centro zen – tirtha verona

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centro zen – tirtha verona
CENTRO ZEN – TIRTHA VERONA
LO ZEN
Che cos’è
La parola giapponese Zen deriva dal cinese ch'an e dal sanscrito dhyana, che significa
non solo "meditazione" ma anche "tutto, insieme". La traduzione occidentale poco si
presta a descrivere il molteplice senso originario del termine, che usa il significato di
meditazione più come il centro su cui ruota il vero e più completo significato. Lo stesso è
per la pratica Zen: attraverso di essa gli allievi vengono educati ad una esperienza
completa e profonda della vita, rinunciando alle distorsioni dell'ego ed ai filtri assorbiti
inconsciamente dall'ambiente in cui si vive; senza di questi si può sperimentare la realtà
così com'è, fino ad arrivare a liberarsi dalla sofferenza.
Zazen
“semplicemente seduti”
Non distratti né disturbati da nulla,
dobbiamo lasciare il corpo e la mente agire e reagire liberamente,
in piena armonia con la situazione.
Ciò è possibile solo se sappiamo cogliere quello che l’occasione
rappresenta in ogni istante della nostra vita,
osservando profondamente noi stessi,
le nostre vere caratteristiche.
La pratica di Zazen rappresenta da ogni punto di vista questa opportunità.
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PRATICARE ZAZEN
Il luogo
Per praticare zazen è necessario un luogo tranquillo dove potersi sedere indisturbati. Non
dovrebbe essere né troppo buio né troppo luminoso, tiepido in inverno e fresco in estate.
Il posto per la seduta deve essere pulito e in ordine.
Come prepararsi
Evitare le sedute quando non si è dormito abbastanza o se si è particolarmente stanchi.
Prima della seduta mangiare con moderazione ed evitare di bere alcolici. Lavarsi il viso e i
piedi così da sentirsi rinfrescati.
Abbigliamento
Evitare di indossare vestiti sporchi o abiti eleganti e costosi. È anche consigliabile evitare
abiti pesanti. Che l’abbigliamento sia comodo e pulito. E’ preferibile non indossare le
calze.
Posizione dello zafu
Posizionare davanti a una parete un cuscino bene imbottito (zafuton) con sopra uno zafu.
Sedersi con la base della colonna vertebrale al centro dello zafu di modo che la metà
posteriore di questo resti vuota. Dopo avere incrociato le gambe, poggiare saldamente le
ginocchia sullo zafuton.
Incrociare le gambe: posizione del loto completo (kekkafuza)
Portare il piede destro sulla coscia sinistra e poi il piede sinistro sulla coscia destra.
Incrociare le gambe in modo che le punte dei piedi e la parte esterna delle cosce formi
un’unica linea.
Incrociare le gambe: posizione del mezzo loto (hankafuza)
Posizionare il piede sinistro sulla coscia destra. Quando si incrociano le gambe, le
ginocchia e la base della colonna vertebrale dovrebbero formare un triangolo equilatero.
Questi sono i tre punti che reggono il peso di tutto il corpo. Nella posizione kekkafuza, le
gambe possono venire incrociate secondo l’ordine inverso e in hankafuza si può anche
sollevare una gamba.
Seduta
Poggiare saldamente le ginocchia sullo zafuton, raddrizzare la parte inferiore della
schiena, spingere le natiche indietro e le anche in avanti. Raddrizzare la colonna
vertebrale. Accostare il mento e allungare il collo come se si volesse raggiungere il
soffitto. Le orecchie dovrebbero trovarsi in linea parallela alle spalle e il naso in linea con
l’ombelico. Dopo avere raddrizzato la schiena, rilassare le spalle, la schiena e l’addome,
senza cambiare la postura. Mantenere la seduta diritta, senza piegarsi né destra né a
sinistra, né in avanti né indietro.
Mudra cosmico (Hokkaijoin)
Portare la mano destra, palma verso l’alto, sul piede sinistro e la mano sinistra, sempre
palma verso l’alto, sulla palma destra. Le dita dovrebbero sfiorarsi appena con la punta.
Questa posizione è chiamata hokkai-join (mudra cosmico). Portare la punta dei pollici
davanti all’ombelico e staccare leggermente le braccia dal corpo.
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La bocca
Tenere la bocca chiusa, con la lingua contro il palato, dietro ai denti.
Gli occhi
Tenere gli occhi leggermente aperti, guardando un punto verso il basso, con
un’angolazione di circa 45 gradi. Senza concentrarsi su un punto particolare, lasciare che
ogni cosa trovi posto nell’area visiva. Se si tengono gli occhi chiusi si rischia
maggiormente di addormentarsi o di sognare ad occhi aperti.
Espirare completamente e poi inspirare (Kanki-issoku)
Espirare ed inspirare profondamente e con calma. Aprire leggermente la bocca ed
espirare in maniera dolce e lenta. Per espirare tutta l’aria dai polmoni, fare partire
l’espirazione dall’addome. Chiudere perciò la bocca e continuare con una respirazione
nasale normale. Questo è ciò che viene chiamato kanki-issoku.
