 29 Giugno 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |
IL BADANTE
BUTTARE L’ITALICUM
E GLI OPPORTUNISMI
D
omenica 19 giugno le
candidate e i candidati
del Movimento 5 Stelle sono arrivati al ballottaggio in 20 Comuni e ne hanno vinti 19. Subito dopo
sono ricominciate le richieste da
più parti di ritoccare la legge elettorale nazionale detta Italicum
per impedire l’eventualità che il
ballottaggio per la conquista del
governo nazionale avvenga fra il
M5S e Pd. Renzi si è affrettato a rispondere che non sono previste
modifiche. Si vedrà. Comunque, il
principale problema dell’Italicum
è che è una legge elettorale fatta su
misura del Pd di maggio (2014,
quando nelle elezioni europee il
partito superò il 40% dei voti) con
il consenso di Berlusconi, allora
convinto che sarebbe stato il suo
centrodestra ad arrivare al ballottaggio, e di Alfano, che chiese e ottenne una clausola di accesso al
Parlamento non più alta del 3%
(come in Spagna, circa 15 milioni di
elettori meno dell’Italia, e non 4 come in Svezia: meno di 10 milioni
di elettori). Tanto Berlusconi quanto Alfano
vollero la possibilità di
candidature multiple
(non più in tutte le circoscrizioni, ma “solo”
in dieci) e parlamentari
nominati (adesso capilista bloccati in tutte le
circoscrizioni) cosicché l’Italicum che, persino secondo Napolitano, dovrà essere sottoposto alle “opportune
verifiche di costituzionalità”, assomiglia
molto al Porcellum,
smantellato dalla Cor-
PIOVONO PIETRE
» ALESSANDRO ROBECCHI
I
nsomma, ecco qui: abbiamo
un problemino col popolo. A
giudicare dai solenni scritti
sul referendum britannico
sembrerebbe una gran rottura
di palle, e le analisi si concentrano sulla particolare composizione dell’elettorato inglese:
da una parte i colti, benestanti,
saggi, europei con casa in centro, libri e afflato democratico, e
giovani; dall’altra buzzurri,
contadini, anziani scontenti,
razzisti, xenofobi e tutti quelli
che fanno la doccia solo al giovedì. Non è facile trovare le parole per questo, ma si può sempre provare: quello buono è il
popolo, e gli altri sono i populisti.
Ora, questa faccenda dei populisti sembra sistemare ogni
cosa: tamponi sull’autostrada?
Colpa dei populisti. Non ti viene
il soufflé? Populismo!
È UNA NUOVA accezione della
parola popolo che pare accettata
a sinistra: come il colesterolo, c’è
quello buono (progressista, che
legge i giornali e vota come si deve) e quello cattivo (zozzoni). Un
dibattito che non è solo inglese,
basti pensare che la parola popolo qui si pronuncia “periferie”,
cioè quelle che bellamente nelle
recenti elezioni se ne sono andate facendo ciaone al Pd. Dopodiché, giù analisi sulle periferie
» GIANFRANCO PASQUINO
te Costituzionale. In buona sostanza, l’Italicum è un porcellinum, con le preferenze e con il ballottaggio che deve avvenire, a causa dell’ossessione anti-coalizioni
di un capo di governo che vuole essere l’uomo unico al comando, fra
i due partiti o le due liste più votate,
a meno che un partito o una lista
ottenga al primo turno il 40% dei
voti più uno. Già alcuni renziani si
affrettano a sostenere che la lista
può anche essere composta da più
partiti, ma questo sarebbe uno
stravolgimento dello spirito della
loro legge (e delle intenzioni personalistiche di Renzi) nonché una
molto dubbia, forse improponibile, interpretazione della lettera.
Queste sembrano e, sostanzialmente, sono quisquilie e pinzillacchere. Né le leggi elettorali né i ritocchi cosmetici alle leggi esistenti debbono essere fatti con riferi-
mento ai desideri e alle preferenze
dei partiti e dei loro dirigenti. L’Italicum è una legge di parte che
non può essere modificata per
convenienze di parte, ma che deve
essere cestinata. Punto e a capo.
NEL FRATTEMPO, pendono anche
alcuni ricorsi alla Corte costituzionale su diverse clausole della legge.
Il criterio con il quale valutare
qualsiasi legge elettorale non è mai
il tornaconto dei partiti esistenti,
ma il potere degli elettori. L’Italicum migliora il Porcellum grazie
sia al ballottaggio sia alla possibilità di esprimere uno o due voti di
preferenza, ma, a causa dei capilista bloccati e come conseguenza
dell’ingente premio in seggi consegnato a un partito/lista che ottenga
anche soltanto poco meno o poco
più del 30% al primo turno (quindi,
quasi raddoppiandone la rappresentanza parlamentare), rimane molto al di
sotto quanto a potere
degli elettori tanto del
sistema maggioritario
francese quanto del sistema proporzionale
personalizzato tedesco. Nel maggioritario
francese a doppio turno (non ballottaggio
poiché al secondo turno possono esserci tre,
se non quattro candidati) in collegi uninominali, gli elettori hanno il potere di eleggere
il candidato preferito
oppure, quanto meno,
di sconfiggere il candidato più sgradito. E i
Possiamo ancora
permetterci il lusso
della democrazia?
partiti ottengono importanti indicazioni anche per la formazione
delle coalizioni di governo. Nella
rappresentanza proporzionale
personalizzata tedesca, gli elettori
hanno due voti sulla stessa scheda:
uno per il candidato nel collegio uninominale, uno per il partito. Con
il primo voto eleggono il loro rappresentante, con il secondo voto
contribuiscono a determinare il
bottino complessivo dei parlamentari del partito preferito purché abbia superato la soglia del 5%
(la Germania ha circa 60 milioni di
elettori).
Cestinato il sostanzialmente irriformabile Italicum è fra questi
due ottimi sistemi elettorali che bisognerebbe scegliere, eventualmente introducendo correttivi
giustificabili non come contentino
ai dirigenti di partito, ma come variazioni che migliorano la rappresentanza politica senza frammentare il sistema dei partiti. Se queste
scelte alternative non fossero praticabili nell’attuale Parlamento
non resterebbe che un ritorno al
Mattarellum, un sistema sostanzialmente conquistato nel 1993 attraverso un referendum popolare,
“probabilmente” già sufficientemente noto all’inquilino del Colle il
quale potrebbe anche cominciare a
fare sentire la sua voce, utilizzato
con risultati soddisfacenti in tre elezioni generali: 1994, 1996, 2001.
Con l’eliminazione delle liste civetta e una migliore definizione del
recupero proporzionale, il Mattarellum consente agli elettori di eleggere i rappresentanti che preferiscono e dà loro un doppio voto
che conta e pesa. Il resto (della discussione fra opportunisti elettorali) è fuffa oppure truffa.
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Il popolo-colesterolo:
quello buono vota bene,
quello cattivo è zozzone
sto decisamente fighetto, compostamente in coda alla Tate
Gallery, e ormai quando qualcuno ci faceva vedere la vera Inghilterra (tipo Ken Loach) si
mormorava: uh, che palle, ancora con questi poveri! E come sono brutti! Perché non si comprano qualcosa in Oxford Street?
Ma resta il problema: ammesso e non concesso che il 52 per
cento dei britannici sia incolto,
burino, razzista,
ignorante, stupido ed egoista,
NON SOLO BREXIT
quale democraDa una parte i colti, giovani zia matura mantiene più della
con la casa in centro
metà del suo poin condizioDall’altra i buzzurri, vecchi polo
ne di incultura,
burinaggine, raze populisti che abitano
zismo, ignoranza
nelle nostre “periferie”
stupidità ed egoismo? È una specie di equazione
lo a votare era stato quel Came- della democrazia: se i poveri soron (uno che ha studiato a Eton e no ignoranti bisognerà lavorare
Oxford, uno per cui il popolo è per avere meno poveri e meno iquello che ti sella il cavallo nella gnoranti. Questo significa welfatenuta di campagna) che sperava re e riduzione delle diseguanel plebiscito, e poi è passato da glianze, mentre invece da decen“dinamico leader” a “coglione ni – in tutta Europa e pure qui da
conclamato”.
noi – si è ridotto il welfare e si è
Eravamo abituati a pensare al- aumentata la diseguaglianza. La
la Gran Bretagna come a un po- sinistra dovrebbe portare il poche “le abbiamo abbandonate”,
che “ora sono la priorità”, eccetera eccetera.
Il berlusconismo buonanima
aveva risolto il problema privilegiando la “gente” a discapito
del “popolo”, ma poi non aveva
resistito al suo speciale populismo e si era battezzato Popolo
delle libertà, un testacoda notevolissimo. Testacoda anche inglese, perché a chiamare il popo-
» 13
polo alla Tate Gallery, non sputargli in un occhio dicendo che è
diventato razzista. Eppure.
CHE IL POPOLO sia una gran rot-
tura di coglioni è peraltro noto da
sempre, chiedere a Luigi XVI, agli zar, ai tedeschi in ritirata sulla
linea gotica. E in più ha una sua
specifica tigna: o gli tocca qualche quota nella distribuzione
della ricchezza e del benessere,
oppure si incazza con modalità
impreviste, anche deplorevoli.
Ora va di moda dire che il popolo
inglese ha seguito l’impresentabile Farage, che però vanta meno
di un quarto dei consensi raccolti
dalla Brexit. Così come qui prevale la moda di dire che il popolo
poi sceglie Salvini, mentre Salvini conta, per fortuna, meno del
due di picche. Insomma, abbiamo un problemino col popolo
brutto, sporco e cattivo. Un tempo, quando si leggeva Marx (uh,
che noia!) si sarebbe detto che
siamo alle prese con una questione di classe. Oggi che tutto è più
moderno e veloce, si sistema la
questione archiviando il popolo
come nemico, incolto, malvestito e un po’ignorante. È più facile,
è più smart, ma un po’ rischioso.
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» OLIVIERO BEHA
I
dentificato finalmente l’assassino della
democrazia: è il popolo bue. Nel caso, i
britannici che hanno votato Leave facendo vincere la Brexit indetta dall’autolesionista di turno, il vacuo Cameron. Ma prima di questi votanti da strapazzo, che naturalmente
non hanno capito niente,
sono vecchi, sporchi e magari cattivi e non hanno
pietà per gli eurointegrati
giovani, puliti e di sicuro
buoni, c’erano stati altri indizi anche in Italia sui colpevoli di questo sfinimento della democrazia attraverso un suffragio “sbagliato”: si va, seguendo una linea che è più simile di quel che
possa onomasticamente sembrare, dal Berlusconi del 2007 per il quale “chi non vota
per me è un coglione” all’epopea della sinistra di segugi che invitavano al “voto utile” come tattica elettorale.
Il nocciolo, allora come oggi, secondo gli
eccellenti democratici è che non ci si può
affidare al voto del popolino impreparato
e facilmente suggestionabile, a meno che
non voti per la parte conveniente: non per
caso sull’impresentabilità degli altri più o
meno dimostrata la sinistra ha storicamente costruito un’egemonia che è finita
male perché edificata male. Non regge che
gli altri siano per forza peggio di noi, la destra non è meno legittima della sinistra a
cui dà un senso allo specchio. E se non esistesse (discorso ovviamente reversibile), la sinistra ha già evidenziato la sua vocazione a spaccarsi in destra-sinistra, centro-sinistra e sinistra-sinistra, per dire.
LA QUESTIONE è la qualità delle persone e
dei programmi, di qualunque schieramento specie oggi che le coperture ideologiche
sono andate in frantumi da un pezzo. E in
assenza di programmi e di visioni le persone
sono scadenti come classe dirigente politica, e non sembrano avere alcun interesse
reale per le “altre” persone, quelli che li votano, per la loro vita quotidiana, i loro problemi, i loro desideri. Le persone che dovrebbero essere al centro di ogni politica, e
ne sono invece sempre più disperatamente
fuori.
Si metaforizza molto chiaramente il processo parlando di periferie trascurate e in
rivolta. Ma le periferie non sono solo un
soggetto politico che vota, sono il risultato
di una politica che le ha volute così o comunque non è stata in grado di farle crescere altrimenti. Si dice: ma come fai ad affidarti al voto di chi non sa nulla, dove è finito l’einaudiano (e gomeziano) “conoscere per deliberare”, che nessun diciottenne
avrà sentito nominare?
Proviamo piuttosto a rovesciare la clessidra motivazionale. Nel Regno Unito Farage & “zozzoni”hanno mentito, l’informazione è stata insufficiente e impostora, molti, i più, hanno votato ignoranti contro i loro
interessi. Invece che dar loro addosso, perché non si dà addosso a un sistema che non
prevede, né sull’Isola né qui da noi e molto
poco ormai dappertutto, un’informazione
vera, libera, che ti permetta di farti un’idea
giusta o sbagliata ma tua, e di votare di conseguenza? Conoscere è indispensabile alla
democrazia, senza è un’altra cosa, è un
gregge usato dal nomadismo politico e portato da qualche parte, secondo il vantaggio
del momento. Guardiamoci intorno, pensando ai nostri eroi: invece di battersi per la
migliore o meno inadeguata informazione
possibile, eccoli pronti a sfruttare la situazione, pro o contro il premier, mentre i politologi si sforzano di suggerire a Renzi come usare a suo vantaggio la Brexit, non diversamente da come i calciologi che pronosticavano un’Italia di cacca adesso consigliano Conte sui cambi da effettuare…
Senza un voto informato e libero (e se non
lo è non dipende dai votanti) che ce ne facciamo della democrazia? Forse è un lusso
che non ci possiamo (più) permettere, forse
è roba superata, ormai da rottamare…
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14 » CRONACA
L’OMICIDIO DEL GIUDICE
Caccia, il pg accusa
“Magistrati opachi”
dietro il delitto”
| IL FATTO QUOTIDIANO | Mercoledì 29 Giugno 2016
IL MAGISTRATO TORINESE Bruno
Caccia, ucciso il 26 gennaio 1983, fu vittima di una “controffensiva” di ambienti criminali nella cui orbita ruotavano, fra l’altro, personaggi che "prosperavano vicino alla procura" di Torino. Lo ha detto ieri Francesco Saluzzo,
procuratore generale del Piemonte, durante una commemorazione al Palazzo di Giustizia.
All’epoca, le indagini fecero emergere contatti
q
fra alcuni magistrati torinesi e un pregiudicato
che gestiva il bar “Monique”, vicino ai vecchi
uffici della Procura. Per il delitto Caccia comincerà a luglio a Milano il processo a uno dei presunti esecutori, il calabrese Rocco Schirripa,
mentre un altro calabrese, Domenico Belfiore,
nel 1993 è stato condannato all’ergastolo come mandante. “Noi perdemmo Caccia – ha
detto Saluzzo – mentre aggrediva un tessuto
criminale insidiosissimo. Oggi si sente dire che
di 'ndrangheta in Piemonte non si è mai parlato, ma non è vero: i processi ai suoi protagonisti, così come le indagini sul ‘patto di sangue’
tra calabresi e catanesi, li facevamo già alla fine
degli anni Settanta”. Saluzzo ha citato anche gli
"ambienti che prosperavano vicino alla procura, con la complicità o la non opposizione di
magistrati opachi per non dire di peggio”.
I NUOVI PALINSESTI Campo Dall’Orto e direttori di rete al Conservatorio di Milano
Ancora molte incognite, da Benigni a Celentano. Via Ballarò, torna Santoro sul 2
» NANNI DELBECCHI
P
er la presentazione
dei palinsesti d’a utunno la Rai sbarca a
Milano e occupa tutto
il Conservatorio, chiostro incluso, proprio nei giorni delle
audizioni di fine anno. “Cercate di non disturbare”, viene
raccomandato agli studenti
dallo staff di Viale Mazzini.
