Storia del Tenente Carlo Bagnaresi medaglia d

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Storia del Tenente Carlo Bagnaresi medaglia d
STORIE STRAORDINARIE DI UOMINI
NORMALI
S.Ten. Carlo Bagnaresi
M.O.V.M.
(a cura di Agostina D’Alessandro
Zecchin)
“Quello che fu sino al 2 giugno 1946 il R. Istituto Magistrale “C. Montanari”,
annovera nei suoi annali anche decorati al valore militare e martiri delle rappresaglie titine
nella Jugoslavia comunista”
Inizia così il capitolo CADUTI E MARTIRI DELLA 2a GUERRA MONDIALE, tratto dal
più recente libro del professor Calogero Carità, intitolato “Il Liceo Carlo Montanari e gli
studi magistrali a Verona” (1867-2011)
L’Autore, laureato in Lettere, storico, esperto di archeologia e di arte antica, è stato per
oltre tre lustri Dirigente Scolastico del prestigioso Liceo “Carlo Montanari” di Verona.
Quella che segue è la storia straordinaria del S.Ten. Carlo Bagnaresi.
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Carlo Bagnaresi, originario di Castel Bolognese (prov. di Ferrara), si trasferì con la famiglia
Verona e seguì gli studi superiori al R. Istituto Magistrale “C. Montanari”, alunno del corso
C maschile (1936-39), animatore delle attività studentesche e redattore del giornalino che
gli studenti periodicamente stampavano.
Per diversi ani fu redattore , con Eligio Civoloni, del periodico “Il Rengo”, diretto da
Virginio Campagnola e stampato presso la tipografia Albarelli di Verona.
Come la maggioranza dei giovani dell’epoca si lasciò affascinare dal credo fascista e
scoppiata la guerra rispose alla chiamata alle armi, vestendo la divisa da ufficiale della 6^
compagnia del 2° battaglione del 6° Reggimento Fanteria di Marina “San Marco”. Dopo l’8
settembre 1943 e dopo la caduta del fascismo scelse di militare al servizio del Maresciallo
Graziani, supremo comandante militare della repubblica sociale di Salò, governata da
Mussolini sotto il patrocinio della Germania nazista.
Tra l’1 e il 4 ottobre del 1944 nel Piemonte meridionale, tra Cairo Montenotte e Millesimo a
sud, Pezzolo e Castelletto Uzzone a nord, su un fronte di una ventina di chilometri, con
direzione est ovest, da Dego verso il Bembo, si sviluppò una vasta operazione di
rastrellamento contro i partigiani che aveva lo scopo di garantire la sicurezza delle retrovie
dei reparti schierati a difesa della costiera dell'arco ligure e sulla linea appenninica. La
Divisione San Marco vi prese parte con il 3° Gruppo Arditi Esploratori e con reparti del 6°
Rgt. Fanteria di Marina. Di questo faceva parte il Sottotenente Carlo Bagnaresi,
comandante del l° plotone della 6^ compagnia, che operava a rinforzo sul fianco destro del
Gruppo Arditi. Per l'impossibilità di mantenere i contatti tra i reparti, vista la
conformazione del terreno e l'assenza di apparecchiature radio portatili, il plotone
Bagnaresi si trovò isolato, e giunto a Pezzolo, fu attaccato da preponderanti forze
partigiane.
I Fanti di Marina si trincerarono allora nel Municipio del paese. Il sottotenente Bagnaresi
ed il vice comandante del plotone, sottocapo Giuseppe Griseri uscirono dall'edificio per
affrontare una autoblindo che tentava di avvicinarsi mascherata sotto insegne germaniche.
Il primo fu ferito al petto da un proiettile di mitragliatrice che lo attraversò da parte a
parte, il secondo morì, colpito al capo. I marò riuscirono comunque a recuperare il loro
ufficiale, e finché possibile continuarono nella difesa della posizione, incitati dal Bagnaresi
che, nonostante la gravità della ferita, continuò a battersi fino a che, stremato, non cadde
nelle mani del nemico.
Durante l'interrogatorio a cui venne sottoposto l'ufficiale mantenne un contegno
fiero, non venendo mai meno ai suoi ideali e alla sua fede, guadagnandosi l'ammirazione
degli stessi partigiani presenti, che comunque lo condannarono a morte.
Poco dopo la cattura, presagendo di morire, dettava ad un sacerdote la seguente lettera per
la famiglia:
Miei carissimi,
non avrei mai voluto che questa lettera dovesse essere scritta. Ad ogni modo è doveroso e
giusto che io vi dia mie notizie sino all'ultimo. Oggi 3 ottobre sono stato ferito in
combattimento da una pallottola di mitragliatrice che mi ha trapassato il polmone
destro. Scrive per me a voi, miei carissimi, un sacerdote, perché io non sono in grado di
farlo. Questa lettera sarà spedita soltanto quando io non ci sarò più.
Spero che dal momento della partenza fino all'arrivo nelle vostre mani i giorni non
siano troppi. E’ meglio una dolorosa verità che una penosa incertezza. Miei cari, io sono
calmo e non mi dispero per la sorte che Dio ha voluto per me. Ho voluto rimanere fedele
ai miei principi e per questo pago di persona. Ma credo, e voi lo sapete, che in ogni
occasione eguale non avrei cambiato strada.