Fare oscillare il corpo
Portare le mani, con le palme verso l’alto, sulle ginocchia e fare oscillare la parte
superiore del corpo da sinistra verso destra per alcune volte. Senza muovere le anche,
muovere il tronco come se fosse un bastone che pende prima da una parte e poi
dall’altra. In questo modo si allungheranno i muscoli dei fianchi. Si può anche oscillare in
avanti e indietro. Inizialmente questo movimento dovrebbe essere ampio e diminuire man
mano fino a cessare completamente con il corpo al centro in posizione diritta. Formare
ancora una volta l’hokkai-join con le mani e mantenere una posizione retta e immobile.
Respirazione addominale
Durante le sedute zazen la respirazione deve essere nasale e tranquilla. Non tentare di
controllare il respiro. Lasciare che il ritmo sia naturale, in modo da dimenticare di stare
respirando. Lasciare che i respiri lunghi siano lunghi e quelli brevi siano brevi. Non
respirare rumorosamente.
Consapevolezza (Kakusoku)
Non concentrarsi su nessun oggetto in particolare né controllare i pensieri. La mente
acquisterà la calma in modo naturale una volta che la postura giusta verrà mantenuta e la
respirazione si sarà stabilizzata. Quando vari pensieri vengono alla mente, non lasciarsi
catturare né tanto meno combatterli. Non inseguirli, né fuggirli. Lasciare semplicemente i
pensieri scorrere liberi, permettendo loro di andare e venire a piacimento. La cosa
essenziale nella pratica zazen è il risveglio (kakusoku) dalla distrazione e dal torpore e
tornare nella posizione corretta momento per momento.
Come alzarsi dopo la seduta
Terminata la seduta zazen, fare un inchino in gassho, portare le mani, con le palme verso
l’alto, sulle cosce, oscillare il corpo alcune volte, all’inizio leggermente e poi più
intensamente. Fare un respiro profondo. Disincrociare le gambe. Muoversi lentamente,
specialmente se le gambe sono intorpidite. Non alzarsi in piedi di colpo.
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Kinhin
Durante il kinhin (“camminata in fila”), camminare in senso orario lungo la stanza tenendo
le mani in posizione shashu. Dai fianchi in su, la posizione dovrebbe essere la stessa
dello zazen. Compiere il primo passo con il piede destro. Avanzare di mezzo passo ad
ogni respirazione (un’espirazione e un’inspirazione).
Camminare lentamente e dolcemente, come se si fosse fermi. Non trascinare i piedi né
fare rumore. Camminare in avanti e compiere le eventuali svolte sempre da destra.
Terminato il kinhin, fermarsi e fare un inchino. Quindi camminare a passo normale lungo
la stanza fino al proprio posto.
Tenete le mani leggermente discoste dal petto, le dita costantemente serrate, i gomiti un
pò alzati, in modo che con i polsi costituiscano una linea orizzontale completamente
parallela al terreno. La parte superiore, dalla cintola in su, deve essere leggera, proiettata
verso l'alto, la parte dalla cintola in giù ben pesante, quasi affondasse nel terreno. Il vostro
corpo deve guadagnare in stabilità. Il resto del corpo, specialmente la testa, è come se
sorreggesse una pila di libri, un cesto, qualcosa da mantenere in equilibrio. Capite che
l'atteggiamento è quello atto a rettificare la vostra postura in generale. Ispirandovi a
questo nuovo equilibrio, cercate di riprodurlo ogni volta che potete: passeggiando,
lavorando, muovendovi in casa...
Consapevoli dei vostri passi anche più veloci, consapevoli del vostro respiro, del vostro
sguardo. L'importante è che per un periodo considerevolmente lungo riprendiate
l'abitudine a guardare dritto davanti a voi. Se poi vi tocca guardare di lato, allora anche il
corpo dovrà essere girato per far fronte a ciò che sta davanti a noi, ciò che interessa.
La pratica suppone esperienza - ma se uno non ha capito l'esperienza della pratica, può
sedere da molto tempo, ma senza alcuna progressione.
Seduta su una sedia
Nel caso in cui ci si sieda su una sedia, sedersi come se fosse uno zafu. Non sporgersi
indietro. Utilizzare un cuscino quadrato di supporto sulla sedia e/o sotto i piedi in modo da
raggiungere una posizione diritta e comoda. Tenere le mani in grembo nella posizione del
mudra cosmico (hokkai-join).
Altre posizioni: seiza
Questa è una variante del modo tradizionale asiatico di sedersi. Permette di formare un
triangolo con le ginocchia e la base della colonna vertebrale, ma il baricentro è posto un
poco più in alto rispetto alla posizione del loto o del mezzo loto. Seduti su un panchetto
per seiza, con le gambe piegate al di sotto di esso, poggiare saldamente le ginocchia
sullo zafuton. Ci si può anche aiutare sedendo su uno zafu invece che su un panchetto.