Con questo viatico il direttore
generale Antonio Campo
Dall’Orto, detto Campo dei
miracoli, e i suoi quattro direttori tengono in ostaggio la
platea per quasi tre ore, più o
meno come Via col vento (ma
senza intervallo). Quasi tutti i
programmi annunciati erano
già noti, ma CdO ci tiene a sensibilizzare i presenti sul “profondo lavoro concettuale che
ripensa la direzione creativa
e il percorso verso la media
company (sic)”. Con lui si ripensa di brutto: da “Rai, di
tutto di più” a “Rai, per te, per
tutti”, tanto per fare un esempio. Piovono perle di saggezza; impossibile raccoglierle
tutte, ma ecco una manciata
delle più luminose.
Ascolti. CdO: “Con gli ascolti non ho un rapporto finalistico. Non sono il traguardo della nostra missione, che
è l’universalità”. Hare Krishna. Bisogni. CdO: “Vogliamo raccontare tutte le anime
del nostro Paese. Ogni cittadino da qualche parte dovrà
trovare la soddisfazione dei
suoi bisogni”. I famosi servizi
pubblici. C omu nica zion e.
CdO: “C’è qualcosa di stru-
LONGA MANUS
» PAOLO ZILIANI
La presentazione Antonio Campo Dall’Orto, Daria Bignardi e il neoacquisto Gianluca Semprini Ansa
La scommessa
“Il traguardo è
l’universalità, se anche
fosse un disastro
non cambieremo”
mentale nella comunicazione verso la Rai e ci sarà sempre, ormai lo sappiamo”. Tradotto dal sanscrito: “È sempre colpa dei giornalisti”.
Boia chi molla. CdO: “Anticiperemo la prima serata alle
21.15 dal lunedì al venerdì e
alle 20.40 il sabato e la dome-
nica. Sappiamo che perderemo ascolti ma l’importante è
tener duro. Se anche fosse un
disastro, fino a dicembre non
si cambia niente”. Benigni.
CdO: “Ci stiamo lavorando,
ma non abbiamo ancora trovato un accordo”. Infatti non
c’è traccia del monologo di fine anno, come non c’è traccia
di satira nei palinsesti. Giusto
per variare, ci sarà invece
Carlo Conti con Natale e quale. Modalità Celentano. Andrea Fabiano, direttore di
Raiuno: “Il 5 dicembre serata
evento per festeggiare l’uscita del nuovo disco di Mina e
Celentano, che saranno con
noi”. “Ma ci saranno anche
loro?”. “In qualche modo, saranno con noi”. Tappeto sonoro. AF: “La musica sarà il
nostro tappeto rosso: il grande ritorno dell’in tr a tt en imento in seconda serata”.
Montale è servito. AF: “Con
due prime serate, celebreremo uno dei poeti più importanti della nostra storia. Mogol”. Prodigi della statica.Ilaria Dallatana, direttore Raidue: “Rai2 poggia su un’architrave molto solida”. Ok,
ma l’architrave su cosa poggia? Parafrasi. ID: “La scommessa di Nemo. Nessuno escluso, nuovo programma di
attualità di Rai2, sarà il racconto sul campo. Se vogliamo
parafrasare Verne, scenderemo 20 mila leghe sotto la realtà”. C’era una volta Ballarò.
Daria Bignardi, direttore Raitre. “Gianluca Semprini è il
profilo giusto per il nuovo appuntamento con l’informazione in prima serata di Raitre, dove ci sarà più confronto
con il pubblico. No, non si
chiamerà più Ballarò. Il titolo
vi stupirà”. Ri sch iat utt o.
DB.: “Da ottobre Fabio Fazio
lo riporta su Rai3. Sarà un
programma emotivo, qualcosa di più di un programma televisivo”. Facce nuove. DB:
“Concita De Gregorio girerà
l’Italia per raccontare le facce
nuove della politica”. Le facce nuove. Concita De Gregorio. Virginia Raffaele. Sarà
ospite delle quattro puntate
dello show di Mika su Raiuno
e in primavera avrà uno show
tutto suo su Rai3. E nel 2017
ritornerà su Rai2 anche Michele Santoro con una nuova trasmissione. Fuga all’inglese.Trascorse le prime due
ore di Campo dei miracoli, gli
intellettuali si defilano alla
chetichella. Prima Edoardo
Camurri, poco dopo Corrado
Augias (entrambi arruolati
da Raitre). Difficile dargli
torto.
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Serie A femminile La Federazione impone regole ad hoc: “salvi” i primi retrocessi
scata la prima delle squadre retrocesse
nell’ultimo campionato: cioè Firenze.
a frase, pronunciata con tono scon- Non solo: con questa mossa, quasi cersolante, che gira nei corridoi della tamente la Federazione costringerà la
lega di Serie A femminile di pallavolo è Lega a organizzare un nuovo campioquesta: “Questi mettono bocca perfino nato con le squadre dispari, e quindi
qui, robe da matti”. Questi sono i ren- con un turno di riposo obbligatorio per
ziani. E la roba da matti è il ripescaggio ogni club. Un bel problema.
Tutte le altre squadre sono furiose
imposto dalla federazione nazionale
della “Il Bisonte San Casciano”, la per il colpo di mano e il malcontento
squadra di volley femminile di Firen- cresce. La vicenda è presto spiegata: la
ze, prima della scadenza delle iscrizio- Federazione - seconda solo a quella calni al prossimo campionato di A1. Man- cistica (400 mila iscritti e 6 mila società
cava effettivamente la pallavolo nella aderenti) - ha prima confermato anche
bacheca dei settori della
per quest’anno la partecisocietà italiana che ancopazione alla A1 del “Club
ra non avevano subìto
Italia” - la squadra della
federazione nata per forl’ingresso di Matteo RenRissa sotto rete
zi a Palazzo Chigi.
mare le giovani atlete italiane provenienti dai vivai
Il Consiglio
LA QUESTIONE si risolve- modificando il progetto
rà oggi, dopo le 12, quando federale decide
iniziale che prevedeva le
verranno rese note le prima della
azzurrine tra le “grandi”
squadre che si sono iscritsolo nella stagione preote alla stagione 2016/2017. scadenza delle
limpica e per questo i club
Ma in Lega sono furiosi iscrizioni. Club
avevano accettato il disaperché la Federazione ha
gio di un torneo a 13 squaimposto, prima di sapere e Lega furiosi
dre. Poi, con una delibera
il risultato, che fosse ripedel 10 giugno scorso, du-
L
“Pantani ucciso
dalla cocaina”
Archiviata
l’inchiesta bis
La Rai di Cdo, un po’ di satira
con Virginia Raffaele
È
Volley, i renziani ripescano Firenze
» CARLO DI FOGGIA
A RIMINI
ramente contestata dalturno forzato, una classila Lega, con un “fatto ifica dispari e 26 giornate
nusitato e straordinaanzichè 22 .La Lega e gli
altri club sono furibonde
rio”, il Consiglio Federaanche perché la Bisonte le ha convocato il nuovo
a differenza di Bolzano campionato imponendo
non ha dovuto comprarsi
l’immediato ripescaggio
il titolo. E tutti puntano il
di Firenze prima che fosdito su Palazzo Chigi. Il
se indetto. E senza mopresidente della società
tivare la decisione. La
sportiva è Elio Sità, già
Lega aveva invece chiepresidente della federasto che venisse adottata Presidente Elio Sita
la stessa formula della
zione toscana mentre il
serie A1 maschile: prima vediamo il nu- patron dello sponsor (Il Bisonte) è
mero di squadre iscritte, se sono dispa- Wanny Di Filippo, insignito pochi
giorni fa del “fiorino d’oro” dal sindaco
ri si decide se ripescare qualcuna.
renziano Dario Nardella. Il Volley itaINVECE accade il contrario, e quasi cer- liano - si fa notare - si è poi aggiudicato
tamente il numero dei club si fermerà i mondiali 2018, presentati a Firenze da
di nuovo a 13. Modena e Piacenza si so- Matteo Renzi in persona, in compagnia
no infatti fuse e Bolzano, seconda re- del presidente federale Carlo Magri e
trocessa, si è comprata il titolo della pri- da quello del Coni Giovanni Malagò,
ma per partecipare al campionato. Sal- quest’ultimo si sarebbe tenuto fuori
vo improbabili rinunce dell’ultim’ora, dalla querelle. Una vittoria che non sal’unica speranza è che Vicenza - che ha rebbe stata possibile senza la sponda di
annunciato l’addio alla Serie A - riesca Palazzo Chigi, dove le deleghe allo
a vendere il suo titolo. Cosa che - risulta sport sono affidate al fedelissimo renal Fatto - non è andata in porto.
ziano, Luca Lotti. Tout se tien.
E così si riparte da un torneo con un
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vero, Pantani è stato ucciso. Ma non
per mano della camorra: a ucciderlo è stata
la droga, per
l’es att ez za
la cocaina.
“La pista
dell’omicidio è
un’ipotesi
fantasiosa”,
ha scritto in una motivazione di 35 pagine il gip del Tribunale
di Rimini, Vinicio Cantarini, che ha firmato il decreto di archiviazione
dell’indagine “per infondatezza della notizia di
reato”. La morte di Marco “è stata dovuta all’assunzione, certamente
volontaria e autonoma,
di dosi massicce di cocaina e psicofarmaci antidepressivi”.
Una capitolazione totale per la famiglia Pantani assistita dall’avvocato De Rensis. Marco,
scrive il gip, era “una persona buona, ingenua e
debole sul piano emotivo, segnato dalle vicende
sportive che lo avevano
costretto, quando era il
campione amato da tutti,
a scendere dalla bici (…).
Nessuno voleva la morte
del campione”. Per il gip,
la tesi dell’omicidio è
spazzata via anche
da ll’evidenza che sul
corpo di Marco sono del
tutto assenti “segni/ferite tipici (…) di un’azione
di forza e violenza per costringere taluno ad assumere contro la sua volontà delle sostanze”.
Non si parlerà più di
assassinio di Pantani,
quindi: e il 6 luglio sapremo da Forlì se anche l’indagine sul Giro ’99 “deciso” dalla camorra è stata una bufala oppure no.
Di certo, rimuovere vecchi scheletri a volte può
rivelarsi un boomerang.
Mai sentito parlare del
gregario di Pantani, Riccardo Forconi, che nel
Giro del ’98 vinto da Marco venne estromesso per
ematocrito alto a due
giorni dalla fine? Ebbene, Forconi tornò a casa e
ai dirigenti della “Fanini
Amore & Vita”, sua vecchia squadra, raccontò
papale papale che la provetta di Pantani era stata
scambiata con la sua. Noi
scrivemmo tutto in
un’intervista a Ivano Fanini su Panorama e a dispetto della gravità delle
accuse non arrivarono
né richieste di smentita
né querele. Strano no?
| IL FATTO QUOTIDIANO | Mercoledì 29 Giugno 2016 |
» 15
ALL’INTERNO Wikipedia, quanto vale il sapere • Bpm-Banco, le nozze
che scontentano Milano • Nuovo processo per Soru •
FUORIGIOCO Authority e pm indagano sulla spartizione dei diritti tv per i campionati di A e B. Email
e intercettazioni scoperchiano il sistema Bogarelli: “Due Leghe assoggettate alla volontà dell’advisor”
Infront-Mediaset, i negoziati
segreti per conquistare il calcio
S
L’inchiesta
A marzo la
Procura di
Milano ha
ottenuto dal
giudice
un'ultima
proroga
d'indagine che
scadrà a
novembre. I
reati ipotizzati
sono turbativa
d'asta e
ostacolo alla
vigilanza. Gli
indagati sono
18 tra
manager di
Infront e
presidenti
delle squadre
di calcio
Sul
pacchetto C
risultano
evidenti
gli accordi
collusivi
tra il
presidente
del cda
di Infront
Bogarelli
ed
esponenti
Rti Spa
(Mediaset)
CROLLO
DEI MERCATI
Borsa, c’è poca
Intesa con
i propri clienti
» BEPPE SCIENZA
» DAVIDE MILOSA
partizioni, bandi di gara ad
hoc dettati al telefono, lobbyng. Questo il canovaccio
dell'assegnazione dei diritti
televisivi del calcio di Serie A
2015-2018 sul tavolo dell'Autorità garante della Concorrenza e del Mercato, che ha
prodotto multe salate, soprattutto per il gruppo Berlusconi. Ora questa sanzione (51
milioni di euro) viene spiegata in 50 pagine d'istruttoria
scritte dall'authority: la frenetica attività a ridosso dell'apertura delle buste (giugno
2014) si affianca a un'inchiesta della Procura di Milano. Il
punto di partenza è quello che
i magistrati definiscono “sistema Infront”. Per comprenderlo bisogna partire dal “Boga”: Marco Bogarelli, già uomo Fininvest, gestisce il marketing per molte squadre di A
e funge da advisor con la Lega
per la vendita dei diritti. Scrive la Guardia di finanza: “Infront, atteso il suo ruolo in seno alla Lega, dovrebbe agire
garantendo ai partecipanti equità, trasparenza e non discriminazione: garanzia che
invece non è ravvisabile”. Di
più: “Le leghe di A e B sembrerebbero assoggettate alla
volontà del loro advisor”.
NEL GIUGNO DEL 2014 va in
porto l'assegnazione complessiva dei diritti per la A. In
questo periodo le intercettazioni non sono iniziate. Le perquisizioni sì, i documenti finiscono al Garante. Nell'aprile
del 2015, invece, sul tavolo c'è
l'assegnazione del cosiddetto
pacchetto C (interviste a bordo campo) e i diritti della Serie
B. Questo secondo tempo del
film viene fissato dalle intercettazioni. I pm arrivano a Bogarelli indagando su una società svizzera, la Tax & Finance Sa. Secondo l'accusa costruisce reti finanziare per
portare soldi all'estero. In agenda ha 300 clienti italiani.
Tra loro anche Infront di Bogarelli. Per gli investigatori
dietro alla gestione di Infront
esistono “ingerenze, collusioni e condotte non affatto imparziali sia con riferimento alla sfera di finanziamenti in favore di squadre di calcio affiliate alle varie leghe sia all'assegnazione dei diritti televisivi”. Sul pacchetto C “risultano
evidenti gli accordi collusivi
tra il presidente del cda di Infront Bogarelli ed esponenti
Rti Spa (Mediaset)”. In questo
senso Bogarelli “ha adottato una condotta del tutto parziale a
favore di Rti intervenendo anche sull'avvocato della Lega
professionisti Bruno Ghirar-
IL SOLE non era
ancora tramontato e
già Banca Intesa si era
attivata per cercare di trarre
profitto, a danno dei propri
clienti, dal crollo delle Borse
europee di venerdì. Aveva
infatti già spedito un
messaggio a firma di Stefano
Barrese, responsabile
divisione banca dei territori,
per decantare la propria
bravura nella gestione del
risparmio. Alcuni non
l'hanno presa bene, tanto
che esso è rimbalzato in Rete
con commenti fra il beffardo
e l'infuriato di chi, in
particolare, con Intesa
Sanpaolo ha perso un sacco
di soldi.
Vediamo un paio di punti.
Barrese invita il destinatario
ad andare in filiale dal “suo
gestore per una consulenza
personalizzata”, e già
questo non è corretto,
perché quello è un mero
venditore e i prodotti sono
preconfezionati. Cita poi
“strumenti finanziari con
protezione del capitale” e in
effetti da anni Banca Intesa
e i suoi simili (Unicredit
ecc.) rifilano certificati
definiti "a capitale
condizionatamente
protetto". Per spiegare
quanto sia ingannevole tale
dicitura, vediamo per
esempio il Bonus
autocallable cap certificate su
azione Unicredit, codice Isin
IT0005039422, di Banca
Imi e quindi della stessa
filiera. Il suo capitale è così
protetto che vale ora sui 30
euro, dopo essere stato
rifilato ai clienti a 100 euro.