Quando arriverò al momento, allora sarò in pace con il cielo e con la terra. Il mio
unico dolore è il vostro, che so purtroppo grande. Ma voi continuate ad amarmi anche
dopo e non maledite ciò che è avvenuto. Ritornerò con Beppe e con gli altri miei camerati.
Addio, miei adorati. Sauro sarà colui che dovrà ricevere la mia parte di affetti. Fatelo
crescere virtuoso e forte. Vi abbraccio infinitamente vostro Carlo
Nell'attesa della sentenza fu ricoverato nell'Ospedale di Cortemilia, a nord della località
dove era stato catturato, e trovò posto nella stessa camera dove era ricoverato anche il
sergente Lino Sapori, uomo del San Marco ferito e prigioniero dei partigiani, e anch'egli
condannato a morte dal tribunale partigiano, ma che riuscì fortunosamente a sfuggire
all'esecuzione, e la cui testimonianza fu poi fondamentale per la concessione della
Medaglia d'Oro a Carlo Bagnaresi.
Il giorno 4 novembre Carlo Bagnaresi fu condotto alla periferia del paese per
l'esecuzione. Per tre volte il mitra del partigiano Perez scattò a vuoto, e il tenente
partigiano Dario, che comandava l'esecuzione, decise di soprassedere. L'ipotesi che
qualcuno avanzò allora, che si fosse trattato di una falsa esecuzione organizzata per
spezzare la resistenza morale dell'ufficiale della "San Marco", non riduce, ma anzi aumenta
il valore da questo giovane dimostrato affrontando con coraggio supremo per ben tre volte
di seguito la morte minacciata ed attesa, e non cedendo minimamente alla volontà del
nemico di piegarlo, nemmeno nei lunghi giorni che ne precedettero la vera esecuzione.
La sera del 15 novembre, Bagnaresi e il sergente Sapori furono condotti innanzi al cimitero
di Castino per essere fucilati. In precedenza il comportamento di Bagnaresi gli aveva fatto
ottenere di essere fucilato in uniforme, di poter prima salutare i suoi soldati prigionieri, di
essere fucilato al petto, e che venisse comunicato alla famiglia il luogo della sepoltura.
Giunti sul luogo dell'esecuzione, i due morituri chiesero di poter avere ognuno una bara,
affinché in seguito i familiari potessero ritrovarne le salme. Poiché una sola bara risultò
disponibile, il sottotenente Bagnaresi pretese di essere fucilato per primo, e che il sergente
non venisse fucilato in mancanza di una bara. Messosi sull'attenti, chiese di avere il petto
illuminato da una lampada perché l'esecutore non sbagliasse il colpo. Cadde poi gridando
"Viva San Marco, Viva l'Italia repubblicana".
L’alta decorazione richiesta dal Generale Farina non venne concessa
immediatamente, ma ottenne l'approvazione del Maresciallo Graziani solo dopo accurata
inchiesta.
Finita la guerra, il 9 novembre 1954, gli venne conferita dall’Università di Venezia
alla memoria ed honoris causa la laurea in Lingue e Letterature Straniere. Di lui ebbe ad
occuparsi più volte nei suoi saggi il giornalista Giampaolo Pansa, “La resistenza in
Piemonte. Guida bibliografica 1943-1963” (Torino 1965) e “ I figli dell’Aquila” (Milano
2002) e Vincenzo Caputo nel suo libro “Carlo Bagnaresi. L’eroe della San Marco” (Grafica
Ma. Ro, 2007). E’ ampiamente ricordato anche nei tre volumi di Pieramedo Baldrati, “San
Marco, San Marco – Storia di una divisione” (Milano 1989).
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Ecco la motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare
"In missione armata per riportare alla Patria figli traviati, attaccato da reparto avversario
superiore, affrontava da solo una autoblindata. Isolato, sopraffatto, ferito grave ad un polmone, con
il braccio destro inutilizzato, si asserragliava con pochi in una canonica. Catturato, adescato con
cure e lusinghe per più giorni, richiamava tutti al dovere. Portato davanti alla fossa per essere
fucilato nel giorno dei santi, in nome di santa Italia una, tanto imponeva della sua volontà
all'avversario che le armi rifiutavano tre volte il fuoco fratricida. Al nemico che intimidito gli
offriva grazia, rispondeva "Italia e San Marco! ". Dopo altri quindici giorni di dolore,alla catena
della morte, in oscura segreta, riportato alla fucilazione assieme al suo sottufficiale, reclamava per
questi il diritto ad una cassa mortuaria perché la madre potesse un giorno ritrovarlo. Avendo i
fratricidi una sola bara, con le ultime forze della sua volontà imponeva di rimandare la fucilazione
del sottufficiale. Facendosi illuminare il petto perché meglio potesse essere colpito, si ergeva
impavido dì fronte al piombo ribelle, ordinava il fuoco e cadeva onorando la patria al grido di "San
Marco e Italia", morendo come i re non hanno saputo morire”
. Pezzolo, 3 ottobre 1944 XXIII - Castino di Cortemilia, 15 novembre 1944 XXIII