Cina, ostacoli da superare

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Cina, ostacoli da superare
direttore LUIGI CARICATO - [email protected]
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Cina, ostacoli da superare
Prosegue l’indagine. Questa volta si affrontano le barriere di mercato, quindi i canali distributivi e la vendita al dettaglio,
oltre alle barriere legali e normative, senza trascurare temi come i controlli, le certificazioni necessarie e i prodotti vietati
(3. continua)
Alessia Placchi
Dopo uno stage professionale alla Camera di Commercio Italiana a Pechino, l'Autrice dello studio continua a mantenere
rapporti di collaborazione con l'organizzazione, per cui ha realizzato l'overview della xxx uscita del "Quaderno" dedicato al
tema Food e che Olio Officina Magazine pubblica in anteprima a puntate. (3. continua)
Nonostante l’incredibile progresso compiuto dall’export alimentare italiano verso la Cina, la bilancia commerciale tra i due
paesi rimane ancora squilibrata a favore del Dragone: le importazioni dalla Cina hanno registrato, infatti, livelli pari a più
del doppio delle esportazioni del Made in Italy nel Paese, nonostante un calo rispetto al 2011.
A sfavore delle produzioni italiane giocano numerosi fattori, tra i quali le dimensioni medio-piccole delle aziende
produttrici, il modesto volume di alcune produzioni, spesso limitate a lavorazioni semi-artigianali, la mancanza di
un’efficace distribuzione, ramo questo dove gli operatori economici italiani sono del tutto assenti, a differenza di francesi,
tedeschi e americani che posseggono la gran parte delle Catene GDO in Cina.
Da non sottovalutare poi alcuni ostacoli di carattere commerciale e culturale, quali la scarsa consapevolezza del
consumatore cinese nei confronti di generi alimentari d’importazione, la crescente competizione da parte dei produttori
locali, i fenomeni sempre più preoccupanti di pirateria agroalimentare, ma anche la difficile penetrazione nel mercato
interno, dovuta da un lato alla scarsa capacità d’acquisto del consumatore medio cinese (i prodotti italiani, se pur
apprezzati, sono accessibili solo ad alcune decine di milioni di consumatori cinesi che non costituiscono un mercato
organizzato), e dall’altro lato dovuta a un forte attaccamento dei cinesi alle proprie radici e tradizioni di cui il cibo e
l’alimentazione rappresentano una delle espressioni più forti.
Analizziamo ora nello specifico i diversi elementi che di fatto rendono difficoltoso l’accesso al mercato cinese.
BARRIERE DI MERCATO: CANALI DISTRIBUTIVI E VENDITA AL DETTAGLIO
I canali d’importazione e di distribuzione sono complessi e cambiano di frequente. Le procedure d’importazione sono
gestite dagli importatori autorizzati che a volte operano anche come distributori.
L’approdo di nuove formule distributive di tipo occidentale ha largamente innovato il sistema della distribuzione in Cina:
ipermercati, supermercati, convenience store e negozi privati sono ampiamente diffusi nelle aeree urbane.
Nonostante questo, il mercato del F&B rimane in Cina qualcosa di decentralizzato, che si è sviluppato finora secondo il
trend della crescita libera e della libera concorrenza. Sono infatti pochi i grandi distributori che si dedicano ai beni
agroalimentari importati: in Cina le catene della GDO sono francesi, tedesche e americane e rappresentano i canali
attraverso i quali i prodotti nazionali vengono messi a disposizione dei consumatori locali.
I principali sistemi di distribuzione dei prodotti alimentari importati vengono effettuati tramite:
-
importatori locali
-
distributori locali
-
ristoranti, alberghi, bar
-
supermercati
I principali rivenditori stranieri, tra cui Carrefour e Tesco, stanno avendo grande successo, grazie anche alla crescente
propensione dei consumatori cinesi ad acquistare prodotti alimentari nei supermercati e, proprio per questo, stanno
avviando un tentativo per costruire una rete di distribuzione ad alta efficienza basata su un sistema di distribuzione
centralizzato.
Ciò che rende complesso tale progetto è la mancanza di grandi centri di distribuzione a livello regionale e l’infrastruttura
carente, incapace di soddisfare efficientemente la domanda di fornitura dal fabbricante o importatore al rivenditore al
dettaglio.
La distribuzione è generalmente organizzata sulla base di un sistema “store-by-store” o “city-by-city”, con negozi che
ricevono la gran parte delle importazioni attraverso una serie di distributori locali, rendendo il processo di distribuzione
frammentato e oneroso.
I prodotti alimentari importati, venduti inevitabilmente a prezzi più elevati rispetto agli equivalenti nazionali, sono distribuiti
principalmente nelle città di primo livello del sud e nord-est della Cina, dove si concentra anche la maggior parte della
ricchezza del Paese.