Una perdita del 70%.
L'espressione
"condizionatamente
protetto" è dunque da
intendere come una pura
tautologia: non si perde, "a
condizione che" il prezzo
non scenda. Ah, che maghi i
professionisti del risparmio!
Quelli di Banca Intesa hanno
una tale impudenza da
inviare e-mail analoghe,
vantando le loro inesistenti
competenze, pure a un
esperto di finanza quale
Marco Vinciguerra della
Tokos. Che gli ha risposto
per le rime. Oltre a
rinfacciargli varie previsioni
sciagurate, soprattutto ha
chiesto a Barrese: “Se siete
così bravi a gestire la
ricchezza, perché non avete
evitato alla vostra banca
una perdita dal 2006 del
71% del suo valore?”.
Domanda pertinente, cui
però la Banca dei Territori
non ha ancora risposto.
q
di”. I lavori partono nell'aprile
del 2015, quando Rti inizia a
preparare la sua offerta che si
rivelerà nulla perché “condizionata” a una sub-licenza.
Per farla passare Bogarelli si
attiva anche su Adriano Galliani, allora presidente di Lega. “Ha parlato con Adriano –
spiega un dirigente Infront – e
gli ha detto che bisogna fare
pressione anche sulle altre
squadre che abbiamo noi come diritto di marketing”. La
Lega, però, quell'offerta non
può accettarla. Ghirardi: “Io
così sto modificando un'offerta”. Il suo interlocutore, un dirigente Infront: “Ci mettono
tutti in galera”. Bogarelli però
vuole proseguire “proponendo alla Lega una soluzione che
Ghirardi stesso ritiene sia nata
dall'ufficio legale di Rti”. L'8
maggio “il Boga”è ancora al telefono con Galliani il quale
conferma: “Il C lo assegniamo
e buonanotte”. Subito dopo
Bogarelli al telefono con un
suo dirigente rassicura di “aver parlato con Adriano” e che
“la pelle la portiamo a casa”.
Quattordici giorni dopo il pacchetto C sarà affidato a Mediaset.
SUL PACCHETTO Serie B l'interlocutore del “Boga” è il presidente di Lega Andrea Abodi. Per capire il rapporto tra
Infront e Rti, ecco un'intercettazione esemplare: “M en o
male – l'interlocutore rivolto a
Bogarelli – che quando devo
sapere qualcosa di Mediaset
devo chiamare te”. Bogarelli
così tira la volata a casa Berlusconi. Nell'aprile del 2015
chiama Abodi e gli prospetta il
contenuto del bando che pre-
vede la messa in onda in chiaro
di alcune partite di anticipo e
posticipo su una rete nazionale che raggiunga il 3% di ascolti. Due giorni dopo, il bando
compare sul portale online
della Lega di B. La clausola del
3% sarà poi tolta dopo il ripensamento di Abodi e i timori
dello stesso management Infront. “Così – dice il legale – ti
aprono un'istruttoria per pratica scorretta e non competitiva”.
IL MODO DI AGIRE riassunto
nelle informative della Gdf ritorna a giugno del 2014, epoca
in cui furono assegnati i diritti
della A, attraverso i pacchetti
A, B, C e D. Procedura sanzionata dal Garante con una multa pesante a Mediaset e più
piccola a Sky. I documenti interni sequestrati sono risultati
decisivi per dimostrare, scrive
il Garante, “l'esistenza di un'intesa avente come oggetto
l'alterazione del gioco competitivo di assegnazione dei diritti televisivi”, “una trattativa
tra Sky e Rti/Mediaset antecedente all'assegnazione finale
del 26 giugno 2014 con il coinvolgimento di Lega e Infront”.
I documenti citati nell'istruttoria dimostrano così che nella
primavera del 2014, ancora
Gioco di
squadra
Da sinistra,
Marco Bogarelli, Pier Silvio
Berlusconi e
Adriano Galliani Illustrazione,
Emanuele Fucecchi
l
900
Milioni
di euro
Quanto vale
la torta dei
diritti tv per i
campionati di
Calcio di serie
A e B. Per
Mediaset è
scattata una
multa di 51
milioni
Bandi “fatti su misura”
Un dirigente della società di
marketing all’avvocato della Lega
di Serie A: “Ci mettono tutti in galera”
Multa per il Biscione da 51 milioni
prima che le buste delle offerte
venissero aperte, l'attività è
febbrile. Nelle email interne si
simulano bandi ad hoc ch e
possano andare bene a tutti. Il
7 giugno 2014 un’email interna a Rti: “Oggi sentita la proposta di Bogarelli (…) ma la vedo difficile (…) se vuoi ci mettiamo a trovare qualche soluzione per D”. L'obiettivo è soddisfare le ipotesi di “Ps (Pier
Silvio Berlusconi, ndr) che
vorrebbe vedere assegnato lo
scenario A+D”. Su questo, ragiona il Garante, Mediaset “esercita pressione su Lega e Infront”, attraverso un'attività di
lobbying e di pubblicazione di
articoli stampa. “Pier Silvio –
si legge in un'altra email –vuole un pezzo domani che dica:
ha vinto Mediaset. Lo devo dare anche a Bracchino che fa
lobbyng pure lui”.
IL 16 MARZO, la Procura di Mi-
lano ha ottenuto dal giudice
Giuseppe Gennari un'ultima
proroga d'indagine che scadrà
a novembre. I reati ipotizzati
sono turbativa d'asta e ostacolo alla vigilanza, reato per cui
sono indagati anche i presidenti di Lazio e Genoa Claudio Lotito ed Enrico Preziosi. La Gdf è arrivata negli uffici
della Deruta 20 srl (vicina a Infront) per sequestrare materiale legato a decine di società
di calcio. Il motivo: collegamenti tra Deruta e la Tax & Finance sa. E da giorni sul tavolo
dei magistrati milanesi è arrivata la voluntary disclosure di
Marco Bogarelli. Centinaia di
pagine che potrebbero aprire
un nuovo capitolo dell'inchiesta.
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16 » Il Fatto Economico
| IL FATTO QUOTIDIANO | Mercoledì 29 Giugno 2016
STRATEGIE La più grande enciclopedia open source online è in salute: donazioni e budget
aumentano. Ma la gran parte va in stipendi, cresciuti del 120% in 5 anni, tra vari mugugni
C
» VIRGINIA DELLA SALA
Fondazione
WIKIMEDIA
Foundation
è una
fondazione
non profit che
ha sede a San
Francisco
ed è stata
fondata nel
2003 per
supportare e
promuovere
Wikipedia e i
suoi progetti
satelliti, da
Commons a
Wicktionary,
da
Wikinotizie a
Wikizionario
n
l
71
Mila
Gli utenti
attivi
su Wikipedia
nel 2015, cioè
impegnati
nella stesura
di articoli
e voci
l
35
Milioni
Le voci
presenti
su Wikipedia,
redatte
dagli utenti
volontari
in centinaia
di lingue
l
100
Milioni
di dollari:
l’obiettivo
a cui mira di
la Wikimedia
Foundation
per il suo
fondo di
dotazione
ome vi mantenete nella vita?”.
Esino Lario, Lago di Como,
raduno mondiale dei wikipediani: è l’occasione per capire
quanti soldi ruotano attorno
all’enciclopedia libera e non
profit che monopolizza le ricerche sul web e per sapere
dove finiscono i soldi delle donazioni che ogni anno Wikipedia chiede, e riceve, agli utenti. “In questo momento, lo
stipendio ce lo paga Wikimedia Foundation”: Marco Fossati è un ricercatore di 31 anni
di Trento. Ester Pantaleo, invece, ha invece 35 anni ed è
pugliese. Hanno ricevuto da
Wikimedia un finanziamento
di 30 mila dollari a testa per lo
sviluppo delle loro idee. “Ho
scritto un progetto –spiega Ester –l’ho sottomesso alla fondazione ed è stato approvato”. Ha sviluppato un sistema
per analizzare l’et im ol og ia
delle parole partendo da Wiktionary, che è uno dei progetti fratelli di Wikipedia. Così l’utente è in grado di interagire con l’albero etimologico di un termine partendo
dall’antenato fino a tutti i suoi
discendenti: può vedere la
storia in un’unica schermata,
insieme a quella di altre parole che abbiano la stessa origine. Per realizzarlo, si è messa
in contatto con il vicepresidente di Wikimedia Italia,
Cristian Consonni (dottorando in informatica all’Università di Trento) che l’ha introdotta nella community e l’ha
sostenuta. Consonni l’ha anche messa in contatto con
Marco Fossati, che aveva vinto una borsa di studio di sei
mesi nella tornata precedente. “Insegno alla macchina a
leggere – spiega Fossati –. È
un sistema di trattamento del
linguaggio naturale: legge
pezzi di testo da documenti
setacciati nella Rete ed estrae
fatti. Poi li trasforma in dati
consultabili”. È soprattutto
programmazione e co di ng ,
con lui lavora un assistente universitario.
BORSE DI STUDIO e finanzia-
menti sono la seconda voce di
uscita nel bilancio della fondazione. Nel 2014, sono stati distribuiti circa 5,7 milioni in
grant. Nel 2015, sono stati di
meno: 4,5. “Uno degli obiettivi
della fondazione –spiega Consonni – è fare da ponte tra gli
ambienti della ricerca e Wikipedia per i progetti legati alla
piattaforma”. Per ottenere un
grant, bisogna avere un endorsement da parte della fondazione e degli utenti. Il progetto
viene inserito in una pagina
pubblica e chiunque può intervenire, commentare, dare
consigli. O anche demolirlo.
La decisione, finale, spetta comunque a Wikimedia Foundation.
WIKIMEDIA FOUNDATION è la
fondazione non profit, con sede a San Francisco, che sta dietro Wikipedia, creata nel 2003
dal co-fondatore dell’enciclo-
Altro che sopravvivenza,
Wikipedia sta crescendo
(ma con lei anche i costi)
Sempre in prima linea Sopra, i numeri di Wikipedia. Sotto: il fondatore Jimmy Wales Infografica di Pierpaolo Balani
pedia Jimmy (detto Jimbo)
Wales. La principale fonte di
finanziamento è costituita
dalle donazioni libere degli utenti. “Nel 2015, almeno 2,5
milioni di persone hanno donato in media 15 dollari – spiega alFattoJuliet Barbara, capo
della comunicazione –. Gran
parte delle donazioni arrivano
da altre fondazioni non profit e
il fundraisingci permette di sopravvivere di anno in anno”.
Tra i maggiori benefattori, si
trovano facilmente i rami non
profit delle grandi aziende digitali: da Google a Microsoft e,
con cifre inferiori, la Apple.
Nel 2015, dalla raccolta fondi
sono arrivati circa 72 milioni di
dollari.
La fondazione ha però da
poco aperto un endowment, un
fondo di dotazione, per assicurarsi un patrimonio di base.
“È la scelta migliore per una
fondazione non profit –spiega
Barbara – perché ti permette
di essere sostenibile negli anni, senza risentire dell’andamento del mercato o delle congiunture economiche. Ci aiuta
a proteggere Wikipedia, a tenerla sempre completamente
gratuita e senza pubblicità”.
L’8 giugno hanno ricevuto una
donazione di un milione di
dollari da Craig Newmark,
fondatore del sito Craiglist,
specializzato nella pubblicazione di annunci geolocalizza-
l
15
Dollari
La media
delle
donazioni
fatte dagli
utenti di
Wikipedia
alla
fondazione
che ha sede
a San
Francisco
l
72
Milioni
di dollari
raccolti,
nel 2015,
con il
fundraising
da ogni parte
del mondo.
Sono stati
4,5 i milioni
destinati
ai grant
Diversificazione e risparmi
Non solo Bibbia del sapere,
anche progetti di ricerca e borse
di studio. I fondi stanziati, però, sono
scesi, al contrario delle spese legali
ti. Qualche mese fa, l’ingegnere informatico Jim Pacha, affetto da una malattia terminale, ha lasciato alla fondazione
un milione di dollari in eredità.
L’obiettivo è raggiungere un
fondo di circa 100 milioni
nell’arco di dieci anni.
UNA MOSSA intelligente se si
considera che nei mesi scorsi
alcuni utenti americani si erano lamentati del fatto che gli
annunci per la raccolta di fondi fossero troppo allarmistici e
portassero a credere che la
fondazione rischiasse da un
momento all’altro di chiudere
in passivo. Tanto che la portavoce Samantha Lien era stata
costretta a precisare che Wikipedia mette da parte sempre
un cuscinetto di sicurezza pari
al budget operativo di un anno,
per far fronte a eventuali cali
improvvisi nella raccolta.
Parte della comunità non
vede comunque di buon occhio la recente evoluzione della fondazione, a partire dalla
crescita dei dipendenti che sono passati dai 23 del 2009 ai
280 del 2016. Ai loro stipendi è
destinata la quota maggiore
del bilancio, pari a oltre 26 milioni nel 2015 (erano circa 19
nel 2014). Il piano operativo
del 2016 prevede infatti un aumento del numero di ingegneri informatici, che passano da
137 a 149 con gli investimenti e
di quello degli avvocati, che
dovrebbero passare da 9 a 12 e
che servono alla fondazione
per dirimere tutte le questioni
legali, dalle cause per violazione del copyright alle richieste
per il diritto all’oblio, fino alla
causa intentata contro la Nsa
per la sorveglianza globale (vista da alcuni come il tentativo,
da parte della fondazione, di
giustificare le spese). Aumenteranno anche gli addetti alla
comunicazione, che passeranno da 4 a 11. “Il nostro obiettivo è crescere – ha spiegato
Katherine Maher, da pochi
giorni eletta direttore esecutivo della fondazione –. Più lingue, più informazioni, più precisione e anche una maggiore
attenzione al mobile. Il mondo
cambia, e anche Wikipedia”.
La sfida sarà riuscire a non farsi schiacciare dalle sue dinamiche.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
DIESELGATE
CLASS ACTION
Volkswagen
verserà 14,7
miliardi agli
automobilisti Usa
PACE FATTA fra
Volkswagen e gli
automobilisti americani
dopo lo scandalo
dieselgate. Ieri è stato
raggiunto
l’accordo
definitivo fra la
casa
automobilistica
e le autorità
Usa. Secondo
l’intesa, il gruppo di
Wolfsburg verserà
complessivamente 14,7
miliardi di dollari, si tratta
della cifra più consistente
mai registrata negli Stati
Uniti per una class action.
Nel dettaglio Volkswagen
verserà fino a 10,03
miliardi per coprire i costi
legali e i risarcimenti legati
ai ricorsi dei proprietari dei
veicoli coinvolti nello
scandalo, fino a 2,7 miliardi
per un fondo ambientale e
altri 2 miliardi per
promuovere la tecnologia
per veicoli a zero
emissioni.
Nello specifico, poco più di
10 miliardi di dollari sono
destinati al riacquisto di
auto al loro valore
calcolato prima dello
scandalo, mentre una cifra
aggiuntiva verrà impiegata
per risarcimenti ai
proprietari.