Altre posizioni: seduta birmana
In caso non sia possibile sedersi nella posizione del loto o del mezzo loto, il modo di
sedersi birmano, con le gambe incrociate, garantisce buona stabilità anche per lo zazen.
Per questa posizione, sedersi su uno zafu nella maniera solita. La gamba sinistra viene
piegata all’esterno di quella destra, appoggiata al pavimento. L’ordine con cui incrociare le
gambe può variare.
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Respirazione
Nello zazen è di primaria importanza sedersi con una corretta postura. Poi, regolare la
respirazione ed entrare in uno stato di quiete.
La scuola Teravada prevede due elementari modi (di pratica per i principianti): una è
contare i respiri, l’altra contemplare l’impurità (del corpo). In altre parole, un praticante
Teravada regola la propria respirazione contando i respiri. La pratica dei buddha del
passato, tuttavia, è completamente diversa da queste. Un antico maestro disse che è
meglio diventare una scaltra volpe piuttosto che seguire la via Teravada verso
l’autocontrollo. Due delle scuole Hinayana (seguite) in Giappone oggi sono la Shibunritsu
(Scuola dei precetti) e la Kusha (fondata sull’Abhidharma-kosa).
Esiste anche il metodo Mahayana per regolare la respirazione, consistente nella
consapevolezza della lunghezza di ogni respiro, lungo e breve. Il respiro, nonostante
l’espirazione e l’inspirazione siano diverse, raggiunge e parte dal tanden. Quando si
respira con l’addome, è più facile rendersi consapevoli della transitorietà (della vita) e
armonizzare la mente.
Un maestro Tendo diceva: “L’inspirazione raggiunge il tanden; tuttavia, non è che questo
respiro provenga da qualche parte. Per questo, non è né lungo né corto. L’espirazione
parte dal tanden; tuttavia, non è possibile dire dove questo respiro sia diretto. Per questo,
non è né lungo né corto.”
Questa fu la spiegazione del maestro e se qualcuno chiedesse come armonizzare la
respirazione, risponderei che il metodo non è Mahayana, ma è diverso da quello
Hinayana; non è Hinayana, ma è diverso da quello Mahayana. E se mi si chiedesse di
che cosa si tratti risponderei che le espirazioni e le inspirazioni non sono né lunghe né
brevi.
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INSEGNANTE ZEN
Giampietro Dotto nasce a Verona, ove tutt’ora risiede, 45 anni fa, frequenta i
diversi gradi di istruzione laureandosi in giurisprudenza nel 1988, dopo aver
servito la patria come ufficiale di complemento. Si fidanza con Alessandra,
convolando a nozze nel 1995, diventando poi padre di una bambina chiamata
Matilde.
Un giorno qualunque, all’età di 35 anni, deciso di dare un senso alla vita di ogni
giorno va alla ricerca di un maestro, un luogo in cui riporre fiducia per la crescita
spirituale.
Entra così in relazione con Fausto Taiten Guareschi, maestro nella tradizione Zen
Soto - una delle scuole originatasi dalla via indicata da Buddha Shakyamuni - e
abate del monastero di Fudenji in quel di Bargone, sito nelle vicinanze di
Salsomaggiore Terme.
In dieci anni la pratica lo porta a frequentare Fudenji, anche con periodi di
frequenza intensa, riconoscendosi in un percorso che lo forma e che ben presto lo
porta a prendere i voti di Bodhisattva aggiungendo il nome da ordinato di Gian
”l’ordine nella regola”.
Si impegna anche nell’amministrazione dell’Istituto Italiano Zen Soto Shobozan
Fudenji, ente rappresentativo della comunità religiosa, ricoprendo prima l’incarico
di revisore dei conti poi di tesoriere, carica che ricopre da diversi anni.
Sogna di fondare nelle città ove risiede con la famiglia un centro Zen, che sia
aperto a tutti, ma soprattutto che serva le condizioni affinché altri possano entrare
in contatto con la pratica dello ZaZen.
Nel settembre del 2007, il maestro Guareschi coglie il momento opportuno e gli da
mandato di agire gettando le basi affinché il sogno si trasformi in realtà.
Superati gli indugi, con l’aiuto di due compagni di pratica, Lorella Shojun
Quintarelli e Stefano Tanfani, entra in contatto con i signori Giampietro e Natasha
Massella, fondatori del centro culturale il Thirta in quel di Settimo di Pescantina,
alle porte di Verona.
Da questo incontro nasce una simpatia e stima reciproca, che permette oggi di
annoverare tra le diverse attività del Thirta anche la meditazione Zen.
Una persona qualunque, non dotata di particolari abilità, ma risoluto nell’agire, si
riconosce nella via tracciata dal maestro Guareschi, di cui ne segue le tracce.
I tratti caratteriali si riconoscono quando, durante la pratica dello ZaZen, esclama
con voce calma: ”Uomini semplici, semplicemente seduti”.