L’economia è però in continua crescita e i consumi nelle cosiddette città di secondo e terzo livello aumenteranno
rapidamente, aprendo le porte alla grande distribuzione anche in queste regioni. Nonostante la crescente domanda, per
portare i principali generi alimentari d’importazione nelle città ancora in fase di crescita, è necessario rendere efficienti i
canali logistici (da città di primo livello a città di secondo e terzo livello) e sviluppare una rete altrettanto efficiente di
distributori locali.
Se attualmente la presenza italiana nel sistema distributivo cinese è pressoché nulla, il passo successivo per
incrementare le importazioni e il successo del “Made in Italy“ potrebbe, anzi dovrebbe, essere quello di sfruttare le nuove
opportunità offerte dalle province in rapida crescita.
BARRIERE LEGALI E NORMATIVE
Le principali norme cinesi in materia d’importazione di prodotti alimentari sono norme nazionali, tuttavia grande attenzione
dovrebbe sempre essere prestata anche ai regolamenti locali sulle procedure di controllo alle importazioni e alla vendita,
all’ingrosso e al dettaglio.
Di seguito riportiamo i principali testi normativi ai quali fare riferimento:
Se è vero che in ogni mercato può sperimentarsi una certa divergenza tra il dettato normativo e la prassi commerciale, ciò
è particolarmente vero in Cina, dove l’ampia discrezionalità nell’interpretazione delle norme genera pratiche,
comportamenti e tempistiche diverse a seconda dei punti di ingresso dei prodotti, delle categorie merceologiche, ecc..
Questi i principali atti o documenti generalmente richiesti per procedere all’esportazione in Cina:
-
contratto di vendita o conferma dell’ordine da parte di un soggetto autorizzato in Cina;
distinta del carico per la spedizione di merci, con visto dell’Ufficio Certificati estero della Camera di Commercio nella
cui circoscrizione il richiedente ha domicilio;
-
manifesto di carico da utilizzare per le spedizioni;
-
polizza di carico (bill of lading);
-
certificato di origine della merce;
-
certificato sanitario per l’esportazione;
-
eventuali certificazioni specifiche per particolari prodotti;?
-
campione dell’etichetta conforme alla normativa cinese (vedi sotto);
-
altri documenti richiesti dalle autorità.
E’ comunque buona norma effettuare una verifica dettagliata dei documenti necessari al momento di effettuare la prima
spedizione.
Inoltre, è necessario verificare se, per quella determinata categoria di prodotti, esiste lo Standard Nazionale (GB) a cui il
prodotto oggetto di esportazione deve necessariamente conformarsi.
A rendere ulteriormente arduo il passaggio alla dogana vi sono anche alcune barriere di carattere tariffario: nonostante
l’ingresso della Cina nel WTO nel 2001 e il conseguente calo delle tariffe doganali, permangono tuttora tasse come la
VAT (corrispettivo dell’IVA), da pagare direttamente alle autorità doganali entro il termine perentorio di sette giorni e, per
alcuni beni, è previsto il pagamento di una tassa sul consumo (Consumption Tax), che si applica sul valore in dogana
della merce, maggiorato del dazio.
CONTROLLI, CERTIFICAZIONI NECESSARIE E PRODOTTI VIETATI
Molte delle opportunità offerte dal mercato cinese rimangono difficili da sfruttare anche a causa dell’elevato numero di
restrizioni e controlli sanitari e fitosanitari imposti dal governo. In particolare, la registrazione del prodotto, l’etichettatura e
l’indicazione della data di scadenza sono i fattori che contribuiscono a innalzare gli oneri finanziari d’ingresso nel mercato,
sia in termini di risorse necessarie sia in termini di costi per l’ottenimento dei certificati.
Molteplici sono le certificazioni obbligatorie e i controlli a cui devono sottostare le merci in entrata:
Una volta in dogana, l’Entry-Exit Inspection and Quarantine Bureau (EEIQB) verifica la corrispondenza
dell’etichetta ai requisiti stabiliti dalle citate leggi e norme sugli standard cinesi, nonché l’autenticità e la qualità del
prodotto.
Dal 1° ottobre 2012, alimenti e bevande esportati in Cina devono essere registrati presso l’Amministrazione per il
Controllo della Qualità, l’Ispezione e la Quarantena (AQSIQ). La registrazione può essere effettuata anche attraverso
società d’importazione. Entrambe le opzioni sono accessibili tramite http://ire.eciq.cn . Questo sito include una guida in
inglese e cinese che permette ai fornitori stranieri di registrarsi autonomamente, da notare però che le informazioni
relative agli importatori cinesi devono essere compilate in cinese. Pertanto, si rende quasi necessario per le aziende
esportatrici lavorare a stretto contatto con agenti e/o importatori per completare questo passaggio.
Alcuni beni necessitano di un marchio di sicurezza, la certificazione obbligatoria, China Compulsory Certification
(CCC), in vigore dal 1.08.2003, con la quale si attesta la sicurezza e la qualità delle merci presenti nel mercato cinese.