I risarcimenti offerti ai
proprietari delle auto
andranno dai 5.100 dollari
ai 10mila, sulla base del
valore del veicolo prima
dello scorso settembre,
ovvero il momento in cui
Volkswagen ammise
pubblicamente che le sue
auto indicate come clean
erano state progettate in
maniera tale da aggirare i
test sulla qualità,
sull'impatto ambientale
rispetto alla qualità
dell’aria. I proprietari delle
auto negli Stati Uniti
potranno scegliere anche
di avere il veicolo
modificato, riparato di
fatto in maniera da
rispettare gli standard
adeguati, invece di
rivenderlo a Volkswagen,
anche se ciò
comporterebbe con tutta
probabilità una riduzione
nella performance
dell’auto.
Risarcimenti sono previsti
anche per i proprietari di
auto Volkswagen che le
hanno vendute dopo
l’esplosione dello
scandalo. Volkswagen
verserà anche 2,7 miliardi
di dollari a favore di un
fondo della Environmental
protection agency (Epa),
l'agenzia federale che si
occupa di protezione
dell’ambiente, a titolo
compensativo per
l’impatto ambientale delle
auto manipolate, mentre
s'impegna a spendere due
miliardi di dollari in nuovi
progetti per auto più pulite.
q
Il Fatto Economico » 17
Mercoledì 29 Giugno 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |
All’Italiana A ottobre nascerà il terzo gruppo italiano, ma la Popolare ha buoni numeri:
“Non vogliamo fonderci con una banca che ha problemi e finirà per assumere il comando”
L’ECONOMIA
IN PILLOLE
Bpm-Banco pop: il malumore
di Milano per le nozze cresce
al 17,9 per cento. Prospettive abbastanza rosee, che però non convincono i critici, i quali s’interrogano: perché si salta dal 2015 al
2019, senza dire nulla dei tre esercizi intermedi, 2016, 2017 e
2018?
» GIANNI BARBACETTO
L
Milano
a data delle nozze è già
fissata, ma il fidanzamento ha qualche incrinatura e c’è insoddisfazione sulla dote.
Banca Popolare di Milano (Bpm)
e Banco Popolare sono promessi
sposi. A ottobre sarà pronunciato
il sì: le due grandi assemblee dei
soci decideranno, per l’ultima
volta con il voto capitario (una testa un voto), la fusione e la contestuale trasformazione in società per azioni, voluta dalla riforma
delle Popolari di Matteo Renzi.
NASCERÀ così Banco Bpm, la terza
banca italiana, con una rete di
2.500 sportelli e 113 miliardi di
crediti netti verso la clientela e di
raccolta diretta e indiretta. Ma
crescono i malumori, soprattutto
dentro Bpm: “Siamo una banca sana. Perché dobbiamo crescere
fondendoci con un istituto che ha
più problemi di noi ma che, essendo più grande, finirà per assumere
il comando del gruppo che nascerà?”. Questi, in sintesi, gli umori
che circolano dentro Bpm.
In vista della fusione, sono già
stabiliti i rapporti di partecipazione – 54 per cento Banco e 46 per
cento Bpm – che determineranno
il concambio. Danneggiano Milano e favoriscono Verona (sede del
Banco), ha spiegato Daniela Venanzi, consigliere di sorveglianza
Bpm, a un gruppo di soci riuniti
nell’associazione Patto. Le due
banche sono state considerate “omogenee”, sostengono i critici
della fusione, ma la Popolare di
Milano ha minor rischio sistemico, è più redditizia e ha minori Npl,
cioè crediti difficili: il rapporto 54
a 46, negoziato tra i vertici dei due
istituti, finisce così per punire Bpm. Non solo: i controlli sui valori
Rincari, da luglio
bollette più salate
per energia
elettrica e gas
LA SITUAZIONE delle banche, del
Credito La Banca Popolare di Milano verso la fusione con Banco Popolare Ansa
Chi tifa Il vicesegretario
del Pd Guerini e Fioroni
spingono per l’unione.
La Bce ha in corso
due ispezioni
sono stati realizzati con una due
diligence sui crediti che potrebbe
non fotografare esattamente la situazione. A ciascuna delle due
banche è stato infatti chiesto di indicare solo 100 posizioni, di cui 50
Npl (i crediti più a rischio). Un
campione troppo piccolo, che ha
comunque già fatto emergere differenze – a favore di Milano – nel
livello di accantonamento e nella
classificazione dei crediti erogati
agli stessi clienti che hanno posizioni in entrambi gli istituti.
I vertici delle due banche vogliono procedere spediti verso il
matrimonio, stabilito dal memorandum firmato il 23 marzo 2016
da Giuseppe Castagna e Pierfrancesco Saviotti, amministratori delegati rispettivamente di B-
pm e di Banco Popolare. A ottobre,
se le due assemblee approveranno
la fusione, nascerà un nuovo consiglio d’amministrazione, in cui
Verona avrà 9 consiglieri contro i
7 di Milano, più 3 indipendenti.
Dal Banco arriveranno anche
molti dei manager del vertice:
Carlo Fratta Pasini presidente
del cda, Saviotti presidente del comitato esecutivo, Maurizio Faroni direttore generale. Bpm esprimerà l’amministratore delegato, Castagna, e il condirettore
generale, Salvatore Poloni.
Qualche malumore sembra arrivare anche dall’attuale presidente
del consiglio di sorveglianza di Bpm, Nicola Rossi, tagliato fuori
dalle nomine.
Il piano strategico promette
meraviglie: sommando i dati delle
due banche nel 2015 e confrontandoli con previsioni 2019, indica un
utile netto che schizzerebbe da
593 a 1.070 milioni, con un incremento dell’80 per cento; mentre i
crediti deteriorati nominali scenderebbero da 31,5 a 23,9 miliardi
(-25 per cento), con un’incidenza
nominale che passerebbe dal 24,8
resto, continua a essere difficile. È
vero che il Banco Popolare il 22
giugno ha chiuso brillantemente il
suo aumento di capitale, 1 miliardo raccolto per un terzo dai clienti
retail; e che nel 2015 ha chiuso in
utile il bilancio, distribuendo a
marzo una cedola agli azionisti.
Ma è anche vero che la prima trimestrale 2016 indica una perdita
di 314 milioni, causata dalle rettifiche sui crediti. Dall’annuncio
della fusione a oggi, Bpm ha perso
in Borsa il 25 per cento della propria capitalizzazione, il Banco addirittura il 40 per cento. Se le notizie buone del 2015 a Verona possono essere effetto della volontà di
fare bella figura in vista della fusione, quelle cattive successive sono frutto dei controlli della Banca
centrale europea, che ha in corso
un’ispezione sia a Verona sia a Milano e a Verona sta sottoponendo
il Banco anche agli stress test (come pure le altre quattro più grosse
banche italiane).
La politica in questa partita
sembra silenziosa, ma non è un
mistero che Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd, tifi per la fusione, visto che viene da Lodi, dove il Banco Popolare ha una delle
sue radici (la Popolare di Lodi di
Gianpiero Fiorani). Favorevole
al matrimonio anche Giuseppe
Fioroni, influente deputato del
Partito democratico. Del resto, in
questi chiari di luna, per le due
banche non pare esserci nulla di
meglio che un bel matrimonio, anche se un po’ riparatore.
I numeri
113
miliardi:
crediti netti
verso la
clientela e
raccolta
diretta e
indiretta del
nuovo
gruppo. Avrà
una rete di
2.500
sportelli
40%
quanto ha
perso il
Banco in
Borsa
dall’annuncio
della fusione
a oggi. Bpm
ha perso il
25%
54%
il Banco e
46% Bpm: i
rapporti di
partecipazione
che
determineranno il
concambio
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Tiscali L’ex governatore sardo, già condannato per evasione, a giudizio per false comunicazioni sociali
Vendita ramo d’azienda, nuovo processo per Soru
» MADDALENA BRUNETTI
Cagliari
L’
europarlamentare sardo
Renato Soru, esponente di
spicco del Pd, dovrà affrontare un nuovo processo. Dopo la
condanna per evasione fiscale (in
primo grado) piovutagli addosso
meno di due mesi fa, ieri l’ex governatore ed ex segretario del partito democratico isolano, è stato
rinviato a giudizio per false comunicazioni sociali relative ai bilanci
della sua Tiscali. Toccherà ora ai
giudici stabilire se i documenti
contabili presentati dalla società di
Sa Illetta dal 2008 al 2012, descrivevano o meno il reale stato di salute della società. Con Soru sono
chiamati a rispondere anche l’ex
amministratore delegato di Tiscali
Mario Rosso, Romano Fischietti dirigente che predisponeva i documenti contabili -, i consiglieri
d’amministrazione Ernesto Fara,
Salvatore Pulvirenti, Luca Scano,
Andrea Podda e Roberto Lai, oltre
alle due società Tiscali spa e Tiscali
Italia spa.
L’INCHIESTA della Guardia di Fi-
nanza si era inizialmente concentrata sulla cessione di due rami d’azienda - da Tiscali Spa a Tiscali Italia Srl e Tiscali Services Srl –, origine di una plusvalenza di 162
milioni di euro: l’inserimento in
bilancio aveva sollevato i primi
dubbi degli inquirenti. Successivamente le ipotesi di reato legate
all’operazione erano cadute, lasciando però spazio alle perplessità investigative sulla contabilità.
Da qui le accuse di false comunicazioni sociali contestate ai vertici
dell’azienda dal pm Andrea Massidda, che rappresenterà l’accusa
in aula davanti alla seconda sezione penale del tribunale di Cagliari.
Il nuovo processo, fissato per il
prossimo 25 ottobre, segnerà anche la ripresa del calvario giudiziario di Soru sul quale - solo lo scorso
5 maggio - si è abbattuta una condanna a tre anni. Una tegola che ha
Piovono
guai
L’ex governatore della Sardegna, Renato
Soru. Rinviato
a giudizio per
il caso Tiscali
LaPresse
provocato un terremoto politico: a
poche ore dalla sentenza l’allora
leader del Pd sardo aveva rinunciato all’incarico per poi lasciare
anche il gruppo, ma non la poltrona, del parlamento europeo.
Nonostante le sue certezze “Mi aspettavo un’assoluzione”, aveva detto fuori dall’aula – l’ex governatore sardo era stato riconosciuto colpevole di un’evasione
milionaria: 2.612.401 euro, al netto
delle cifre già prescritte. In questo
TORNANO a
crescere le bollette ma
resta comunque ancora un
risparmio di oltre 70 euro. Lo
comunica l'Autorità per
l’Energia. "Dopo i ribassi nei
primi due trimestri dell’anno,
dal prossimo primo luglio
saranno in crescita le
bollette
dell’energia
nel terzo
trimestre
2016”. Per la
famiglia-tipo
la bolletta
dell’elettricità
registrerà un aumento
del 4,3%, mentre per il gas
l’aggiustamento sarà
dell’1,9%. Per l’elettricità, la
spesa per la famiglia-tipo nei
12 mesi compreso il periodo
oggetto dell’aggiornamento
sarà di circa 503 euro, con un
calo del -0,6% rispetto ai 12
mesi equivalenti dell’anno
precedente, corrispondente
ad un risparmio di circa 3
euro. Per il gas la spesa della
famiglia tipo sarà di 1.068
euro (-5,9%),
corrispondente a un
risparmio di 67 euro.
“Il prezzo dell’energia spiega l’Authority - è dovuto
al rialzo della materia prima,
ma soprattutto alla crescita
dei costi per il Gestore della
rete (Terna) per il
mantenimento in equilibrio
del sistema elettrico”.
q
caso la vicenda ha origine a Londra
dove - nel 2003, con due sterline di
capitale - è stata costituita la Andalas Ltd: società che, per gli inquirenti, non è stata altro che uno
schermo dietro il quale nascondere soldi al Fisco. Direttamente riconducibile al fondatore di Tiscali,
Andalas è rimasta sostanzialmente ferma, con all'attivo un'unica operazione di rilievo: il prestito da
oltre 27 milioni di euro concesso
alla Tiscali finance nel 2004. Quest'ultima, nei cinque anni successivi, avrebbe restituito parte del
debito versando anche gli interessi, con importi che non sarebbero
mai stati dichiarati all'Agenzia
delle entrate.
UNO SCOTTO pesante quello paga-
to da Soru, che oltre al processo ha
dovuto fronteggiare anche Equitalia con cartelle da poco meno di
10 milioni di euro. Ma certo della
sua innocenza ha subito annunciato ricorso in appello.
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Gli artigiani:
troppe tasse e 269
ore l’anno per gli
obblighi fiscali
“FARE
IMPRESA” in Italia
è difficile. Questa la
conclusione a cui portano
le dure parole riservate
all'operato del governo da
parte di Giorgio Merletti,
Presidente di
Confartigianato. Durante
l'assemblea nazionale di
ieri, Merletti ha ricordato i
costi che tassazione e
pratiche burocratiche
costituiscono per le
imprese italiane. In Italia le
imprese spendono 269
ore l’anno, 92 ore in più
rispetto alla media Ocse,
per ottemperare agli
obblighi fiscali. La loro
competitività viene
ulteriormente minata dal
costo, a livello fiscale, del
lavoro dipendente, fissato
al 49%. Criticata anche la
riforma della Pa di cui dice Merletti - “'Non
vediamo ancora i tanto
attesi effetti... all’insegna
della semplificazione”.
L’unica nota positiva per
Confartigianato, il Jobs
Act che però non va a
migliorare la situazione
delle imprese italiane
ancora svantaggiate
rispetto alla concorrenza
internazionale.
q
18 » Il Fatto Economico
| IL FATTO QUOTIDIANO | Mercoledì 29 Giugno 2016
IL ROMPICAPO L’economia mondiale è in una palude per colpa del combinato di innovazioni
tecniche, competitività internazionale diseguale e riduzione dei redditi medio-bassi. Uscirne è difficile
Non sarà la politica monetaria
a fermare la grande stagnazione
creazione del valore dei nuovi assetti produttivi.
Quello che è aumentato in misura notevole in questi anni è l'interazione e la cooperazione sociale
della forza-lavoro, cioè proprio
quella produttività che non viene
pagata dal capitale. Se si tenesse
conto della cooperazione sociale, e
non solo della prestazione individuale, il calcolo della produttività
permetterebbe di remunerare in
modo assai più appropriato il contributo di tutti alla creazione della
ricchezza.
» DI MARCO BERTORELLO
E CHRISTIAN MARAZZI
I
Il dibattito
Il primo
a parlare di
Secular
stagnation
(SS) fu Alvin
Hansen,
economista
americano,
nel 1938.
Prima
dell’ultima
crisi tornò sul
concetto
Robert
Gordon e
Larry
Summers. Per
“SS” oggi si
intende una
teoria
secondo la
quale l’era
della grande
crescita,
dovuta alla
spinta della
tecnologia, è
finita. Fabio
Scacciavillani
ha aperto il
dibattito che
sta
continuando
da mesi su
queste
pagine. Sono
intervenuti,
tra gli altri,
Alberto
Bagnai e
Vladimiro
Giacché
l vivere dentro una fase di
“stagnazione secolare” appare un tema molto evocato.
Gli attuali tassi di crescita
possono far pensare a una
fase di stallo, ma per ipotizzare
che possa essere lunga non è sufficiente registrare le odierne fatiche economiche. Ci vuole uno
sguardo sui processi strutturali.
Solo trasformazioni profonde
possono spiegare un andamento
che inizia, almeno nei Paesi
dell’Ocse (cioè tra quelli più ricchi), dagli anni 70, con tassi di crescita del Pil passati mediamente
dal 4% a poco sopra lo zero di questo decennio. Stiamo parlando di
un fenomeno avviatosi circa 40
anni fa. Le ragioni, dunque, saranno complesse e molteplici.
A RIPROVA di questa fase di stagna-
UNA SOCIETÀ caratterizzata sem-
pre più da una distribuzione ineguale del reddito favorisce una circoscritta élite con una propensione al consumo insufficiente per dinamizzare l'economia nel suo
complesso. Ma il mancato “effetto
sgocciolamento” non basta a spiegare ciò che sta accadendo. In questi ultimi decenni non solo sono
stati trasformati i rapporti sociali a
tutto svantaggio del lavoro, ma si è
affermato anche un evidente processo di innovazione tecnica combinato con crescenti dosi di internazionalizzazione dell'economia
e della finanza. Va messo sotto i riflettori quello che Economist e Financial Times hanno definito il
“puzzle” e il “rompicapo” della
produttività, di cui esistono più
spiegazioni che soluzioni. O meglio tante sono le spiegazioni da
rendere improbabili adeguate soluzioni.
Una ricerca Ocse raggruppa in
tre periodi la crescita del Pil per ora
lavorata (1970-96; 1996-2004;
2004-14) e conclude che nella quasi totalità dei Paesi tale crescita è
stata inferiore nell'ultimo periodo
rispetto agli anni 70 e che solo negli
Usa, in Irlanda e in Australia, gli anni 90 hanno dato risultati migliori
rispetto al periodo precedente. In
tutti i Paesi, comunque, si è registrato un crollo nell'ultimo decen-
In Occidente Soltanto
trasformazioni profonde
spiegano il crollo della
crescita dal +4% degli
anni 70 allo zero di oggi
nio. Di solito per produttività del
lavoro si intende il Pil per ora lavorata. Tra il 2004 e il 2014, specie
nei paesi economicamente avanzati, questo indice della produttività del lavoro è mediamente attorno all'1%, circa la metà rispetto alla
produttività media dei due decenni precedenti. La crescita della
produttività è data dalla crescita
demografica oppure dall'aumento
del grado di efficienza dell'appara-
to produttivo. Entrambi questi fattori ora non sono dati.
LE TECNOLOGIE dell'informazio-
ne, nonostante ruolo e ritmo di diffusione, non sembrano favorire un
aumento della produttività. Dall'avvento di queste tecnologie gli
investimenti sono andati calando,
la ricerca, grazie anche a una ritirata strategica della sfera pubblica,
è diminuita, il passaggio dal manifatturiero ai servizi in tanti comparti ha ridotto gli addetti mediamente specializzati e ampliato
quelli dequalificati. Le nuove tecnologie, infine, spingono fuori dal
mercato dosi crescenti di produzioni, socializzandole e non remunerandole più. I criteri di misura
dell'economia risentono delle novità intervenute nei processi di
zione è l'inefficacia delle politiche
monetarie ultra-espansive. La crisi è stata fronteggiata con l'immissione di una crescente massa monetaria la quale, secondo la teoria
economica, avrebbe dovuto creare
inflazione. Invece quasi tutte le
Banche centrali non riescono a
centrare l'obiettivo della crescita
dei prezzi, anche al netto del prezzo del greggio. La moneta circolante aumenta, ma non perde valore,
per una formidabile pressione sui
prezzi che spinge verso la deflazione. È probabile che il combinato di
innovazioni tecniche, livelli di
competitività internazionale e riduzione dei redditi medio-bassi
sia la spiegazione. Il panorama anemico dei paesi più sviluppati,
però, va considerato nell'interconnessione col contesto globale. Il
rallentamento dell'Occidente ha
dato vita alla diminuzione dei ritmi
di crescita di Paesi emergenti come la Cina e ne ha mandato in crisi
altri come il Brasile. I Brics da potenziale soluzione della crisi sono
diventati un problema. Nei Paesi emergenti, inoltre, si va verso una
riduzione del tasso di natalità ed è
in corso anche qui un rallentamento della produttività, a conferma
che nel tempo si è affermata una
profonda interdipendenza non solo commerciale, ma produttiva e
persino tecnica.
La mancata crescita, nonostante l'innovazione, la moneta immessa e il grado di competizione raggiunto, consegna alla teoria dominante un rompicapo e suggerisce
di sperimentare strade diverse da
quelle fino a oggi battute.
ILLIBRO
Il primario, la designer,
l’imprenditore:
l’altro volto
dell’immigrazione
DALLA MISERIA al successo. Jacopo Storni continua il viaggio nel mondo degli immigrati in Italia, iniziato con il precedente libro “Sparategli, nuovi
schiavi d’Italia”, attraverso le storie di stranieri che ce l'hanno fatta
e sono riusciti a superare le condizioni di sfruttamento. Storni dichiara apertamente la sua
missione:
cambiare l'immagine dell'immigrato –
legata sempre
e solo a quella
del profugo bil L’Italia
sognoso di assiamo noi
sistenza che
Jacopo Storni
arriva sulle coPagine: 142
ste italiane sui
Prezzo:
barconi – per
14,50e
abbandonare
Editore:
nel lettore tutti
Castelvecchi
i pregiudizi sul
tema e ribaltare gli stereotipi, descrivendo la realtà di queste
persone da una prospettiva diversa. Nel pellegrinaggio dell'autore,
che va da nord a sud del Belpaese,
scopriamo la storia di Otto Bijoka
– che scrive anche la prefazione al
libro – finanziere camerunense,
definito il borghese nero di Milano, e organizzatore dei primi “Stati generali sull’immigrazione”; di
Nelu, che fino a pochi anni fa era
un semplice muratore romeno,
sottopagato e sfruttato nei cantieri e oggi è un imprenditore che
costruisce le ville dei milionari a
Capalbio. E ancora Faud, medico
somalo diventato primario ospedaliero, o Liliam baby prostituta in
Brasile e, ora, cake designer tra le
più brave d'Italia. Non mancano
anche i volti famosi di personaggi
come Idris, il famoso opinionista
sportivo e Lilian Thuram, protagonista per anni del calcio italiano. Vite che rappresentano il volto della buona immigrazione che
con il proprio valore contribuisce
anche all'economia del Paese: gli
stranieri valgono l'8,8 % del Pil
italiano. Sono i nuovi italiani, i
nuovi imprenditori, medici, ingegneri, avvocati, politici e poliziotti, parte integrante del nostro tessuto sociale e piccolo assaggio di
quello che sarà il Paese da qui ai
prossimi 50 anni. La fine del tempo della razza perché un futuro
multiculturale è inevitabile.
q
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LA CLASSE NON È ACQUA Le trade union sono percepite al fianco delle élite finanziarie
» SALVATORE CANNAVÒ
B
isognava prestare la giusta attenzione a
quelle immagini che qualche anno fa
venivano dall’Humber, l’estuario del
Lincolnshire dove gli operai inglesi protestavano contro gli italiani venuti a lavorare alla
Total. Quella storia era già intrisa del tempo
che sarebbe venuto.
ERANO CENTINAIA GLI INGLESI, forti di un
grande sostegno morale in patria, a sfilare davanti alla raffineria di Lindsey, la seconda del
Regno Unito, per contestare l’arrivo degli italiani, dipendenti della Irem di Siracusa che
aveva vinto un’asta come sub-contractor dell'americana Jacobs, chiamata da Total per costruire l’impianto.
È il sindacato europeo l’altro
grande sconfitto dalla Brexit
Quella metafora, oggi realtà, indicativa di
quali siano i rapporti tra i lavoratori in Europa,
spiega ampiamente un dato ancora rimosso
dal dopo Brexit, la sostanziale marginalità del
sindacato dal dibattito e dallo scontro in atto.
A farne le spese, non a caso, è il partito laburista di Jeremy Corbyn, più esposto di quanto
lo sia stato nella passata “era blairiana” verso
i sindacati e il mondo del lavoro. A Corbyn viene rimproverato tutto: di essere stato troppo
morbido contro la Brexit, ma anche di non aver capito la rabbia dei lavoratori inglesi. Che,
del resto, sembra essere ampiamente documentata non solo dai casi come la raffineria di
Lindsey ma dall’analisi del voto.
IL PUNTO È SOTTO GLI OCCHI di tutti da molto
tempo ormai: milioni di lavoratori in tutta Europa scaricano la perdita del lavoro, del potere
di acquisto dei loro salari, della riduzione del
welfare sulla cosiddetta invasione dei migranti. È una spiegazione semplice, immediata e che trova decine di politici capaci di approfittarne per arricchire il proprio carnet elettorale.
Il sindacato finora non è riuscito a interpretare queste paure e a volgerle su un piano
diverso, alimentando la lotta contro le caste o
le élitefinanziarie. Finendo, almeno agli occhi
di milioni di elettori, a braccetto con quelle
stesse élitecome nel caso del voto inglese dove
la City e le Trade union hanno dato la stessa
indicazione di voto. Una contraddizione che
finisce per lasciare il segno.
Passato il referendum il problema si sposta
a livello europeo e, anche qui, non sembra che
ci sia una capacità di reazione all’altezza del
problema. Sindacati sempre più nazionali, a
dispetto della realtà della Ces, che cercano di
barcamenarsi nel loro cortile di casa e che, al
di là di convegni e manifestazioni a basso impatto, non parlano il linguaggio del popolo.
Con un’aggravante: se Corbyn, almeno, è contestato, il sindacato sembra ignorato del tutto.
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ESTERI
Mercoledì 29 Giugno 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |
USA IKEA RITIRA LA CASSETTIERA KILLER
Ikea ha deciso di ritirare dal mercato nordamericano 29 milioni di cassettiere dopo la morte accidentale di tre bambini, causata dal ribaltamento del
mobile. Il ritiro al momento interessa solo Stati Uniti
e Canada. Tempo fa l’azienda svedese aveva già
sconsigliato di usare i cassetti per arrampicarsi senza aver fissato il mobile alla parete, ma dopo la terza
morte è stato deciso il ritiro dal marcato. Ansa
TURCHIA
» MARCO BARBONAGLIA
U
Istanbul
n attacco coordinato, portato con freddezza e determinazione nel luogo che
può far più male. Almeno due
kamikaze, ma le esplosioni in
tutto sarebbero state quattro, hanno fatto strage tra i
turisti dell’aeroporto Ataturk di Istanbul. Il bilancio
delle vittime era ieri sera di
almeno 10 morti e oltre sessanta feriti. Le telecamere
dello scalo turco e i telefonini
delle persone che affollavano la zona dei controlli di sicurezza hanno immortalato
la dinamica usata dalla squadra di terroristi. Raffiche di
mitra hanno annunciato l’attacco, seminando il panico:
le persone presenti all’interno dell’aeroporto hanno cominciato a fuggire e cercare
IL COMMENTO
EGITTO REGENI, SOSPESE FORNITURE F16
L’Italia sospende la fornitura di pezzi di ricambio
dei jet F-16 nei confronti dell’Egitto. Un emendamento è stato approvato dalle commissioni Esteri e Difesa, relatori Vito Vattuone e Gian Carlo
Sangalli (Pd), legato alla morte di Giulio Regeni.
Nell’ambito delle missioni internazionali, è stata
aumentata di circa 17,5 milioni di euro la spesa
per la missione alla diga di Mosul. Reuters
Due kamikaze
all’aeroporto:
strage a Istanbul
Esplosioni e raffiche di mitra: almeno dieci morti e decine
di feriti. L’attacco multiplo ai controlli di sicurezza
no degli assalitori ha sparato
contro i viaggiatori nel terminal internazionale mentre un altro vi si è fatto esplodere; un altro si è fatto detonare nel parcheggio. Diversi
testimoni, tuttavia, hanno
parlato di quattro assalitori.
Ieri sera il governo di Ankara non si è spinto a iden-
tificare una matrice chiara
per l’attentato multiplo, ma
l’uso di mitra kalashnikov e il
coordinamento chirurgico
pare spingere le ipotesi verso
un’azione di terroristi islamici, più che frange estremiste curde, che pure in passato
hanno colpito il regime turco.
Italia-Olanda,un seggio per due
Consiglio di Sicurezza, fotofinish all’Onu
per uno: prima l’Italia nel 2017, poi il 2018
L’ITALIASTECCA al 1°turno e va
al ballottaggio a oltranza con l’Oall’Olanda. Stavolta dunque non è stata ulanda per un posto di membro non perna marcia trionfale, come nel ’94. E nepmanente nel Consiglio di Sicurezza Onu.
pure una passeggiata, come nel 2006. A
Un testa a testa che ci vede sempre inNew York c’è il ministro degli Esteri Paolo
Gentiloni, dopo che, per sostenere la candietro: 125 a 113 al primo turno, 99 a 92 al
didatura, si sono spesi il presidente Matsecondo, 96 a 94 al terzo, 96 a 95 al quarto. Per passare, ci volevano due terzi dei
tarella e il premier Renzi. Centrare l’obiettivo appariva, sulla carta, non impossibile
votanti nell’Assemblea generale: circa
perché i nostri rivali, Svezia e Olanda, so128 suffragi. Al 1° turno, la Svezia conquino Paesi che un po’ s’esta uno dei 2 seggi in
palio per l’Europa Oclidono a vicenda. L’Italia
cidentale, con 134 voti;
poteva contare sui mole passano pure Etiopia
teplici radicamenti - eue Bolivia. Al 2° turno, ce
ropeo, atlantico, medila fa il Kazakhstan, che
terraneo, persino latifa fuori la Thailandia
no-americano – e dinell’area asiatica. Alla
sponeva di qualche vofine il compromesso:
to in più del quorum
Renzi e il premier olan(qualche amico s’è perdese Rutte a Bruxelles Il segretario Onu Ban Ki moon so per strada).
si spartiscono un anno con Renzi LaPresse
G.G.
q
Il ministro dell’I nt er no
turco ha organizzato un centro di crisi, mentre tutti i voli
sono stati cancellati. Secondo le ricostruzioni delle autorità, all’aeroporto si sono
prodotte due esplosioni e una sparatoria nel parcheggio
e nel terminal internazionale. Il ministro della Giustizia,
Bekir Bozdag, ha detto che u-
Turismo
nel mirino
Gli effetti delle esplosioni
all’aeroporto
internazionale di Istanbul
Ansa
Isis Violenze e soprusi dell’Occidente motivano il fenomeno jihadista
I
l fenomeno Isis, il più inquietante ma anche il più
interessante dalla fine della
Seconda guerra mondiale, può
avere quattro letture, che non si
elidono ma si sovrappongono.
All’inizio è una guerra interreligiosa fra sunniti e sciiti i cui
rapporti di forza erano stati
sconvolti dall’aggressione del
2003 proditoria, immotivata e
illegittima degli Usa all’Iraq di
Saddam, Stato sovrano rappresentato all’Onu, aggressione
avvenuta senza la copertura Onu, anzi contro la sua volontà (si
sa che per gli occidentali la copertura dell’Onu va su e giù come la pelle dei coglioni). Ma fin
dalle origini il conflitto sunniti/sciiti oltre a un connotato re-
ligioso ne ha uno geopolitico: è il
tentativo di ridefinire confini
statuali arbitrariamente disegnati dai colonialisti inglesi e
francesi un secolo fa. Non a caso
all’inizio il Califfato si chiama
“Stato dell’Iraq e del Levante”,
con l’obbiettivo di riunire Iraq e
Siria.
Dopo l’intervento di americani e francesi che, in linea di
principio, con questo conflitto
non avevano nulla a che vedere
(ma ormai è consumata abitudine dell’Occidente di intromettersi nelle guerre altrui), il
principale obbiettivo dell’Isis è
divenuto colpire l’Occidente
non solo e non tanto perché abitato da “infedeli” (credo che
Al Baghdadi sfrutti l’elemento
religioso per cooptare il maggior numero di adepti) ma per-
La devastazione prodotta
dalle esplosioni rivela la potenza delle bombe indossate
dagli attentatori suicidi.