Per i prodotti lattiero-caseari pastorizzati destinati al consumo umano occorre un certificato rilasciato dall’ASL
italiana in versione originale e copia. Le aziende che esportano latte in polvere e prodotti per neonati devono registrarsi
presso le autorità competenti entro il 1° maggio 2014, conformemente alle disposizioni AQSIQ.
Gli imballaggi in legno dovranno essere accompagnati da un certificato sanitario che ne attesti l’avvenuto processo
di fumigazione e la conformità allo standard ISPM-15 (International Standard for Phytosanitary Measures), per ridurre la
diffusione di parassiti forestali nel commercio internazionale. Mentre gli imballaggi in plastica, legno industriale o altro
dovranno recare una specifica dichiarazione di “non solid/raw wood package material”.
Questi sono solo alcuni esempi delle certificazioni necessarie, indicazioni più specifiche variano da prodotto a prodotto.
Occorre poi sottolineare come su tutti i prodotti agroalimentari confezionati importati in Cina gravi in ogni caso l’obbligo di
etichettatura originale in lingua cinese. Attualmente, il controllo delle etichette avviene contestualmente alle altre ispezioni
effettuate dalla AQSIQ al momento dell’ingresso del prodotto in Cina.
L’etichetta deve recare obbligatoriamente i seguenti elementi di base:
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denominazione del prodotto;
.
ingredienti, proporzioni degli ingredienti, peso netto e relativo volume;
.
nome del produttore, nome e indirizzo dell’importatore e distributore;
.
data di produzione, di scadenza e istruzioni di magazzinaggio;
.
paese di provenienza;
.
codice dello standarddel prodotto o codice industriale;
.
grado di qualità;
.
ingredienti specifici (se ve ne sono).
Come abbiamo visto, gli scandali alimentari degli ultimi anni hanno fortemente impressionato l’opinione pubblica. Questo
ha spinto le autorità cinesi ha intensificare l’attenzione sul tema della sicurezza alimentare, emanando nel giugno 2009 la
Food Safety Law, seguita da una serie di regolamenti e misure, a livello locale e centrale, che hanno intensificato i
controlli sugli alimenti in vendita nel mercato interno.
In particolare per i prodotti italiani, in aggiunta ai controlli sugli standard di qualità, si devono ancor oggi affrontare veri e
propri divieti di importazione per talune categorie di prodotti agroalimentari, quali:
.
tutti i prodotti ortofrutticoli freschi (con la recente eccezione del kiwi);
.
le carni di origine bovina, ovina, suina (ad eccezione del prosciutto crudo) ed aviaria. ?
E più in generale, vi sono altre categorie di prodotti (per la verità in questo caso provenienti da vari paesi quali USA,
Corea, Francia, Spagna, Giappone e solo in piccola parte dall’Italia) qualificate come problematiche per l’importazione
dall’autorità nazionale cinese competente (General Administration of Quality Supervision, Inspection and Quarantine o
AQSIQ, che pubblica mensilmente uno specifico bollettino) e sottoposte a strettissimi controlli prima di essere autorizzate
all’ingresso in Cina.
Ad esempio, le acque minerali italiane spesso, in sede di ispezioni sanitarie, sono dichiarate non conformi agli standard
locali, poiché gli standard cinesi non sono a loro volta conformi a quelli europei.
Le importazioni di riso e di farina sono spesso ostacolate poiché detti prodotti sono di frequente classificati come materia
prima anziché come prodotto trattato, ed esistono comunque trattamenti antibatterici che rispondono a standard tecnici
diversi da quelli dell’Unione Europea.
Infine, dopo anni di trattative è stata finalmente sbloccata, nell’estate 2008, l’importazione in Cina di prosciutto di Parma e
di San Daniele e di altri prodotti cotti, quali mortadella, prosciutto cotto e cotechino. Tuttavia numerosi continuano a
essere i casi di prodotti bloccati in dogana per ragioni amministrative.
3. continua
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2. Il mercato cinese del food
Alessia Placchi - 25-02-2014 - Tutti i diritti riservati
COMMENTI
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Valeria Berti
13:47 | 28 gennaio 2016
Confermo tutte le difficoltà, chi come me, piccola imprenditrice olivicola della Puglia, ha dovuto affrontare negli anni per
via di tutte le restrinzioni sanitarie richieste.
Ma non ho mollato, anche perchè negli ultimi anni, ci sono stati alcuni tagli sulle spese doganali. Ho da poco intrecciato
rapporti con Make Italy Selection, che in attesa dell'apertura del Parco delle Eccellenze Italiane in Cina, mi ha proposto di
esportare il mio olio EVO, nel grande centro commerciale Shimao di Hangzhou. Nei prossimi giorni, invio le mie
confenzioni di olio, speriamo di raggiungere alti traguardi, perchè l'olio d'oliva pugliese è per me uno dei migliori al mondo.
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