Fiamme si sono sviluppate in
diversi punti dello scalo internazionale, mentre le
squadre speciali del ministero degli Interni intervenivano per scovare eventuali terroristi nascosti e portavano i
primi soccorsi alle vittime.
Decine di persone riverse
all’interno della struttura,
ma anche nello spiazzo antistante.
L’attacco multiplo è forse
il più grave, per come è stato
concertato e per l’obiettivo,
subito dalla Turchia negli ultimi anni. Kamikaze hanno
già ucciso a Istanbul e in altre
città, ma non si era mai avuto
un tale dispiegamento di fuoco e di assaltatori.
Il paese ospita ormai da 5
anni un crescente numero di
profughi siriani, ormai diversi milioni, che affollano il
confine con la Siria, rendendo ancora più complicato il
controllo delle frontiere meridionali del Paese governato da Erdogan, leader del
partito islamico moderato
che ha da pochi mesi raggiunto l’accordo con l’Ue per
la gestione del flusso di migranti dalle sue frontiere
verso l’Europa.
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CALIFFO IN SALSA MARXISTA
» MASSIMO FINI
Sangue
e fiamme
I primi soccorsi ad alcuni dei feriti
dell’attentato
all’aeroporto
Ataturk Ansa
NAZIONI UNITE Compromesso finale: un anno a testa
Il colore del terrore
Tra i colpiti molti
agenti di polizia
Il governo vago
sui responsabili
riparo. Sarebbe stato allora
che sono entrati in azione i
kamikaze che si sarebbero
fatti esplodere tra la folla impaurita.
Molti dei feriti sarebbero
agenti della sicurezza, a confermare che l’area sotto attacco è stata quella dei varchi
per i controlli per l’accesso ai
gate dello scalo più utilizzato
del paese. Anche la città di Istanbul era nel caos ieri sera,
con traffico impazzito e decine di sirene di polizia e ambulanze.
Ieri sera non si avevano
notizie di vittime italiane, ma
la Farnesina ha diramato un
allarme per i concittadini.
» 19
ché da più di due secoli esercita
violenza militare ed economica in Medio Oriente, Africa
subsahariana e anche in alcuni
paesi del Maghreb. Non è un
caso se i primi attacchi terroristici sono avvenuti in Francia essendo gli Usa troppo lontani e apparentemente irraggiungibili (ma dopo i fatti di
Orlando nemmeno gli Usa possono sentirsi più al sicuro).
Ma in quarta battuta – questa è la mia opinione – quella
d el l ’Isis, intorno al quale si
raccolgono iracheni, siriani, libici, somali (gli Shaabab), nigeriani (Boko Haram), egiziani (Fratelli Musulmani), maliani, pachistani e da ultimo,
dopo la morte del Mullah Omar, anche afgani, è la lotta dei
Paesi poveri del Terzo mondo
contro i Paesi ricchi del Primo.
Per il momento, gli sconvolgimenti innescati dalla guerra
dell’Isis e all’Isis ma anche, se
non soprattutto, dalla fame
che la nostra economia ha provocato in Africa Nera, si traduce, con le migrazioni, in una
lotta in Europa fra i poveri del
Terzo mondo e quelli di casa
nostra.
Ma una volta che questi ultimi capissero che sono omologhi ai poveri del Terzo mondo,
vittime entrambi della violenza del turbo-capitalismo, queste due povertà si potrebbero
saldare e puntare contro i padroni del vapore nazionali e internazionali. Si avvererebbe
così paradossalmente, in salsa
islamica, la profezia di Marx.
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20 »
| IL FATTO QUOTIDIANO | Mercoledì 29 Giugno 2016
Cultura | Spettacoli | Società | Sport
Secondo Tempo
L’INTERVISTA Lo scrittore islandese Jòn Kalman Stefánsson
U
SEGUE DALLA PRIMA
» FRANCESCO MUSOLINO
Il libro
n rapporto fatto di silenzi e ricordi, permettendo all’autore
di comporre una ricca saga familiare che attraversa tutto il
XX sino ai giorni nostri. E a
proposito di attualità, Stefánsson mette in guardia sui
rischi post Brexit: “Nigel Farage mi ricorda il linguaggio
di Donald Trump. Non può
essere un buon segno”.
Partiamo dal calcio. La sua Islanda ha sconfitto l’Inghilterra approdando ai quarti
dove incontrerà la Francia. Si
aspettava questi risultati?
Grande
come
l’universo
l
Jòn Kalman
Stefánsson
Pagine: 448
Prezzo: 19e
Editore:
Iperborea
Pillola
APRE
IL “MAMT”
Ha aperto ieri
a Napoli il
MAMT, Museo della Pace, creato
dalla Fondazione Mediterraneo.
All’interno 12
percorsi tematici
sull’immigrazione, l’accoglienza e il
dialogo interculturale. C’è
poi un intero
piano del
Museo dedicato a Pino
Daniele, in
cui viene raccontata,
“emozionalmente”, la
sua vita artistica e la sua
musica
n
Sapevo che potevamo fare bene perché siamo tosti, ben
messi in campo e con una
grande tifoseria alle spalle,
ma anch’io sono rimasto sorpreso. Però la palla è rotonda
e può succedere di tutto. Proprio questa è la bellezza del
calcio!
Davvero il rilancio del calcio
in Islanda è frutto di una politica governativa per contrastare l’alcolismo nelle
nuove generazioni?
L’ho sentito dire in tv, l’ho letto sui giornali ma non è affatto
così. Anzi, mi fa sorridere. Il
governo ha fatto massicci investimenti per costruire football houses al coperto, è vero,
ma l’intento era proprio quello di migliorare il nostro rapporto con il calcio. La lotta
all’alcolismo non c’entra proprio nulla.
“La mia
Islanda, terra
di calciofili
e di sgombri”
Vittorie
inattese
Il romanziere
e il successo a
Euro 2016:
“Siamo tosti,
abbiamo
grandi tifosi e
non abbiamo
niente da perdere”
LaPresse
Deve dubitare. Compito
dell’artista è quello di metterci davanti alle nostre ossessioni, alle domande chiave
circa la nostra identità, ma deve anche saper ampliare la nostra realtà, permettendoci di
fuggire via, lontano. L’artista
può stare dentro o fuori la società, non importa, ciò che
conta è che abbia sempre la
forza di dubitare, della vita e
della morte soprattutto.
Lei ha un ruolo politicamente attivo in Islanda. Cosa
pensa della Brexit?
La prima cosa che mi ha colpito sono state le reazioni di
Nigel Farage, leader dell’Ukip, che ha detto: ‘Questa è una vittoria per la gente perbene’. Esattamente come avrebbe fatto Donald Trump. Ecco,
questa somiglianza mi preoccupa moltissimo. La Brexit è
una sconfitta per tutti, non solo per la Gran Bretagna, potrebbe persino sancirne la fine con l’indipendenza della
Scozia. D’accordo, la Ue ha una burocrazia mortale e una
centralizzazione eccessiva,
ma la maggior parte dei giovani ha votato per rimanere in
Europa. Noi dovremmo ascoltarli.
L’Islanda è sopravvissuta di
recente a un collasso finanziario. Ha una ricetta valida
per il vecchio continente?
I temi economici non sono il
mio forte. Abbiamo avuto un
governo di sinistra che ha avuto il coraggio di riformare,
ma abbiamo avuto anche fortuna: per via del surriscaldamento, l’oceano intorno a noi
era pieno di branchi di sgombri che hanno aiutato la nostra economia ferita e soprattutto sono arrivati i turisti.
Nel 2006 erano 400 mila. Ora
sono 2 milioni.
In occasione del festival La
grande invasione ha ragionato sul ruolo dell’artista.
Cosa deve fare?
Uno scrittore si deve sempre
confrontare con le sue ossessioni?
Se decidi di scrivere, di raccontare una storia, devi avere
la forza di andare in profondità, assorbendo la passione e
i sentimenti. Nulla ti deve
spaventare se vuoi essere sincero con il tuo lettore. Personalmente mi piace indagare il
passato, sono convinto che
tutto sia legato proprio come
gli anelli di una catena e, senza
rispetto per il nostro passato,
tutto andrebbe perduto. Ecco, forse la mia lotta contro
l’oblio del tempo è la mia ossessione.
La famiglia è un punto di riferimento nei suoi libri.
Vero. La famiglia mi fa pensare ad un rifugio sicuro. La famiglia ci ricongiunge alla nostra stessa identità. E noi dobbiamo partire sempre dalle
nostre radici per capire davvero chi siamo.
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RISVEGLI Il crac del 2008 e gli investimenti sociali e sportivi per cambiare le sorti di un Paese
» TOMMASO RODANO
U
n bel giorno l’Islanda si è svegliata con le tre banche principali indebitate per 100 miliardi
di dollari. Il prodotto interno lordo nazionale non andava oltre i 13:
uno Stato fallito. Quello applicato
su quest’isola di 330 mila persone
è stato definito “il più puro esperimento di deregulation finanziaria nella storia dell’economia”. È
raccontato in Inside Job, il documentario sulla grande recessione
premiato con l’Oscar nel 2011. Erano i primissimi anni Zero: il Paese svendeva le sue meraviglie naturali (e le loro risorse energetiche) alle multinazionali e privatizzava tre banche nazionali. In un
lustro gli stessi istituti di credito si
sono fatti prestare qualcosa come
120 miliardi di dollari. L’assurda
bolla speculativa è scoppiata negli
Dal fallimento al football dei miracoli
Fuori dalla Ue, pazzi per gli Europei
ultimi mesi del 2008.
“AVEVAMO quasi creato una socie-
tà ideale”, racconta nel documentario uno dei più importanti narratori islandesi, Andri Magnason.
All’improvviso era tutto in fumo:
disoccupazione triplicata, Pil in
picchiata, debito esploso. Invece il
caso islandese è diventato un esempio accademico. È stato definito un “default pilotato”: lo Stato
ha lasciato fallire le banche e poi le
ha nazionalizzate, salvando i conti
correnti dei cittadini islandesi in
due istituti sani e assumendosi i debiti. Ha preso soldi dal Fondo monetario internazionale e sperimentato l’austerità ma ne è uscito
relativamente presto: il crollo della
moneta nazionale – la corona i- le di questo staterello di pescatori,
slandese – ha fatto raddoppiare il orgogliosamente fuori dall’Euroturismo e rilanciato l’economia. Il pa politica, si è scontrata contro lo
Pil islandese è stato il primo a tor- squadrone, in teoria, degli invennare sui livelli pre-crisi. La richie- tori del football; una nazione in lutsta di adesione all’Unione europea, to (o almeno metà di essa) per la
inoltrata nel 2009,
Brexit. Ed è successo
è stata cancellata
l’imponderabile.
nel 2015. Non si è
mai parlato di #EANCHE L’IMPROVVISA
xIsland solo peresplosione del moviché in effetti non
mento islandese non è fic’è mai stato un inglia del caso. Fino agli
anni 90 nell’isola il calgresso.
Il calcio ha quecio non esisteva, se non a
sto dono, si intreclivelli semiprofessionicia con la storia nei
stici. Per una ragione
modi più assurdi
semplice: d’inverno le
ed evocativi: lune- Islandesi dopo la vittoria temperature rendono
dì sera la Naziona- contro l’Inghilterra Ansa
impossibile anche solo
SECONDO TEMPO
Mercoledì 29 Giugno 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |
Wimbledon, Wawrinka c’è
Accordo Milan-Montella
Premiati Verdone-Albanese
Stan Wawrinka supera il primo
turno. Lo svizzero, numero 4 del
mondo e del seeding, ha battuto
lo statunitense Taylor Fritz
Ancora da sciogliere il nodo della
clausola che lo lega alla Sampdoria,
ma Montella può virtualmente
dirsi il nuovo allenatore del Milan
Il premio “Nino Manfredi” è andato
alla coppia comica per “L’abbiamo
fatta grossa”. La consegna sabato a
Taormina durante i Nastri d’argento
L’INTERVISTA
» 21
NORI CORBUCCI La vedova del regista e gli anni di amicizia
con Spencer. Tra film, cene, canzoni, falò e risse sfiorate
“Sergio e Bud chiusi in roulotte
a mangiare chili di pasta”
» ALESSANDRO FERRUCCI
N
ori Corbucci
conosceva Carlo Pedersoli da
molto prima
che diventasse
Bud Spencer, quando “eravamo un gruppo di adolescenti, e tutti insieme andavamo al mare, spesso a Ostia,
e lui si presentava con una cabrio americana bellissima...
Aspetti, in realtà bellissimoera lui, e tutte noi innamorate”. La signora Corbucci è la
vedova di Sergio, uno dei
grandi del cinema italiano,
più e più volte sul set insieme,
anche lui complice nel costruire il mito dell’omone
burbero ma buono, pronto a
martellare con il pugno sferrato dall’alto in basso, la testa
degli sventurati.
Insomma era bello, alto,
muscoloso, con la cabrio...
Non solo: suonava molto bene la chitarra, aveva una voce importante, ed era arrivato a comporre canzoni per
Ornella Vanoni e Nico Fidenco. Con lui abbiamo trascorso dei momenti fantastici, cinematografici: immagini questo ragazzone
con la chitarra in mano, e gli
altri intorno al falò.
E come diceva prima: voi innamorate.
(Scoppia in una risata)Eccome! Ma alla fine ha vinto Maria Amato (diventata sua
moglie).
Molti lo descrivono come
un uomo anche istrionico.
sa: a un certo punto della
giornata guardavano me e
Maria (Amato), e con l’espressione seria ci dicevano
‘adesso scusate ma ci dobbiamo chiudere nella roulotte per studiare il copione.
E da soli. Quindi organizzatevi, ci vediamo dopo’. Passavano dieci minuti e da quel
caravan usciva una serie infinita di profumi, odori inequivocabili.
Come persona era ancor più
audace rispetto al personaggio costruito nei film. Era un
uomo in carca di emozioni,
in continuo movimento; un
uomo che parlava molte lingue, viaggiava, tentava imprese industriali non sempre riuscitissime, ma almeno provava. Se non sbaglio,
un anno pensò di commercializzare jeans nel mondo,
un’altra volta addirittura le
banane.
Cucinavano?
Chili di pasta, pancetta, soffritti, qualunque cosa, era un
trionfo culinario. Vede, anche mio marito pesava oltre
i cento chili, non come Carlo, ma insomma si difendeva. E noi sempre più preoccupate non riuscivamo a fermarli.
Amava il suo personaggio?
Pasolini diceva:
‘È conosciuto pure
nello Yemen’. Aveva
un solo rimpianto:
non aver mai vinto
un David di Donatello
Molto, e poi non gli mancava l’autoironia, forse per le
sue origini partenopee. Però in Italia non hanno ancora capito cosa rappresentano nel mondo Bud Spencer
e Terence Hill, tutti pensano a un fenomeno solo nostrano.
E invece...
Ricordo le parole di Pier
Paolo Pasolini: ‘P e r si n o
nello Yemen sono famosi!’.
Era vero allora, ancora di
Goliardia pura. E Terence
Hill partecipava?
Lui è quasi un asceta, differente da tutti. Un angelo.
Difficile trovargli un difetto,
un uomo complicato da raccontare.
Domani
i funerali
Si terranno
a Roma nella
chiesa degli
Artisti;
a destra, Nori
Corbucci
Ansa
più oggi: sono uno dei nostri
grandi brand ma, come
spesso accade, sottovalutati. Non avete idea di cosa voleva dire girare per strada
con lui, in quanti lo fermavano e negli angoli più disparati della terra. Ovunque.
Lei spesso seguiva suo marito sul set. Quali erano i
rapporti tra Sergio Corbucci e Bud Spencer?
La scena era sempre la stes-
APPUNTAMENTO L’8 luglio la prima serata senza il Ninfeo di Villa Giulia
pensare di allenarsi.
titolari della nazioMancavano le strut- Pianificazione
nale giocano nei
ture. Poi lo Stato ha i- Fino agli anni 90
grandi campionati
niziato a investire: un
europei. Fino a pochi
piano nazionale per la i giocatori erano
anni fa l’unica stella
costruzione di im- semiprofessionisti era Eidur Gudjohnsen, attaccante nel
pianti al chiuso, riChelsea di Ranieri.
scaldati, in erba sinte- Poi sono arrivati
tica. Gli islandesi han- gli impianti
Esordì in Nazionale
no iniziato a giocare a
20 anni fa, il 24 aprile
pallone. E tutto l’an- e lo studio tattico 1996, sostituendo il
no: non più da maggio
padre in un’amichevole contro l’Estonia.
a ottobre.
Il secondo passo è stato lavorare Si giocava in un micro stadio stile
sulla conoscenza del gioco: la fede- Subbuteo, Eidur era circondato da
razione calcistica ha iniziato ad al- sconosciuti e semiprofessionisti.
Il 19 giugno, a 38 anni, Gudjohnlenare gli allenatori. Il risultato –
racconta un bel reportage di Ho- sen ha giocato (da riserva) la sua
wler Magazine–è che oggi nel Pae- prima partita con l’Islanda negli
se ci sono 184 tecnici con un paten- Europei. Ora, dopo ogni impresa,
tino Uefa A e 594 con un patentino corre con i suoi compagni sotto alle
Uefa B: ogni 500 islandesi c’è un in- tribune, per quella specie di incresegnante di calcio con una quali- dibile Haka con cui la squadra fa
fica professionale (in Inghilterra impazzire i tifosi. Fino ai quarti di
finale. Pare che in Francia ci siano
ce n’è uno ogni 10 mila).
I risultati sono arrivati in tempi 20 mila islandesi. L’8% del Paese.
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incredibilmente rapidi. Ora tutti i
Il Premio Strega trasloca all’Auditorium
Ma la caciara romanesca dove la mettiamo?
“METTEREMO una maschera di
fronte a Villa Giulia il giovedì, così
anche i più tradizionalisti saranno informati”. La battuta sfugge dal banco della
conferenza stampa di presentazione del
Premio Strega e affronta la vera novità di
quest’anno: per la settantesima edizione
si cambia location e data: non più lo storico Ninfeo ma l’Auditorium Parco della
Musica, non più il primo giovedì di luglio
ma venerdì 8 luglio, giorno forse televisivamente più appetibile.
Per accreditare con maggiore efficacia la
novità epocale, gli organizzatori del Premio proiettano ai giornalisti un cinegiornale Luce datato 1948: scorrono i volti di
Ennio Flaiano, Giuseppe Ungaretti, Alberto Moravia, Roberto Rossellini, Anna Magnani e Stefano Petrocchi, presidente della Fondazione Bellonci, tiene a precisare:
“Sorpresa. Le immagini non sono del Ninfeo, ma dell’Hotel de Ville, dove si svolsero
q
Quindi Bud Spencer e Terence Hill erano realmente
amici.
Si integravano alla perfezione. Però ribadisco: uno come Mario (Terence Hill) è
fuori dal comune.
Bud Spencer era manesco
anche nella vita reale?
No, e poi non ne aveva mica
bisogno. Avete presente la
stazza? Tanti e tanti anni fa
eravamo su una Topolino, a
un certo punto un camion ci
taglia la strada, rischiamo
l’incidente e dalla paura nasce un diverbio verbale. Dal
mezzo pesante esce un uomo adulto e grosso che inizia
a minacciarci di botte, a quel
punto con una calma serafica Carlo apre lo sportello, e
piano piano esce dall’abitacolo. ‘Sei proprio sicuro di
voler litigare?’. E il tipo: ‘No,
no, è stata solo un’incomprensione’.
Cinema puro.
Quanto ci siamo divertiti. La
sua mole era talmente importante che un anno comprò una barca a vela, ma
troppo piccola rispetto alle
sue misure, quindi dovette
passare al catamarano.
le prime cinque edizioni”. Vero, ma le altre
64 pesano un po’ di più. Riuscirà l’Auditorium a ricreare quell’atmosfera “un po’
caciarona e molto romana del Ninfeo”
(parole di Tullio De Mauro, presidente del
comitato direttivo dello Strega) che delle
serate del Premio è sempre stato un indispensabile corollario?
Le perplessità sono diffuse, la risposta venerdì 8 luglio.
STE. CA.
Aveva rimpianti?
Due. Sognava qualche riconoscimento dal cinema italiano, un premio, un David di
Donatello, ma niente. Me lo
ha detto molto spesso.
E il secondo?
Gli dispiaceva che nessuno
sapesse della sua attività
musicale, dei suoi dischi,
delle sue canzoni.
Twitter: @A_Ferrucci
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22 » SECONDO TEMPO
| IL FATTO QUOTIDIANO | Mercoledì 29 Giugno 2016
Libri
L’ESORDIO “L’amore è eterno finché non risponde”, romanzo dell’avvocato
Ester Viola, un metatesto di parola scritta e schermate WhatsApp
L
Il libro
L’amore
è eterno
finché non
risponde
l
Ester Viola
Pagine: 224
Prezzo: 17e
Editore:
Einaudi
Sempre
connessi
“Ho passato il tempo
tra i 20 e i
40 a trovare risposte
giuste ai
messaggi”
» STEFANO CASELLI
e storie d’amore sono un metatesto e L’amore è eterno finché non risponde, romanzo
d’esordio di Ester Viola, è un
piccolo manuale di linguaggi: gli amori si raccontano a
parole ma soprattutto a
schermate Gmail e WhatsApp. Non è una novità, lo ha
fatto anche Jonathan Franzen, ma c’è da credere che diventerà un’abitudine. Una
chat è una narrazione a parte, spesso completa nella sua
essenzialità. Il talento di Ester Viola (è difficile non annoiare con l’ennesima storia
di innamoramenti e tradimenti) sta nella giusta alternanza di linguaggi e nell’essenzialità della scrittura,
forse figlia della sua formazione di avvocato.
AVVOCATO è infatti anche la
protagonista Olivia Marni,
divorzista napoletana trentaduenne, il cui mestiere è
comporre i disastri sentimentali di ricche ex coppie. Il
mondo si divide in due categorie, i “lasciati” e i “lascianti”e l’avvocato –senza distinzione di sesso – prova un’indubbia simpatia per i secondi, indipendentemente dalla
parte in cui si trova il cliente
di turno.
Sul tavolo del divorzista
arrivano le macerie fumanti,
ma prima dei crolli c’è il mondo di Olivia, che è poi il mondo di tutti (o meglio, il mondo
di una borghesia medio alta
che qui è a Napoli ma che potrebbe essere in qualunque
altra città occidentale). Un
mondo dove tutti (o quasi) si
lasciano ma dove pochi hanno il coraggio di dirsi davvero
addio. Un mondo di eterni semi-adulti perennemente insoddisfatti e costantemente
indecisi.
C’è un ex fidanzato che
non è mai un ex, la nuova fidanzata smorfiosetta dell’ex
fidanzato, un vicino di casa
D. C. (DOPO CHRISTIE)
EccoYeruldelgger,
gigante poliziotto
del giallo mongolo
» FABRIZIO D’ESPOSITO
P
In amore sopravvive
chi dimentica,
non il più forte
bello, innamorato, sempre
presente ma mai corrisposto.
C’è il super avvocato aggressivo e perdente, il capo apparentemente equilibrato ma
in preda ai fantasmi di un amore mai esaurito. E poi l’amica, l’immancabile cinica in
stile Sex and the City.
C’è molto cinismo ne L’amore è eterno finché non risponde, ma è un cinismo “empatico”, una specie di colesterolo buono che invece di
minacciare le arterie apre il
respiro. Un cinismo terapeutico, insomma.
L’avvocato e i suoi clienti,
in fondo, pari sono: sentimentalmente disastrati, in-
capaci di non desiderare tutto e il contrario di tutto, incastrati nella propria libertà.
Il popolo dei semi-adulti, tuttavia, ha almeno il pregio di
essere meno noioso di quello
degli assennati e felici. A Napoli poi (la città è la protagonista sottotraccia di tutto il
romanzo) frequentano anche gli stessi locali e si incontrano molto spesso (forse
troppo spesso).
SE AVETE a noia l’abitudine di
tornare sul proprio ombelico
(così cara a tanta letteratura
di casa nostra), lasciate perdere. Se invece siete tra chi rivedrebbe volentieri Perfetti
sconosciuti, non date ascolto
al Grande Romanzo Americano lasciato che vi guarderà
con riprovazione dal comodino e tuffatevi nelle 220 pagine de L’amore è eterno finché non risponde. Finiranno
in fretta.
E magari anche voi (che
siate o no quelli più veloci a
dimenticare, ossia quelli che
sopravvivono al darwinismo
dei disastri sentimentali) vi
accorgerete, come Olivia
Marni, di aver passato la
maggior parte del tempo tra i
venti e i quaranta a fare una
cosa: trovare le risposte giuste ai messaggi.
otente e sterminato come il suo Paese,
la Mongolia. Appuntatevi questo nome, lunghissimo: Yeruldelgger. È un
gigantesco commissario di Ulan Bator, la capitale mongola, e in Francia è già un best-seller. Da noi arriva incomprensibilmente con
tre anni di ritardo e solo
grazie a un editore attento
come Fazi. L’abbrivio è feroce. Il cadavere di una
bambina sepolta viva con il
suo triciclo. E poi tre cinesi
massacrati ed evirati, coi
loro organi genitali in bocca a due puttane impiccate.
Yeruldelgger fa il poliziotto in un ambiente corrotto e l Yerulsenza apparenti speranze, delgger
dove le sapienti tradizioni Morte nella
mongole hanno lasciato il steppa
passo al capitalismo sel- Ian Manook
vaggio, favorito laggiù da- Pagine: 524
gli onnipresenti cinesi e dai Prezzo:
16,50e
coreani del sud.
A SCRIVERE Morte nella
Editore: Fazi
ste ppa è il francese Ian
Manook, pseudonimo del romanziere giramondo Patrick Manoukian, che domani sarà al Festival internazionale di Roma, alla
Basilica di Massenzio. Yeruldelgger incarna l’anima di un popolo fiero, incline al nomadismo e alla libertà e da secoli rassegnato
a fare i conti con il terrore che evoca l’impero di Gengis Khan. La Mongolia è cinque
volte l’Italia e ha solo tre milioni di abitanti,
di cui la metà accalcata nella capitale. Il
thriller di Manook, primo di una trilogia, è
un magnifico reportage in un mondo perlopiù sconosciuto: “A parte il nuovo centro
di Ulan Bator e la perfezione in finita delle
steppe e delle montagne, Oyun si chiedeva
spesso perché la sua bella Mongolia sembrasse così scalcinata”. Oyun è uno dei due
personaggi femminili del romanzo, una poliziotta. L’altra è Solongo, medico legale che
ama castamente Yeruldelgger, ex monaco
buddista squarciato da una tragedia personale. Unico appunto all’edizione italiana: la
mancanza di un dizionarietto finale coi termini delle usanze mongole.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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BAMBINI Torna il caso letterario del 2010 SASSOFONISTA Massimo Urbani di borgata A SINISTRA Nuovo laboratorio Barcellona
In Giappone c’è una vita
Quando Roma cambiò pelle Ada Colau, o del conflitto
artificiale. Ma è imperfetta Prima era un’altra musica
dei movimenti al potere
» VERONICA TOMASSINI
» ANDREA DI GENNARO
» LUCA PISAPIA
TORNA in libreria con il suo terzo romanzo, Viola
Di Grado, catanese, classe 1987. Talentuosa, esordì nel 2010 e allora si parlò subito di un vero caso
straordinario nel mondo delle lettere. Oggi, pluritradotta, torna con La nave di Teseo di Elisabetta
Sgarbi e il romanzo dal titolo Bambini di ferro. Una
storia ambientata in Giappone, paese molto amato dall’autrice che vi ha compiuto parte dei suoi
studi, e in particolar modo quelli sul buddismo antico, tant’è che nel romanzo traducono l’esperienza spirituale della lettura. E dunque proprio i suoi
studi, la sua laurea in Filosofie dell’Asia Orientale,
si radicano saldamente alla trama, mischiando un
po’ tutti i generi, fino a congetturarne uno nuovo e
personalissimo; la struttura narrativa procede così
per simboli, ideografici, scientifici, filosofici, religiosi. I Bambini di ferrosono bambini difettosi, bambini affidati a un sistema di accudimento materno
artificiale il cui risultato è assolutamente imperfetto. L’istituto Gokutaku, alla fine di una periferia
di Kyoto, ospita la piccola orfana Sumiko, gestita
(non allevata) dalla tutrice Yuki Yoshida, ex bambina difettosa, mente bisognosa per sempre, impossibile da salvare, come afferma il principio buddista. Una vera supplica tragica, un vocativo sul
finale: la nostalgia dell’altro.
ROMANZO musicale, recita il sottotitolo di Go Max
Go e visto che quel Max è Massimo Urbani la dicitura non può essere né sbagliata né casuale. Ancor più vero però è che il libro di Paola Musa va ben
oltre, pur nella sua forma agile e a tratti succinta; il
racconto si allarga a diversi piani di narrazione e gli
spaccati che in alcuni momenti si intravedono in
controluce mentre in altri salgono in superficie fino
a imporsi al lettore sono molteplici. Massimo Urbani è stato un sassofonista fuori dal comune, cui
tanti che si occupano di musica ancora oggi devono
qualcosa (o forse più). Il Massimo Urbani del libro è
però il figlio e per certi versi il prodotto di una generazione (pre-boom) e di una città (la Roma popolare a cavallo tra anni Settanta e Ottanta) ritratti
con mano leggera e felice. Go Max Go è lo scorcio di
una città che non esiste più e che proprio allora stava cambiando pelle, lasciando sul terreno quei figli
incapaci o impreparati a reggere l’urto. Figli di una
realtà povera, dei necessari strumenti ancor più che
di quattrini, e soprattutto scevri di malizia. Quindi
soli davanti a quell’imperante passaggio dalla borgata al decennio rampante. Dalle botteghe in cui ci
si dava del tu anche tra un anziano e un ragazzino a
una topografia in cui non si teneva più il cancello
aperto al vicino con le buste della spesa.
UN ANNO fa a Barcellona è eletta sindaca Ada Colau, un passato nei movimenti No Global e nella
lotta per il diritto all’abitare. A pochi giorni dalle
nuove elezioni spagnole, giunge a proposito il saggio del giornalista Giacomo Russo Spena e dello
storico Steven Forti, Ada Colau, La Città in Comune
che ripercorre la genesi di quello che vuole essere
“non un modello, ma un esempio” nel tentativo di
superare i limiti del neomunicipalismo. In una Barcellona devastata dalla bolla immobiliare, la candidatura della alcadesa non nasce da agenzie di comunicazione o piattaforme televisive, ma dall’unione di movimenti e sindacati di base sull’onda
lunga dell’esperienza degli Indignados. Analizzate
le (molte) luci e (inevitabili) ombre della sua esperienza alla guida della città - i tentativi di organizzare un audit sul debito, gestire la macchina
pubblica con trasparenza, favorire partecipazione
e solidarietà, si scontrano con l’ineluttabilità del
governare, che vuole dire scontentare parte dei
movimenti sociali che ne hanno appoggiato l’elezione –restano le parole che Ada Colau regala nella
chiacchierata in apertura, dove rifiuta ogni riduzione della sua esperienza al “populismo” e afferma: “Non c’è democrazia senza conflitto”. In chiusura, un’intervista a Luigi de Magistris.
Bambini
di ferro
l
Viola
Di Grado
Pagine: 250
Prezzo: 18e
Editore:
La Nave
di Teseo
Go Max Go
-Romanzo
musicale
l
Paola Musa
Pagine: 144
Prezzo: 14e
Editore:
Arkadia
La città in
comune
l
Ada Colau
Pagine: 170
Prezzo: 14e
Editore:
Alegre
SECONDO TEMPO
Mercoledì 29 Giugno 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |
» 23
Arte & Fumetti
ROMA “Guerra, Capitalismo & Libertà” a Palazzo Cipolla mette in mostra 150 opere
dell’artista anonimo, tutte prestate da collezionisti privati e “non sottratte alla strada”
C
Ricarica
» CLAUDIA COLASANTI
ontrosenso? O solo l’inevitabile somma di due ingranaggi di successo, di segno totalmente opposto. Da una parte Banksy, il writer sovversivo e provocatore – dopo
circa due decenni di attività
ancora anonimo – più celebre del mondo, dall’altra il
cofanetto multifunzionale
di Palazzo Cipolla, a Roma.
Un cortocircuito (già insito
tra street art e circuiti museali) che ricorda la metafora dell’elefante nella cristalleria, oppure quella del monastero pieno di armi.
Banksy in un museo:
una contraddizione
riuscita molto bene
pus ordinato di circa 150 opere (incluse 50 copertine di
dischi) tra sculture, e stencil,
tutte di collezionisti privati e
non sottratte alla strada. Si
capisce la bravura grafica
degli inizi e le fatali intuizioni: tra i primi disegni del percorso un’asta (Morons,
2006) nella quale un quadro
recita la frase dell’artista usata in più occasioni: “Non
posso credere che voi deficienti compriate davvero
questa merda”.
BANKSY (presumibilmente
IL “DISCO”
DI RENDE
“Il Disco”, organizzata da
Vertigoarte,
animerà il
Museo del
Presente di
Rende (CS)
fino al 30 Luglio. Gli artisti invitati da Bruno
Ceccobelli a
Andrea Fogli,
da Luca Maria Patella a
Cloti Ricciardi e Giuseppe
Salvatori hanno avuto
modo di confrontare, con
differenti linguaggi, un tema unitario.
Pronti a lanciare negli
spazi espositivi un disco
di 38 cm di
diametro,
trenta artisti
girano intorno all’impenetrabile cerchio di legno
n
di Bristol) è, tuttora, la punta
di diamante della street art
mondiale, una contraddizione vivente, l’uomo mascherato che dipinge rapidamente con la tecnica dello
‘stencil’ – usata in Italia durante la guerra per imprimere su tutti i muri il volto di
Mussolini – enormi ratti su
case di periferia. Una persona reale ma invisibile (l’unico modo per mettersi in contatto con lui è un indirizzo email), che fa arte illegale ma
che allo stesso tempo vende
le sue opere a prezzi da capogiro (i suoi quadri arrivano al mezzo milione di euro).
“Guerra, Capitalismo &
Libertà” (fino al 4 settembre), è stata ideata, promossa e realizzata da Fondazione Terzo Pilastro – Italia e
Mediterraneo (Ex Fondazione Roma), ma dalla quale
l’artista pare estraneo. Al
termine del comunicato
stampa si legge: “L’artista
noto come Banksy non è associato né coinvolto in questa esposizione museale.
Tutte le opere presenti in
mostra provengono da collezionisti privati internazionali e nessuna opera è stata
sottratta alla strada”. Un artista del suo calibro, con cen-
SI SCOPRE che il giovane
tinaia di collezionisti, non
può più sottrarsi all’uso altrui, ma se una mostra riassuntiva l’avesse pensata lui
(come avvenne per Cattelan
alla Guggenheim di New
York) di certo non vi sarebbe
stato l’ordine composto e
ben allestito dai tre curatori,
Stefano Antonelli, Francesca Mezzano & Acoris Andipa.
CIÒ CHE sappiamo del suo re-
cente passato consiste nella
realizzazione di Dismaland,
un parco giochi scassato e
surreale poi trasferito (nel
dicembre scorso) a Calais
per ospitare i rifugiati. Nella
stessa occasione ha prodotto
una serie di murales, tra cui
“The Son of a Migrant from
Syria” (“Il Figlio di un Emigrante dalla Siria”) che raffigura cinicamente Steve
Jobs.
Nonostante le contraddizioni, dalla mostra si ha molto da imparare, con un cor-
Street art
Le realizzazioni
(per alcuni illegali)
sono
vendute a
prezzi da
capogiro
Banksy sperimenta molti
supporti, non mira solo a
giocare: alcuni pezzi ricordano i romani (ai tempi anche loro inquieti) Franco
Angeli e Mario Schifano. Si
riscoprono quelle piccole, acide, talvolta struggenti, parabole: bimbi con i loro palloncini su un mucchio di armi (“Kids on Guns”, 2003),
l’elogio dei topi che vivono
perseguitati “in silenziosa
disperazione”, le scimmie
che fungono da innocenti
detonatori, i poliziotti con il
dito medio alzato e la
“Queen Victoria” (2003) in
una posa decisamente imbarazzante. Delicati e realistici
tutti i temi affrontati – guerra, capitalismo e libertà –
fonti primarie di ispirazione
della sua arte, connotata –
anche dentro a un museo –
da una forte componente di
denuncia sociale.
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FUMETTO Due giovani fumettisti italiani e una commedia sentimentale
Una storia romantica troppo perfetta
per essere vera (o è soltanto fiction?)
» STEFANO FELTRI
G
li scaffali delle librerie
sono pieni di graphic
novel autobiografici,
micro-episodi sviluppati per
decine di pagine, a volte troppe per il limitato interesse del
lettore. Scarseggiano invece
le commedie sentimentali,
forse perché sono considerate un genere più mirato a un
pubblico femminile che – per
ragioni difficili da indagare –
è ancora un po’diffidente verso il fumetto.
Come quando eravamo
piccoli, appena pubblicato da
Bao, è un’eccezione. Perché
è, appunto, una commedia
sentimentale, di quelle che al cinema
potevano contare una volta su Hugh
Grant e oggi su Ryan Gosling o simili.
E che nei fumetti hanno pochi equivalenti, giusto qualche lavoro (di
grande successo, peraltro) del fran-
cese Bastien Vivés.
In un Paese gerontocratico come
l’Italia, la giovane età è sempre degna
di menzione: ai testi c’è Jacopo Paliaga, che è nato a Trieste nel 1990, i
disegni netti, eleganti, sono di Fren-
ch Carlomagno, torinese del 1986. I due si sono
fatti conoscere con il
web comic Aqualung, ora Come quando eravamo piccoliè una commedia perfetta, perfino
troppo perfetta per essere vera: il giovane autore italiano di serie americane di successo
(chissà se esistono figure così nel mondo reale),
torna in patria per consolarsi da un amore finito. Per caso e senza particolare convinzione
conosce un’altra ragazza, con la quale nulla ha
in comune, ma Pietro –il
giovane sceneggiatore – decide di
comportarsi come farebbe uno dei
suoi personaggi e ovviamente nasce
l’idillio.
La storia è un trionfo di clichè: i baci sotto la pioggia, il divano per con-
Come quando
eravamo piccoli
l
Paliaga e Carlomagno
Pagine: 128 Prezzo: 16e
Editore: Bao
solare i drammi, il cambio di look come rinascita, la sorpresa romantica
prima della conquista definitiva. Ma
Paliaga e Carlomagno sono bravi a
costruire una narrazione che gioca
proprio con la consapevolezza del
clichè, creando sempre un rimando al
mondo delle fiction, con i protagonisti che sembrano trovare un proprio
equilibrio e ruolo soltanto quando agiscono, appunto, come personaggi.
Anche la scansione dei capitoli è analoga a quella degli episodi dei serial (1x01, 1x02..). Può essere soltanto un virtuosismo degli autori. O una
rassegnata presa d’atto che ormai
sappiamo vivere le emozioni più
coinvolgenti soltanto se prima le trasformiamo in uno storyboard, i dialoghi in uno script, se i baci sono al
ralenty, guardando a noi stessi come
attori che recitano un copione secondo la grammatica di Hollywood che
ormai è diventata parte della nostra
personalità.
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AROUND
• Un sogno fatto a Mantova
Palazzo Te e Palazzo D’Arco,
Mantova. Fino al 13 novembre
NATO da un’idea di Cristiana
Collu, è uno degli eventi più intensi nel programma di Mantova Capitale Italiana della Cultura
2016. Il progetto nasce dall’idea
che la città possa essere intesa
come luogo della costruzione
della comunità. Un rapporto che
nel caso di Mantova consente di
congiungere l’alba rinascimentale della modernità con il contemporaneo attraverso l’installazione di opere di artisti storici
protagonisti della scena internazionale e artisti emergenti. La
prima stazione (a Palazzo Te) ospita Alberto Giacometti, Antony Gormley, Hans Op de Beeck,
Davide Rivalta, Grazia Toderi.
• 150 TROUBETZKOY
1866-2016
Palazzo Viani Dugnani,
Verbania. Fino al 30 ottobre
HA RIAPERTO il Museo del
Paesaggio di Verbania, a Palazzo Viani Dugnani, chiuso per
due anni e mezzo per restauro.
La mostra di apertura è una
rassegna dedicata - nei 150 anni dalla nascita - a Paolo Troubetkoy, di cui il Museo conserva un’importante collezione. Esposti 150 gessi che ripercorrono l’intero percorso del grande
scultore di origine russa: opere
fondamentali per uno scultore
“impressionista”. Troubetzkoy
viene a contatto con i pittori
Cremona e Ranzoni ed è dalla
pittura scapigliata lombarda
che inizia la sua ricerca.
• Moving Tales
Complesso Monumentale
di San Francesco, Cuneo
Fino al 28 agosto 2016
“MOVING Tales – Racconti in
movimento. Opere video dalla
Collezione La Gaia” raccoglie una selezione di film d’artista curata da Eva Brioschi. La rassegna
illustra, attraverso il lavoro di 30
artisti di diverse generazioni e aree geografiche, la molteplicità
di utilizzo del video come strumento narrativo per immagini.
A CURA DI CL. COL.
24 » ULTIMA PAGINA
Dalla Prima
» MARCO TRAVAGLIO
L
ì è ovvio che uno dei due supererà il 50% dei voti, e pazienza se rappresenta solo il 20
o il 25% dei votanti. Che, con l’astensione di almeno un terzo
degli elettori, equivale al 13 o al
16% dei cittadini. Così il partito
vincente s’intasca la maggioranza per governare da solo anche se vale un’infima minoranza nel Paese. Peggio che con il
Porcellum, dove almeno il premio di maggioranza, anzi di minoranza, andava alla prima coalizione: dunque a una forza un
filino più rappresentativa del
primo partito premiato dall’Italicum. Ora i fan dell’italica boiata la menano con la governabilità e la stabilità, contrapposta
agli inciuci e ai trasformismi
(proprio loro che hanno rovesciato il governo Letta dopo soli
9 mesi con un colpo di palazzo,
senza passare per le urne). E,
ancora una volta, vendono fumo. Il premio di minoranza
dell’Italicum è di 340 deputati
su 630 a chi arriva primo, a prescindere dai voti che ha preso:
24 seggi in più della maggioranza minima (316). Che sono tanti,
per un partito che rappresenta
magari un italiano su 8 o su 6. Ma
sono pochi per garantire stabilità assoluta: se 24 deputati lasciano il partito o si mettono di
traverso, il governo va a casa. A
meno che il premier non ricominci con gli inciuci, i trasformismi e la compravendita di voti.
Si dirà: almeno si neutralizzano i partitini coi loro ricattucci. Balle. Se il premio dell’Italicum va alla prima lista e resta fuori chi non supera il 3%, è
ovvio che si creeranno due listoni artificiali e artificiosi (in
aggiunta ai 5Stelle solitari):
centrodestra e centrosinistra,
con tutti dentro. Poi i partiti, alla Camera, torneranno a dividersi in un pulviscolo di gruppi.
E i nani ricominceranno a ricattare i giganti: sia prima delle elezioni, per non far mancare i
propri voti decisivi a raggiungere il ballottaggio; sia dopo le
elezioni, per far pesare i propri
voti decisivi per il governo. Solo
uno stupido, o un analfabeta, o
un mascalzone può pensare di
eliminare con la legge elettorale la complessità dell’elettorato
o addirittura di trasformare
l’attuale tripolarismo in bipolarismo. Senza i voti, non si governa. Non sarebbe giusto e
non si può.
Ne sa qualcosa Angela Merkel, unico gigante in un’Europa
di nani: nel 2013 ha vinto le sue
terze elezioni consecutive col
43% dei voti, ma ha mancato la
maggioranza in Parlamento
per appena 5 seggi. Così, anziché comprarsi qualche voto o
cambiare la legge elettorale come si fa in Italia, s’è accordata
con i tradizionali avversari del
Spd per un governo di larga
coalizione, mettendo a punto
per tre mesi un programma comune. Lì un Italicum, anzi un
Germanicum sarebbe una bestemmia antidemocratica; e
l’acquisto di qualche verdiniano prêt-à-porter, una bestemmia e basta. Vale anche per la
Spagna, dove Rajoy – anziché
raccattare i voti di qualche partitino, oltre a quelli dei liberali
di Ciudadanos – ha subito offerto una larga coalizione al secondo partito, cioè ai suoi rivali
socialisti. L’idea di cambiare la
legge elettorale per mandare al
governo chi ha il 33%, in Spagna, non sfiora proprio nessuno. Che siano antidemocratici?
S
iccome da venerdì scorso era
parso di capire che fosse fondamentale, rispetto alla valutazione dei fatti del mondo, la reazione dei
mercati, l’andamento delle Borse, l’oscillazione delle valute, da un paio di
giorni ci informiamo solo leggendo
l’andamento dei vari listini. Qual è stata
la nostra gioia ieri nell’apprendere che
erano tutte in positivo! Per alcune ore,
stante le nostre nuove procedure in tema di informazione, ne avevamo dedotto che la Gran Bretagna ci avesse ripensato dichiarando stentoreamente
| IL FATTO QUOTIDIANO | Mercoledì 29 Giugno 2016
RIMASUGLI
Divinità del caso:
le Borse come
misura del bene
e del male
» MARCO PALOMBI
il suo Remain, magari ri-votando
online attraverso la nota petizione
da tre milioni e passa di firme. Tutto
bene quel che finisce bene, ci siamo
detti: i mercati con la Brexit non vanno
d’accordo e se il numeretto segna rosso
vuol dire che abbiamo fatto qualcosa di
sbagliato. Un po’ tipo “l’allegro chirurgo”, per chi lo ricorda.
Qualche ora dopo, una tv accesa ci
ha reso edotti dell’errore: Londra era
ancora per il Leave e quello delle Borse era un semplice “rimbalzo”. Cosa
che, peraltro, ci fa propendere per l’e-
sistenza di un pavimento finanziario su cui rimbalzare, mentre
rimane il dubbio sulla possibilità
che ci sia un tetto contro cui andare
a sbattere nel rimbalzo post-Brexit.
In mezzo a queste complesse riflessioni un pensiero ci ha colto di sorpresa. Pensa quei bovari, razzisti, vecchi
e minus habens in genere che hanno
votato Leavee se ne fottono della Borsa, mentre noi sappiamo, pur non avendo azioni, che se il listino segna
rosso siamo in errore. Perché? Come
perché: è timor dei.